Il breve appunto mira a ripercorrere le soluzioni adottate dalla Sezioni Unite, con informazione provvisoria degli esiti dell’udienza dello scorso 29 febbraio 2024 conforme alle richieste della Procura Generale, in ordine al perimetro di utilizzabilità dei contenuti delle comunicazioni intercorse attraverso i criptofonini dedicati all’utilizzo dell’applicazione Sky ECC.
Sommario: 1. Introduzione - 2. Le ordinanze di rimessione della Terza e della Sesta sezione penale della corte di Cassazione ed il contenuto dell’informazione provvisoria - 3. Le modalità di acquisizione della prova: Autorità legittimata e strumento processuale applicabile - 4. Rispetto dei principi di necessità, proporzionalità ed equivalenza. La natura delle comunicazioni acquisite attraverso piattaforma “Sky ECC” e l’autonoma competenza del Pubblico Ministero, organo della giurisdizione - 5. L’utilizzabilità delle acquisizioni e la verifica dell’Autorità Giurisdizionale dello Stato di emissione dell’OEI del rispetto dei diritti fondamentali, comprensivi del diritto di difesa e della garanzia di un equo processo. - 6. Conclusioni.
1. Introduzione
Negli ultimi mesi ha assunto un ruolo centrale nel dibattito processual-penalistico la questione relativa all’utilizzabilità dei contenuti comunicativi veicolati attraverso l’applicazione Sky ECC, utilizzabile esclusivamente in criptofonini dedicati, che – quanto meno nella prospettazione dei loro programmatori Sky Global – sarebbero dovuto restare inviolabili, grazie all’uso di plurimi sistemi di cifratura, presenti sia negli apparecchi mobili che nel server centrale, idonei a garantire la segretezza delle comunicazioni e la non conservazione dei contenuti scambiati.
In estrema sintesi, l’applicazione funziona su telefonini elaborati con apposita scheda SIM e sistema operativo dedicato. Le chiamate non si appoggiano alla rete GSM e la messaggistica si avvale di un sistema c.d. “peer to peer” con l’interpolazione di un server fra mittente e destinatario, ove i dati venivano archiviati, prima di transitare al destinatario finale, attraverso vari livelli di cifratura avanzata che rendono non intercettabile il contenuto, a meno che non si conoscano le chiavi di cifratura.
Grazie al “servizio” offerto, i criptofonini Sky ECC sono ben presto diventati uno strumento indispensabile per strutture criminali organizzate, ed in particolare per narcotrafficanti di rango internazionale, capaci di movimentare ingentissimi quantitativi di stupefacente.
A partire dal giugno 2019 l’Autorità Giudiziaria francese, sulla scorta di una cooperazione di polizia fra Francia, Olanda e Belgio, nell’ambito di un’attività di indagini relativa ad un’ipotesi di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, ha iniziato a comprendere il funzionamento del sistema dei criptofonini, adottando provvedimenti di intercettazione e, successivamente, con l’installazione di un programma informatico sul server centrale, riuscendo a cogliere le chiavi di cifratura necessarie per la decrittazione dei dati, per poi giungere, nel marzo 2021, al sequestro dei server OVH su cui Sky ECC conservava copia della cronologia delle conversazioni. Di tali server è stata effettuata copia forense e, grazie anche alla consueta cooperazione veicolata attraverso Eurojust e gli organi di cooperazione di polizia internazionale, ne è stata data informazione dell’esistenza alle autorità giudiziarie potenzialmente interessate sul territorio nazionale.
Sequenzialmente, numerose Procure della Repubblica hanno chiesto copia del “dato statico” acquisito attraverso il menzionato sequestro dei server, ottenendo la disponibilità di un bagaglio di informazioni di unico rilievo probatorio.
La ritenuta inviolabilità del mezzo di comunicazione è risultata, infatti, direttamente proporzionale alla chiarezza delle informazioni trasmesse, prive di contenuti “criptici” e spesso associate a materiale fotografico ritraente l’oggetto delle illecite transazioni.
