GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    L’estinzione del processo non estingue l’azione. Rinuncia agli atti e rinuncia all’azione nel processo amministrativo (nota a TAR Lazio – Sez. Terza Ter sentenza del 04.11.2020 n. 11408).

    L’estinzione del processo non estingue l’azione. Rinuncia agli atti e rinuncia all’azione nel processo amministrativo (nota a TAR Lazio – Sez. Terza Ter sentenza del 04.11.2020 n. 11408).  

     di Stefania Caggegi

    Sommario: 1. Premessa - 2. “La rinuncia al ricorso” ex art. 84 c.p.a e la rinuncia all’azione amministrativa. - 3. L’effetto sulla sfera sostanziale, quale discrimen tra rinuncia agli atti e rinuncia all’azione.  3.1. Giurisprudenza richiamata e decisione del TAR Lazio.   4. Considerazioni conclusive. Dicotomia solo concettuale in ambito amministrativo? 

    1. Premessa. 

    La sentenza in commento affronta un tema suggestivo ed interessante, fondamentalmente inscritto nel quadro della nota e discussa dicotomia rinuncia agli atti/rinuncia all’azione.

    Nella fattispecie in esame, il Collegio respinge un’eccezione di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse, proposta dalla parte resistente per aver la ricorrente rinunciato – nel corso di un differente giudizio – all’atto di intervento ad adiuvandum (da valere anche con ricorso autonomo) ivi depositato ed avente ad oggetto la medesima pretesa fatta valere nel giudizio che ha generato la pronuncia in commento. 

    Nel respingere tale eccezione, il TAR si sofferma a verificare gli effetti della rinuncia agli atti, richiamando la disciplina codicistica applicabile, nonché la giurisprudenza più rilevante che, nel corso degli anni, ha ribadito il principio – sancito, peraltro, a chiare lettere dall’art. 310 c.p.c. -  secondo il quale la rinuncia agli atti processuali non va confusa con la rinuncia all’azione.  

    Seppure in modo sintetico, come impone il carattere del presente scritto, saranno oggetto di analisi gli effetti sostanziali e le ricadute processuali dei due diversi tipi di rinuncia in seno al processo amministrativo, al fine di meglio valutarne i risvolti in merito alla permanenza tanto dell’interesse quanto della legittimazione ad agire, in sede di impugnativa di provvedimenti amministrativi che incidano sulla medesima pretesa sostanziale.

    A tal proposito, occorre preliminarmente chiarire che la rinuncia agli atti, propria dei procedimenti giurisdizionali ad iniziativa di parte come il processo amministrativo[1], è un atto con cui il ricorrente dichiara di abbandonare la situazione giuridica processuale fatta valere nell'ambito della domanda proposta in sede di giudizio[2]; in quanto causa di estinzione del processo nel suo significato formale[3], essa è, invero, tradizionalmente distinta dalla rinuncia all’azione, definita come un “modo improprio per designare la rinunzia al diritto sostanziale sottostante[4].

    Si tratta di due istituti disciplinati dal codice di rito civile, a differenza di quello amministrativo ove il legislatore si è limitato a codificare solo l’istituto della rinuncia agli atti. Non si tratta di una lacuna, ma, evidentemente di una scelta, accompagnata dal rinvio esterno posto dall'art. 39 c.p.a. al codice di procedura civile. Ed infatti, ciò non impedisce – superando taluni dubbi espressi in dottrina[5] ed in giurisprudenza[6] – che tale distinzione sia applicabile anche al processo amministrativo[7], quanto meno dal punto di vista concettuale, nei termini di cui si dirà in sede conclusiva. 

    2. “La rinuncia al ricorso” ex art. 84 c.p.a e la rinuncia all’azione amministrativa. 

