GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Infiltrazioni mafiose  e Covid-19 di M.De Lucia,  D.Petralia e L.Sava

    Intervista a Maurizio De Lucia, Dino Petralia e Lia Sava 

    di Andrea Apollonio    

    Gli aiuti che i governi nazionali e le istituzioni europee e internazionali si apprestano a mettere in campo per fronteggiare la tragica situazione economico-sociale che l'Italia - come il resto del mondo - sta vivendo a causa della diffusione del Coronavirus, rappresentano un'immissione di risorse pubbliche pari soltanto a quella registrata nel dopoguerra: allora come adesso, l'esigenza è "ricostruire", sgombrando il campo dalle macerie della depressione.

       Da quel piano di aiuti a questo, sono intercorsi settant'anni: di storia repubblicana, ma anche di prolificazione delle mafie. Settant'anni in cui le mafie - ed in particolare Cosa Nostra siciliana - si sono esponenzialmente arricchite con i soldi pubblici puntualmente erogati dallo Stato per fronteggiare ogni sorta di emergenza. E' una storia che Maurizio De Lucia (oggi procuratore capo di Messina), Lia Sava (oggi procuratore generale di Caltanissetta) e Dino Petralia (oggi procuratore generale di Reggio Calabria) conoscono bene, anche per la lunga militanza nella procura palermitana; e che rievocano, intessendo conoscenze professionali e ricordi personali.

       E' a loro che Giustizia Insieme, nell'intento di contribuire efficacemente al dibattito sui rischi di infiltrazioni mafiose nella gestione emergenziale delle risorse pubbliche e dell'elargizione - anche tramite linee di credito garantite dallo Stato - di aiuti economici ai privati, ha rivolto domande che, andando oltre le semplificazioni giornalistiche, invitano a scavare più a fondo.

       I tre procuratori in quest'intervista formulano proposte che tentano un difficile bilanciamento tra i vari interessi in gioco. Lo scenario che tratteggiano è fosco, puntato di chiaroscuri, dal quale emerge anche un messaggio rassicurante: se è vero che il nostro Paese non ha dimenticato l'oramai trentennale lezione impartita da Giovanni Falcone, che chiede anzitutto al legislatore cautele e controlli sui flussi finanziari (fonte primaria del rafforzamento mafioso), questa volta non si permetterà alle cosche di trarre profitto dalle difficoltà economico-sociali del nostro Paese.

                                                                                                   §§§

    1. Qualche tempo fa il quotidiano tedesco conservatore Die Welt ha pubblicato un articolo in cui si affermava che in Italia la mafia aspettava soltanto i soldi che l'Unione Europea avrebbe erogato per l'emergenza Coronavirus, suscitando aspre critiche da parte di politici italiani. Qualche giorno dopo, però, due voci autorevoli della magistratura inquirente italiana, Francesco Greco e Giovanni Melillo, hanno messo in guardia il Governo, che nel Decreto Credito non avrebbe previsto adeguati strumenti di controllo del rischio di finanziamento privato (ma con garanzie pubbliche) delle mafie e delle loro imprese; rischio, anzi, che i due Procuratori definiscono "assai concreto". Viene dunque spontaneo chiederVi, anzitutto: l'emergenza sanitaria da Covid19 può davvero rappresentare una grande opportunità di arricchimento per le organizzazioni mafiose?  

    Lia Sava: L’emergenza sanitaria da Covid 19 rappresenta, senza ombra di dubbio, una straordinaria ed inaspettata opportunità di arricchimento per le organizzazioni mafiose. Trattasi di questione complessa, che deve essere affrontata senza semplificazioni o approssimazioni di sorta ma, al contrario, va analizzata alla luce di ciò che ben conosciamo in ordine alle dinamiche delle organizzazioni di stampo mafioso operanti non solo in Italia ma anche all’estero. Siamo di fronte ad una partita che si sta già giocando fra le mafie e gli organi dello Stato chiamati a contrastarle e dal cui esito finale dipende il futuro della economia legale del nostro Paese. Non vi è crisi che non venga sfruttata dalla criminalità organizzata come un’opportunità di guadagno e l’emergenza in atto, inaspettata e di proporzioni inimmaginabili, se non scatteranno idonei meccanismi volti a garantire legalità e trasparenza nella redistribuzione della liquidità della quale famiglie ed imprese hanno necessità impellente, potrebbe determinare una crescita esponenziale dei profitti scaturenti dal malaffare. La rapida diffusione del Covid 19 in Italia ha colto tutti impreparati ma le grandi mafie sono in grado di farvi fronte più agevolmente perché nel loro tessuto connettivo è insita la capacità di rapido adattamento ai mutamenti economici e sociali e questo è tratto distintivo ben noto alle Forze di Polizia e alla magistratura inquirente.