In contesti dove i tradizionali mezzi di intercettazione telefonica non consentivano di permeare talune dinamiche criminali, il dato conoscitivo di Sky ECC – seppur statico (questione centrale in relazione alla natura delle chat) – ha generato uno tsunami investigativo con sequenziali richieste cautelari per fatti dall’elevato disvalore penale e, sequenzialmente, un proliferare di questioni difensive sollevate in sede di riesame ed approdate in Corte di Cassazione, ove sono sorti contrasti che hanno richiesto la remissione alle Sezioni Unite Penali che, con pronuncia attesissima nell’ambiente, si sono determinate alla scorsa udienza del 29/2/24.
2. Le ordinanze di rimessione della Terza e della Sesta sezione penale della Corte di Cassazione ed il contenuto dell’informazione provvisoria
Le Sezioni Unite sono state chiamate a decidere due distinti ricorsi: il ricorso N.R.G. 33544 del 2023, ric. GJUZI Ermal (fatti relativi ad ipotesi di narcotraffico internazionale con contestazioni per oltre 5 quintali di stupefacente del tipo eroina, cocaina e derivati della cannabis) ed il ricorso N.R.G. 41618/2023, ric. GIORGI Bruno e GIORGI Sebastiano (fatti relativi a contestazioni di narcotraffico internazionale verso il territorio calabrese addebitabili, in ipotesi investigativa, a tre distinte organizzazioni criminali).
Nel ricorso GJUZI, con ordinanza n. 47798/2023 del 3/11/23, dep. 30/11/23, la Terza sezione della Suprema Corte portava all’attenzione della Sezioni Unite le seguenti questioni controverse:
a) Se il trasferimento all’Autorità giudiziaria italiana, in esecuzione di ordine europeo di indagine, del contenuto di comunicazioni effettuate attraverso criptofonini e già acquisite e decrittate dall’Autorità giudiziaria estera in un proprio procedimento penale, costituisca acquisizione di documenti e di dati informatici ai sensi dell’art. 234-bis cod. proc. pen. o di documenti ex art. 234 cod. proc. pen. ovvero sia riconducibile ad altra disciplina relativa all’acquisizione di prove.
b) Se il trasferimento di cui sopra debba essere oggetto di verifica giurisdizionale preventiva della sua legittimità, nello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine.
c) Se l’utilizzabilità degli esiti investigativi di cui al precedente punto a) sia soggetta a vaglio giurisdizionale nello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine».
Ai quesiti sopra illustrati, secondo quanto diffuso dall’informazione provvisoria, sono state date le seguenti soluzioni:
primo quesito: il trasferimento di cui sopra rientra nell’acquisizione di atti di un procedimento penale che, a seconda della loro natura, trova alternativamente il suo fondamento negli artt. 78 disp. att. cod. proc. pen., 238, 270 cod, proc. pen. e, in quanto tale, rispetta l’art. 6 della Direttiva 2014/41/UE;
secondo quesito: negativa, rientrando nei poteri del pubblico ministero quello di acquisizione di atti di altro procedimento penale;
terzo quesito: affermativa; l’Autorità giurisdizionale dello Stato di emissione dell'ordine europeo di indagine deve verificare il rispetto dei diritti fondamentali, comprensivi del diritto di difesa e della garanzia di un equo processo.
Nel ricorso GIORGI, con ordinanza n. 2329/2024 del 15/1/24, dep. 18/1/24, la Sesta sezione della Suprema Corte dava atto della presenza di un contrasto giurisprudenziale, rimettendo alle Sezioni Unite i seguenti quesiti:
a) Se l’acquisizione, mediante ordine europeo d’indagine, dei risultati di intercettazioni disposte da un’autorità giudiziaria straniera, in un proprio procedimento, su una piattaforma informatica criptata e su criptofonini integri l’ipotesi disciplinata, nell’ordinamento nazionale, dall’art. 270 cod. proc. pen.
b) Se, ai fini dell’emissione dell’ordine europeo di indagine finalizzato al suddetto trasferimento, occorra la preventiva autorizzazione del giudice.
c) Se l’utilizzabilità degli esiti investigativi di cui al precedente punto a) sia soggetta a vaglio giurisdizionale nello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine»
Ai quesiti sopra illustrati, secondo quanto diffuso dall’informazione provvisoria, sono state date le seguenti soluzioni:
Primo quesito: affermativa.
