1. Nel dibattito recentemente riapertosi sulla cd. prevenzione antimafia, intesa ai fini che qui interessano quale complesso di regole che disciplinano la apprensione dei beni appartenenti ai mafiosi, occorre ricordare un dato ineludibile ossia quello della “centralità” del sistema di prevenzione patrimoniale rispetto al fenomeno mafioso.
Introdotte per la prima volta trent’anni fa con la legge Rognoni La Torre del 1982 il ricorso alle misure patrimoniali ablatorie ha assestato un duro colpo alle consorterie criminali e ciò sulla base di un dato incontrovertibile secondo il quale sottrarre ai gruppi mafiosi patrimoni vuole dire prima di tutto privarli di potere e capacità di condizionamento dei territori .
Viene spesso ribadito da autorevoli esponenti delle istituzioni come sia essenziale che la azione di sottrazione dei beni alla mafia sia costante e sia continua.
E, quindi, il primo elemento da evidenziare è quello della centralità del sistema delle misure di prevenzione rispetto alla esigenza statuale di assicurare forme di contrasto alla espansione criminale delle mafie che ha assunto sempre più una dimensione imprenditoriale.
È noto, infatti, che i gruppi criminali hanno assunto carattere economico patrimoniale rivelando i connotati di vere e proprie multinazionali del crimine capaci di operare nel mercato legale insieme alle realtà sane nelle quali peraltro tendono a mimetizzarsi ed infiltrarsi.
Nell’ultimo rapporto della DIA per il periodo gennaio- giugno 2022 viene precisato che i gruppi camorristici del casertano – ancor più di quelli del napoletano - sono in grado di esercitare un “capillare controllo dell’economia legale tramite una partecipazione financo diretta in aziende, imprese e attività commerciali sino ad occupare intere filiere produttive” avendo una propensione ad un “modello criminale di tipo imprenditoriale” e la correlata capacità di infiltrarsi nel tessuto economico della provincia.
È quindi necessario che la centralità del sistema della prevenzione venga ribadita da tutti coloro che cooperano nello specifico settore di competenza ed in particolare da chi se ne occupa nella prima fase del procedimento di ablazione patrimoniale ossia in quella giudiziaria.
2. La magistratura incontra, tuttavia, enormi difficoltà nel suo lavoro di selezione dei beni da sequestrare e confiscare anche in ragione di una normativa che da un lato è ancora lacunosa e dall’altro, essendo fondata su presupposti diversi da quelli propri del processo penale, è soggetta a continui interventi sia del giudice della legittimità che del giudice costituzionale e ciò crea a volte un rallentamento della azione di prevenzione affidata alla magistratura .
Anche perché è ancora massicciamente presente l’idea che la intera legislazione antimafia sia una legislazione del sospetto che si nutre di pulsioni giustizialiste secondo una rappresentazione non più attuale e che non tiene conto delle profonde modifiche apportate alla interpretazione della legislazione antimafia dal sindacato di costituzionalità e dalla evoluzione della giurisprudenza di legittimità.
Pur tuttavia questa visione della prevenzione rischia di mettere in crisi un intero sistema rendendolo più fragile e più esposto alle valutazioni critiche provenienti non solo dalla componente forense, in ragione della legittima tutela dei diritti di difesa che si sostengono non completamente esercitabili in detta sede, ma anche da una opinione pubblica condizionata da poche e limitate vicende rappresentative di isolati comportamenti pregiudizievoli.
Importanti sentenze della Corte Costituzionale, prima fra tutte la n. 24 del 2019, hanno “nobilitato” le misure di prevenzione ed hanno ragionato a chiare lettere sul presupposto giustificativo della confisca di prevenzione individuandolo nella “ragionevole presunzione che il bene si stato acquisito con i proventi di attività illecita”; presunzione (relativa) fondata sul riscontro della sproporzione tra bene e reddito o attività economiche del soggetto titolare dei beni - sproporzione che denota una accumulazione di illecita ricchezza che talune categorie di reati sono idonee a produrre (cosi la sentenza n. 33 del 2018 sulla confisca allargata).