    Come accennato in premessa, nel processo civile i due distinti concetti di rinuncia all’azione e rinuncia agli atti vengono previsti agli artt. 306 ss. c.p.c.[8]; di converso, nel codice del processo amministrativo è stato trasposto e regolamentato esclusivamente l’istituto della rinuncia al ricorso, intesa come rinuncia agli atti di causa. Originariamente prevista dall’art. 30 del R.D. n. 6516/1899 e poi dall’art. 46 del R.D. n. 642/1907, è stata, infatti, normata dal legislatore del 2010 all’art. 84 del codice del processo amministrativo, a mente del quale “la parte può rinunciare al ricorso in ogni stato e grado del giudizio[9].

    Il comma 2 del predetto art. 84 introduce, poi, un’importante novità in tema di spese processuali, rispetto alla previsione della condanna obbligatoria del rinunciante (ad eccezione dell’ipotesi in cui le parti si fossero accordate per la compensazione) sancita nella precedente disciplina del R.D. del 1907[10]: è, infatti, prevista la possibilità che il Collegio decida di compensarle “avuto riguardo ad ogni circostanza”. Tale previsione, ha di fatto eliminato uno degli ostacoli più significativi all’utilizzo dell’istituto della rinuncia, cui le parti evitavano di ricorrere, anche nelle ipotesi in cui sarebbe stato opportuno, facendo ricorso alla dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse, spesso resa all’udienza di merito, in quanto atto idoneo a realizzare il medesimo obiettivo cui è preordinata la rinuncia al ricorso, ma spesso, a spese compensate[11].

    Restano sostanzialmente immutate le modalità di esternazione della rinuncia[12], proposta mediante dichiarazione resa in udienza dal difensore – munito di mandato speciale – e documentata nel relativo verbale, oppure sottoscritta dalla parte o dal difensore – sempre munito di mandato speciale -, notificata alle altre parti almeno dieci giorni prima dell’udienza e depositata in segreteria[13].

    Ai sensi del comma terzo, alla rinuncia ritualmente presentata e qualora le altre parti interessate non abbiamo interposto opposizione[14], segue l’estinzione del processo.

    Gli effetti, dal punto di vista sostanziale e processuale, ove si pervenga a siffatto esito estintivo, sono previsti dall’art. 310 c.p.c. - applicabile al processo amministrativo, come si anticipava, per effetto del rinvio esterno di cui all’art. 39 c.p.a. – la cui lettera irrompe affermando in maniera concisa e puntuale che “l’estinzione del processo non estingue l’azione”.  

    Nella pronuncia in commento, pertanto, il Collegio richiama tale disposizione, in quanto certamente applicabile e ribadisce che la stessa va interpretata nel senso che la pretesa sostanziale che costituiva l’oggetto del processo estinto rimane integra ossia non pregiudicata dall’estinzione. Ciò significa che, se non è intervenuta una decadenza, l’azione per far valere quella pretesa può essere riproposta mediante altro successivo processo: il ricorrente, dunque, può rinunciare agli atti senza rinunciare alla pretesa sostanziale[15]

    Dunque, nulla quaestio circa la possibilità di riproporre il ricorso in precedenza rinunciato. 

    Ma le possibilità del rinunciante non si esauriscono qui: egli può anche riproporre le medesime censure già svolte, dedurre tutto ciò che è deducibile a miglior difesa della sua sfera giuridica.

    Difatti, come si è avuto già modo di appurare, il rinunciante (ora ricorrente) non ha compiuto alcun atto abdicativo dell’azione ovvero del titolo della domanda, sicché l’identità delle censure rispecchierebbe solo ed esclusivamente un’ipotesi di identica illegittimità dei provvedimenti lesivi.