Secondo quesito: negativa.
Terzo quesito: affermativa; l’Autorità giurisdizionale dello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine deve verificare il rispetto dei diritti fondamentali, comprensivi del diritto di difesa e della garanzia di un equo processo.
3. Le modalità di acquisizione della prova: Autorità legittimata e strumento processuale applicabile
Dei tre quesiti specularmente trattati nei ricorsi, dalla lettura dell’informazione provvisoria, la soluzione al quesito n. 2, ovvero quello relativo alla necessità – o meno – di una preventiva autorizzazione del giudice nazionale per il trasferimento dei contenuti Sky ECC, non lascia alcun dubbio interpretativo.
Ed in particolare, dalla lettura combinata delle due informazioni provvisorie, si evince come sia stato dichiarato legittimo l’operato del Pubblico Ministero che emetta, senza la preventiva autorizzazione del Giudice nazionale, un ordine di indagine europeo finalizzato al trasferimento di risultati di intercettazioni disposte da un’autorità giudiziaria straniera, ovvero funzionale all’acquisizione di atti di altro procedimento penale (sul punto, si rimanda alle considerazioni che seguono in ordine all’individuazione della natura delle chat Sky ECC acquisite).
Ed in particolare, con la premessa che, come statuito dall’art. 1 par. 1 della direttiva OEI 2014/41/UE (attuata nell’ordinamento interno con d.lgs. 108/17), l’ordine di indagine europeo può essere emesso anche “solo” per ottenere prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione, risulta pacifico che in caso di attività di intercettazione ritualmente svolta nell’ambito di un procedimento da parte dell’A.G. straniera, il Pubblico Ministero potrà richiederne il trasferimento delle risultanze ai sensi degli artt. 1 e 10 della citata direttiva, senza una previa autorizzazione del Giudice nazionale, così come potrà richiedere, autonomamente, la trasmissione di atti di un procedimento penale compiuti dall’A.G. straniera.
Di converso, per procedere alla “mera” esecuzione delle operazioni di intercettazione, naturalmente, è necessario un vaglio del giudice dello Stato emittente che le autorizzi (diversa è l’ipotesi in cui nello Stato di esecuzione è pendente altro procedimento per fatti connessi o collegati e ivi si richieda, in forma di coordinamento tra A.G. lo svolgimento di operazioni di intercettazione, previo espletamento della relativa sequela autorizzativa nazionale).
È evidente dunque come, da un lato, ai sensi dell’art. 27 d.lgs. 108/17, il Pubblico Ministero, nella fase delle indagini preliminari, è l’organo legittimato ad emettere un OEI finalizzato ad acquisire una prova già disponibile presso l’Autorità Giudiziaria straniera, trasmettendolo direttamente allo Stato d’esecuzione.
E d’altro canto, sulla scorta della tipologia della prova concretamente richiesta (acquisizione di esiti di intercettazione, ovvero di atti di altro procedimento penale iscritto presso l’Autorità Giudiziaria), risulta altrettanto pacifico come non sia necessario un preventivo vaglio autorizzativo del Giudice nazionale, ben potendo, in entrambi i casi, il Pubblico Ministero provvedere autonomamente.
4. Rispetto dei principi di necessità, proporzionalità ed equivalenza. La natura delle comunicazioni acquisite attraverso piattaforma “Sky ECC” e l’autonoma competenza del Pubblico Ministero, organo della giurisdizione
Il Pubblico Ministero, nella sua collocazione funzionale nel sistema giurisdizionale interno, ai fini dell’emissione dell’OEI (art. 27 d.lgs. 108/17), dovrà valutare la sussistenza dei requisiti di necessità e proporzionalità, nonché della possibilità di disporre dell’atto istruttorio alle stesse condizioni in un caso interno analogo (principio di equivalenza), come precisato all’art. 1 della direttiva 2014/41/UE: “1. L'autorità di emissione può emettere un OEI solamente quando ritiene soddisfatte le seguenti condizioni: a) l'emissione dell'OEI è necessaria e proporzionata ai fini del procedimento di cui all'articolo 4, tenendo conto dei diritti della persona sottoposta a indagini o imputata; e b) l'atto o gli atti di indagine richiesti nell'OEI avrebbero potuto essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo.”.