È la Corte Costituzionale nel 2018 a scrivere che rispetto al fenomeno dell’accumulazione di ricchezza illecita da parte della criminalità organizzata, che è un fenomeno particolarmente allarmante “a fronte del possibile reimpiego delle risorse per il finanziamento di ulteriori attività illecite ovvero del loro investimento nel sistema economico legale, con effetti distorsivi del funzionamento del mercato”, e che quindi deve essere contrastato, la confisca tradizionale appare inidonea nella parte in cui occorre dimostrare un nesso di pertinenza tra i beni da confiscare ed il singolo reato per cui è pronunziata condanna.
Sono le SS.UU. della Corte di Cassazione nel 2015 (sent. 4880/2015) a chiarire che nei casi della illecita accumulazione di beni esisterebbe un vizio genetico nella costituzione del diritto di proprietà in capo a chi ne ha acquisito la materiale disponibilità “risultando sin troppo ovvio - scrivono - che la funzione sociale della proprietà privata possa essere assolta solo all’indeclinabile condizione che il suo acquisto sia conforme alle regole dell’ordinamento giuridico”. Conseguentemente la confisca non ha una funzione punitiva quanto piuttosto la funzione di “neutralizzare quell’arricchimento di cui il soggetto non potrebbe godere se non fosse stata compiuta la attività criminosa presupposta”.
E quindi la ablazione patrimoniale ha “finalità ripristinatoria” (e non afflittiva) e quindi serve a restituire il bene - sottratto al circuito criminale - o al precedente titolare che ne fosse spogliato o in mancanza alla collettività che a questo punto lo riceve per perseguire finalità di pubblico interesse.
3. La complessità del sistema della prevenzione antimafia rivela, piuttosto, la sua effettività nella seconda fase del procedimento cd bifasico della prevenzione relativo alla gestione ed amministrazione dei beni .
Qui esistono indubbie debolezze di sistema che dovrebbero convincerci tutti della necessità:
- di rivedere la parte relativa alle amministrazioni giudiziarie lasciate alla capacità ed alla onestà intellettuale del singolo magistrato
- di ridiscutere una volta per tutte i poteri oltre che l’organico della ANBSC
- di delineare i compiti di ausilio di quest’ultimo organo che solo raramente vengono esercitati e che, invece, dovrebbero costituire un punto fondamentale nella gestione dei beni e delle aziende a partire dal sequestro.
È inutile ripetere che la destinazione dei beni a fini di riuso è difficile perché i beni restano per anni abbandonati, perché le procedure sono lunghe e perché si impiegano anni per confiscare, perché le aziende non sono amministrate correttamente e cosi via se non si comprende che il procedimento di prevenzione è procedimento giurisdizionale e quindi soggetto a tre gradi di giudizio e che il momento cruciale di ogni procedura deve essere individuato nella fase del sequestro.
È in questo momento che devono essere impiegate le energie di tutti gli operatori per avviare una costruzione che sia fondata su pilastri adeguati in modo da poter reggere nel futuro.
È intuitivo che le scelte di gestione adottate nella fase del sequestro (si pensi alle scelte gestionali che attengono alla gestione per conto di chi spetta: esecuzione di contratti preliminari di compravendita, pagamento di condoni edilizi, pagamento delle spese di manutenzione degli immobili che non sono concessi in locazione; pagamento delle rate di mutuo, revisione delle organizzazioni aziendali ) incidono e possono segnare l’utilizzo e la futura destinazione dell’intero compendio appreso.
Dovremmo cercare di trovare, allora, delle soluzioni normative che anticipino al momento del sequestro, che spostino a monte e non a valle, la presenza nella procedura di prevenzione degli organi preposti alle valutazioni finalizzate alla assegnazione del bene oltre ad individuare meccanismi di compensazione nella ipotesi di restituzione del bene nel corso della procedura: soluzioni normative che consentano di “convalidare” il lavoro svolto dalla magistratura con il decreto di sequestro dei beni inaudita altera parte in vista di una ‘assegnazione del bene anticipata’ rispetto al provvedimento di confisca così da rendere più agevole il percorso affidato in buona sostanza al giudice delegato della procedura.
Questa esigenza è particolarmente avvertita dai giudici della prevenzione e devo dire che in molti uffici giudiziari, tra i quali si annovera il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, si è cercato di porre rimedio a questa situazione con la stesura di un documento d’intesa che ha la finalità di mettere attorno ad un tavolo le istituzioni che sono deputate al vaglio delle scelte di destinazione del bene.