      Invero, prima ancora del quotidiano tedesco Die Welt,  due circolari della DAC (la Direzione Centrale Anticrimine) della Polizia di Stato indirizzate a tutti i Questori d’Italia, in data 27 marzo e 4 aprile, hanno segnalato la necessità prestare grande attenzione e, quindi,  contrastare le prevedibili infiltrazioni mafiose ed attività corruttive nel settore degli appalti pubblici e delle forniture sanitarie conseguenti alle misure restrittive adottate per contrastare la diffusione del coronavirus. Lo scenario che possiamo ipotizzare è, dunque, allarmante. Le imprese riconducibili alla criminalità organizzata cercheranno di infiltrarsi, con svariate modalità  che dovremo riuscire ad intercettare, in diversi settori del circuito produttivo, alcuni dei quali particolarmente attivi in fase di emergenza, pensiamo alle  forniture alimentari ed a particolari presidi medici, ed in altri che, al contrario, sono stati  messi in ginocchio dalla stessa crisi come, ad esempio, il settore turistico e l’edilizia. Le mafie cercheranno di inserirsi a vario titolo nelle maglie interstiziali dei circuiti produttivi in difficoltà con strumenti poliedrici e verosimilmente raffinati  ma che dovremmo aver imparato a conoscere attraverso le risultanze di indagini e processi in materia di criminalità mafiosa che abbiamo celebrato negli ultimi venticinque anni nel nostro paese.

       Allora: la sfida è tutta qui. Non vi è crisi che non costituisca un’opportunità per le mafie di accrescere il loro potenziale, sfruttando il consenso sociale che possono recuperare distribuendo generi alimentari, prestando denaro.  Lo Stato deve certamente  snellire l’accesso al credito per le imprese in difficoltà perché la rapidità, in questa partita, è fondamentale ma attenzione: questa rapidità non deve significare meno controlli. Se la parola magica è “ liquidità” (che le  mafie tendono a fornire attraverso prestiti rapidi che condurranno alla compartecipazione nell’impresa fino a fagocitarla) occorrerà essere tempestivi a contrastare le infiltrazioni nei settori particolarmente a rischio.

       La partita la vincerà lo Stato se sapremo arginare l’accaparramento da parte di imprese mafiose dei sussidi sia nazionali che europei e delle gare di appalto. Ovviamente si dovrà prestare particolare attenzione al settore sanitario, dove occorrerà scongiurare che nella fase due si abbassino la tutela di legalità ed i controlli per la partecipazioni agli appalti e sarà indispensabile anche un senso etico nella ripartenza da parte degli imprenditori, direi un’ etica paziente che costituirà uno dei fattori indispensabili per vincere la nostra partita. Infatti, al fine di rafforzare la capacità di tenuta dell’imprenditoria sana ed al fine di contrastare le mire espansionistiche del crimine organizzato,  se da un lato è  utile  semplificare le leggi per l’erogazione del credito, dall’altro è essenziale essere capaci di  effettuare sempre una rapidissima valutazione ex ante dei rischi criminali connessi ad una normativa prima che la stessa sia emanata, prendendo spunto proprio dalle risultanze di indagini delle Direzioni Distrettuali Antimafia ed Antiterrorismo  degli ultimi anni. Ad esempio, prima di varare una nuova normativa, occorrerebbe verificare se la criminalità organizzata ha utilizzato, in passato, proprio quei meccanismi che, per ipotesi, la disciplina in fieri verrebbe a  consentire.  

    Maurizio De Lucia: Innanzitutto non metterei in connessione le affermazioni ed i luoghi comuni del quotidiano tedesco con le molto più concrete e analitiche osservazioni dei procuratori di Napoli e Milano; dopodiché il pericolo di interessamenti  delle mafie su tutto quello che l’emergenza del coronavirus comporta è certamente reale.