Sul punto, anche ai fini della “decriptazione” della portata contenutistica delle informazioni provvisorie della Suprema Corte, risulta di estremo interesse la lettura della pregevole memoria di udienza depositata dalla Procura Generale, risultando l’esito dell’udienza indicato come conforme alle conclusioni della stessa Procura Generale.
Secondo quanto ricostruito, ed in estrema sintesi, l’attività definita di intercettazione muoveva da un’indagine riguardante soggetti determinati (e non un controllo diffuso come sottolineato da più tesi difensive) e si è sostanziata, inizialmente, nell’installazione di un primo trojan dall’A.G. di Lille (giugno 2019) che ha consentito di apprendere le chiavi di decrittazione del server (e, dunque, non in un’attività di intercettazione riconducibile al paradigma normativo interno di cui all’art. 266 c.p.p. ma, al più, vedi infra, quello di cui all’art. 266 bis c.p.p.); successivamente, l’A.G. di Parigi (dicembre 2020) ha installato un ulteriore trojan nel server che ha consentito di acquisire le chiavi di cifratura dei singoli apparecchi telefonici (anche in questo caso non un’attività di intercettazione ex art. 266 c.p.p.) e, solo successivamente, grazie all’installazione di un ulteriore trojan, è stato possibile prendere contezza dei contenuti delle comunicazioni, con successivo sequestro dei server contenenti la copia della cronologia nel marzo 2021. Soltanto in questo momento della progressione investigativa, acquisite le chiavi di decrittazione del server e dei criptofonini, è stato possibile prendere contezza dei contenuti – sbalorditivi in termine di prova dei reati – delle conversazioni intercorse sulla piattaforma.
In questo modo, è stato acquisito un dato freddo, statico, che, successivamente, grazie alle comunicazioni intercorse, è stato oggetto dei vari OEI emessi da numerosi uffici inquirenti italiani ed esteri.
È bene precisare, a tal proposito, a conferma della proporzionalità dello strumento di indagine utilizzato come, a fronte del sequestro di un server tout court, unico mezzo per garantire la conservazione dei contenuti, l’analisi ha riguardato target specifici, associati ad apparati telefonici collegati a PIN individuati ed attribuiti, con certezza, a singoli autori di reati operanti sul territorio.
La previa contezza della disponibilità di siffatti criptofonini ha garantito la selezione investigativa, in ossequio al principio di proporzionalità, ancora richiamato dall’art. 6 della direttiva OEI.
Sulla verifica della sussistenza del requisito di necessità dovrà farsi riferimento ai singoli casi specifici, pur potendo osservare sin d’ora che, stante la natura illecita delle transazioni in essere, il disvalore delle vicende trattate (i criptofonini erano apparecchi costosi ed il cui mantenimento imponeva un costo mensile), è del tutto ragionevole ritenere come i contenuti delle chat Sky ECC siano risultati non solo necessari, ma senz’altro indispensabili ai fini della prova dei reati oggetto di contestazione, in assenza di comunicazioni intercorse con strumenti “ordinari”.
Ciò detto in punto di necessità e proporzionalità, al fine di verificare il rispetto del principio di equivalenza, la questione centrale sarà quella di individuare quale sia l’istituto processuale che, sulla scorta della lex fori interna, consentirebbe l’acquisizione della prova nel procedimento penale italiano, evitando così l’elusione di eventuali divieti di acquisizione probatoria.
