Il Cashback di Stato: evidenze empiriche e inquadramento fiscale
di Carlo Amenta
Sommario: 1. Introduzione - 2. Cashless society ed effetti su evasione - 3. Il cashback: possibile inquadramento fiscale - 4. Considerazioni conclusive.
1. Introduzione
I commi da 288 e 290 della Legge di Bilancio per il 2020 (Legge n. 160 del 27 Dicembre 2019) hanno introdotto anche in Italia le “Misure premiali per utilizzo di strumenti di pagamento elettronici”. Si tratta del meccanismo noto come cashback con il quale il governo italiano ha fatto un passo in avanti verso il traguardo di quella cashless society che, nelle intenzioni dei promotori, dovrebbe portare alla scomparsa del contante con effetti benefici sul contrasto all’evasione e ad altre forme di illeciti di natura economica.
Le disposizioni normative, anche alla luce delle modifiche apportate dall’articolo 73 del D.L. n. 104 del 14 agosto 2020, prevedono un rimborso in denaro per le persone fisiche maggiorenni che effettuano acquisti di beni e servizi con l’utilizzo di strumenti di pagamento elettronici, al di fuori dell’esercizio dell’attività di impresa, arte o professione. Il sistema sarà gestito dalla società PAGOPA, partecipata dal Ministero dell’Economia e Finanze che gestisce la piattaforma dei pagamenti pubblici digitali, anche attraverso l’applicazione per i servizi pubblici IO.
Con il decreto n. 156 del 24/11/2020, conseguente all’approvazione da parte del garante della privacy delle disposizioni normative in oggetto, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha definito condizioni e modalità attuative per il sistema. I cittadini maggiorenni che vorranno aderire al programma potranno scaricare l’app IO indicando le proprie carte di debito, di credito o prepagate, registrate sul circuito Bancomat o Pagopa, da utilizzare per gli acquisti, ad esclusione quindi di quelli online. Il Ministero ha previsto un rimborso in misura percentuale agli acquisti la cui misura varierà per i periodi dal 1 gennaio 2021 al 30 Giugno 2021, dal 1 luglio 2021 al 31 Dicembre 2021 e dal primo gennaio 2022 al 30 Giugno 2022. Per ciascuno di tali periodi avranno diritto al rimborso tutti i privati consumatori che avranno effettuato almeno 50 operazioni di acquisto e la percentuale è fissata, per il primo periodo, al 10% dell’importo di ciascuna transazione, con un limite massimo di 150 € per transazione. Le transazioni superiori a tale soglia vengono considerate comunque pari a 150 € e il rimborso complessivo non potrà comunque superare quello calcolato su un valore delle transazioni pari a € 1.500,00 in ciascuno dei periodi considerati. Il rimborso sarà erogato sul conto corrente il cui IBAN indicato dall’utente in sede di registrazione entro 60 giorni dal termine di ciascuno dei periodi indicati.
Il decreto attuativo indica anche la disciplina del debutto sperimentale per il periodo che va dal primo dicembre al 31 dicembre 2020 e prevede un numero minimo di almeno 10 operazioni nel mese di dicembre, con un rimborso pari al 10% degli acquisti e con i limiti sulle singole operazioni e sul rimborso massimo ottenibile già indicati in precedenza. Il rimborso per il periodo sperimentale sarà erogato nel mese di febbraio 2021. Il decreto prevede anche un “rimborso speciale” pari a 1.500 euro ai primi centomila aderenti che, in ciascuno dei periodi di riferimento indicati dal decreto, avranno effettuato il maggior numero di transazioni regolate con strumenti di pagamento elettronici.
Si tratta, come detto, di una iniziativa finalizzata alla riduzione dell’uso del contante, basata sul presupposto che l’incremento di mezzi di pagamento tracciabili possa portare a una riduzione dell’evasione, con particolare riferimento all’IVA. Nel proseguo del presente contributo mi concentrerò su una analisi di tale presupposto facendo riferimento ad alcune iniziative già adottate in altri paesi. Proverò quindi a inquadrare il cashback da un punto di vista fiscale per capire se c’è il rischio che le somme ricevute possano o meno essere soggette a tassazione, in assenza di una esplicita disposizione normativa in tal senso. Nelle conclusioni aggiungerò qualche riflessione sulla importanza del contante e sulla necessità di preservarne comunque l’utilizzo.