       E’ la storia delle mafie che ci parla della loro capacità di cogliere tutte le occasioni possibili per accrescere il loro potere.

      Individuo in particolare quattro profili, del resto già segnalati da autorevoli colleghi e commentatori:

    quello di sostituirsi allo Stato nel sostegno alle fasce più deboli della popolazione, aumentando in tal modo il proprio consenso sociale, sia utilizzando “risorse” proprie, che gestendo i fondi che gli stessi decreti anticrisi   destinano allo scopo. Penso in particolare alle presenze mafiose in diverse amministrazioni comunali di piccoli centri del Sud Italia dove il rischio, in assenza di verifiche e controlli è  certamente concreto;

    quello di utilizzare le risorse pubbliche e i canali di finanziamento offerti dalla legislazione anticrisi sia per impossessarsene che quali utili canali di riciclaggio;

    quello di acquisizione delle molte imprese che saranno vittime della crisi;

    quello, forse il più pericoloso per le implicazioni che comporta, di riuscire ad infiltrarsi negli appalti pubblici che verranno. Non dimentichiamo che gli appalti, da sempre costituiscono per le mafie l’anticamera del salotto che consente di parlare con l’economia e con la politica. Il rischio concreto di controlli poco stringenti è che riviva quel tavolino che negli anni '80 del secolo scorso vedeva seduti insieme uomini di Cosa nostra, imprenditori e politici. Ricordiamoci che quel “tavolino” fu favorito anche da una imponente stagione di spese pubbliche in deroga effettuate in Sicilia per un valore in pochi anni di 5000 miliardi delle vecchie lire.

     

    Dino Petralia: Basti ricordare cosa ha rappresentato l’EXPO per Milano o la ricostruzione del dopo sisma in Abruzzo ed altri grandi eventi ancora in cui il flusso di denaro è stato enorme e soprattutto a rischio di accesso ad un’imprenditoria troppo disinvolta. Se non coinvolta col crimine organizzato.

    Detto ciò, credo anche che il DL credito/liquidità non sia la sede esatta per pianificare controlli e meccanismi di filtro antimafioso. Disponiamo già di uno strumentario cospicuo di meccanismi preventivi di controllo e intervento e su questo l’ANAC ha svolto un ruolo assai determinante e fruttuoso; occorre raffinare e allertare e su questo registro il grido d’allarme di Greco e Melillo mi pare opportuno e tempestivo.

       

    2. Sempre nel Decreto Credito - che il premier Conte ha definito una "potenza di fuoco con 400 miliardi di garanzie per le imprese" - sembra si sia rinunciato tanto al tradizionale controllo prefettizio sui beneficiari della misura (nei confronti dei richiedenti il finanziamanto), tanto alla tracciabilità dell'uso del finanziamento (denaro), attraverso il ricorso obbligatorio a conti dedicati. Nella Vostra esperienza di capi di importanti uffici inquirenti, in realtà meridionali fortemente caratterizzate dalla presenza mafiosa, quanto sono importanti i presidi amministrativi e bancari nell'arginare il rischio di elargizione dei fondi alle imprese che rispondono a interessi criminali? Ed è secondo voi opportuno, nell'ambito di un'emergenza sanitaria (e quindi economico-sociale) che impone di bilanciare tutti gli interessi in gioco, privilegiare la speditezza e la fluidità del finanziamento, rinunciando alla rigorosità - e ai tempi - dei controlli a monte?  

    Maurizio De Lucia: I controlli sono importanti, è evidente, ma è anche evidente che non devono svolgere un ruolo frenante dell’intervento a sostegno delle imprese in un momento così difficile per il Paese. Distinguerei. I controlli bancari devono ispirarsi, come in parte già è, al principio “conosci il tuo cliente”, mi riesce difficile immaginare una banca che eroga fondi, sia pure  integralmente garantiti dallo Stato, ad un soggetto – imprenditore che non sia già suo cliente e quindi noto. In questo senso si potrebbe pensare proprio ad un coinvolgimento e a delle responsabilità della banca, del resto già ampiamente presenti nel nostro ordinamento. Quanto ai controlli amministrativi, devono essere accelerati con un grosso sforzo di informatizzazione della macchina pubblica, si può anche qui pensare a controlli che avvengano in itinere e non al termine di ogni passaggio della procedura di finanziamento, ma non credo si possa pensare a rinunciarvi.  