Dalla lettura dell’informazione provvisoria, sembra potersi escludere la riconducibilità della fattispecie all’ipotesi di cui all’art. 234 bis c.p.p. in quanto, da un lato, nell’ottica dello Stato emittente, il dato risulta già essere stato acquisito dall’Autorità Giudiziaria francese e non è stata richiesta l’acquisizione in quanto presente in rete o su un server e, d’altro lato, anche dal punto di vista dello Stato di esecuzione, in quanto quel dato non è stato acquisito con il consenso della società fornitrice ma attraverso attività di intercettazione prima e di sequestro poi, progressione investigativa resasi necessaria alla luce della peculiarità dell’architettura della piattaforma Sky ECC.
Ancora, altra ragione che indurrebbe ad escludere la riconducibilità dell’acquisizione all’ipotesi di cui all’art. 234 bisc.p.p. deriva dalla qualificazione delle chat come forma di corrispondenza anche dopo la ricezione (e, dunque, anche in fase “statica”) e non già come documento o dato informatico, e ciò anche sulla scorta di una recente pronuncia della Consulta, la numero 170/23, emessa nella nota vicenda relativa ad un’ipotesi di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato a seguito dell’acquisizione di plurime comunicazioni del senatore Renzi, disposta nell’ambito di un procedimento penale a carico dello stesso senatore ed altri ed in assenza di una previa autorizzazione da parte del Senato della Repubblica.
Un altro tema è, evidentemente, quello relativo alla legittimazione del Pubblico Ministero a richiederle senza l’autorizzazione del Giudice per le Indagini Preliminari. Sul punto, come già poc’anzi accennato, ed in assenza allo stato di una normativa che imponga che l’acquisizione di dette comunicazioni, allorquando avvenga in un momento successivo a quello in cui sono intercorse, vada preventivamente autorizzata dal GIP, si ritiene rientri fra gli strumenti di indagine che il Pubblico Ministero, organo della giurisdizione, potrà autonomamente esercitare attraverso un motivato decreto di sequestro (emesso ai sensi degli artt. 253-254 c.p.p.).
Dunque, un provvedimento assolutamente legittimo e che, in un caso analogo interno, equivarrebbe ad un sequestro di corrispondenza, con ciò ritenendo rispettato il principio di equivalenza di cui all’art. 6 della Direttiva OEI.
In questi termini parrebbe intendersi il riferimento delle Sezioni Unite alla disciplina dell’art. 78 disp.att. c.p.p., norma che richiama l’art. 238 c.p.p., in relazione all’acquisizione di atti di un procedimento penale compiuti dall’autorità giudiziaria straniera. Il richiamo, infatti, potrebbe intendersi esteso anche al comma terzo dell’art. 238 c.p.p. che, come noto, disciplina l’acquisizione della documentazione di atti irripetibili fra cui, per l’appunto, quelli relativi ad un provvedimento di sequestro, strumento investigativo maggiormente compatibile con la fattispecie in esame, alla luce delle considerazioni sopra esposte.
Stante il rilievo della tematica anche nel diritto interno, si consenta una riflessione ritenendo auspicabile – seppur non prevedibile – il mantenimento di siffatto quadro normativo che consente al Pubblico Ministero di procedere, legittimamente, con un proprio provvedimento autoritativo, al sequestro di corrispondenza e ciò nel presupposto indefettibile della funzione giurisdizionale che anche il Pubblico Ministero esercita e che trova il suo fondamento nell’attuale assetto costituzionale e nelle norme del codice che disciplinano le indagini preliminari.
Ancora, a mente il contenuto dell’informazione provvisoria della Corte, si segnala che, anche qualora volesse attribuirsi all’attività di indagine eseguita dell’A.G. francese la natura di intercettazione in senso codicistico (art. 266 e ss. c.p.p.), quanto meno nella fase antecedente il sequestro dei server del marzo 2021, sarebbe comunque legittima l’utilizzazione nel processo penale interno, ai sensi dell’art. 270 c.p.p. ed in presenza dei presupposti della rilevanza ed indispensabilità per la prova di reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.
