Prevedibilità della giustizia e costi per la società di Elisa Arbia
L’autrice affronta il tema della prevedibilità della giustizia sotto il profilo degli effetti economici ad essa collegati, analizza gli effetti degli interventi legislativi che si susseguono senza studio di impatto e degli interventi legislativi ambigui e di difficile interpretazione. Illustra infine come attraverso decisioni giurisprudenziali c.d. manipolative, tanto a livello europeo che a livello nazionale, si tenti di contenere i costi a carico della società derivanti dall’imprevedibilità.
Sommario 1. Prevedibilità della giustizia e certezza del diritto. - 2. Prevedibilità sotto un profilo di efficienza economica. - 3. Modulazione degli effetti, quale correttivo dell’imprevedibilità degli esiti giurisprudenziali: Caso Defrenne v. Sabena. - 4. Modulazione degli effetti, quale correttivo dell’imprevedibilità degli esiti giurisprudenziali: Caso della Illegittimità costituzionale della c.d. Robin Tax - 5. Conclusioni
1. Prevedibilità della giustizia e certezza del diritto
La prevedibilità della giustizia, quale logico corollario del principio della certezza del diritto, è principio immanente dell’ordinamento, destinato ad avere un profondo impatto sull’agire degli operatori economici.
A livello europeo, diverse sono le fonti giuridiche dalle quali è riconosciuto: in particolare l’articolo 7 della CEDU, e l’articolo 49 della Carta di Nizza così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. Nel caso TAGARAS la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato: “tale principio, che forma parte integrante dell'ordinamento giuridico comunitario, esige che ogni atto dell'amministrazione che produca effetti giuridici sia chiaro, preciso e portato a conoscenza dell'interessato in modo tale che questi possegga la certezza del momento a decorrere dal quale l'atto stesso esiste ed è produttivo di effetti giuridici, segnatamente in riferimento all'esperibilità dei mezzi di impugnazione apprestati dalle norme […] [3]”.
A ben vedere, quando si parla di certezza del diritto non si parla solo della certezza della legge, ma anche della sua applicazione attraverso la prassi decisionale degli organi amministrativi e la giurisprudenza delle corti. Se analizzato sotto la lente della prevedibilità, tale principio assume, dunque, una duplice connotazione. Da una parte vincola il legislatore a formulare regole giuridiche determinate, chiare e precise, dall’altro vincola il giudice ad “un interpretazione ragionevole”, ovvero al dovere di scegliere in maniera prevedibile la giusta regola di diritto da applicare al caso concreto, assicurando coerenza applicativa: ogni persona deve essere posta in condizione di valutare e prevedere in base alle norme generali dell’ordinamento le conseguenze giuridiche della propria condotta. Esso costituisce, dunque, un valore al quale lo Stato deve tendere per garantire la libertà dell’individuo e l’uguaglianza di fronte alla legge.
All’interno del principio di certezza del diritto si dipanano quali corollari il principio del legittimo affidamento e non retroattività della legge, il principio di determinatezza e prevedibilità, ed il principio di coerenza applicativa. Diversi sono i risvolti concreti del principio di certezza del diritto: la tutela della libertà personale, attraverso la protezione degli individui dall’esercizio arbitrario del potere da parte dello Stato; la deterrenza, permettendo agli individui di comprendere quale condotta sia proibita; la fiducia nella legge; e, sotto un profilo economico, la riduzione dei costi e una migliore pianificazione delle attività economiche, sia a livello individuale che di governo. In questo senso, il principio non mira solo ad assicurare il rispetto della legge, quale funzione deterrente ma anche permettere che gli operatori economici compiano scelte razionali[4].
Le considerazioni sinora svolte devono essere vagliate anche alla luce di una prospettiva dinamica. Partendo dall’assunto che la regola giuridica sia chiara e determinata, e quindi prevedibile, è necessario, infatti, porre l’accento sullo ius superveniens. Modifiche legislative o degli ordinamenti consolidati spesso sono necessarie alla mutata realtà sociale, ma inevitabilmente incidono sulla prevedibilità. Vi è, infatti, un aggiustamento dell’esito giudiziario rispetto a cambiamenti che riguardano la società.
La mancanza di un riadattamento del diritto (sia attraverso un intervento legislativo che attraverso un’interpretazione aggiornata da parte delle corti) comporta un’inefficienza economica tanto maggiore, quanto maggiore è la discrepanza tra diritto applicato e realtà sociale, e, in questo senso, spesso l’affidamento alle regole esistenti deve essere sacrificato all’esigenze derivanti dai cambiamenti che accompagnano la società.
Al riguardo il quesito che bisogna porsi è dunque in che modo innovazioni giurisprudenziali, accompagnate da una riduzione della prevedibilità, siano efficienti economicamente. In particolare, è utile interrogarsi su quali parametri devono essere presi in considerazione per valutare l’efficienza economica di una modifica legislativa o giurisprudenziale.
