Le Sezioni Unite sull'aggravante dell'agevolazione mafiosa e sul concorso esterno
di Andrea Apollonio
Sommario:1. Attività giudiziale e fenomeno mafioso - 2. Le Sezioni Unite "Chioccini" - 3. Il "confronto" con le Sezioni Unite "Thyssen" - 4. Il "confronto" con le Sezioni Unite "Demitry" e "Mannino" - 5. La complessiva ricostruzione - criminologica e dogmatica - dell'area della contiguità mafiosa.
1.Attività giudiziale e fenomeno mafioso
Uno dei più autorevoli studiosi del diritto penale e delle sue interazioni con l'ambito giudiziale metteva in luce qualche anno addietro come le disposizioni si estendano «per analogia con la costruzione di una nuova "dispositio": vale altrimenti (se non c’è analogia) la vecchia disposizione arricchita di casi nuovi»[1]. Partendo cioè dalle disposizioni, che sono enunciati normativi, si arriva al loro contenuto reale tramite l'interpretazione e l'applicazione ai casi. La norma, pertanto, è solo il risultato dell'interpretazione della disposizione astratta.
Nonostante la distinzione tra disposizione e norma risalga le basi del pensiero giuridico moderno ed involga l'intera teoria generale del diritto[2], è sopratutto nella materia criminale che i meccanismi giudiziali razionali, di tipo puramente sillogistico, rappresentano illusioni (e retaggi storici) di esatta calcolabilità del diritto[3]. Invero, l'esercizio del diritto giurisprudenziale, teso a riempire di significato precettivo la fattispecie a partire dal suo dato testuale, è - al di là del suo «indiscutibile successo»[4] di cui si parla in termini non rassicuranti in dottrina - inevitabile, per quei tipi giuridici che sintetizzano un universo criminologico estremamente denso e complesso.
E' sicuramente il caso della congerie di norme volte a contrastare il pervicace fenomeno mafioso, secondo alcuni interpreti configurate tramite una «tecnica di tipizzazione [che] sconta un certo grado di genericità»[5]. A ben vedere, poiché lo scarso rilievo semantico cade direttamente dai contorni poco nitidi della figura-madre, quella di cui all'art. 416-bis c.p. (metodo mafioso e agevolazione della consorteria), che fa riferimento ad un paradigma criminologico - quello appunto di "mafia" introdotto nel 1982 - di per sé poco definibile.
In questo panorama normativo assumono una decisiva rilevanza ermeneutica gli arresti delle Sezioni Unite (persino più che in altri campi del diritto penale): basti solo pensare che due fattispecie satellite del reato di associazione mafiosa - il c.d. "concorso esterno" e l'aggravante di cui all'art. 416-bis.1 c.p. - hanno visto ciascuna pronunciarsi tre volte il supremo consesso della Cassazione. Di talché, decisiva rilevanza assume la sentenza delle Sezioni unite penali, n. 8545 del 19 dicembre 2019 (dep. 2 marzo 2020), imp. Chioccini, dal momento che, pur dovendo affrontare una questio iuris attinente l'aggravante della c.d. "agevolazione" mafiosa, riapre cruciali questioni interpretative anche riguardo al concorso esterno: su cui, come noto, nell'ultimo ventennio si sono scatenate vere e proprie "guerre di religione"[6].
Adottata una tale prospettiva duplice, questa sentenza diviene giocoforza un riferimento interpretativo tra i più rilevanti degli ultimi anni: tanto che con i principi affermati su queste due figure (sebbene nel caso del concorso esterno valgano quali obiter dicta, non essendo questo il thema decidendum rimesso alle Sezioni Unite), l'ampia area della contiguità alla mafia può dirsi aver cambiato - per l'ennesima volta - le proprie fattezze.