In sintesi, dunque, a seconda della natura delle comunicazioni acquisite, verosimilmente da intendersi in base alla fase investigativa in cui l’A.G. francese ne ha avuto la disponibilità, se come dato freddo ovvero captato in tempo reale, l’acquisizione a mezzo OEI risulta legittima in quanto conforme anche al principio di equivalenza di cui all’art. 6 della direttiva 2014/41/UE trovando il suo fondamento, alternativamente, negli artt. 78 disp.att. c.p.p., 238 e 270 c.p.p.
5. L’utilizzabilità delle acquisizioni e la verifica dell’Autorità Giurisdizionale dello Stato di emissione dell’OEI del rispetto dei diritti fondamentali, comprensivi del diritto di difesa e della garanzia di un equo processo
La questione trova il suo fondamento normativo all’art. 1 paragrafo 4 della direttiva 2014/41/UE in forza del quale: “La presente direttiva non ha l'effetto di modificare l'obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i principi giuridici sanciti dall'articolo 6 TUE, compresi i diritti di difesa delle persone sottoposte a procedimento penale, e lascia impregiudicati gli obblighi spettanti a tale riguardo alle autorità giudiziarie” ed all’art. 14 paragrafo 7 del medesimo testo che prevede che: “Lo Stato di emissione tiene conto del fatto che il riconoscimento o l'esecuzione di un OEI sono stati impugnati con successo conformemente al proprio diritto nazionale. Fatte salve le norme procedurali nazionali, gli Stati membri assicurano che nei procedimenti penali nello Stato di emissione siano rispettati i diritti della difesa e sia garantito un giusto processo nel valutare le prove acquisite tramite l'OEI”.
Sul punto, in entrambi i ricorsi esaminati dalle Sezioni Unite, le Sezioni remittenti richiedevano alla Corte di valutare anche se l’utilizzabilità degli esiti investigativi (dunque un momento successivo all’attività di acquisizione) fosse soggetta ad un vaglio giurisdizionale nello Stato di emissione dell’ordine di indagine europea. La risposta al quesito è stata affermativa ma, ciò non di meno, allo stato, residuano dubbi interpretativi sulla portata di tale statuizione.
Per provare a tracciare il perimetro dell’assunto della Suprema Corte sarà necessario muovere dalla disamina delle questioni relative alla fase della raccolta della prova nello Stato ricevente.
Come noto, la fase della raccolta della prova (formata o da formarsi) segue la lex loci, fatte salve eventuali formalità operative richieste dallo Stato di esecuzione ai sensi dell’art. 9 dir. OEI e dell’art. 33 d.lgs. 108/17. Tale assunto discende dal principio del mutuo riconoscimento fondante la cooperazione penale europea che implica una presunzione di conformità degli atti al diritto dell’Unione, a sua volta derivante dalla presunzione di sussistenza di un analogo livello di protezione dei diritti individuali.
Dall’informazione provvisoria si evince che, pur partendo da tale presupposto, è previsto un vaglio da parte dell’autorità giurisdizionale dello Stato emittente, ai fini dell’utilizzabilità degli esiti investigativi acquisiti, sul rispetto dei diritti fondamentali, comprensivi del diritto di difesa e della garanzia di un equo processo.
Il vero nodo interpretativo da sciogliere è quello sull’ampiezza del contenuto della verifica demandata al giudice nazionale nonché sulla rilevabilità dell’eventuale violazione.
Ed in particolare, volgendo lo sguardo allo specifico caso dell’acquisizione delle chat di Sky ECC, è noto come la vicenda sia stata oggetto di specifiche impugnazioni nello Stato estero ed addirittura di un giudizio costituzionale che ne ha confermato la legittimità (decisione del Conseil constitutionnel francese n. 2022-987 QPC dell’8 aprile 2022), peraltro in forza di un ventaglio di provvedimenti emessi dall’Autorità Giudiziaria francese muniti di un profilo motivazionale particolarmente rafforzato (che, peraltro, in un’ottica di principio di equivalenza, rispetterebbe tutte le previsioni della disciplina interna in punto di intercettazioni).
Si pone quindi la necessità di assicurare un contenuto alla verifica del giudice nazionale che sia compatibile con il principio del mutuo riconoscimento delle decisioni e la fiducia immanente ai rapporti tra gli Stati membri in tema di cooperazione penale.
