GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    L’illegittimità costituzionale della legge-provvedimento e la “riserva” di procedimento amministrativo

    L’illegittimità costituzionale della legge-provvedimento e la “riserva” di procedimento amministrativo (Nota a Corte Costituzionale n.116/2020)

    di Sonia Caldarelli

    Sommario: 1. I dubbi di legittimità costituzionale; 2. La soluzione della Corte Costituzionale; 3. Dalla riserva di amministrazione, alla riserva di procedimento amministrativo: note critiche; 4. La tutela del diritto (fondamentale) di difesa come grimaldello per l’illegittimità costituzionale delle leggi in sanatoria

    1. I dubbi di legittimità costituzionale 

    Con ordinanza n. 49 del 2018 il Tar Molise[1], nell’ambito del processo pendente tra l’Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed IRCCS s.r.l. e il commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario del Molise, ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n.50 (recante Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 2017, n. 96.  

    La norma censurata approvava - “in considerazione della necessità di assicurare la prosecuzione dell’intervento volto ad affronta la grave situazione economico finanziaria e sanitaria della regione Molise” - il programma operativo straordinario (POS) per la Regione Molise per il triennio 2015-2018. Nel giudizio a quo, l’amministrazione resistente sollevava una eccezione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, derivante dalla avvenuta legificazione - ad opera del citato art. 34 bis del d.l. 50/2017 - del POS (oggetto di gravame). 

    Il Tar Molise ha sostenuto l’illegittimità costituzionale dell’art. 34 bis sotto tre distinti profili: 

                        i.         per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione laddove il legislatore ha inteso “sanare”, in via postuma, la potenziale illegittimità dei provvedimenti amministrativi impugnati, in difformità dai principi di ragionevolezza e di non contraddizione, oltre che di legalità e di imparzialità della pubblica amministrazione;

                       ii.         per violazione degli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione, anche in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), essendo la norma censurata diretta ad interferire con la funzione giurisdizionale, incidendo su  una controversia pendente;

                     iii.         per violazione degli artt. 117 primo e terzo comma e 120 della Costituzione, derivante dalla riconducibilità della materia in esame alla tutela della salute, con conseguente limitazione della funzione legislativa ordinaria alla sola fissazione dei principi fondamentali. 

     

    2. La soluzione della Corte Costituzionale

    La Corte Costituzionale ha anzitutto perimetrato i confini delle censure enucleate nell’ordinanza di rimessione, rilevando che gli artt.  6 e 7 Cedu non sono direttamente invocabili per affermare l’illegittimità costituzionale di una disposizione dell’ordinamento nazionale; ciò in quanto, come noto, le norme della Cedu hanno valore di norme interposte la cui osservanza è richiesta dall’art. 117 comma 1 della Costituzione; non avendo il Tar richiamato tale ultimo parametro, la Corte Costituzionale ha inteso il riferimento alle norme convenzionali al solo scopo di rafforzare le censure proposte. 

    Così individuato il confine delle questioni rilevanti, la sentenza muove dall’inquadramento della legge censurata nella categoria delle c.d. leggi provvedimento  “poiché eleva a livello legislativo una disciplina già oggetto di un atto amministrativo” (punto 5.); a tale riguardo la Corte ha rammentato che secondo il suo costante insegnamento un simile esercizio della funzione legislativa non è in sé incompatibile con l’assetto di poteri stabilito in Costituzione, ferma restando la regola del suo scrutinio stretto di legittimità in punto di non arbitrarietà e non irragionevolezza[2].

    L’iter argomentativo che ha condotto il giudice delle leggi a ritenere fondata la questione di legittimità costituzionale, ruota attorno alla valorizzazione del ruolo del procedimento amministrativo “nell’amministrazione partecipativa disegnata dalla legge 7 agosto 1990 n.241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”).

    Osserva la Corte (i) che il procedimento amministrativo costituisce il luogo elettivo di composizione degli interessi, in quanto “[è] nella sede procedimentale […] che può e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l’interesse del soggetto privato operatore economico, sia ancora (e non da ultimo) con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunità, e che trovano nei princìpi costituzionali la loro previsione e tutela[3]; (ii) e che la modalità dell’azione amministrativa deve poter emergere “a livello giuridico-formale, quale limite intrinseco alla scelta legislativa…”. 