2. Le Sezioni Unite "Chioccini"
L'art. 416-bis.1 c.p., prevede che «Per i delitti punibili con pena diversa dall'ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416 bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, la pena è aumentata da un terzo alla metà». Come detto, le Sezioni Unite intervengono per la terza volta sulla circostanza aggravante, affrontando adesso la questione che più d'ogni altra ha tenuto impegnati gli interpreti, se cioè la figura dell'agevolazione «abbia natura soggettiva concernendo le modalità dell'azione, ovvero abbia natura soggettiva concernendo la direzione della volontà». Sebbene infatti la struttura duplice della fattispecie faciliti una differente lettura delle condizioni delittuose - da un lato ci si deve oggettivamente valere del metodo mafioso, dall'altro le modalità dell'azione devono essere rivolte in senso teleologico all'agevolazione dell'attività dell'associazione mafiosa - ciò legittimando la dottrina a ribadire, con poche eccezioni[7], che «la prima ipotesi si connota in termini oggettivi, mentre quella consistente nella finalità agevolatoria è, all'opposto, da qualificarsi come soggettiva»[8], non mancano pronunce della Cassazione che hanno affermato per entrambe le figure la natura oggettiva, poiché la previsione de qua riguarderebbe, a ben vedere, una modalità dell'azione rivolta ad agevolare l'associazione mafiosa.
A seconda dall'inquadramento teorico prescelto discendono conseguenze pratiche di grande rilievo sotto il profilo concorsuale, perché ritenendo la circostanza oggettiva, attinente cioè alle modalità dell'azione ai sensi dell'art. 70 c.p., essa può essere estesa ai correi; diversamente, sottolineando la necessità di un atteggiamento di tipo psicologico dell'agente, tale da richiamare i motivi a delinquere, andrebbe applicata la regola di cui all'art. 118 c.p., secondo cui, versando in questo caso, la circostanza è valutata soltanto alla persona a cui si riferisce.
La sentenza dunque evidenzia anzitutto l'assenza di un chiaro statuto applicativo dell'aggravante in parola, emergendo per questa via problemi legati da un lato alla prevedibilità e all' accessibilità della norma penale nei suoi effettivi contenuti precettivi, dall'altro, sotto il profilo della colpevolezza, al rischio di configurare una responsabilità oggettiva, da posizione[9], volta a punire - aggravando il reato base perpetrato - la mera prossimità, anche in forme collaborative, con soggetti che, dal canto loro, agevolano gruppi mafiosi.
Si affronta quindi in prima battuta la questione della natura giuridica rimessa: «Non vi è dubbio [...] che il fine agevolativo costituisca un motivo a delinquere», dovendosi pertanto ritenere che «il dato testuale imponga la qualificazione della circostanza nell'ambito di quelle di natura soggettiva». Secondo la Corte, infatti, valutando più attentamente gli orientamenti giurisprudenziali si evince che la maggior parte delle posizioni ermeneutiche non arrivano al punto di escludere che la circostanza possa essere inquadrata tra quelle relative ai motivi a delinquere. Quando - proseguono i giudici sul loro filo argomentativo -sul piano dell'accertamento è richiesto - pur considerando l'aggravante di natura soggettiva - un ulteriore elemento di natura oggettiva, attinente alle modalità (recte: all'idoneità) dell'azione, questo non viene configurato come elemento costitutivo della fattispecie, ma come fatto da cui desumere la prova della sussistenza dell'elemento psicologico: non trattandosi quindi di un ulteriore elemento strutturale, nulla preclude la riconducibilità della previsione ai "motivi a delinquere" di cui all'art. 118 c.p. E, si aggiunge in sentenza, un tale approdo non sarebbe impedito neppure da chi valorizza l'elemento obiettivo «non a meri fini di prova del dolo specifico, bensì quale ulteriore elemento costitutivo dell'aggravante, nell'ottica di rendere la disposizione di cui all'art. 416-bis.1 c.p. maggiormente aderente al principio di offensività», postulando quindi - al più - una natura "mista" dell'aggravante.
E' solo adesso, accertata la natura soggettiva dell'aggravante, che la Corte può approcciarsi alla dommatica della figura circostanziale: si incarica pertanto di tracciare una linea di demarcazione, da un lato rispetto al tipo di dolo che deve caratterizzare colui che agisce per agevolare la compagine mafiosa, e dall'altro - più che per l'integrazione in sé della circostanza - ai fini dell'estensione della stessa ai concorrenti nel reato. In questo senso, la Corte prende atto dell'esigenza di riordino degli elementi costitutivi e di disciplina dell'aggravante in parola e differenzia le due forme di accertamento giudiziale.