Il Protocollo siglato nel settembre del 2021 tra il Tribunale di SMCV, la Prefettura di Caserta e la ANBSC, oltre l’ABI e la Regione Campania, si pone l’obiettivo di prevedere meccanismi d’intervento che servano a gestire concretamente e senza perdite di valore determinate da mala gestio, sin dalla fase del sequestro, i beni immobili oggetto di ablazione, anche al fine di incrementarne, se possibile, la redditività e per agevolarne l’eventuale successiva devoluzione allo Stato o agli altri Enti previsti dalla legge, liberi da oneri e da pesi.
In quest’ottica, considerando che le aziende sequestrate normalmente subiscono un rapido processo di deterioramento della situazione finanziaria ed economica con effetti negativi anche sotto il profilo occupazionale, si pone l’obiettivo di recuperare, fin dal momento della esecuzione del sequestro, le competenze professionali, lavorative e di consulenza da coinvolgere nella gestione del patrimonio acquisito alla procedura, con il duplice obiettivo di salvaguardare, ove possibile, l’unità aziendale e l’occupazione, anche attraverso la creazione di una nuova imprenditorialità caratterizzata da creatività, legalità e sviluppo, e ciò anche nella prospettiva di una proposta finale in merito alla destinazione del bene confiscato.
L’iniziativa è volta, dunque, a consentire la continuità delle attività delle imprese, operanti nel territorio locale, sottoposte a sequestro, secondo i canoni della legalità, tramite una rapida assegnazione, anche temporanea, del bene sin dalla fase del sequestro avvalendosi in primis della collaborazione della Agenzia che, come si legge nel Documento, “interviene nel procedimento funzionale all’acquisizione al patrimonio dello Stato dei beni sottratti alla criminalità svolgendo, nella fase c.d. “giudiziaria”, attività di programmazione, consulenza e affiancamento all’Autorità Giudiziaria nell’amministrazione e custodia dei beni nonché attività di acquisizione e analisi dei dati e verifica dello stato dei beni mentre, nella fase c.d. “amministrativa”, è responsabile della gestione operativa dei beni confiscati, nonché dell’adozione di iniziative e provvedimenti necessari per la tempestiva destinazione dei beni “ e si impegna a:
- partecipare al tavolo istituito dal protocollo attraverso un proprio rappresentante che verrà individuato dal Direttore;
- condividere con i firmatari le informazioni ritenute necessarie a giungere a destinazione dei beni confiscati rispettando le procedure e le tempistiche dettate dalla normativa con l’obiettivo di restituire alla comunità i beni confiscati in condizioni ottimali per il riutilizzo e, nel caso di beni aziendali, salvaguardando i livelli occupazionali;
- fornire supporto all’amministrazione dei beni sequestrati di particolare rilevanza o complessità “
L’art. 40 del codice antimafia consente espressamente al comma 3-ter la concessione anticipata dei beni immobili per finalità sociali. La norma è di particolare rilievo: introdotta nel 2017 unitamente ad altri istituti con valenza riformatrice ed integratrice (tra i quali non va dimenticato l’istituto del cd. controllo giudiziario di cui all’art. 34 bis), prevede espressamente la possibilità di concedere in comodato i beni immobili sequestrati ai soggetti di cui all’art. 48 ossia agli enti territoriali perché ne facciano uso per finalità sociale finchè non intervenga il provvedimento definitivo di confisca .
Essa mira, dunque, alla anticipazione degli effetti di maggiore valore sociale propri della ablazione patrimoniale ma richiede allo stato una valutazione empirica del giudice della prevenzione che potrebbe esporlo a rischi di gestione.
La strada intrapresa con questa norma e con i tanti Protocolli degli Uffici giudiziari più avveduti andrebbe allora proseguita con nuove interpolazioni normative ed in tempi rapidi per assicurare un funzionamento reale del sistema della prevenzione che, non dimentichiamoci, assolve ad una funzione regolatrice del tessuto sociale e disvelatrice degli interessi economici che di esso si alimentano per trarne strumenti di ricchezza e di espansione speculativa.
Non vi sono altre strade per uscire dalla retorica di una critica generalizzata e poco accorta.
*Presidente del Tribunale di S.M.C.V.