    Sulla scorta di simili premesse si legge nella sentenza che se la materia “per la stessa conformazione che il legislatore le ha dato” presenta i tratti della materia amministrativa, allora ne consegue l’applicazione delle garanzie tipiche del procedimento amministrativo. 

    In applicazione di tale ultimo criterio ermeneutico, la Corte Costituzionale ha rilevato, quanto al caso di specie, che l’oggetto della legge provvedimento censurata ha le caratteristiche della materia amministrativa (punto 9) e che la complessità delle scelte e degli interessi in gioco (legati alla tutela della salute) e le ricadute su tutte le strutture sanitarie regionali, avrebbe postulato una istruttoria amministrativa approfondita, fisiologicamente non appartenente all’iter di formazione delle leggi.

    La qualificazione della materia come tipicamente amministrativa, avrebbe inoltre una specifica proiezione sulla fase successiva del vaglio giurisdizionale, nel senso che sarebbe destinata a produrre un contenzioso specifico centrato sul rispetto delle regole del procedimento, quali il difetto di partecipazione degli interessati, che non si potrebbe addebitare all’atto legislativo in quanto elemento estraneo al relativo procedimento. 

    Sulla scorta dei predetti argomenti la Corte Costituzionale ha concluso nel senso della violazione degli artt. 3 e 97 Cost. perpetrata dal legislatore, con assorbimento dei rimanenti parametri invocati dal rimettente. 

     

    3. Dalla riserva di amministrazione, alla riserva di procedimento amministrativo: note critiche

    La sentenza in commento affronta un tema che sebbene possa definirsi “classico”[4], non sembra ancora aver trovato una sistemazione teorica e pratica definitiva[5]; si tratta della questione dei limiti e dei presupposti di ammissibilità delle leggi provvedimento, la cui natura anfibologica di legge in senso formale e di provvedimento amministrativo in senso sostanziale, sembra essere alla base degli ondivaghi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali che si rinvengono nella materia[6]

    Le criticità derivanti dalla sostituzione del legislatore all’attività puntuale della pubblica amministrazione involgono, per un verso, la questione teorica dell’esistenza di una sfera di attribuzioni riservate alla p.a., come tali infungibili; e per altro verso, la questione della interferenza della funzione legislativa con quella giurisdizionale tutte le volte che la legge-provvedimento intervenga a sanare in via postuma un provvedimento amministrativo potenzialmente illegittimo oggetto di un ricorso pendente dinanzi al giudice amministrativo. 

    Occorre immediatamente rilevare che la qualificazione giuridica di un atto come legge provvedimento ne determina l’assoggettamento al regime giuridico previsto per le leggi (che sono tali, in senso formale, per il solo fatto di essere adottate a valle del procedimento legislativo conformato dalla Costituzione[7]), essendo irrilevante la sua natura sostanziale di atto a contenuto particolare e concreto; da ciò conseguono rilevanti implicazioni quanto alle modalità e forme della tutela giurisdizionale del privato leso nella sua situazione giuridica soggettiva: mentre avverso un atto che abbia la forma e la sostanza di provvedimento amministrativo il diritto di difesa è assicurato dall’esercizio dell’azione giurisdizionale a tutela della posizione giuridica lesa mediante contestazione diretta del provvedimento che si assume illegittimo dinanzi al giudice amministrativo, ex artt. 24, 103 e 113 della Costituzione, la natura formale di legge propria delle leggi-provvedimento determina l’impossibilità, nel nostro ordinamento, di una simile azione diretta, dovendo la tutela avverso una legge passare attraverso il giudizio accentrato di legittimità costituzionale, a sua volta “raggiungibile” mediante il filtro del giudice a quo e soltanto per violazione dei parametri della Carta fondamentale[8].

    Ciò posto, nei limiti imposti dal commento alla decisione, appare utile prendere le mosse dai principi costantemente affermati dalla giurisprudenza costituzionale quanto all’ammissibilità delle leggi provvedimento. 