    Deve, peraltro, aggiungersi che la rinuncia può riguardare anche solo il ricorso per motivi aggiunti, senza alcun effetto sul giudizio introdotto con il ricorso principale.[16]   

    3. L’effetto sulla sfera sostanziale, quale discrimen tra rinuncia agli atti e rinuncia all’azione. 

    È stato precisato in giurisprudenza che, nella differenza tra rinuncia agli atti e rinuncia all’azione, è rilevante la caratterizzazione delle ragioni che sottendono tale comportamento, nel senso che, ove manchi una esplicitazione delle ragioni sostanziali sottese al comportamento di rinuncia, questa deve ritenersi mera rinuncia agli atti, e viceversa, nel caso in cui le ragioni siano state dettagliate in ragione della pretesa sostanziale originariamente azionata[17]

    Che il discrimen sia rintracciabile negli effetti che tanto la rinuncia agli atti, quanto la rinuncia all’azione producono sulla sfera sostanziale, è acquisizione ormai pacifica della giurisprudenza, a tenore della quale gli effetti applicativi della normativa di cui all’art. 310 c.p.c. determinano l’assoluta “inidoneità della pronuncia di estinzione per rinuncia agli atti ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, potendo essa acquisire tale efficacia di giudicato sul solo aspetto del venir meno dell'interesse alla prosecuzione di quel determinato processo[18].

    Ciò in quanto, “l'efficacia abdicativa in ordine all'effetto sostanziale della decisione di merito, preclusiva del potere delle parti di chiedere al giudice una nuova decisione sulla stessa controversia, va riconosciuta soltanto ad un atto che possa essere interpretato come rinuncia anche al giudicato, in quanto estesa alla sentenza già emessa ed alle sue conseguenze[19].

    Il TAR, nella pronuncia in commento, richiama questo ulteriore aspetto, specificando che, nel caso oggetto di giudizio, la ricorrente “non risulta aver rinunciato alla pretesa sostanziale (ovvero al “bene della vita” al quale aspira), ma solo agli atti del giudizio”. 

    Del resto, non trascurabili, anche in ragione della rilevata natura meramente processuale della pronuncia declaratoria dell’estinzione del processo, sono gli effetti della stessa sui c.d. stabilizzatori di diritto sostanziale, ossia sulla prescrizione e sulla decadenza[20].

    Ed è proprio in ragione della più marcata incidenza che determina la rinuncia all’azione sulla pretesa sostanziale sottesa che questa può essere anche tacita, mentre la rinuncia agli atti deve essere espressa, di contro la rinuncia all’azione non richiede ai fini del suo perfezionamento l’accettazione della controparte,[21] perché estinguendo l’azione stessa, ha l’efficacia di un rigetto nel merito della domanda[22].

     3.1. Giurisprudenza richiamata e decisione del TAR Lazio. 

    Il Collegio richiama la costante e risalente giurisprudenza a tenore della quale, mentre la rinuncia all’azione incide sul diritto e quindi preclude ogni ulteriore tutela giurisdizionale, la rinuncia agli atti agisce solo sul processo, la cui estinzione lascia salvo l’esercizio dell’azione in un nuovo processo[23].

    Da ultimo, il Consiglio di Stato – richiamato anche questo a fondamento della pronuncia in commento -, tornando sul tema, ha ribadito che “nel processo amministrativo, la rinuncia alla domanda non va confusa con la rinuncia agli atti del giudizio atteso che, nel caso di rinuncia agli atti del giudizio, si può parlare di estinzione del processo, cui consegue una pronuncia meramente processuale, potendo essere la domanda riproposta nel caso in cui siano ancora aperti i termini per far valere in giudizio la pretesa sostanziale. Viceversa, la rinuncia all'azione comporta una pronuncia con cui si prende atto di una volontà del ricorrente di rinunciare alla pretesa sostanziale dedotta in giudizio, con la conseguente inammissibilità di una riproposizione della domanda; in quest'ultimo caso non vi può essere estinzione del processo, in quanto la decisione implica una pronuncia di merito, cui consegue l'estinzione del diritto di azione, atteso che il giudice prende atto della volontà del ricorrente di rinunciare alla pretesa sostanziale dedotta nel processo”.[24]

    Pertanto, dopo un ricco exursus giurisprudenziale che individua gli elementi di differenziazione tra rinuncia agli atti e rinuncia all’azione, il TAR Lazio conclude agevolmente che la rinuncia operata dalla ricorrente nel differente giudizio, vertente sulla medesima pretesa sostanziale, non risulta ostativa alla possibilità di decidere la controversia nel merito, non essendo intervenuta alcuna decadenza nella proposizione dell’azione impugnatoria ed avendo parte ricorrente espressamente ribadito l’interesse alla decisione nel merito.