Anzitutto, un accertamento di "primo livello", riguardante l'elemento soggettivo necessario ad integrare l'aggravante, che secondo alcuni - per lo più i fautori della teoria soggettivista - si sostanzierebbe in un marcato dolo specifico, in cui l'agente, oltre alla coscienza e volontà del fatto integrante l'elemento soggettivo del reato base, agisce per il fine particolare di agevolare l'associazione (a cui possono anche sommarsi altre finalità, più personali ed egoistiche), secondo altri - per lo più i fautori della teoria oggettivista - può ridursi alla mera consapevolezza della direzione della condotta e della sua idoneità ad agevolare l'attività della compagine. Si tratta quindi di stabilire, fuori dal problema dell'estensibilità ai concorrenti, la veste tassonomica del dolo proprio della circostanza aggravante - ontologicamente differente da quello del reato base - posto che, in ogni caso, tutte le chiavi di lettura proposte conferiscono rilievo ad una ricaduta oggettiva dell'aspirazione dell'agente, nel senso cioè che l'azione debba risultare oggettivamente idonea al perseguimento del fine agevolativo.
Un accertamento di "secondo livello" investe invece i concorrenti nel reato aggravato. In questo caso, rispetto al requisito necessario ad estendere a costoro l'aggravante, possono enumerarsi tre diverse possibilità applicative: la condotta del concorrente è improntata ad un dolo specifico uguale, simmetrico a quello che caratterizza la condotta effettivamente agevolativa dell'agente principale (entrambi quindi agiscono col fine particolare di agevolare l'associazione, oppure, postulando un diverso gradiente soggettivo, con il medesimo dolo diretto); il concorrente agisce nella consapevolezza che il proprio contributo stia accedendo ad una condotta altrui caratterizzata da dolo intenzionale, che sta agevolando un'associazione mafiosa (in questo caso differenziandosi i gradi del dolo nell'ambito del concorso di persone); in ultimo, il concorrente potrebbe versare in una mera ignoranza colposa (ed è questa la soluzione prospettata, in particolare, dai fautori della tesi oggettivista, che ritengono sufficiente - ex art. 59 c.p. - per tutti i correi l'ignoranza colposa dell'agevolazione della compagine mafiosa).
Occorre quindi chiedersi, in primo luogo, quale sia la forma del dolo richiesta dall'art. 416-bis.1, sub specie dell'agevolazione, e conseguentemente quanto debba essere rilevante presso i concorrenti del reato aggravato la copertura volitiva della funzionalizzazione dell'attività criminosa verso l'associazione mafiosa. In questo senso, la Corte è chiamata a configurare uno statuto applicativo che abbracci tanto la natura e il coefficiente psicologico della circostanza, in sé considerata, tanto il problema dell'estensione della stessa ai correi, alla luce della disciplina di cui all'art. 118 c.p.
3. Il "confronto" con le Sezioni Unite "Thyssen"
E' interessante notare che nel ripercorrere l'elemento soggettivo come sopra declinato, si fa riferimento alle note Sezioni Unite "Thyssen"[10] applicandone i principi; o, per meglio dire, declinando in maniera più netta le speculazioni sul dolo: «che nella forma diretta si limita alla rappresentazione e non alla volizione, oltre che dell'azione delle sue conseguenze».
Per il vero, la distinzione avanzata nella "Thyssen" all'interno dell'elemento psicologico più marcato - seppure in motivazione ed in guisa di obiter dictum: perché, anche lì, non era esattamente la distinzione tra dolo diretto e dolo intenzionale la questione da affrontare - la si potrebbe così sintetizzare: nel dolo intenzionale l'evento di reato è lo scopo stesso dell'azione, nel dolo diretto esso si pone come collaterale del fine perseguito, non direttamente voluto ma come tale senza dubbio accettato; in altre parole, questo si ha quando l'evento è ritenuto dall'agente altamente probabile o certo, e l'autore non si limita ad accettarne il rischio, ma accetta l'evento stesso, cioè lo vuole e con un'intensità evidentemente maggiore che nel dolo eventuale. E' dato comprendere che, nell'alveo della "Thyssen", nel dolo diretto coabitano ancora l'elemento rappresentativo e quello volitivo, sebbene il concetto stesso di "accettazione" diluisca inevitabilmente il secondo a favore del primo.
