GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    La “decadenza” del processo amministrativo

    La “decadenza” del processo amministrativo

    (Nota a Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, 25 giugno 2020, n. 466)

    di Filippo D’Angelo

    1. L’ordinanza del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana n. 466 del 25 giugno 2020 ha sollecitato l’intervento dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato in funzione di nomofilachia per una “esatta interpretazione dell’art. 114, c. 1, c.p.a.” (punto 7 dell’ordinanza di rimessione) e per una “riflessione aggiornata sulla natura del termine decennale alla stregua anche delle caratteristiche nuove che, nel tempo, ha assunto il giudizio di ottemperanza” (punto 7.2 dell’ordinanza di rimessione).

    In particolare le ha deferito i seguenti quesiti tra loro collegati:

    - se il termine decennale per esercitare l’azione di ottemperanza abbia natura decadenziale o prescrizionale

    - se, nel secondo caso, il decorso dell’ipotetica prescrizione si interrompa solo con l’esercizio dell’azione di ottemperanza o anche con atti di natura stragiudiziale (come, ad esempio, una diffida rivolta all’amministrazione) 

    - se, ancora, l’eventuale prescrizione riguardi il diritto di azione processuale o il titolo giuridico riconosciuto dalla sentenza passata in giudicato.

     

    2. Quanto alla prima questione, il giudice del rinvio è dell’avviso che il termine decennale previsto dall’art. 114, co. 1 c.p.a. operi “nella sostanza, come un termine di decadenza” (punto 8, lett. c) dell’ordinanza di rimessione), oltrepassando il dato letterale della norma per cui la “azione si prescrive con il decorso di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza”.

    Il giudice siciliano ha fatto leva su due argomenti, uno sistematico e l’altro “sostanziale”.

    Rispetto al primo ha notato che tutti i termini per esercitare le azioni davanti al giudice amministrativo sono “ordinariamente perentori” (punto 7.5, lett. g) dell’ordinanza di rimessione), ivi compresi quelli propri dell’azione risarcitoria o di quella di nullità, e che non vi è pertanto ragione di escludere da tale regola l’azione di ottemperanza.  Una diversa soluzione sarebbe “del tutto eccentrica e distonica rispetto al sistema delle azioni nel processo amministrativo” (punto 7.5, lett. a) dell’ordinanza di rimessione). 

    Quanto al secondo argomento ha invece rilevato che parlare di prescrizione o di decadenza nel caso dell’azione di ottemperanza a “poco rileva”, mentre conta la sostanza (punto 7.5, lett. d) dell’ordinanza di rimessione).

    Importa cioè l’effettivo esercizio dell’azione processuale che deve avvenire entro il decennio dal passaggio in giudicato della sentenza ineseguita dall’amministrazione.

    L’ordinanza di rimessione indugia sulla natura giuridica del termine per esercitare l’azione di ottemperanza e giunge ad una conclusione che ritiene “armonica” con la struttura del processo amministrativo (punto 8, lett. c) dell’ordinanza di rimessione).

    Lascia perplessi la disinvoltura nel ritenere superata all’interno del processo amministrativo della distinzione tra i concetti di ‘decadenza’ e di ‘prescrizione’ in nome di un non meglio precisato criterio sostanziale, ma è tema che non può essere esaurito nella spazio della presente annotazione. 

    Al di là della specificità del caso dell’ottemperanza, non pare si possa infatti negare in assoluto che anche nell’ambito del processo amministrativo vi siano azioni a tutela di diritti proponibili nei termini di prescrizione.

     

    3. Secondo quesito. Se in ogni caso la prescrizione si interromperebbe solo con l’esercizio dell’azione di ottemperanza o anche con atti di natura stragiudiziale.

    Qui il Consiglio di giustizia sembrerebbe richiamare recenti orientamenti della giurisprudenza civile che hanno già sottolineato la “possibilità di interrompere il corso della prescrizione esclusivamente mediante l’atto di esercizio dell’azione, vale a dire con la proposizione della domanda giudiziale, e non anche con ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore” (così Cass., Sez. lav., 20 aprile 2017, n. 10016). 