2. Prevedibilità sotto un profilo di efficienza economica
Al fine di rispondere a tali interrogativi in dottrina, è stato rilevato che se da una parte i c.d. costi di affidamento aumentano con l'incertezza del diritto e la perdita di beni acquisiti a causa di una legge successivamente abrogata, dall’altra troppa aderenza alla legge determina il radicamento di regole che potrebbero diventare nel tempo inefficienti a causa del cambiamento sociale[5].
In termini di efficienza, quindi, si dovrebbe dare corso a cambiamenti legislativi o interpretativi solo quando i benefici (B) post modifica al netto dei costi (C), siano superiori ai benefici di mantenere inalterata la disciplina normativa al netto dei costi[6], ovvero:
B after – Cafter > B now – C now , non essendo sufficiente che B after > C now .
Sotto il profilo dei costi, in particolare, è possibile rintracciarne tre voci. In prima battuta devono essere considerati i c.d. costi transattivi, ovvero i costi sopportati dalle istituzioni nel redigere un nuovo testo normativo e monitorarne l’applicazione, nonché dalle corti nel compiere una svolta interpretativa. Si tratta di costi di trasmigrazione, c.d. switching cost, tipici nei mercati dei beni, ma che possono estensivamente essere valutati anche in relazione al “mercato legale”. Il fenomeno che può verificarsi è quello della c.d. path dependence, in forza della quale modifiche degli orientamenti che sarebbero benefiche alla luce di modificate situazioni sociali, non vengono compiute a causa degli alti costi di trasmigrazione.
Inoltre, vi sono i c.d. costi di affidamento: in alcuni casi si tratta di costi che non possono essere esclusi, come nel caso dei costi sostenuti dagli attori economici che compiono investimenti sulla base dell’attuale scenario legislativo e dei risvolti processuali prevedibili in quel dato momento. In questo senso investimenti effettuati alla luce della normativa vigente e dell’interpretazione che ne è invalsa, diventano una perdita economica netta nel caso in cui ci sia un’inversione di rotta. Questo potrebbe rappresentare un incentivo economico degli operatori a investire di meno.
In altri casi, però, tali costi sono ulteriormente aggravati da un minore prevedibilità del cambiamento nell’orientamento del giudice, e quindi nei casi di incertezza del diritto, di incoerenza interpretativa o poca chiarezza del dettato normativo. In questo caso il costo è maggiore poiché viene meno l’affidamento degli operatori economici su un’interpretazione normativa. Quando le leggi sono scritte male o quando sono difficilmente comprensibili, gli attori economici non possono basarsi in modo ottimale su di esse e quindi sopportano alcuni costi di interpretazione ex post tendenzialmente superiori ai costi risparmiati nella redazione ex ante.
Infine, deve essere considerato il c.d. costo del rischio. L’attitudine risk adverse degli operatori del diritto in relazione agli esiti non predicibili delle modifiche normative/interpretative comporta l’aumento di costi per la società per assicurarsi contro cambiamenti imprevisti, aumentando così il costo sociale complessivo relativo alle interazioni economiche. Questi costi concernono sia il costo derivante dalla necessità di assicurarsi rispetto a esiti giudiziari / modifiche legislative non prevedibili, che la riluttanza ad avere modifiche normative anche se desiderabili da un punto di vista di efficienza. Poiché (inefficienti) comportamenti opportunistici sono possibili solo nel tempo delle incertezze, l'imprevedibilità e l'inefficienza dei comportamenti opportunistici inducono le persone avverse al rischio a non entrare in rapporti giuridici che comportano tali incertezze.
Alla luce dei menzionati costi, è possibile concludere che il principio di certezza del diritto, e la prevedibilità della regola giuridica applicabile al caso concreto risponde ad una logica di efficienza economica (sia dal punto statico – allocativa e produttiva -, che dinamico – in termini di incentivi-) solo quando i sopra menzionati costi risultano essere minimizzati.
L’analisi sinora proposta rappresenta un passaggio essenziale quando si tratta di valutare l’impatto di una riforma legislativa, mostrando l’importanza di uno studio di impatto che di fatto è sembrato mancare in tutti i casi di interventi normativi registrati in Italia nell’ambito del processo civile e del processo penale. I governi che si sono succeduti negli ultimi decenni sono, infatti, intervenuti sul rito civile e penale, con l’obiettivo della “semplificazione” e dell’“efficienza” del processo, senza alcuno studio dell’impatto sui costi a carico della società derivanti dalle modifiche normative introdotte, in materia di formazione degli operatori, di rischio di errore interpretativo e in termini di prevedibilità della decisione.