Come detto, la pronuncia in esame rielabora diversamente l'elemento doloso, con un passaggio che mostra di emanciparsi dalle più tradizionali letture dottrinali che hanno sempre interpretato il rapporto psicologico con l'evento in termini - pressoché inscindibili - di rappresentazione e volontà, persino con riferimento al dolo eventuale[11].
Questa scissione interna al dolo, questo - per meglio intenderci - ribaltamento delle letture tradizionali, che le Sezioni Unite "Thyssen" non avevano portato a compimento, rimanendo sul punto come sospese, preferendo giostrare il proprio percorso motivazionale sul bilanciamento tra rappresentazione e volontà (con particolare riguardo al primo elemento senza mai privarsi del tutto, nel campo del dolo non eventuale, del secondo), sembra invece essere stata conseguita - e scientemente perseguita - nella pronuncia in commento, in cui molti passaggi - finanche nel principio di diritto rassegnato - si riferiscono al dolo diretto in termini di mera consapevolezza (che l'azione arrivi obiettivamente ad agevolare l'associazione mafiosa).
Anche perché una ricostruzione "separata" di rappresentazione e volontà nel caso in esame si dimostra funzionale ad elaborare i principi di diritto infine rassegnati, connessi da un lato alla struttura dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa, dall'altro alla sua estensibilità ai correi: «L'aggravante agevolatrice dell'attività mafiosa prevista dall'art. 416-bis.1 c.p. ha natura soggettiva ed è caratterizzata da dolo intenzionale; nel reato concorsuale si applica al concorrente non animato da tale scopo, che risulti consapevole dell'altrui finalità». Dolo intenzionale da un lato; dolo diretto (per il concorrente) dall'altro.
E' di tutta evidenza come, a dover essere approfondita alla luce dei principi generali, è sopratutto la posizione del concorrente, per la cui affermazione di responsabilità penale è sufficiente un gradiente psichico inferiore rispetto all'agente, per così dire, principale (l'autore del reato monosoggettivo).
E' anzitutto lumeggiato come l'insieme dei precetti che governano il tema delle circostanze aggravanti sia stato ridisegnato dalla novella contenuta nella legge 7 febbraio 1990, n. 19, che ha quale scopo precipuo quello di estirpare ogni residuo di responsabilità oggettiva, anche su elementi non costitutivi del reato: da ciò deve discendere un'attenzione costante al principio di colpevolezza nell'estendere la circostanza aggravante, che tuttavia - afferma la Corte - non impedisce di intendere in senso meno rigoroso il portato applicativo dell'art. 118 c.p., che «non prevede l'impossibilità di estensione delle circostanze soggettive tout court, ma opera un'indicazione autonoma», nella misura in cui questo tipo di circostanze, come afferma la norma, devono essere «valutate soltanto con riguardo alla persona a cui si riferiscono».
Occorre dunque - sembra dire la Corte - una valutazione in astratto sul tipo di circostanza ed una in concreto sulla vicenda delittuosa - da cui si possa evincere «la possibilità di estrinsecazione della circostanza all'esterno». E l'agevolazione mafiosa permetterebbe, in sostanza, una tale estrinsecazione. Cosicché, «qualora si rinvengano elementi di fatto suscettibili di dimostrare che l'intento dell'agente sia stato riconosciuto dal concorrente, e tale consapevolezza non lo abbia dissuaso dalla collaborazione, non vi è ragione per escludere l'estensione della sua applicazione, posto che lo specifico motivo a delinquere viene in tal modo reso oggettivo»[12].
La soluzione ermeneutica relativa alla comunicabilità della circostanza passa quindi da una vistosa deroga del principio scolpito all'art. 118 c.p., che fa rivivere la meno rigorosa dinamica estensiva di cui all'art. 59 cpv., ed è tutta improntata sul concetto già espresso di consapevolezza (recte: su una condotta caratterizzata da dolo diretto): il reato aggravato ex art. 416-bis.1 c.p. si applica al concorrente non animato da tale scopo ma che risulti consapevole dell'altrui finalità.