    Dino Petralia: Le grandi Procure si dedicano in modo mirato a quest’ambito di indagini - in proposto la struttura di tutti i grandi uffici requirenti prevede Dipartimenti di Economia, Pubblica amministrazione etc. - e in ogni caso le Direzioni Distrettuali Antimafia indagano laddove le speculazioni economico-finanziarie maturano in contesti mafiosi. Una polizia giudiziaria ormai altamente specializzata completa i ranghi di un fronte investigativo-inquirente davvero formidabile.

    Tuttavia, si tratta pur sempre di un sistema che opera ex post, ossia all’indomani dei fatti e dunque tardivo rispetto agli obiettivi di una cascata di liquidità che mai come va tenuta immune dal rischio di infiltrazioni corrosive e fagocitanti.

    Si fronteggiano, da un lato, l’esigenza di garantire ossigeno operativo e sostegno finanziario alle imprese e al sistema economico in genere, dall’altro, il bisogno - insopprimibile e vitale - di snellire le procedure di erogazione in modo da accelerare il processo di ripresa. Due esigenze delle quali nessun sacrificio dell’una o dell’altra può giustificare però uno slabbramento dei sistemi di controllo. Ne risentirebbe l’efficacia dell’obiettivo e la stessa tenuta della democrazia.

    Occorre allora potenziare i sistemi attuali che non sono pochi né inadatti e semmai allertarli convogliandoli sotto una regia comune, ma in ogni caso scongiurando appesantimenti burocratici in grado di ritardare e infiacchire l’itinerario che dalla fonte conduce all’erogazione economica.

    La magistratura è comunque pronta al resto, ma auguriamoci che non ce ne sia bisogno!  

    Lia Sava: Per rispondere alla domanda ritengo necessario fare il punto degli interventi fino ad ora svolti per il sostegno alle imprese per far fronte alla crisi da covid 19. In prima battuta sono state emanate disposizioni per la sospensione di mutui, sono state concesse agevolazioni per il pagamento di affitti,  è stato rinviato il pagamento di alcune tasse ed   è stata prevista l’erogazione di 600 euro per chi ha chiuso la propria attività a seguito dell’emergenza covid 19 e per autonomi iscritti con gestione  separata. Con il decreto dell’8 aprile 2020 nr. 23  è stata prevista  l’iniezione di liquidità per far fronte alla crisi. Ed ancora una volta torna in gioco la parola  “liquidità”. Per ottenere questa “liquidità” occorre l’intermediazione delle banche. Ed allora: ecco che la criminalità organizzata potrebbe inserirsi nelle maglie di questo meccanismo e sfruttarne, in qualche modo, la lentezza. In particolare, le imprese che non saranno ritenute meritevoli dalle banche di accesso al credito secondo le linee del decreto dell’8 aprile 2020 nr. 23 sopra richiamato, specie nei settori maggiormente “appetibili” in tempo di coronavirus,  come quello agroalimentare,  potranno essere, ancora una volta, “tentate” dalle organizzazioni criminali per beneficiare del loro apporto di capitali di provenienza illecita. In questo senso mi ha particolarmente colpito la notizia, a dimostrazione che la criminalità organizzata è pronta con iniezioni di liquidità, ad investire nei settori in crisi, il  blocco alla frontiera di un furgone proveniente dai paesi dell’est carico di denaro contante e guidato da soggetti calabresi legati alle ‘ndrine. Allora comprendiamo con assoluta chiarezza che le mafie considerano, anch’esse, la parola “liquidità” come  il grimaldello per vincere la partita in atto.  Ed, allora, diventa indispensabile ed imprescindibile che i flussi per il rilancio delle attività economiche siano tracciati e controllati, attraverso un monitoraggio  anche all’estero. Infatti, la tempistica della  liquidità non è indifferente per l’impresa in crisi, mentre le richieste di finanziamento procederanno attraverso passaggi che richiederanno tempo  (le imprese devono rivolgersi alla banca di fiducia, che svolgerà  l’istruttoria ed inoltrerà la richiesta di garanzia alla Sace che, a sua volta, istruirà la pratica e se la stessa avrà esito positivo verrà emessa  la garanzia, contro-garantita dallo Stato,  e quindi l’istituto di credito erogherà il denaro richiesto). 