In assenza di una manifesta – ad oggi – lesione dei principi inderogabili dell’ordinamento interno dello Stato di esecuzione (verifica demandata a quella A.G.), ai fini della necessità di una verifica ulteriore da parte del Giudice nazionale si ritiene non si possa prescindere da un’allegazione difensiva con la quale si eccepisca, in concreto, dove sia avvenuta l’eventuale lesione del diritto di difesa (o delle garanzie di un equo processo) e quali siano gli elementi fattuali che l’attestano. Si pensa ad esempio ad un’alterazione del dato informatico ricavabile dalla lettura del dato trasmesso dall’Autorità Giudiziaria francese che possa far dubitare della correttezza del contenuto trasmesso (magari riscontrabile dagli stessi interessati, sulla scorta del loro patrimonio conoscitivo diretto) che dovesse risultare non intellegibile.
Diversamente, si corre il rischio di introdurre un sindacato sulla legittimità degli strumenti investigativi per la raccolta delle prove dello Stato destinatario di un OEI che mal si concilia con i principi in punto di cooperazione penale.
Tale conclusione, peraltro, trova conferma anche a mente l’iter procedurale in concreto adottato dagli investigatori francesi per giungere all’acquisizione delle chat di Sky ECC, assolutamente legittimo e come tale giudicato dall’Autorità Giudiziaria straniera.
In particolare, anche sul punto, pare cogliere nel segno l’osservazione della Procura Generale che, ricostruendo la complessità del sistema tecnologico indagato, inquadra questa prima fase della progressione investigativa nell’ambito della previsione di cui all’art. 266 bis c.p.p., trattandosi, di fatto, di un’intercettazione di flussi di comunicazioni intercorsi tra sistemi informatici, sub specie dell’algoritmo di decifrazione di un flusso di dati già captato (diversamente opinando, si darebbe infatti ingresso ad uno spazio di immunità, non risultando intercettabile tale dato). In questo caso, pertanto, non sembra necessario un richiamo alla norma confinaria di cui all’art. 189 c.p.p., ovvero inquadrando l’operato degli investigatori francesi quale prova atipica, pur in passato avendo la Suprema Corte adottato tale soluzione in una fattispecie analoga (Sez. 5, Sentenza n. 16556 del 14/10/2009 Ud. (dep. 29/04/2010) Rv. 246954).
Ancora, di fondamentale rilievo al fine di ritenere garantito il rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo (sub specie del diritto alla riservatezza delle comunicazioni) è la considerazione per cui l’intercettazione del server è stato soltanto il precedente logico funzionale all’acquisizione delle chiavi di cifratura per procedere ad una successiva intercettazione dei criptofonini di interesse investigativo singolarmente individuati e non già, come da taluno paventato, una forma di intercettazione massiva con target indeterminato.
Il successivo sequestro del server (in ipotesi contenente anche conversazioni non aventi rilievo penale) è assimilabile al sequestro di un insieme di cose, fra cui anche cose pertinenti al reato, inscindibile nella sua unitarietà a pena di disperdere la prova (peraltro di enorme rilievo investigativo) e dal quale, in seguito, sono state effettuate acquisizioni parziali, sulla scorta di una selezione effettuata sulla base di altre evidenze investigative. Ad esempio, allorquando nel corso di indagini nazionali sono stati sequestrati criptofonini, ovvero ne è stata accertata la disponibilità da parte degli indagati a mezzo captazione tradizionale, è stata richiesta la trasmissione, a mezzo OEI, delle relative conversazioni intrattenute, previa indicazione dell’identificativo del PIN di interesse. PIN che poi, se presente nel server sequestrato, è stato oggetto di materiale consegna allo Stato di emissione. Dunque, è stata adottata una procedura di selezione che nulla ha a che vedere con un’indiscriminata violazione del diritto alla riservatezza individuale, da taluno paventata (questione che, al contempo, si intreccia con il positivo vaglio in ordine al prerequisito della proporzionalità dell’emissione dell’OEI).