La regola di imputazione soggettiva (ex art. 59 c.p.) è dunque quel dolo diretto inteso come mera rappresentazione, priva del controcanto volitivo; definito, in altri termini, come rappresentazione e consapevolezza dello scopo altrui, con la doverosa specificazione che una siffatta cognizione delle cose non abbia frenato l'agire delittuoso. Una specificazione che tanto ricorda le molte formule adattabili al dolo eventuale, e che forse la include, se è vero che - come si premura di specificare la Corte - «per il coautore del reato, non coinvolto nella finalità agevolatrice, è sufficiente il dolo diretto, che comprende anche le forme del dolo eventuale».
4. Il "confronto" con le Sezioni Unite "Demitry" e "Mannino"
Dolo diretto del concorrente, che sembra essere lo stesso che caratterizza il concorso esterno nell'associazione mafiosa, figura con cui la Corte intende confrontarsi[13]. La sentenza infatti costruisce la differenza tra le due fattispecie considerate dalla dottrina prossime e promiscue[14], prendendo però in esame un modello di concorso esterno non armonico a quello di riferimento nell'attuale panorama interpretativo, quello delle Sezioni Unite "Mannino"[15]: sentenza rispetto ai cui principi essenziali il "diritto vivente" elaborato in seguito, pur specificando molte questioni lasciate aperte, aderisce con poche divergenze.
In particolare, rispetto all'elemento oggettivo del reato concorsuale, nella sentenza in commento si afferma che «elemento differenziale della condotta è l'intervento non tipico dell'attività associativa, ma maturato in condizioni particolari (la c.d. fibrillazione o altrimenti definita situazione di potenziale capacità di crisi della struttura)»: una forma di agevolazione in particolari frangenti temporali della vita associativa, quella cui ci si rifà, ritenuta qualificante dalle Sezioni Unite "Demitry" nel 1994 (le prime intervenute sull'istituto)[16], secondo cui è proprio nei momenti di crisi dell'associazione che l'apporto del concorrente (eventuale) raggiunge il suo scopo rafforzativo; tesi che tuttavia, per evidenti aporie logiche, era stata ampiamente superata - e di fatto mai più ripresa - dalla giurisprudenza successiva, infine cassata dall'ultimo approdo delle Sezioni Unite del 2005, secondo cui il concorso esterno nel reato di associazione mafiosa costituisce il normale modus operandi delle organizzazioni e non è invece legato, in alcun modo, a momenti di fibrillazione o a difficoltà contingenti.
Dalle Sezioni Unite "Mannino" sembra discostarsi anche l'affermazione per cui il concorso esterno necessita del dolo diretto, diversamente dalla figura circostanziale che è, come detto, legata al dolo intenzionale, sopratutto ove si consideri che in questa pronuncia la Corte si rifà ad un dolo diretto che, come già sottolineato, si limita alla rappresentazione e non alla volizione: una prospettazione, anch'essa, più vicina a quanto si diceva nella "Demitry" piuttosto che alle operazioni di puntellamento dell'elemento soggettivo eseguite nella "Mannino", che nettamente esclude forme psicologiche di mera rappresentazione nell'integrazione del concorso eventuale.
Anche questa interpretazione del concorso esterno, che sembra risalire agli esordi del processo di definizione pretoria della fattispecie, può essere intesa come il prodotto - forse, la conseguenza - della ricostruzione separata del dolo, che si emancipa dalla volizione dell'evento e delle conseguenze della propria condotta, pur senza sfociare (almeno da un punto di vista formale e tassonomico) nel problematico campo del dolo eventuale: sarebbe proprio questa forma di dolo diretto, secondo la Corte, il coefficiente di imputazione soggettiva sufficiente ad integrare il reato di concorso esterno, diversamente dalla circostanza de qua, che richiederebbe il combinato soggettivo di rappresentazione e volontà nella sua veste di dolo intenzionale (e specularmente, come già evidenziato, il dolo diretto per il concorrente).