    Secondo l’approccio tradizionalmente seguito dalla Corte, le leggi provvedimento:

    -       devono considerarsi in linea di principio compatibili con l’assetto dei poteri delineati nella Carta fondamentale non esistendo nella Costituzione una “riserva di amministrazione”, ossia una previsione normativa che attribuisca agli organi amministrativi il potere di adottare atti a contenuto particolare e concreto[9];

    -       non si sottraggono per ciò solo alla garanzia della tutela giurisdizionale, sebbene siano soggette al regime proprio delle leggi, con la conseguenza che esse non saranno censurabili attraverso i rimedi processuali previsti dall’ordinamento avverso i provvedimenti amministrativi, risultando viceversa sottoposte ad una diversa modalità di tutela che è quella del controllo accentrato di costituzionalità[10];

    -       lo scrutinio di legittimità costituzionale delle leggi provvedimento deve essere ispirato ad una rigida applicazione dei parametri di ragionevolezza e proporzionalità, desumibile anche dalla carente valutazione degli elementi sui quali la legge provvedimento incide[11]

    In effetti nell’affrontare il tema della compatibilità costituzionale delle leggi provvedimento, la prima questione che occorre dipanare è se esita o meno nella Costituzione, una previsione normativa che attribuisca alla sola pubblica amministrazione il potere di adottare atti a contenuto concreto e particolare (rectius provvedimenti amministrativi). Un simile approccio è imposto dalla natura formale dell’atto che viene in rilievo che, in quanto adottato all’esito di un procedimento legislativo, assume la forza formale di legge[12].  

     Come visto, nella giurisprudenza del giudice delle leggi viene negata l’esistenza nella nostra Costituzione di norme attributive di una riserva, in favore della pubblica amministrazione, della competenza ad adottare atti a contenuto particolare e concreto; secondo tale approccio le pubbliche amministrazioni costituiscono un apparato servente, esecutivo, rispetto alla legge[13]

    È l’assenza formale di norme costituzionali alle quali agganciare una simile riserva di amministrazione, a rendere in astratto costituzionalmente compatibili (perché non vietate) leggi in luogo di provvedimenti amministrativi. 

    La sentenza in commento, sebbene faccia espressamente salvo il tema della riserva di amministrazione (si legge testualmente al punto 7 che la tesi propugnata dalla Corte è elaborata “senza mettere in discussione il tema della riserva di amministrazione nel nostro ordinamento”), finisce in realtà per postularne l’esistenza; o meglio finisce con il ritenere di fatto sussistente una sorta di riserva di procedimento amministrativo (cioè delle garanzie partecipative proprie di esso), nella parte in cui afferma che se una materia è conformata dalla legge come amministrativa, allora ciò implicherebbe la necessità che essa trovi la sua emersione nelle modalità (nelle forme quindi) tipiche dell’azione amministrativa (per l’appunto quelle procedimentali connotate dalla garanzie proprie dell’istruttoria, dal diritto di partecipazione, dall’obbligo di motivazione)[14]. L’illegittimità costituzionale della legge provvedimento, discenderebbe, sotto tale profilo, dalle “mancanze, quali il difetto di partecipazione degli interessati, che non si potrebbero addebitare all’atto legislativo, in quanto fisiologicamente estranee al relativo procedimento”.

    Ciò disvela un primo elemento di criticità nell’articolato argomentativo sui cui poggia la decisione della Corte Costituzionale.  

    La conformazione della materia come amministrativa e il conseguente vincolo di estrinsecazione delle relative manifestazioni volitive pubbliche mediante un procedimento amministrativo, viene inoltre fatta discendere dalla legge e non dalla Costituzione (si tratterebbe quindi di una riserva di matrice legislativa ordinaria, e non costituzionale); un simile argomento non sembra, tuttavia, sufficiente ai fini dell’affermazione della sussistenza di una riserva in favore delle garanzie procedimentali proprie del diritto amministrativo, tale da costituire un limite intrinseco all’esercizio della funzione normativa, in quanto trattandosi di fonti pari ordinate, la successiva legge provvedimento sarebbe destinata – in base alle regole sulla successione delle leggi nel tempo – a superare la scelta originaria (di conformazione amministrativa della materia). 