Nessuna verifica di impatto economico è stata mai effettuata con riguardo alle riforme, né si è considerato che detti costi avrebbero potuto più efficacemente essere sostenuti per implementare le risorse disponibili considerato che, secondo la costante affermazione degli studiosi e degli operatori del diritto, l’irragionevole durata dei processi in Italia dipende dalla carenza di risorse umane e materiale e non già dalla disciplina del rito.
Ulteriore aspetto meritevole di considerazione è quello della necessità di coniugare le suddette valutazioni con il criterio di efficienza (o di compensazione) di Kaldor-Hicks, secondo il quale, una modificazione nell'allocazione delle risorse è efficiente se il benessere ottenuto da alcune componenti supera le perdite di benessere subite da altri componenti. Perché vi sia efficienza è fondamentale che coloro che subiscono una perdita di benessere siano compensati da coloro verso i quali la modificazione dell'allocazione ha operato favorevolmente[7].
In conclusione, una modifica legislativa e degli orientamenti interpretativi è efficiente quando questi costi sono minimizzati, e in generale quando chi subisce dei peggioramenti è compensato. Come avviene questo? Secondo la richiamata dottrina attraverso il risarcimento della violazione del legittimo affidamento e nella modulazione degli effetti del giudicato. In questo senso sarebbe possibile pervenire alla conclusione che non sempre l’imprevedibilità, se corretta, si accompagna ad inefficienza economica.
3. Modulazione degli effetti, quale correttivo dell’imprevedibilità degli esiti giurisprudenziali: Caso Defrenne v. Sabena[8]
Un esempio importante in questo senso è rappresentato dallo storico caso Defrenne v. Sabena. La questione riguardava un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea da parte del giudice belga, con il quale era stato sollevato il quesito dell’applicabilità della norma del Trattato di Roma che vieta la discriminazione in base al sesso, art. 119 TFUE, ai rapporti tra privati e se, nel caso di specie, la diversa età pensionistica per uomini e donne prevista dalla compagnia aerea Sabine rappresentasse una violazione di simile norma[9].
La questione aveva coinvolto tutti gli Stati, che si erano schierati a sostegno della compagnia aerea Sabena, dal momento che una eventuale pronuncia in favore del ricorrente, Defrenne, avrebbe esposto a rischio economico molte altre compagnie aeree.
Secondo l’opinione espressa dall’Avvocato Generale, tuttavia la Corte non avrebbe dovuto essere forviata dalla prospettazione economiche e politiche dei Paesi Membri, né cedere di fronte a quella che a suo avviso rappresentava in realtà una vera e propria discriminazione. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea disattese, tuttavia le conclusione dell’Avvocato Generale e percorse una terza via affermando che, sebbene dal trattato emergesse un nuovo diritto immediatamente applicabile anche nei rapporti tra privati, la Corte avrebbe potuto limitare per il passato gli effetti delle proprie sentenze anche nel caso di sentenze interpretative (e quindi non solo, come fino ad allora ammessa ex 174 TFUE nel caso di decisioni di annullamento) sia ratione temporis che ratione personae. L’articolo 174 TFUE è, infatti, espressione di un principio generale dal quale discende il potere in capo alla Corte di determinare l’efficacia temporale delle proprie sentenze.
La Corte quindi, rilevando che il riconoscimento dell'efficacia diretta dell'art. 119, con effetto retroattivo, avrebbe potuto avere, nella situazione dei datori di lavoro, ripercussioni tali da pregiudicare l'economia degli Stati membri, concluse che “eccezion fatta per i lavoratori che abbiano già promosso un'azione giudiziaria o proposto un reclamo equipollente, l'efficacia diretta dell'art. 119 non può essere fatta valere a sostegno di rivendicazioni relative a periodi di retribuzione anteriori alla data della presente sentenza”.
4. Modulazione degli effetti, quale correttivo dell’imprevedibilità degli esiti giurisprudenziali: Caso della Illegittimità costituzionale della c.d. Robin Tax [10]
A livello nazionale, la necessità di modulare gli effetti di sentenze dichiarative di incostituzionalità è emersa con particolare forza nel caso della pronuncia della Corte Costituzionale nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 81, commi 16, 17 e 18, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria). La sentenza n. 10 del 2015, infatti, rappresenta il primo caso in cui la Corte Costituzionale si è esplicitamente riconosciuta la facoltà di modulare gli effetti temporali delle proprie decisioni. Alla base di simile intervento, vi sono una serie di considerazioni che rispondono a valutazioni in termini di efficienza economica. La Corte, infatti, dispone che «[…] la cessazione degli effetti delle norme dichiarate illegittime dal solo giorno della pubblicazione della presente decisione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica risulta, costituzionalmente necessaria allo scopo di contemperare tutti i principi e i diritti in gioco, in modo da impedire “alterazioni della disponibilità economica a svantaggio di alcuni contribuenti ed a vantaggio di altri […] garantendo il rispetto dei principi di uguaglianza e di solidarietà, che, per il loro carattere fondante, occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con gli altri valori costituzionali” (sentenza n. 264 del 2012). Essa consente, inoltre, al legislatore di provvedere tempestivamente al fine di rispettare il vincolo costituzionale dell'equilibrio di bilancio, anche in senso dinamico (sentenze n. 40 del 2014, n. 266 del 2013, n. 250 del 2013, n. 213 del 2008, n. 384 del 1991 e n. 1 del 1966), e gli obblighi comunitari e internazionali connessi, ciò anche eventualmente rimediando ai rilevati vizi della disciplina tributaria in esame».