5. La complessiva ricostruzione - criminologica e dogmatica - dell'area della contiguità mafiosa
La disamina della sentenza suscita taluni rilievi critici da avanzarsi rispetto alla necessità che alcuni passaggi fossero corredati da un più ampio apparato motivazionale. Necessità avvertita rispetto alla rivisitazione dei principi in tema di dolo delle Sezioni Unite "Thyssen", che comporta, proprio perché espresso dalle stesse Sezioni Unite qualche anno più tardi, un'oscillazione giurisprudenziale fatalmente oggetto di nuovo dibattito pretorio; come pure, qualche perplessità rimane nel tratteggio del concorso esterno effettuato dalla sentenza in commento, che sembra rimettere in pista una giurisprudenza abbandonata dagli interpreti da oltre un ventennio: così amplificando l'esigenza, da tempo pressante, di un intervento legislativo chiaro e puntuale sul concorso esterno[17].
Nondimeno, appaga la complessiva ricostruzione - giuridica e criminologica, l'una natura discendendo dall'altra - dell'area della contiguità mafiosa. Quel cordone di contenimento dell'agevolazione mafiosa, steso dal legislatore penale del 1991 (anche) con l'introduzione di questa peculiare figura aggravatrice, non può dunque limitarsi a comprendere le condotte di chi abbia un collegamento diretto con l’associazione e voglia attivamente sostenerne gli obiettivi, ma deve coinvolgere e sanzionare anche altre categorie di agenti: anzitutto chi, sulla base di risultanze probatorie obiettive, risulti consapevole che il proprio contributo vada ad agevolare, seppur occasionalmente, seppur con un'unica condotta perpetrata, la compagine mafiosa.
Con quest'ampliamento casistico ci si avvicina molto – sempre discorrendo sul piano criminologico - alla cerchia dei professionisti, dei colletti bianchi, a cui il mondo mafioso si appoggia con notevole profitto, sopratutto con riguardo alle attività economiche poste in essere dalle "mafie imprenditrici". E' anche a questi tipi d'autore, fortemente caratterizzati (e basti solo pensare ai riciclatori dei capitali mafiosi), che la Corte pone mente definendo la circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa in senso soggettivo, agganciandola però ad elementi obiettivi di condotta che lumeggino tanto il profilo offensivo tanto il grado di dolo mostrato, e soprattutto permettendone l’estensione, veicolandola attraverso un elemento soggettivo meno marcato ma comunque doloso: in tal modo, le Sezioni Unite scolpiscono su una norma che «rappresenta garanzia di maggiore efficacia della funzione preventivo-repressiva del fenomeno mafioso» (così la Corte, nella sua premessa), un principio di diritto dall'elevato tasso general-preventivo, sopratutto rispetto al vasto mondo dei "consigliori", dei professionisti e dei funzionari pubblici "a disposizione"[18], i cui comportamenti contigui all'associazione mafiosa saranno adesso valutati, tra l'altro, nel largo alveo interpretativo dell'art. 416-bis.1 c.p., sub specie dell'agevolazione.
Da quest'approccio teorico-applicativo a base criminologica si dipana la ricostruzione dogmatica della circostanza, da trattare - almeno rispetto ai suoi elementi di struttura - come fattispecie autonoma, dal momento che essa non vale soltanto a configurare la condotta illecita come più gravemente offensiva, con riferimento al peculiare bene protetto, ma spesso riesce ad assorbire il disvalore del reato a cui accede[19], tanto da determinare - la circostanza - conseguenze di grande rilievo sostanziale, processuale, penitenziario[20].
Emerge una figura circostanziale caratterizzata, per quanto appena detto, da pericolo astratto, nondimeno costruita su di una condotta offensiva, obiettivamente idonea allo scopo, e, sul versante soggettivo, da dolo (anche) di pericolo, nonché da un dolo specifico marcatamente anticipatorio[21]. Ciò, volendosi sanzionare quell'agevolazione che produca «l'effetto del rafforzamento, se non concretamente della compagine, del pericolo della sua espansione»: non si spiegherebbero altrimenti i condivisibili richiami ad un altro scopo della norma: quello di evitare «fenomeni emulativi, essi stessi forieri di un rafforzamento della tipica struttura mafiosa», ad ulteriore riprova della collocazione della fattispecie nel campo del pericolo astratto. Il tema dei fenomeni "emulativi" richiamati in sentenza ha un connotato criminologico che, in questo senso, è davvero illuminante, perché chi emula opera su di un piano parallelo a quello dell'associazione, ritenendo possibile il contatto e l'apporto materiale: ciò può avvenire, ma è più logico che non accada.