     4. Considerazioni conclusive. Dicotomia solo concettuale in ambito amministrativo? 

    In virtù di quanto evidenziato nel corso della trattazione pare, dunque, potersi desumere che l’unica circostanza impeditiva della tutela di una pretesa sostanziale, la cui attivazione processuale sia stata in precedenza rinunciata, sia rinvenibile nell’intervento di una decadenza.

    Come, del resto, pare poter assurgere a conclusione “pacifica” e oramai consolidata l’applicabilità della distinzione tra rinuncia agli atti e rinuncia all’azione nel processo amministrativo. 

    Sicché, nel caso di specie, il Collegio ha potuto richiamare ed applicare tale disciplina, in ragione del fatto che la parte – prima rinunciante e poi ricorrente – fosse ancora in termini. 

    Qualche dubbio potrebbe sorgere forse sull’aspetto pratico dell’applicabilità della distinzione tra rinuncia agli atti e rinuncia all’azione, così come prevista dal c.p.c. ed elaborata dalla dottrina processualcivilistica, al settore amministrativo. 

    Il processo amministrativo, infatti, presenta non trascurabili peculiarità rispetto a quello civile, che incidono sulla nettezza della distinzione di cui trattasi, prima fra tutte la circostanza che l’azione tipica, posta quale baluardo della tutela degli interessi legittimi è l’azione di annullamento, che, come è noto, può essere azionata solamente nel termine perentorio decadenziale di 60 giorni. Quindi, in molti casi, difficilmente – da un punto di vista prettamente pratico – un soggetto può instaurare un giudizio, poi rinunciarvi e successivamente riproporlo, senza incorrere nella scadenza del termine previsto per il consolidamento del provvedimento amministrativo lesivo. Ne discende che la dicotomia rinuncia agli atti/rinuncia all’azione - per quanto opportunamente richiamata a fini decisori nella pronuncia in commento e certamente calzante all’oggetto del giudizio esaminato dal Collegio - parrebbe avere, nell’ambito del giudizio amministrativo instaurato a seguito di azione di annullamento, una valenza assai limitata, maturando comunque una condizione di definitività in termini di inoppugnabilità del provvedimento in ragione della scadenza del breve termine perentorio prescritto. Ciò, a ben guardare, in una certa qual misura comporta una sorta di equiparazione quoad effectumtra i due istituti. siffatta conclusione non sembra essere inficiata dall’art. 30, comma 2 c.p.a., il quale, pur ammettendo un’autonoma azione di risarcimento danni, prevede anche in questo caso un termine decadenziale, di 120 giorni, significativamente breve[25].

    [1] Espressione tratta da A.M. SANDULLI, Il giudizio davanti al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, in Trattato del processo civile, diretto da F. CARNELUTTI, Napoli 1963; si veda anche successivamente A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989. 

    [2] In questo senso: M.T. LIEBMANN, Manuale di diritto processuale civile, II, Milano 1968,1,203; A. SALETTI, voce Estinzione del processo, in Enc. Giur. Treccani, XII, Roma, 1994,3. 

    [3] F. BENVENUTI, voce Estinzione del processo (dir. Amm.), in Enc. Dir., XV, Milano, 1966, 949. 

    [4] C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, II, Torino, 2013, 395.