    Occorrerebbe, dunque, bilanciare il fattore “rapidità nell’erogazione” con  strumenti volti ad evitare che fruiscano dei  benefici  imprese mafiose tali, nella maggior parte dei casi,  per interposizioni fittizie, o  a imprenditori condannati o indagati per reati sintomatici (  ad esempio: contro la pubblica amministrazione, per reati tributari) o già sottoposti a misure di prevenzione personale o patrimoniale antimafia. Sarebbe, altresì, importante accertare se la liquidità erogata sia effettivamente destinata ad arginare  la crisi scaturente dal coronavirus. Inoltre, non possono essere bloccati i meccanismi previsti dal codice degli appalti né si può pensare di prescindere dai certificati antimafia. Invero, si tratta di regole che sono indispensabili, e lo abbiamo compreso proprio attraverso il percorso faticoso  delle indagini svolte negli ultimo trentennio, in tema di criminalità organizzata al fine di arginare le sue inquietanti infiltrazioni nel tessuto economico nel nostro paese. Infatti, senza regole chiare che impongano trasparenza massima nel settore delle gare di appalto, si darà un assist determinante che potrebbe consentire alle mafie di vincere la partita a spese dell’economia legale che sarebbe irrimediabilmente compromessa, finendo per annientare i sacrifici e gli sforzi compiuti da forze dell’ordine e magistratura per salvaguardare la libertà di fare impresa senza il cappio della criminalità organizzata.  

     

    3. Nel gennaio 2020 la Direzione Distrettuale Antimafia di Messina ha dato il via alla c.d. "Operazione Nebrodi", con decine di arresti e centocinquanta imprese sequestrate. E' stata scoperchiata una truffa milionaria senza precedenti ai danni dell'Unione Europea, in cui mafiosi e colletti bianchi (professionisti, centri di assistenza, funzionari pubblici) agivano di concerto, da anni, per accaparrarsi i fondi agricoli comunitari. Lo scenario che fa intravedere l'emergenza sanitaria da Covid19 potrebbe prevedere lo stesso copione, con imprese create ad hoc per la percezione degli aiuti economici, con il necessario supporto dei colletti bianchi?  

    Dino Petralia: La Procura di Messina - che mi piace idealmente ribattezzare, al pari di quella di Reggio Calabria, con uno slogan come il Pubblico Ministero dello Stretto - ben conosce il suo lavoro; lo ha dimostrato e lo dimostra! E tuttavia è patrimonio comune a tutta la realtà mafiosa non solo nazionale che i boss strizzano l’occhio famelico al sistema legale, inoculandosi come virus nefasti sia attraverso imprese apparentemente legali ma destinate solo alle più intense grassazioni di denaro pubblico, sia costituendo realtà economiche e commerciali perfettamente lecite grazie ai profitti incamerati.

    La mafia fa il suo - potremmo senza equivoci affermare! - ma i pubblici amministratori e dipendenti colludendo sono infedeli, corrotti, apostati del giuramento, e tradiscono due volte: lo Stato per il quale lavorano, la legge che ne regola la disciplina. E vanno puniti tanto duramente quanto i mafiosi.

    Lo scenario è dunque doverosamente ipotizzabile.  