D'altronde, si tratta di un'anticipazione della tutela penale necessitata dalla fisionomia dell'oggetto di tutela[22] che nel caso di specie notoriamente richiede, accanto ad un'attività di elaborazione delle leggi e della loro interpretazione, il massimo grado di attenzione e di sforzo delle istituzioni politiche e sociali.
[1] Donini, Il diritto giurisprudenziale penale. Collisioni vere e apparenti con la legalità e sanzioni dell'illecito interpretativo, in Dir. pen. cont., 3, 2016, p. 8.
[2] Cfr. Crisafulli, Disposizione (e norma) (voce), in Enc. Dir., XIII, 1964, p. 195 ss.
[3] Sul punto sia sufficiente il pensiero ad un noto teorico della "crisi della fattispecie": Irti, Calcolabilità weberiana e crisi della fattispecie, in Riv. dir. civ., 2014, p. 987 ss.; Id., Per un dialogo sulla calcolabilità giuridica, in Riv. dir. proc., 2016, p. 917 ss.
[4] Donini, Il diritto giurisprudenziale, cit., p. 4.
[5] Così Fiandaca, Commento all'art. 1 della Legge 13 settembre 1982, n. 646 (Norme antimafia), in Leg. pen., 1983, p. 263
[6] Il riferimento testuale è al lucido contributo di Fiandaca, Il concorso esterno tra guerre di religione e laicità giuridica, in Dir. pen. cont., 1, 2012, p. 252
[7] Ad esempio si concentra sull'aspetto più concreto ed immediato dell'offesa Fondaroli, Commento sub art. 7 D.L. 152/91, in Palazzo – Paliero (diretto da), Commentario breve alle leggi penali complementari, Cedam, 2007, p. 820; vd. anche Squillaci, La circostanza aggravante della c.d. agevolazione mafiosa nel prisma del principio costituzionale di offensività, in Arch. pen., 2011, p. 15.
[8] Guerini - Insolera, Diritto penale e criminalità organizzata, Giappichelli, 2019, p. 132.
[9] Una forma di responsabilità che si pone, come noto, in contrasto con i principi di legalità e colpevolezza: sul punto si veda Pelissero, Il concorso doloso mediante omissione: tracce di responsabilità di posizione, in Giur. it., 2010, p. 978 ss.; con riferimento alle forme di responsabilità da posizione nel contesto associativo e mafioso, cfr. Iacoviello, Il concorso eventuale nel delitto di partecipazione ad associazioni per delinquere, in Cass. pen., 1995, p. 263.
[10] Sez. un., 24 aprile 2014, n. 38343, in Cass. pen., 2015, p. 4624 ss., con nota di De Francesco, Dolo eventuale e dintorni: tra riflessioni teoriche e problematiche applicative, che, come noto, ha suscitato un variegato dibattito nel campo dottrinale: cfr. anche Bartoli, Luci ed ombre della sentenza delle Sezioni unite sul caso "Thyssenkrupp", in Giur. it., 2014, p. 2566 ss.; De Vero, Dolo eventuale e colpa cosciente: un confine tuttora incerto. Considerazioni a margine della sentenza delle Sezioni Unite sul caso ThyssenKrupp, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, p. 77 ss.
[11] Bricola, Dolus in re ipsa. Osservazioni in tema di accertamento e di oggetto del dolo, Giuffré, 1960, p. 28; Pecoraro Albani, Il dolo, Jovene, 1955, p. 325 ss.; da ultimo Pulitanò, Diritto penale, V° ed., Giappichelli, 2013, p. 315: «Il contenuto tipico del dolo eventuale deve avere un afferrabile contenuto intellettivo e volitivo». Peraltro, una ricostruzione in questo senso della nozione di dolo eventuale sarebbe operativa già sul terreno della tipicità penale, ex artt. 42 e 43 c.p.: così Raffaele, op. cit., p. 420, anche sulla scorta del pensiero di Canestrari, Dolo eventuale e colpa cosciente. Ai confini tra dolo e colpa nella struttura delle tipologie delittuose, Giuffré, 1999, p. 71.