    Sotto concorrente profilo, si può rilevare che l’affermazione secondo cui se una materia è amministrativa allora le relative determinazioni volitive dovranno necessariamente estrinsecarsi nelle forme del procedimento amministrativo, è in sé neutrale ai fini che qui rilevano. In altri termini e più chiaramente, ogni manifestazione volitiva pubblica si estrinseca nelle forme procedimentali (la legge, nelle forme del procedimento legislativo; il provvedimento amministrativo, in quelle del procedimento amministrativo; la decisione giurisdizionale, in quelle del processo) e il procedimento amministrativo, o meglio il giusto procedimento, è connaturato all’adozione di provvedimenti amministrativi quale portato, costituzionale, della tutela dei diritti dei singoli[15]; ma ciò non impinge sul tema dell’ammissibilità costituzionale delle leggi provvedimento che passa invece attraverso la soluzione della questione già tratteggiata, concernente la sussistenza o meno in Costituzione di una sfera di attribuzione riservate alla p.a., rispetto alle quali il legislatore non può sostituirsi[16]

    La tesi di fondo che sebbene non esplicitata, si annida nella decisione in commento, sembra essere quella secondo cui mentre in sede di azione amministrativa potrebbero trovare una compiuta e corretta emersione gli interessi contrapposti e gli elementi di fatto rilevanti ai fini del decidere, ciò non sarebbe fisiologicamente possibile nel procedimento che conduce all’adozione di atto aventi forma di legge; sebbene le leggi, in quanto provenienti dal Parlamento, siano per definizione frutto del contemperamento di tutti gli interessi in gioco (assicurato tramite il dibattito maggioranza e opposizione) e abbiano intrinsecamente natura di atti rappresentativi degli stessi in quanto promanati dall’organo, nel nostro sistema ordinamentale, a legittimazione democratica diretta.

    Se si guarda alla morfologia del procedimento amministrativo, in effetti le modalità partecipative del procedimento amministrativo offrono più garanzie alle parti, di quante non siano assicurate dalla partecipazione al procedimento legislativo: ad esempio, la partecipazione al procedimento coinvolge in teoria tutti gli stakeholders, indipendentemente dalla loro collocazione territoriale (al contrario della territorialità imposta dal principio di rappresentanza). 

    Occorre però chiedersi se esista un fondamento costituzionale della garanzia del procedimento amministrativo, o meglio del giusto procedimento con tutti i corollari che ne discendono quanto alla partecipazione degli interessati. A tale riguardo, se è vero che il procedimento è la forma/modalità in cui si estrinseca una funzione, allora si torna per definizione al problema preliminare, ossia l’esistenza o meno di una riserva di amministrazione (di funzione amministrativa) che deve estrinsecarsi nelle forme del giusto procedimento. 

    In dottrina si è già evidenziata la contraddittorietà intrinseca nella giurisprudenza costituzionale che nei suoi più recenti orientamenti, pur mantenendo fermo (come nella specie) il principio dell’inesistenza di una riserva di amministrazione, rileva che dall’art. 97 Cost. discenderebbe la garanzia costituzionale del giusto procedimento amministrativo come limite intrinseco alla funzione legislativa. 

    A fronte di ciò, una possibile strada, volta però a “sanare” le criticità sul piano pratico derivanti dall’impossibilità di ricondurre a coerenza ed unità i principi emersi in giurisprudenza, sarebbe quella di consolidare la tendenza alla processualizzazione della funzione legislativa onde consentire un recupero delle garanzie (anzitutto democratiche) del “giusto provvedimento” [17]

     

     4. La tutela del diritto (fondamentale) di difesa come grimaldello per l’illegittimità costituzionale delle leggi in sanatoria

    Sembra piuttosto doversi indagare la rilevanza di altre disposizioni costituzionali per vagliare la compatibilità con la Carta fondamentale (non in astratto ma) in concreto della legge provvedimento, oggetto di contestazione. 

    Restando allo stato impregiudicata l’esistenza o meno della riserva di amministrazione, il vero nodo da sciogliere - nel caso oggetto della sentenza in commento -, sembra essere quello afferente alla possibilità che il legislatore interferisca, tramite l’elevazione a legge di un provvedimento amministrativo oggetto di ricorso pendente in sede giurisdizionale amministrativa, sull’esercizio della funzione del giudice. 