    Lia Sava: Assolutamente si. L’operazione Nebrodi ha indebolito forti cosche ed ha colpito il sistema criminale delle frodi comunitarie che venivano realizzate attraverso un meccanismo peculiare e cioè  far apparire propri terreni che non lo sono per trarne beneficio. L’operazione, che evidenziato un sistema ( con collegamenti fra mafia dei Nebrodi, Cosa Nostra Palermitana e Clan Santapaola) analogo in altre realtà territoriali del nostro paese. Invero, anche nel distretto nisseno, abbiamo riscontrato la realizzazione di truffe pianificate, organizzate dalla criminalità organizzata, ove i centri che avrebbero dovuto controllare erano in accordo con le mafie realizzando un vero e proprio sistema criminale. A rendere particolarmente allarmante il  fenomeno è stata la circostanza per cui oggetto di concessione in favore dei soggetti legati alla criminalità organizzata  sono stati terreni demaniali dei quali Cosa Nostra ha acquisito la disponibilità mediante procedure di evidenza pubblica turbate grazie alla presenza di funzionari compiacenti e/o intimiditi dalle organizzazioni mafiose. Peraltro, lo stesso meccanismo, sempre nel distretto nisseno, è stato ricostruito, nel 2018, dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta,  nella c.d.  operazione “Terre Emerse” nell’ambito del quale è stata emessa ordinanza di custodia cautelare a carico di n. 12 soggetti per i reati di concorso esterno in associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni, truffa aggravata e falso in atto pubblico. L’attività investigativa ha fatto, peraltro, emergere la responsabilità anche di un notaio che ha proceduto alla redazione di atti pubblici di donazione, a favore degli altri indagati, aventi ad oggetto beni appartenenti al demanio forestale della Regione Siciliana. Da ciò si desume in via immediate e diretta che i  meccanismi ben collaudati dalla criminalità organizzata e ricostruiti nelle indagini sopra delineate ben potranno essere messi in atto dalle mafie per accaparrarsi della “liquidità” messa in circolo dallo Stato e dall’Unione Europea per far fronte al Covid 19. Le  indagini svolte dalle D.D.A. hanno evidenziato, dunque, uno schema comune che, partendo da una parvenza di legalità nell’ iter burocratico ha consentito di ottenere somme ingenti  con la complicità di notai e figure professionali di riferimento .

    Le mafie, infatti, ormai evolute,  fanno  della collusione con i colletti bianchi il loro punto di forza e  cercano  strade apparentemente lecite per amministrare e finanziare i propri affari illeciti, in Sicilia come  in Calabria, in Campania , in Puglia, ed in Abruzzo a seguito del terremoto. Nel distretto nisseno, in particolare, l’affinato meccanismo investigativo messo in campo dalla Procura della Repubblica di Enna e l’istituzione di un apposito Gruppo Specializzato di Magistrati in materia di “truffe AGEA” , sfruttando la cooperazione con l’Olaf e altri meccanismi di cooperazione internazionale realizzati anche grazio  ad Eurojust, ha consentito il recupero alle casse dello Stato di diversi milioni di euro.  

    Maurizio De Lucia: A prescindere dalle vicenda specifica che è stata istruita del mio Ufficio e che è ancora sub judice, le mafie, come abbiamo ricordato, hanno interesse ad intercettare qualunque forma di ricchezza e lo fanno attraverso il controllo del territorio e con il ricorso prima ancora che alla minaccia, alla persuasione corruttiva, nei confronti di quella che è stata definita la borghesia mafiosa e che troppo spesso si rivela disponibile a fornire il suo ausilio ai delitti mafiosi, per la verità neppure solo in Sicilia e nel Meridione. La consapevolezza del rischio del ripetersi di fenomeni che sono già stati oggetto di molte verifiche processuali ci deve indurre a tenere altissima la guardia, per farlo è necessario affinare sempre più gli strumenti della legislazione antimafia che abbiamo e curare che essi rimangano saldamente presenti nella legislazione.

     

    4. E' ancora l'esperienza siciliana che torna utile nel ragionamento che stiamo svolgendo, in cui sono stati elaborati con successo - soprattutto rispetto all'erogazione dei fondi agricoli comunitari - protocolli di legalità (penso, in primo luogo, al c.d. "protocollo Antoci"), in grado di avviare un dialogo virtuoso tra enti locali e Prefettura che, grazie ad una serie di controlli incrociati, smascherano i mafiosi travestiti da imprenditori richiedenti fondi pubblici, senza ovviamente rispettare i vincoli e le finalità del finanziamento. Poiché il Decreto Credito varato dal Governo intende promuovere, tramite il sistema bancario, un massiccio finanziamento delle imprese con la garanzia dello Stato, credete possibile esportare l'esperienza dei protocolli di legalità in questo campo, creando quindi (a monte, prima dell'erogazione del finanziamento) un dialogo virtuoso tra istituti di credito, Prefettura e, perché no, in chiave preventiva, magistratura inquirente?