2. Cashless society ed effetti su evasione
L’evasione di imposte e tasse è certamente un comportamento con rilevanti esternalità negative e il fenomeno è oggetto di misurazioni che, per quanto metodologicamente criticabili e spesso basate su presunzioni di difficile riscontro empirico, hanno contribuito a dare evidenza al fenomeno ponendolo spesso al centro dell’agenda politica.
Una stima del tax gap per l’Italia, definito come il divario tra le imposte e i contributi effettivamente versati e le imposte e i contributi che i contribuenti avrebbero dovuto versare in un regime di perfetto adempimento degli obblighi tributari e contributivi previsti a legislazione vigente, è contenuta nella “Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale contributiva”, allegata annualmente alla Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza[1].
Nella relazione 2020 la Commissione incaricata della redazione ha stimato per l’Italia un tax gap complessivo, in media per il triennio 2015-2017, pari a circa 107,2 miliardi di euro, di cui 95,9 miliardi di mancate entrate tributarie e 11,3 miliardi di mancate entrate contributive. Il tax gap si è ridotto nel 2018 con un peso rilevante della componente legata all’IVA.
L’incidenza del tax gap sul prodotto interno lordo per il 2018 si attesta sul 4,47% anche se è bene ricordare che l’aggregato statistico con cui misuriamo la ricchezza prodotta, contiene già una correzione per tenere conto del peso complessivo dell’economia sommersa.
In un articolo del 2016[2] l’economista americano Kenneth Rogoff sottolinea il ruolo del contante nello sviluppo della “economia criminale”, in ragione del suo utilizzo in tutte le transazioni in cui assume rilievo l’anonimità dei contraenti. Rogoff sottolinea come un crescente numero di evidenze empiriche ha dimostrato che circa il 50% del contante è utilizzato proprio per nascondere le transazioni e nota come la quantità di contante in circolazione, soprattutto nei paesi più sviluppati, ecceda di molto quello che può essere ricondotto ad un suo uso nell’ambito dell’economia legale.
Quanto evidenziato da Rogoff è stato più di recente confermato da Immordino e Russo che, in un articolo del 2018[3], hanno dimostrato, utilizzando dati europei, che l’utilizzo di carte di debito e di credito come strumenti tracciabili di pagamento è negativamente correlato all’evasione dell’IVA. Più in particolare 10 transazioni a testa in più con le carte di debito o credito sono associate a una riduzione dello 0,69 percento dell’evasione di IVA. Gli autori evidenziano come, per una nazione come l’Italia sarebbe possibile ridurre della metà l’evasione Iva con un aumento di 16 transazioni in più pro capite per anno. La media delle transazioni con carta nel nostro paese è di 26 pro capite all’anno quindi è evidente come lo sforzo non sia di poco conto e gli incentivi da dare ai cittadini debbano essere piuttosto consistenti. Se poi si guarda al valore delle transazioni invece che al loro numero, gli autori evidenziano come un incremento di 200 euro nella spesa pro-capite annua pagata con carte di credito o di debito dimezzerebbe l’evasione IVA. Anche in questo caso va evidenziato come il valore medio delle transazioni pro-capite sia intorno ai 78 euro e quindi l’aumento necessario per dimezzare l’evasione IVA è di misura molto rilevante.
Il tema degli incentivi alla riduzione dell’uso del contante e all’aumento delle transazioni con mezzi elettronici, tracciabili dalle autorità preposte ai controlli, diventa quindi centrale. È noto in letteratura il modello collaborativo di evasione delle imposte che si realizza ogni qualvolta il venditore abbia un interesse a concedere uno sconto sul prezzo in caso di utilizzo del contante, se esso è di importo inferiore al guadagno da evasione realizzabile sulla transazione posta in essere[4]. In questo modo l’interesse del venditore a evadere e quello del compratore ad acquistare a un prezzo più basso trovano un equilibrio che si realizza proprio nella conclusione della transazione “in nero”.
Lo strumento del cashback mira quindi ad aumentare il beneficio che il compratore ritrae dall’acquisto con mezzi tracciabili, al fine di rendere più elevata la soglia di “sconto” che il venditore deve concedere in caso di pagamento in contanti e senza documento fiscale, rendendo così più complicato o impossibile il raggiungimento dell’equilibrio sopra descritto. Il venditore dovrebbe infatti applicare uno sconto che comprende anche il beneficio del cashback e quindi difficilmente riuscirebbe a conservare il suo margine di profitto, trovandosi costretto ad accettare il pagamento con mezzi elettronici attraverso i quali il consumatore ottiene anche un beneficio monetario sotto forma di rimborso dallo Stato.