    L’interferenza della funzione legislativa con quella giurisdizionale, è un tema che viene in realtà sfiorato nella decisione in commento e che probabilmente non ha costituito oggetto di valutazione funditus per ragioni legate alle concrete modalità con cui il giudice remittente ha articolato le censure di costituzionalità.  Come si è già rilevato la Corte Costituzionale, nel perimetrare l’oggetto della questione di costituzionalità, ha precisato di non poter assumere come parametri gli artt. 6 e 13 della Cedu, in assenza dell’espresso richiamo all’art. 117; occorre però precisare che il Tar in sede di rimessione aveva invece fatto espresso riferimento agli artt. 24, 103 e 113 Cost., deducendo che l’art. 34 bis violerebbe le predette disposizioni “anche in relazione agli artt. 6 e 13 della Cedu incidendo sulla risoluzione di controversie in corso aventi ad oggetto il POS legificato”

    Sebbene la sentenza in commento abbia ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale solo con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., in due passaggi viene dato rilievo al profilo della interferenza dell’esercizio della funzione legislativa con le garanzie giurisdizionali. Si legge nella decisione in commento che:

    -       “una delle caratteristiche dell’azione amministrativa” è “l’esistenza di un successivo vaglio giurisdizionale; vaglio necessario a maggior ragione in presenza di un’attività amministrativa già svolta e successivamente legificata, in cui una diminuzione di tutela delle situazioni soggettive incise dall’azione amministrativa è in re ipsa ed è nella specie conclamata [18].

    -        “la qualificazione da parte del legislatore della materia come tipicamente amministrativa, ha una sua inevitabile proiezione anche sulla fase successiva al varo della disciplina, poiché è destinata a produrre un contenzioso altrettanto specifico, centrato sul rispetto delle regole proprie del procedimento amministrativo e delle relative mancanze. Questo contenzioso a sua volta costituisce il naturale oggetto del vaglio del giudice amministrativo (…)”.  

    Da una simile premessa la Corte non ha fatto tuttavia discendere l’accertamento della illegittimità costituzionale dell’art. 34 bis per violazione degli artt. 24 e 113 Cost.. 

    A tale riguardo si può rilevare che le peculiarità della legge provvedimento si riflettono nella ricostruzione delle garanzie di tutela giurisdizionale: ed infatti, la sostituzione della legge all’atto amministrativo già adottato, incide sulle tecniche di tutela esperibili dal privato avverso tale determinazione. Secondo la Corte Costituzionale i diritti di difesa del cittadino, in caso di sopravvenuta approvazione con legge di un atto amministrativo lesivo dei suoi interessi, non verrebbero sacrificati, ma si trasferirebbero dalla giurisdizione amministrativa alla giustizia costituzionale[19]. Nel caso tuttavia in cui sia pendente un ricorso giurisdizionale avverso un provvedimento amministrativo, il suo assorbimento in una legge finisce con l’incidere con un diritto fondamentale già esercitato, ossia quello di difesa oltre che con la funzione giurisdizionale già in atto. Più specificamente, nel caso che qui interessa (e più in generale in tutti i casi di leggi provvedimento in sanatoria, dirette cioè a sanare in via postuma un provvedimento amministrativo potenzialmente illegittimo oggetto di controversia pendente dinanzi al giudice amministrativo) la legge provvedimento, sostituendosi ad un provvedimento amministrativo gravato da impugnazione, neutralizza l’azione giurisdizionale già proposta (essa diverrebbe difatti improcedibile  per sopravvenuta carenza di interesse[20]). 

    L’effetto di disattivazione della tutela giurisdizionale derivante da leggi che assorbono il contenuto di provvedimenti amministrativi impugnati dinanzi al giudice, suscita perplessità quanto alla sua compatibilità con l’art. 24 della Costituzione.