     

    Maurizio De Lucia: I protocolli sono uno strumento utile, ma non vanno santificati (per la verità in nessun campo). Il c.d. protocollo Antoci nell’imporre l’obbligo del certificato antimafia a tutti coloro che volevano accedere ai finanziamenti europei per le terre dei Nebrodi, ha certamente creato un ostacolo in più alla mafia, costringendo i mafiosi ad utilizzare dei prestanome, con conseguenti difficoltà e aumento della catena dei rapporti illeciti e consentendo dunque alla Procura di contestare in maniera massiccia il delitto di cui all’art 512 bis c.p.; ma i delitti ed in senso più ampio il fenomeno dell’infiltrazione mafiosa in quel territorio è stato evidenziato dalle indagini penali. Intercettazioni e controlli posti in essere da carabinieri e guardia di finanza all’interno di una indagine penale, che, alla fine, si rivela l’unico strumento davvero efficace sul fronte della repressione.

    Sul piano invece della prevenzione, certamente un dialogo costante tra sistema bancario, forze di polizia e forse anche magistratura non può che realizzare effetti positivi, in questo senso anche specifici protocolli che consentano l’accesso immediato a banche dati e impongano comportamenti virtuosi ai sottoscrittori hanno la loro utilità.

     

    Dino Petralia: Il Protocollo Antoci è stata un’idea tanto semplice quanto provvidenziale! Il punto è riuscire ad osservarlo, cosa che per la mafia agricola (e non solo) dei Nebrodi è accaduta.

    Ora, che siano protocolli di legalità o altri meccanismi, ciò che importa è l’affidamento di chi deve farli osservare. E, se si considera che il flusso economico alle imprese per il tramite del sistema bancario oggi sarà davvero imponente, i presidi più attrezzati sono le Prefetture, magari disegnando una geografia di interazione regionale con una regia capofila.

    Altro aspetto di sensibilissimo rilievo è quello del rispetto da parte degli operatori finanziari, banche in testa, delle note segnalazioni di operazioni sospette che, per quanto affidate ormai a sistemi (Gianos e altri) strutturati su reti neurali assai sofisticate e intelligenti, fanno capo comunque agli operatori umani. Ed è su tale settore che oggi più che mai il controllo deve concentrarsi!

     

    Lia Sava: Il c.d. “protocollo Antoci” ha avuto un nucleo centrale fondamentale . In sostanza, le aziende che intendono affittare terreni del Parco devono fornire il certificato antimafia della Prefettura non potendo autocertificarsi neppure per bandi con importi inferiori a 150 mila euro e tale meccanismo ha creato effetto moltiplicatore di legalità e trasparenza. Pertanto, poiché  il decreto nr.  23 dell’8 aprile 2020 intende promuovere, tramite il sistema bancario, un massiccio finanziamento delle imprese con la garanzia dello Stato la predisposizione di protocolli fra istituti bancari, prefetture, forze dell’ordine e magistratura inquirente potrebbe garantire, in questa direzione,  rapidità e trasparenza nell’erogazione della liquidità. Questi  protocolli, secondo me, dovrebbero cercare il coinvolgimento delle organizzazioni professionali di riferimento che possono avere un ruolo di strategico di grande  importanza.

     

     

    5. L'orizzonte che tratteggiate è fosco, puntato di chiaroscuri. Siamo partiti dalla semplicistica - e forse preconcetta - posizione del quotidiano Die Welt: e se i tedeschi avessero ragione?  

    Lia Sava: La strategia per sfumare il chiaro scuro e rendere limpido il panorama nel quale ci muoviamo e nel cui ambito si gioca la partita alla quale ho fatto più volte riferimento occorre  mettere in campo, oltre agli strumenti di prevenzione ed investigativi ai quali ho fatto cenno, anche mettere in campo strategie complessive che coinvolgano le grandi imprese “sane” di questo paese che,  in questa fase di crisi da Covid 19,  devono prendersi cura dei dipendenti ( per evitare che si facciano tentare dall’offerta deviante del crimine organizzato), devono essere attente ad evitare fornitori “ambigui”, adottare buone prassi per la tutela dei clienti. Ma occorrerà anche stare attenti al sistema della “comunicazione” che  può diffondere  panico o comunicare  notizie confuse e contraddittorie, direi emotive, che possono favorire  criminalità organizzata nel corso della partita in atto. Ancora, nella seconda fase emergenziale  molte imprese dovranno difendersi da iniziative di creditori e dovranno predisporre strumenti di recupero della continuità aziendale. In questo senso, il decreto liquidità  ha introdotto novità anche nel campo della “crisi di impresa”. L’obiettivo è palese: salvaguardare le imprese, anche attraverso il coinvolgimento dei soci nell’accrescimento dei flussi di finanziamento verso la società.