    [5] A tal proposito, N. SAITTA, Sistema di giustizia amministrativa, Milano 2011, 302, dove si afferma che <<se tuttavia si assegna alla rinuncia anche la valenza di accettazione dell’assetto degli interessi così come riflesso nella situazione che aveva portato all’instaurazione dell’originario contenzioso, potrebbe inferirsene una sorta di effetto positivo che metterebbe i resistenti al sicuro da eventuali […] ritorni di fiamma del ricorrente rinunciatario>>; in senso analogo anche E. PICOZZA, Il processo amministrativo, Milano 2008, 364. 

    [6] Cfr. CGARS, 9.08.2010, n. 1081, a tenore della quale <<nel giudizio amministrativo la rinuncia è espressione del potere della parte di disporre del diritto di azione>>; in senso analogo: TAR Basilicata, sez. I, 08.06.2011 n. 351, in giustiziaamministrativa.it.

    [7] In dottrina, A.M. SANDULLI, Il giudizio davanti al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, op. cit., 248, per il quale è problema di interpretazione se alla dichiarazione di rinuncia (resa in udienza o depositata) debba essere attribuito il significato di “rinuncia agli atti” o “rinuncia all’azione”, così citata da S.MORO, in Il Codice del processo amministrativo, a cura di B. SASSANI E R. VILLATA, Torino, 2012, 1159; 

    sempre in senso favorevole all’applicabilità della distinzione tra rinuncia agli atti e rinuncia all’azione nel processo amministrativo, si veda: V. CANAIELLO, Diritto processuale amministrativo, Torino, 1988, 629; C. MIGNONE, Il giudizio di primo grado, in Diritto Amministrativo, a cura di L. MAZZAROLLI – G. PERICU – A. ROMANO – F.A. ROVERSI MONACO – F.G. SCOCA, Bologna, 2005, 628; L. PERFETTI, Sub art. 25, in Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, a cura di A. ROMANO – R. VILLATA, Padova 2009, 841-842; A. POLICE, Estinzione del processo, in  Giustizia Amministrativa, a cura di F.G. SCOCA, Padova, 2009, 469;

    in giurisprudenza: Cons. Stato, Sez. VI, 24.02.2005 n. 675; TAR Puglia – Bari, sez. I, 13.10.2004, n. 4444;

    sulla disciplina in generale si veda anche: E. CANNADA BARTOLI, Processo amministrativo, in Noviss. dig. it., XIII, Torino, 1966. 

    [8] G. MANDRIOLI A. CARRATTA, Corso di diritto processuale civile, vol. II, Torino 2013, 236; A. PROTO PISANI, Diritto processuale civile, Milano 1984; A.CERINO CANOVA, La domanda giudiziale ed il suo contenuto, in Commentario del cod. di proc. Civ., diretto da E. ALLORIO, II, I, Torino, 1980; P. CALAMANDREI, La relatività del concetto di azione, in Riv. Dir. Proc. Civ., 1929; G. CHIOVENDA, L’azione nel sistema dei diritti, in Saggi di diritto processuale civile, I, Bologna 1904; per un approfondimento specifico sul tema dell’estinzione del processo per rinuncia agli atti: R.VACCARELLA, Rinunzia agli atti del giudizio, in Enciclopedia del diritto, vol. XL, Milano 1989, 960; E. REDENTI, Diritto processuale civile, vol.II, Milano 1997, 329; S. LA CHINA, Manuale di diritto processuale civile, vol. I, Milano 2003; F.P. LUISO, Diritto processuale civile, Milano 2011, 247.

    [9] Con riferimento al potere di rinunciare agli atti del giudizio, come espressione del carattere soggettivo dell’interesse fatto valere dal ricorrente e della piena disponibilità dell’azione proposta si veda: A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2014, 231;  

    [10] Cfr., precedentemente all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, Cons. St., Sez. V, 17.09.2010, in giustizia-amministrativa.it.  

