(Le parole bugiarde e la democrazia)
Quasi cento anni fa nasceva a Canicattì l’Accademia del Parnaso. Quando fu deciso di inserire nello stemma un leone, si pose il problema di come realizzarlo, poiché, non essendoci ad Agrigento uno zincografo, ci si sarebbe dovuti recare a Palermo e, soprattutto, si sarebbero dovuti improntare denari. Il problema fu risolto con disinvoltura: poiché tra i vecchi cliché c'era un cane, lo si utilizzò come emblema, apponendo l'avvertenza: «Questo cane è un leone, a norma del decreto n. 34256 del 2 luglio 1925».
A distanza di un secolo, il circolo goliardico canicattinese torna quasi ogni giorno alla mente per l’incessante creatività con cui la politica ci ripropone l’arguto artificio: questo condono è una pace fiscale; questa licenza di uccidere il malintenzionato violatore di domicilio è una legittima difesa; questo drammatico cercare di sopravvivere è una pacchia; queste odissee di dolore e di morte sono crociere; questa incostituzionale immodificabilità della carcerazione è la certezza della pena; questo criminogeno e discriminatorio provvedimento è un decreto sicurezza.
Beninteso, da sempre la politica fa affidamento su una sorta di prestidigitazione verbale per conquistare o per non perdere consensi. Una volta ci si affidava ad un certo esoterismo linguistico che teneva lontano il volgo, non in grado di comprendere “la convergenza delle parallele”. Poi è arrivato il tempo dell’edonismo disinvolto e della corruzione nascosta sotto il tappeto di un garantismo peloso. Poi il tempo delle magnifiche sorti e progressive: i problemi non c’erano e, se c’erano, erano tutti in via di provvidenziale risoluzione. Poi questo tempo d’oggi, in cui di fronte ad ogni problema si individua un capro espiatorio e si ostenta una muscolarità repressiva.
Interpellato su quale sarebbe stata la riforma prioritaria qualora fosse stato nominato Primo ministro, il saggio cinese disse che avrebbe messo i nomi giusti alle cose: il più efficace antidoto contro la mistificazione politica e la necessaria premessa affinché il popolo abbia una reale possibilità di scelta. Naturalmente, sta anche a noi cittadini saper “battere – come insegnava Salvemini – con le nocche sull’intonaco delle parole per sentire quel che c’è dietro: il gesso, la pietra viva o il vuoto”. Ma proprio in ciò risiede la pericolosità della stagione presente, in cui si saldano due preoccupanti contingenze. Da un lato, la desertificazione culturale di quest’ultimo quarto di secolo ci ha privato degli strumenti per smascherare slogan e mistificazioni. Dall’altro, l’attuale retorica politica, a differenza delle precedenti, di cui alla lunga finivano per pagare il conto gli stessi imbonitori, sta deteriorando in maniera profonda la società – sempre più divisa, diffidente e ringhiosa – e il nostro Stato di diritto.
Non vorremmo sentirci spiegare in un giorno non lontano: questo nostro sistema illiberale e autoritario è una democrazia.
(dal quotidiano” Il dubbio” del 4.12.2018)
Glauco Giostra