    Nella giurisprudenza della Corte Costituzionale l’emersione della illegittimità costituzionale delle leggi provvedimento in sanatoria passa attraverso una indagine sullo scopo dell’intervento (rispetto al parametro dell’arbitrarietà); osserva la Corte che in casi siffatti “non si ravvisa alcuno straripamento della funzione legislativa in quella giurisdizionale”, “censurabili sono piuttosto quelle leggi in sanatoria il cui unico intento è quello di incidere si uno o più giudicati, non potendo essere consentito al legislatore risolvere direttamente, con la forma di legge, concrete controversie[21]. Il giudice delle leggi, ha escluso che all'adozione di una determinata disciplina con norme di legge sia necessariamente di ostacolo la circostanza che, in sede giurisdizionale, emerga l'illegittimità dei contenuti di una fonte normativa secondaria o di un atto amministrativo[22]; in altre occasioni, tuttavia, la stessa Corte ha reputato censurabile che il legislatore ordinario, oltre a creare una regola astratta, prenda espressamente in considerazione decisioni passate in giudicato[23], attraverso leggi di sanatoria il cui unico intento sia quello di incidere su uno o più giudicati. 

    Quanto alla giurisprudenza amministrativa, essa ha adottato una interpretazione restrittiva degli artt. 24 e 101 ss. della Costituzione, nel senso che soltanto la formazione del giudicato impedirebbe l’adozione di leggi provvedimento[24]

    È piuttosto nella giurisprudenza europea che si rinvengono applicazioni più rigorose delle garanzie proprie del diritto di difesa. 

    In tal senso la Corte europea dei diritti dell’uomo ha sostenuto che la pendenza del processo paralizza l’intervento del legislatore[25], in base ad una lettura estensiva dell’art. 6 della Cedu che, tra le sue previsioni, contempla quella secondo cui è preclusa l’interferenza dell’assemblea legislativa nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia. Alla luce degli articoli 6 e 13 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali - che affermano la difesa dei diritti e il diritto al ricorso effettivo – si deve ritenere vietato al legislatore ordinario di intervenire con norme ad hoc per le risoluzioni di controversie che eludano il sindacato giurisdizionale; da ciò si dovrebbe ricavare che  la pendenza di un ricorso avente a oggetto un provvedimento amministrativo da approvare con legge non può essere indifferente ai fini del corretto esercizio della funzione legislativa quando ciò comporti un arretramento delle garanzie di tutela giurisdizionale[26].

    Anche nella giurisprudenza sovranazionale si afferma che il fondamentale diritto di difesa deve essere garantito in modo indefettibile[27]; in tal senso, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha criticato l’uso dello strumento legislativo in sostituzione di quello amministrativo, quale tentativo di elusione delle regole sostanziali, procedurali e processuali poste a garanzia dei privati incisi da atti amministrativi a contenuto puntuale e concreto[28]

    Nella specie, l’art. 34 bis del d.l. 24 aprile 2017, n.50 ha avuto l’effetto di comprimere il diritto di difesa e la tutela giurisdizionale delle posizioni soggettive incise dal POS. Una lettura degli artt. 24, 103 e 113 Cost. coerente agli approdi della giurisprudenza europea avrebbe potuto condurre all’affermazione dell’esistenza di una garanzia costituzionale di piena accessibilità dei rimedi giurisdizionali e di effettività del diritto di difesa, tale da impedire al legislatore di poter interferire su un processo in corso, risolvendosi una simile interferenza in una lesione del diritto fondamentale di cui all’art. 24 della Costituzione.  

    [1] Tar Molise, 15.11.2018, n.49.

    [2] Cfr., quanto alla astratta compatibilità delle leggi provvedimento con l’assetto dei poteri delineato in Costituzione, Corte Cost. n. 181 del 2019 e n. 85 del 2013,; nonché, ex multis, Id.  181 del 2019; n. 182 del 2017, n. 85 del 2013 e n. 20 del 2012, quanto alla necessità che le leggi provvedimento siano sottoposte ad un rigoroso scrutinio di legittimità.

    [3] Si veda Corte Cost. n. 69 del 2018 secondo cui “La struttura del procedimento amministrativo, infatti, rende possibili l’emersione di tali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei princìpi di cui all’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241[…]: efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza. Viene in tal modo garantita, in primo luogo, l’imparzialità della scelta, alla stregua dell’art. 97 Cost., ma poi anche il perseguimento, nel modo più adeguato ed efficace, dell’interesse primario, in attuazione del principio del buon andamento dell’amministrazione, di cui allo stesso art. 97 Cost.”.