    [11] In tal senso: G. VIRGA, Il regime delle opposizioni avverso i decreti ex art. 9 della L. n. 205/2000 e delle spese di giudizio nel caso di rinuncia al ricorso, in Giustamm.it, 2, 2001; più di recente, in senso analogo: R. GAROFOLI, in Codice Amministrativo Ragionato, Nel Diritto Editore - 2018; 

    [12] Per quanto attiene alla modalità di presentazione della rinuncia a norma dell’art. 84 c.p.a., cfr. Cons. St., Sez. VI, 9.12.2008 n. 6098, in giustizia-amministrativa.it.  

    [13] Il dies ad quem è stato introdotto dal legislatore del 2010 e attiene al solo atto formale di rinuncia, ma non preclude che la rinuncia avvenga con dichiarazione resa in udienza, in questo senso: R. CHIEPPA, Il codice del processo amministrativo, Milano, 2010, 410.

    [14] Nella vigenza dell’art. 46 del R.D. n. 642/1907 era pacifico che la rinuncia non richiedeva l’accettazione delle controparti, mentre l’art. 84 c. 3 c.p.a. dispone che il processo non si estingue se le parti “si oppongono”: per un’approfondita analisi dell’opposizione delle controparti alla rinuncia si rinvia a S.MORO, in Il Codice del processo amministrativo, a cura di B. SASSANI E R. VILLATA, op. cit., 1182 – 1186 nonché alle note ivi inserite;   

    [15] In questo senso, F. BENVENUTI, voce Parte (dir. Amm.), in Enc. Dir., XXXI, Milano 1981, 970.

    [16] Cfr. Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, 9.08.2010 n. 1073, cit. anche in: A. QUARANTA, V. LOPILATO, Il  Processo Amministrativo. Commentario al D.Lgs. n. 104/2010, Milano, 2011, 634; 

    [17] Cfr. Trib. Reggio Calabria, 25.09.2002, in G. S. RICHTER E P.S. RICHTER, La giurisprudenza sul Codice di procedura civile coordinata con la dottrina, a cura di P.DI RIENZO, O. FANELLI, S. LA SPADA, E. MANDANELLI, S. PICCOLI, A. TULLIO, libro II, tomo I, Milano 2006, 934;.

    [18] Corte di Cassazione Civile, Sez. I, 23.11.2015, n. 23867, in jusexplorer.it.  

    [19] Cass. Civ., Sez. II, 16.03.2017, n.6845, in jusexplorer.it.

    [20] Per un’accurata analisi sugli effetti dell’estinzione su prescrizione e decadenza, si rinvia a: AA.VV., Commentario al codice di procedura civile, artt. 163 -322, a cura di P. CENDON, Milano 2012, 1941; per un’analisi più specifica degli effetti sulla prescrizione, arricchita da corposa giurisprudenza, si veda: La giurisprudenza sul Codice di procedura civile coordinata con la dottrina, op.cit., 991.

    [21] Cass. Civ., Sez. II, 07.06.1991 n. 6450; più di recente: Cass. Civ., sez. II, 10.09.2004 n. 18255, in jusexplorer.it; in tema di accettazione, in dottrina, tra gli altri, F. VOLPE, La rinuncia al giudizio non vuole accettazione, la dichiarazione di mancanza dell’interesse si, n. 8/2008, in lexitalia.it; più in generale si veda già C.E. GALLO, Manuale di giustizia amministrativa, Torino, 2007, 213;    

    [22] Cass. Civ., Sez. II 13.03.1999 n. 2268, in jusexplorer.it.

    [23] Cass. Civ., Sez. Lavoro, 13.03.1999, n.2268, in jusexplorer.it.

    [24] Consiglio di Stato, sez. III, 21.06.2017, n.3058 (conforme: CdS, Sez. III 22.08.2018 n.5014) in giustizia-amministrativa.it.

    [25] In tal senso si veda: A. TRAVI, Nota Ad. Pl. 24 giugno 2004 n. 8, in Foro.it, IV, 2004, 949. 


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