Scopo della Corte è quindi giungere a quell’equilibrio costi/benefici e, in ultima istanza, evitare che si creino effetti ancora più incompatibili con la Costituzione di quelli che hanno indotto a censurare la disciplina.
5. Conclusioni
In conclusione, a seguito della breve disanima sinora svolta sembra che nel contemperamento tra esigenze di prevedibilità e di efficienza economica le Corti compiano uno sforzo al fine di modulare gli effetti delle proprie decisioni destinate ad avere un significativo impatto economico sulla società in certi casi compiendo una valutazione di impatto dei costi sociali più attenta di quella spesso compiuto dal legislatore nell’ambito di riforme sistemiche (come quelle del rito civile e penale).
Una simile modulazione degli effetti risulta, infatti, essenziale al fine di migliorare l’efficienza economica di scelte legislative o interpretative in sede applicativa.
Nei casi in cui manca un simile correttivo, al contrario, si può assistere ad una divaricazione tra scelte giurisprudenziali ed efficienza economica. A tal riguardo è utile richiamare come in dottrina sia stata rilevata la totale imprevedibilità di alcuni esiti decisionali in materia di concorrenza, prima fra tutto la decisione sul caso Google Search[11] attraverso la quale la Commissione ha imposto una sanzione record di €2.42 miliardi per violazione dell’articolo 102 TFEU. Il problema era quello dell’inquadramento tra le fattispecie anti concorrenziali della condotta di Google, la quale avrebbe favorito il proprio servizio di comparazione dei prezzi Google shopping a discapito delle proprie concorrenti, abusando della propria posizione di dominanza nell’attiguo mercato della ricerca su internet.
Si tratta di un’area dove la protezione della certezza del diritto e la necessaria prevedibilità deve essere bilanciata con la necessità di assicurare una repressione di nuove condotte di mercato, al passo con il nuovo sviluppo tecnologico e sociale. Tuttavia, è stato in dottrina rilevato come una modulazione degli effetti, anche attraverso l’adozione dei c.d. programmi di clemenza o attenuanti, avrebbe potuto ricondurre la decisione entro margini di maggiore prevedibilità, evitando elevati costi che potrebbero avere anche ricadute sociali in termini di disincentivo all’innovazione[12].
[1] Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Grande Camera), del 15 giugno 1978, caso Defrenne v Sabena, C-149/77.
[2] Sentenza della Corte Costituzionale del 9 febbraio 2015, n.10/2015.
[3] Sentenza del Tribunale Della Funzione Pubblica Dell’Unione Europea (Prima Sezione) 15 giugno 2010, C-18/89.
[4] Caringella, Manuale di Diritto Amministrativo, Dike, 2018.
[5] O. Gough e J. Tanega, The principle of legal certainty as a principle of economic efficiency Aurelien Portuese, in European Journal of law and economics, 2017, 44, 131–156.
[6] Becker, Nobel Lecture: The Economic Way of Looking at Behavior, in The Journal of Political Economy Vol. 101 (1993) 385-409.
[7] Posner, Economic Analysis of Law, 9° edizione (Wolters Kluwer 2014), capitoli 1 & 2; Veljanowski, The Economics of Law 2° edizione (iea 2006), 44-80.
[8] Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Grande Camera), del 15 giugno 1978, caso Defrenne v Sabena, C-149/77.
[9] Tesauro, Diritto dell’Unione Europea, Cedam, 2012.
[10] Sentenza della Corte Costituzionale del 9 febbraio 2015, n.10/2015.
[11] Decisione della Commissione Europea del 27 giugno 2017, caso Google Search, AT.39740.
[12] Wills, The Increased Level of Antitrust Fines, Judicial Review, and the European Convention on Human Rights, World Competition, 33(1)/2010, 5. Sul punto si rinvia a Ezrachi, EU Competition Law Goals and the Digital Economy, Oxford Legal Studies Research Paper, 17/2018; Petit, Are 'FANGs' Monopolies? A Theory of Competition under Uncertainty, 7 luglio 2019 disponibile su SSRN: https://ssrn.com/abstract=3414386.