[12] Ad una simile conclusione applicativa era giunto il Pubblico Ministero nelle sue note d'udienza, passando però da una diversa lettura della norma, che non transitava dai "motivi a delinquere": la circostanza dovrebbe essere classificata «come “oggettiva” in quanto ex art. 70 c.p. afferente a “la gravità del danno o del pericolo”, se si facesse riferimento al bene giuridico preso in considerazione nella previsione normativa», applicando in tal modo ai compartecipi «il generale regime di imputazione minimo delle aggravanti di cui al secondo comma dell'art. 59 c.p.».
[13] Confronto che d'altro canto era stato sollecitato dal Pubblico Ministero, per cui la Corte avrebbe dovuto vagliare, tra l'altro, la questione dei «rapporti tra la ritenuta necessità di un dolo specifico dell’aggravante qualificata, come soggettiva e la giurisprudenza di codeste sezioni unite che hanno considerato il dolo specifico di agevolazione dell’associazione come componente strutturale del reato di concorso esterno in associazione mafiosa».
[14] Ad es. Siracusano, Il concorso esterno e le fattispecie associative, in Cass. pen., 1993, p. 1875, afferma che una volta elaborato per via giurisprudenziale o addirittura tipizzato, il concorso esterno potrebbe soppiantare la speculare figura circostanziale di carattere agevolativo.
[15] Sez. un., 12 luglio 2005, n. 33748, in Cass. pen., 2005, p. 3732 ss.
[16] Sez. un., 5 ottobre 1994, n. 16, in Cass. pen., 1995, p. 842 ss.
[17] Sul punto De Vero, Il concorso esterno in associazione mafiosa tra incessante travaglio giurisprudenziale e perdurante afasia legislativa, in Dir. pen. e proc., 2003, p. 1327 ss.; Maiello, Concorso esterno in associazione mafiosa: la parola passi alla legge in AA.VV. Scenari di mafia, a cura di Fiandaca e Visconti, Giappichelli, 2010, p. 172; volendo, si veda inoltre Apollonio, Potere politico e leggi antimafia nella Seconda Repubblica, in Apollonio (a cura di), Processo e legge penale nella Seconda Repubblica, Carocci, 2015, p. 142.
[18] Amarelli, La contiguità politico-mafiosa. Profili politico criminali, dommatici e applicativi, Dike, 2016, p. 62, afferma che l'ampiezza applicativa dell'aggravante in parola generalmente riesce a fornire una «risposta sanzionatoria proporzionata alla gravità dei fatti rispetto a tutte le condotte, oggettivamente o soggettivamente, riconducibili nella sfera della contiguità politico-mafiosa». Un'affermazione che oggi rinviene nuova linfa nella sentenza in commento.
[19] Sarebbe limitativo, non fosse altro che per il disvalore che promana ed il bene giuridico protetto (lo stesso del reato di associazione mafiosa), indicarla come un elemento che sta "attorno" al reato, al pari di qualsiasi altra circostanza.
[20] Una tesi che, volendo, è già stata evocata in Apollonio, Il metodo mafioso nello spazio transfrontaliero. Il problema dei rapporti tra l'aggravante di cui all'art. 7 d.l. 152/1991 e quella della transnazionalità (art. 4 L. 146/2006), in Dir. pen. cont., 1, 2018, p. 11.
[21] Una tale tecnica compilativa nei reati a sfondo mafioso, con riferimento alla tipizzazione dell'elemento soggettivo, è stata presa in esame da Marino, "Il "filo di Arianna". Dolo specifico e pericolo nel diritto penale della sicurezza, in Dir. pen. cont., 6, 2018, p. 61: «l’apicalità dei beni coinvolti nei settori, ad esempio, della mafia e del terrorismo, spiega il ricorso legislativo al paradigma anticipatorio».
[22] Se è vero che occorre sempre calibrare il giudizio sul bene giuridico tutelato, sfuggendo alla tentazione - che da sempre aleggia nel campo dei reati di pericolo astratto o presunto - di giungere a conclusioni perentorie «su base ontologica»: così Manes, Il principio di offensività nel diritto penale. Canone di politica criminale, criterio ermeneutico, parametro di ragionevolezza, Giappichelli, 2005, p. 289; Fiandaca, La tipizzazione del pericolo, in Dei delitti e delle pene, 1984, p. 454 ss.