       Ed è di tutta evidenza, però,  che anche in queste maglie si può annidare l’interesse perverso della criminalità organizzata  che cercherà di diventare “socio” per sfruttare le potenzialità del sistema. In questo panorama si inserisce il rinvio di un anno dell’entrata in vigore della riforma sulla crisi di impresa. Invero, se lo spirito della riforma è quello di fronteggiare il fisiologico “rischio di impresa” per scongiurane gli effetti negativi, non può essere reso immediatamente attuale per fronteggiare una crisi di straordinaria natura come quella del Covid 19. Segnalo che il Procuratore Generale della Cassazione ha costituto, in questa direzione, un gruppo di studio composto da alcuni Procuratori Generali e da magistrati esperti al fine di  studiare gli effetti della crisi e l’impatto della riforma in fieri e ciò anche per individuare i necessari interventi correttivi scaturenti dall’emergenza in atto che, verosimilmente, non sarà di beve durata. Ne consegue che, mai come in questa fase, oltre alla cooperazione fra forze dell’ordine, magistratura, prefetture, organizzazioni di categoria, cooperazione internazionale, sostanziati in cabine di regia ed in protocolli operativi, gli operatori del diritto dovranno “scambiarsi i saperi”. Invero, la normativa civilistica in tema di  crisi di impresa, i principi di contabilità e le regole riguardanti la c.d.  priorità della continuità aziendale, le norme di diritto commerciale  in materia di redazione dei bilanci, le disposizioni che  regolano l’accesso ai  finanziamenti con  procedure semplificate non devono avere segreti per gli investigatori e per la magistratura requirente, proprio per arginare i rischi di infiltrazioni mafiose. La partita è dunque aperta e complicata. Ma possiamo e dobbiamo vincerla. Ancora una volta: attraverso l’etica paziente.  

    Maurizio De Lucia: L’articolo del Die Welt, al di là del modo, pone un problema, solo che non lo pone all’Italia, ma all’Europa, nella quale non da ora le mafie sono fortemente insediate.

    Si può ricordare il contenuto di una intercettazione tra due mafiosi, captata all’indomani della caduta del Muro di Berlino. Uno dei due era a Palermo e l’altro si accingeva ad entrare nell’ex DDR. Ebbene il secondo chiedeva al primo cosa dovesse fare e la risposta era “Compra!” ; “cosa devo comprare?”

    “tutto quello che trovi, immobili, alberghi imprese…”

    Quello di cui si deve parlare allora è di pensare ad una legislazione antimafia europea che ancora manca e che invece è ineludibile formare.

    Come sappiamo oggi la disciplina della materia è affidata alla Decisione Quadro del 24 ottobre 2008 sul contrasto alla criminalità organizzata. Questa decisone ancora non impone agli Stati di introdurre un concetto omogeneo di organizzazione criminale. Se ciascuno Stato  va per la sua strada sono le mafie a saper cogliere le smagliature nelle quali infilarsi. Per questo è necessario costruire una normativa europea che tenga conto soprattutto, ma non solo dell’esperienza italiana una sorta di articolo 416 – bis europeo, incentrando la fattispecie sulla presenza di condotte collettive di natura violenta, intimidatoria e corruttiva che producono una alterazione delle “regole del gioco” dell’economia di mercato, del funzionamento della pubblica amministrazione e della formazione del consenso politico. In assenza di una disciplina di tale genere il rischio che le infiltrazioni delle nostre mafie sui nostri appalti avvengano attraverso l’interfaccia di società fiduciarie di diritto olandese o tedesco o di altro paese dell’ Unione è certamente un rischio reale.  

    Dino Petralia: Dobbiamo impegnarci al massimo affinché l’ipotesi ventilata da Die Welt non abbia affatto ragione!

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