    Con riferimento al ricorso per l’ottemperanza al giudicato amministrativo il giudice rimettente ritiene infatti che l’unico modo per impedire il decorso infruttuoso del termine decennale che attiene al “diritto di azione processuale” è “l’esercizio dell’azione stessa” (punto 7.5, lett. d) dell’ordinanza di rimessione).

    A suo giudizio la progressione del termine processuale non può essere incisa da atti stragiudiziali preliminari, come una diffida indirizzata all’amministra­zione inerte, che “non hanno effetto interruttivo” (punto 7.5, lett. f) dell’ordinanza di rimessione).

    Diversamente la vicenda processuale verrebbe rimessa alla disponibilità di una sola parte in causa, cioè il privato, e si perverrebbe al “paradossale risultato di una serie di atti interruttivi stragiudiziali fatti nell’imminenza dello scadere dei dieci anni, reiterati ogni dieci anni, per un tempo potenzialmente indefinito” con possibili profili di illegittimità costituzionale (pun­to 7.5 dell’ordinanza di rimessione).

    Ne discende la conclusione che “non è concepibile un atto stragiudiziale interruttivo del termine del diritto di azione processuale” (punto 7.5 dell’ordinanza di rimessione).

    Nel caso del giudizio d’ottemperanza, l’art. 114 c.p.a. non impone più al privato di notificare una previa diffida all’amministrazione (l’obbligo è infatti caduto con l’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo), ma concede una semplice facoltà in tal senso: “l’azione si propone, anche senza previa diffida, con ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta” (co. 1).

    Se ne deduce che la diffida non ha rilevanza ai fini dell’ammissibilità del ricorso in ottemperanza, diversamente dai casi in cui l’esercizio dell’azione dev’essere necessariamente preceduto da una diffida indirizzata all’amministrazione resistente, come ad esempio nell’ipotesi di cui all’art. 3, co. 1 del d.lgs. 198/2009 che precisa che il ricorrente, prima di iniziare la ‘class ction’ amministrativa, “notifica preventivamente una diffidaall’amministrazione o al concessionario ad effettuare, entro il termine di novanta giorni, gli interventi utili alla soddisfazione degli interessati”. Casi in cui la diffida opera come condizione di procedibilità dell’azione e non vale certo a interrompere il relativo termine di esercizio.

    Dal disposto dell’art. 114 c.p.a. si deduce invece che la diffida del privato, ove proposta, persegue altri scopi: da un parte stimolare l’amministrazione ad adempiere spontaneamente al giudicato ed evitare lo scontro giudiziario; dall’altra manifestare l’inequivocabile volontà di far valere il titolo giuridico sancito dalla sentenza di accoglimento e interrompere così il decorso della relativa prescrizione ove prevista dalla legge.

    A fronte di ciò l’esigenza di trovare un ragionevole bilanciamento tra le esigenze del privato che può agire in giudizio nell’arco di una decade e quelle dell’amministrazione che non può essere condizionata oltre misura dall’iniziativa giudiziaria della controparte.

    Anche di questo aspetto si dovrà occupare l’Adunanza plenaria.

     

    4. Terza e ultima questione (in realtà al primo posto nell’ordinanza di rimessione dei quesiti). Se in ogni caso la prescrizione riguarderebbe il diritto di azione processuale o il titolo giuridico riconosciuto dalla sentenza passata in giudicato 

    Il collegio remittente non si sofferma particolarmente sulla motivazione ma si limitata praticamente ad asserire che l’art. 114, co. 1, c.p.a. si “riferisce chiaramente alla prescrizione dell’azione e non del diritto sottostante” (punto 7.5, lett. b) dell’ordinanza di rimessione).

    L’Adunanza plenaria dovrà pronunciarsi anche sotto questo profilo.

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