L’italia non è il primo paese ad avere adottato misure di incentivazione di questo tipo. Nel Rapporto “Verso la Cashless Revolution: i progressi dell’Italia e cosa resta da fare”, realizzato dalla European House Ambrosetti per il 2020 e giunto alla quinta edizione, sono raccontate nel dettaglio le esperienze di paesi come Giappone, Grecia e Portogallo. Quest’ultimo è diventato un caso di scuola in quanto ha introdotto sia lo strumento del cashback che quello della lotteria degli scontrini con il quale vengono sorteggiati premi in denaro per chi ha pagato con mezzi elettronici e ha conservato il relativo scontrino. Anche l’Italia ha introdotto tale misura che doveva prendere il via il primo Luglio 2020 ma che è stata differita dal decreto Rilancio (decreto legge n. 34/2020) al primo Gennaio 2021, in considerazione delle oggettive difficoltà degli esercenti legate all’emergenza da Coronavirus.
In Portogallo, nel 2014 sono stati istituiti sia la lotteria degli scontrini (“fatura da sorte”) che il meccanismo cashback, con
uno sconto del 15 per cento detraibile dalla dichiarazione dei redditi. Dall’introduzione di queste misure il Vat gap del Portogallo si è ridotto dal 13,7 per cento del 2014 al 7 per cento stimato nel 2019[5]. Sebbene non sia possibile da queste mere osservazioni inferire alcuna relazione di causalità tra l’introduzione delle misure descritte e il calo dell’evasione relativa all’IVA, uno studio pubblicato nel 2019 sul caso portoghese ha mostrato che queste iniziative rafforzano certamente la volontà degli acquirenti di richiedere fattura e scontrini, supportando la tesi sulla possibile efficacia di questi incentivi monetari[6].
3. Il cashback: possibile inquadramento fiscale
Nella citata normativa italiana non è prevista una esenzione per il rimborso ottenuto in ragione degli acquisti effettuati con mezzi di pagamento elettronici. Resta quindi aperta la questione relativa alla tassabilità di questo beneficio. Lo strumento del cashback è già stato utilizzato da alcuni esercenti ed è stato classificato come uno sconto indiretto e cioè uno sconto su un acquisto, applicato in un momento successivo a quello in cui si è esaurita la transazione che lo ha generato.
Con la risoluzione n. 147/E del 10 aprile 2008, l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto a un esercente che intendeva liquidare a favore del consumatore finale, successivamente all’acquisto di un determinato prodotto oggetto della promozione, il rimborso di una somma di denaro prestabilita secondo le condizioni ed i termini del programma promozionale, la possibilità di emettere la nota di credito ai fini IVA, ai sensi di quanto previsto dall’art. 26 del DPR 633/72. Più in particolare, l’operazione descritta nell’interpello è certamente assimilabile al meccanismo del cashback in quanto dava luogo all’instaurazione dei seguenti rapporti:
1) cessione del bene da parte della società istante al soggetto rivenditore;
2) cessione del bene da parte del rivenditore all'acquirente finale;
3) rimborso, a seguito dell’adesione all’iniziativa promozionale, di una somma di denaro direttamente da parte della società istante a favore dell’acquirente finale.
L’Agenzia ha inquadrato la fattispecie come uno sconto e pertanto, sulla base del sistema adottato che consentiva di determinare in modo univoco il collegamento tra il prodotto assoggettato a sconto e la fattura di vendita originariamente emessa nei confronti del rivenditore, ha riconosciuto la possibilità di emettere la nota di variazione ai fini IVA anche in assenza di coincidenza tra il soggetto che conclude l’operazione, l’esercente, e quello che effettivamente concede lo sconto, il produttore. La risoluzione assume quindi rilevanza perché ci consente di definire come sconto i comportamenti posti in essere, a prescindere dalla identità tra l’esercente e il soggetto che eroga il beneficio.
Nella circolare n. 311 del 1997, l’Agenzia aveva già chiarito come iniziative di questa natura, con accreditamento e disponibilità per il consumatore di somme di danaro corrispondenti al valore degli sconti praticati sui prezzi di acquisto di determinati prodotti o servizi, non potessero essere ascrivibili alle categorie delle operazioni a premio, in particolare quando il valore degli sconti riconosciuti fosse accreditato su un conto personale del consumatore non vincolato ad alcuna particolare scadenza e fosse, quindi, in tal modo, assicurata l'immediata disponibilità delle somme accantonate.