    [4] La prima definizione della legge provvedimento risale, come noto, a F. Cammeo, Della manifestazione di volontà dello Stato nel campo del diritto amministrativo, in V.E. Orlando, Primo Trattato di Diritto Amministrativo, Milano, 1907, III, p.94. Si v. anche C. Mortati, Le leggi provvedimento, Milano, 1969; A. Franco, Leggi provvedimento, principi generali dell’ordinamento, principio del giusto procedimento, Giur. Cost., 1989, II, 1056.  

    [5] Si pensi alle incertezze definitorie e alle diverse accezioni delle c.d. leggi provvedimento, nonché alle variegate posizioni dottrinali e giurisprudenziali quanto alla loro ammissibilità teorica e/o riferita alle singole fattispecie concrete che possono venire in rilievo: a mero titolo esemplificativo, cfr. F. Zammartino, Le leggi provvedimento nella giurisprudenza delle corti nazionali ed europee tra formalismo interpretativo e tutela dei diritti, in Rivista AIC, 4, 2017, 1 ss.; F.  Pagano, Legittimo affidamento e attività legislativa nella giurisprudenza della Corte costituzionale e delle Corti sovranazionali, in Dir. Pubbl., 2014; G. U. Rescigno,  Leggi provvedimento costituzionalmente ammesse e leggi provvedimento costituzionalmente illegittime, Relazione al 53° Convegno di studi amministrativi di Varenna, 22 settembre 2007, reperibile al sito www.astrid-online.it. 

    [6] Per una ricostruzione, si v. S. Spuntarelli, L’amministrazione per legge, Torino, 2007.

    [7] Sul punto vedi infra.

    [8] Gli effetti di una legge che contiene un precetto specifico e determinato possono essere rimossi solo dalla Corte costituzionale, quale “giudice naturale delle leggi”, sicché “a fronte dell’assorbimento del disposto di un atto amministrativo in un provvedimento avente forma e valore di legge, resta preclusa al giudice ogni possibilità di sindacato diretto sull’atto impugnato dinanzi a sé, che si risolverebbe, diversamente opinando, in una sottrazione alla Corte Costituzionale della sua esclusiva competenza nello scrutinio di legittimità degli atti aventi forza di legge”( Cons. Stato, Sez. IV, 20.1.2004, n.1559).

    [9] Su tale principio affermato dalla giurisprudenza costituzionale si v. G. Amato, La Corte questue ed il dissenso, in Gur. Cost., 1975, 55.

    [10] Cfr. Corte Cost, n.231 del 2014, secondo cui le leggi provvedimento non determinano una lesione del diritto di difesa del privato che si trasferisce dalla giurisdizione amministrativa a quella costituzionale. 

    [11] Corte Cost. nn. 63, 248, 306, 347 del 1996. 

    [12] L’art. 70 della Costituzione recepisce il concetto di legge intesa in senso formale: la legge è tale non perché generale ed astratta (requisiti sostanziali che di regola vengono attribuiti a tale fonte), ma in quanto adottata all’esito del procedimento legislativo conformato dalla Costituzione, con conseguente implicita ammissione delle leggi che disciplinano il caso singolo: in tal senso, si v. A. M. Sandulli, Legge (diritto costituzionale) in riferimento all’art. 79 della Costituzione, in Noviss. Dig. It., IX, Torino, 1963, 630 ss.. G. U. Rescigno, Rinasce la distinzione-opposizione tra legge in senso formale e legge in senso sostanziale?, in Giur. Cost., 1999, 2013 ss.. 

    [13] Cfr. A. Cerri, Principio di legalità, imparzialità, efficienza, in L. Lanfranchi (a cura di), 1997, Roma, 189; M. D’Alberti, La concertazione tra Costituzione e amministrazione, in Quad. Cost., 1999, 3, 493 ss.; V. Ottaviano, Sulla nozione di ordinamento amministrativo e di alcune sue applicazioni, in Riv. Trim. dir. pubbl., 1958, 835 ss.. 