E se violazione vi dovesse essere stata, sarebbe onere della Difesa dedurla, allegando circostanze concrete a fondamento dell’eccezione. Diversamente, come detto, si corre il rischio di traslare eccezioni processuali su un piano astratto. Ed anche in questo caso, comunque, facendo soltanto riferimento all’iter procedurale assunto dagli investigatori francesi (ed a quello seguito dai Pubblici Ministeri richiedenti), rileverebbero le considerazioni espresse al paragrafo che precede che ne provano la piena legittimità.
In questa prospettiva, pare immune da censure anche la decisione assunta nello Stato di esecuzione che ha apposto il segreto di stato alle chiavi di cifratura della piattaforma. Lo strumento, verosimilmente attivato per la natura di taluno dei contenuti captati, è previsto nell’ordinamento interno ed è stato ritenuto legittimo dal Conseil constitutionnel nella decisione già menzionata dell’aprile 2022. Non si ritiene, pertanto, che possa essere richiesto, a fini difensivi, l’esibizione delle chiavi di cifratura, pena violazione del diritto di difesa.
Diverso è il tema dell’attendibilità della prova, ovvero quanto il contenuto della chat risulti esplicativo del fatto qualora, ad esempio, la ricostruzione dovesse risultare incompleta per carenza parziale dei contenuti del “Pin”, ovvero per assenza dei contenuti del “Pin” interlocutore. Tale profilo non attiene ad un’eventuale elusione del diritto di difesa bensì, al più, alla forza esplicativa della prova acquisita.
6. Conclusioni
La soluzione adottata dalla Suprema Corte, conforme alle conclusioni della Procura Generale, pare certificare la legittimità dell’operato degli uffici requirenti che hanno, autonomamente e senza un preventivo vaglio del Giudice nazionale, disposto l’acquisizione delle chat di Sky ECC attraverso l’emissione di ordini d’indagine europei.
Nelle vicende attenzionate, inoltre, risulta correttamente applicato l’art. 6 della Direttiva 2014/41/UE, in punto di verifica dei presupposti di necessità, proporzionalità ed equivalenza ai fini dell’emissione di un OEI.
Ancora, fatte salve valutazioni nel caso concreto sulla scorta di un onere di allegazione difensiva, presupposto il principio del mutuo riconoscimento fondante la cooperazione penale europea che implica una presunzione di conformità degli atti al diritto dell’Unione, a sua volta derivante dalla presunzione di sussistenza di un analogo livello di protezione dei diritti individuali, si ritiene che non vi sia stata alcuna violazione nel rispetto dei diritti fondamentali (comprensivi del diritto di difesa e della garanzia di un equo processo).
Altro sarà valutare, caso per caso, eventuali emergenze che inducano a ritenere come, nella fattispecie esaminata, vi sia stata un’effettiva contrazione dei diritti difensivi ma che dovrà fondarsi, evidentemente, su elementi in concreto che inducano a ritenere come questo possa essere accaduto.
Un’ultima riflessione; progressivamente aumenta la consapevolezza della dinamicità delle organizzazioni criminali che, sfruttando il progresso tecnologico, eludono le investigazioni tradizionali, non consentendo un’adeguata repressione di fenomeni di peculiare gravità. È necessario che gli investigatori seguano il passo, ricevendo risorse e formazione adeguata. E di fronte a tale complessità è compito dell’interprete individuare gli strumenti giuridici che consentono di affrontarla.
Il lavoro ermeneutico cui è stata chiamata la Corte, per l’appunto, involge la complessità della vicenda “Sky ECC” nella sua pluralità di profili, anche di natura tecnico-informatica. Oggi, nel faro del rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento interno, l’enorme materiale probatorio acquisito grazie all’acquisizione delle chat di Sky ECC assume una collocazione sistematica che consente di sostenerne la legittima acquisizione e la sua utilizzabilità nel processo, così peraltro attestando la nostra giurisprudenza a quella dei Tribunali di legittimità di altri Stati dell’Unione coinvolti in analoghi giudizi ed in attesa delle ulteriori statuizioni delle corti sovranazionali già investite della vicenda.