Il meccanismo del cashback quindi, anche nella formulazione ipotizzata dalla legge, sembrerebbe poter essere assimilabile a una vera e propria operazione di sconto anche in assenza dell’identità tra soggetto che lo eroga, in questo caso lo Stato che comunque non assume la veste di fornitore, e l’esercente e non darebbe luogo a vincite relative a concorsi a premio, scongiurando così l’ipotesi di tassabilità delle relative somme. L’art. 67 del TUIR, relativo ai redditi diversi, assoggetta infatti a tassazione, tra l’altro: “d) le vincite delle lotterie, dei concorsi a premio, dei giochi e delle scommesse organizzati per il pubblico e i premi derivanti da prove di abilità o dalla sorte nonché quelli attribuiti in riconoscimento di particolari meriti artistici, scientifici o sociali;”. L’assimilazione dell’operazione a uno sconto, alla luce della prassi indicata, può quindi fare propendere per la non tassabilità dei benefici derivanti da tali operazioni.
In considerazione dell’utilizzo del termine rimborso nelle norme istitutive del meccanismo sarebbe di certo stata preferibile una esplicita previsione di esenzione, anche in considerazione della natura del soggetto che eroga il rimborso che difficilmente può essere assimilabile al produttore che è oggetto del caso discusso nella risoluzione citata. Il termine rimborso, utilizzato dalle norme istitutive del cashback, è certamente indicativo di una componente positiva e questo può dare adito a interpretazioni difformi da quella qui indicata e maggiormente inclini alla tassabilità dell’importo ricevuto come beneficio. La chiara indicazione normativa sulla natura dei soggetti che possono accedere al beneficio, le persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di attività professionale o di impresa, mi sembra però risolvere il problema interpretativo alla radice. Il tema della tassabilità dei rimborsi come sopravvenienza appare infatti più circoscrivibile al reddito di impresa o professionale mentre, nel caso del reddito delle persone fisiche, esso è affrontato spesso in riferimento al tema del welfare aziendale e dei fringe benefit e quindi come elemento accessorio dei redditi di lavoro. Gli elementi positivi che sono sganciati dalle categorie di reddito che il TUIR elenca nei primi sei capi del Titolo I sono oggetto proprio del Capo VII del TUIR, dedicato ai “Redditi Diversi”. Negli articoli da 67 a 71, gli unici in cui un componente come il rimborso qui trattato potrebbe trovare la propria collocazione, non c’è alcun riferimento a rimborsi o a risparmi di spese assimilabili al meccanismo qui descritto. Anche per queste ragioni e considerazioni di natura più sistemica quindi, l’interpretazione qui prospettata sembra comunque la più sostenibile, anche alla luce della ratio della norma che si troverebbe certamente indebolita da una riduzione del beneficio monetario connessa alla necessità di tassarlo, con il conseguente aggravio amministrativo per il singolo consumatore che sarebbe disincentivato dal partecipare al programma per evitare onerosi adempimenti fiscali connessi alla eventuale tassabilità del beneficio ricevuto.
4. Considerazioni conclusive
L’evidenza empirica disponibile sembra confermare l’efficacia degli strumenti come il cashback e la lotteria degli scontrini per la riduzione del tax gap, con particolare riferimento all’imposta sul valore aggiunto. Il meccanismo di incentivo che mira a rendere il beneficio economico, dato dall’utilizzo di pagamenti tracciabili, maggiore dello “sconto” che l’esercente può permettersi di concedere a chi paga in contanti e senza richiedere ricevuta o scontrino, può pertanto essere uno strumento utile nella lotta all’evasione fiscale.
Appare evidente che la semplice introduzione dello strumento non può, per magia, portare gli effetti sperati se la misura dell’incentivo e il meccanismo che consente di accedervi non sono costruiti in maniera efficiente.
Da questo punto di vista il cashback all’italiana, anche riconoscendone la non tassabilità delle somme ricevute, sembra scontare qualche problema dal punto di vista della entità del beneficio monetario che è possibile ottenere dal comportamento virtuoso. La percentuale del 10% di sconto sugli acquisti è certamente adeguata ma la limitazione dell’importo massimo della singola transazione e quella sul rimborso massimo ottenibile limitano certamente il beneficio. Se queste limitazioni saranno sufficienti a rendere lo strumento inefficace lo potremo scoprire solo quando avremo dati sufficienti per le valutazioni.