    [14] Si vedano a tale riguardo le riflessioni di A. Cardone, Riserva di amministrazione in materia di piani regionali e divieto di amministrare per legge: le ragioni costituzionali del “giusto procedimento di pianificazione, in Forum Cost., 10 ottobre 2018. L’A. ha rinvenuto una ”tensione insita nella latente contraddizione esistente all’interno della giurisprudenza costituzionale tra l’affermazione della costituzionalità delle leggi-provvedimento per inesistenza di una riserva  d’amministrazione e la ricostruzione del principio del “giusto procedimento” in  termini serventi rispetto all’attuazione di più principi e norme costituzionali” (pag. 10). 

    [15] Corte Cost. n.13 del 1963. In dottrina, G. Sala, Potere amministrativo e principi dell’ordinamento, Milano, 1993.

    [16] Sull’esistenza di una riserva di amministrazione, in quanto derivante dall’art. 97 Cost., si v. G. Sciullo, Il principio del giusto procedimento fra giudice costituzionale e giudice amministrativo, in Jus, 1986; D. Vaiano, La riserva di funzione amministrativa, Milano, 1996. 

    [17] A. Cardone, op. cit..

    [18] In senso conforme, Corte Cost. n.258 del 2019; Id. n.20 del 2012.

    [19] Corte Cost. n.62 del 1993.

    [20] Cons. St., Sez. III, 24.4.2018, n.2501. 

    [21] Corte Cost. n.352 del 2006. 

    [22] Cfr. Corte Cost. sentenze numeri 211 del 1998 e 263 del 1994; ordinanze numeri 32 del 2008 e n. 352 del 2006.

    [23] Corte Cost., n. 374 del 2000.

    [24] Cfr. Cons. St., Sez. Vi, 19.10.2004, n. 3670 secondo cui “seppure non si può negare che l’intervenuta “legificazione” degli atti pianificatori, già impugnati dalla Casa di Cura, sia stata deliberata anche al fine di sottrarli alla cognizione del giudice amministrativo, si deve parimenti riconoscere che la strategia sottesa alla contestata iniziativa legislativa si rivela più articolata e complessa, in quanto l’ente regionale non intendeva soltanto evitare l’annullamento delle delibere impugnate, ma voleva, soprattutto, garantire adeguata stabilità ed offrire, quindi, copertura legislativa alle misure di riforma del servizio sanitario regionale, deliberate al precipuo fine di contenere la relativa spesa e di risanare le finanze regionali: ciò trova conferma nell’inserimento di entrambe le disposizioni succedutesi in corso di causa (art.18 della legge regionale n. 20 del 2002 e art. 35 della legge regionale n.1 del 2004) in leggi aventi ad oggetto l’assestamento e la formazione del bilancio regionale, annuale e pluriennale. Lo scopo dell’intervento legislativo non era pertanto quello di conservare l’efficacia degli interventi strategici deliberati al fine di conseguire il pareggio di bilancio e di risanare il pesante deficit accumulato negli anni precedenti, proprio per effetto di una spesa sanitaria eccessiva e priva di meccanismi di contenimento: si tratta di una scelta politica e di evidente interesse generale (priva di qualsiasi manifesta ed esclusiva volontà di sovrapporsi o contrapporsi all’esercizio della funzione giurisdizionale), non irragionevole e non arbitraria, che solo occasionalmente ha inciso sulla posizione dell’interessata Casa di Cure (impedendole di ottenere la pronuncia giurisdizionale azionata), le cui doglianze al riguardo finiscono per rilevarsi del tutto soggettive, riduttive e parziali: in altri termini, la circostanza che la “legificazione” degli atti generali già impugnati dall’appellante abbia, di fatto, impedito la decisione, nel merito, del ricorso proposto non vale, di per sé, ad integrare la fattispecie di un abuso di potere legislativo, quando, come nel caso di specie, l’intervento legislativo si rivela indirizzato al conseguimento di un fine politico di primaria importanza per la corretta amministrazione della Regione.

    [25] Corte Edu, 14.9.2012, Arras c, Italia. 

    [26] Si vedano in tal senso le considerazioni svolte dal Tar Molise nella citata ordinanza di rimessione. 

    [27] Tribunale UE IX 15 giugno 2017, n. 262.

    [28] Cgue, 30.4.2009, causa c-75/08, Mellor. 

     

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