Quanto al meccanismo, la necessità di una registrazione attraverso mezzi digitali come una app e le difficoltà di accesso connesse al possesso di certificazioni dell’identità come lo SPID rendono l’adesione al programma non facile, limitandone fortemente la diffusione e riservandola a fasce di popolazione con competenze non banali. Tali strumenti infatti possono essere più efficaci solo se fortemente diffusi e di facile applicazione e l’attuale configurazione non depone certo a favore di questi aspetti.
Una ultima osservazione riguarda l’atteggiamento complessivo nei confronti dell’utilizzo del contante e l’aspirazione di molti Stati occidentali a diventare delle cashless society al fine di rendere impossibile l’evasione e ridurre al minimo le attività illecite.
Il contante svolge ancora oggi funzioni essenziali per l’inclusione sociale di larghe fasce della popolazione in condizione di quasi indigenza o di grave difficoltà economica. Pensate a quanti individui vivono al margine della società con lavori saltuari e occasionali, i quali difficilmente possono accedere alla rete bancaria e a un conto su cui depositare i loro guadagni. Se ci limitiamo alla lotta alle attività criminali può avere più senso la recente proposta di eliminare i tagli di banconote più elevati che sembrano essere preferiti dai criminali nello svolgimento delle loro attività[7]. L’anonimato connesso all’utilizzo del contante non deve solo essere visto come uno strumento che favorisce le attività illecite ma anche come uno schermo dietro il quale l’individuo può esprimere la propria personalità, attraverso le scelte di acquisto, anche quando i beni o i servizi acquistati non sono facilmente accettati dalla società in ragione della loro distanza da pratiche e comportamenti comuni e accettati. Scelte che sono in contrasto con ciò che è comunemente accettato o considerato “normale” non sono necessariamente illecite o illegali; possono solo essere “sconvenienti”, ma è bene che all’individuo sia sempre lasciato uno spazio personale di espressione al riparo dal giudizio della società. degli altri individui o dell’autorità[8]. In questo senso il contante è certamente uno strumento che amplia i margini di libertà e una società in cui tutti gli acquisti siano tracciabili e controllabili da autorità e soggetti terzi, senza che ciò sia autorizzato espressamente dall’individuo o che abbia la possibilità di scegliere di non farlo, assomiglia troppo alla società che Orwell immaginò nel suo romanzo “1984”. In questo senso anche per la cashless society, di cui il cashback può forse essere considerato un primo strumento di applicazione, potrebbe valere il vecchio adagio: “Stai attento a cosa desideri: potresti ottenerlo”.
[1] https://www.finanze.gov.it/export/sites/finanze/.galleries/Documenti/Varie/Relazione_evasione_fiscale_e_contributiva_-Allegato-_NADEF_2020.pdf
[2] Rogoff K.S. (2016), “Cost And Benefits To Phasing Out Paper Currency”, Working paper 20126, NBER Working Paper Series
[3] Immordino G., Russo F. F. (2018). “Cashless payments and tax evasion”. European Journal of Political Economy 55, 36-43
[4] Cfr. Immordino, Giovanni, Russo, Francesco F., 2017. Fighting Tax Evasion by Discouraging the Use of Cash? Forthcoming Fiscal Studies.
[5] Rizzo L. e Taddei M. (2020), “Cashback di Stato per ridurre l’evasione.”. LaVoce.info del 9/11/2020.
[6] Wilks D., Cruz J. e Sousa P. ““Please give me an invoice”: VAT evasion and the Portuguese tax lottery”, International Journal of Sociology and Social Policy, Vol. 39, No. 5/6, pag. 412-426
[7] Cfr. Sands P.(2016), “Making it Harder for the Bad Guys: The Case for Eliminating High Denomination Notes”, M-RCBG Associate Working Paper Series – No. 52. Harvard Kennedy School, Mossavar-Rahmani Center for Business and Government
[8] Per una disamina delle ragioni contrarie all’eliminazione del contante cfr.: John Cochrane, “Cancel Currency?”, Blog “The Grumpy Economist” del 30 Dicembre 2014; John Cochrane, “A World without cash”, Blog “The Grumpy Economist” del 8 Agosto 2016; Hummel J.R. (2018), “Should Government Restrict Cash?”. Policy Analisys. Numer 855. Cato Institute – Center for Monetary and inancial Alternatives.