Pubblico e privato nella gestione dell’emergenza pandemica (nota a TAR Lazio, sez. III, 26 ottobre 2020, n. 10933)
di Fabiola Cimbali
Sommario: - 1. Il confronto fra autonomie nella risk regulation - 2. Principio di sussidiarietà e strategie di contenimento del rischio sanitario - 3. Emergenza pandemica e metodo di gestione “integrata” del rischio sanitario
1. Il confronto fra autonomie nella risk regulation
L’aumento esponenziale di provvedimenti emergenziali, registratosi negli ultimi anni per far fronte a calamità ed eventi eccezionali e che, di per sé, presenta numerosi profili di criticità, ha subito una ulteriore implementazione nell’attuale contesto ordinamentale così come profilatosi a seguito della diffusione del virus Covid 19.
In tale cornice si è assistito, oltre ad un ulteriore aggravamento della crisi della rappresentanza già riscontrata da tempo (al di là, cioè, della vicenda emergenziale in atto), ad una accentuazione dell’antinomia tra la tendenza alla decisione politica monocratica e l’eterodeterminazione del contenuto della decisione politica sul rischio epidemico. È nota, infatti, la tendenza avvertita nelle decisioni assunte dai rappresentanti di governo di porre le indicazioni scientifiche a fondamento delle scelte adottate quand’anche, come nel caso dell’epidemia in corso, queste ultime siano prive di un ancoraggio scientifico univoco in ordine alla prevenzione ed alla gestione dei rischi per la salute umana[1].
L’inadeguatezza della scienza di fornire indicazioni “sicure” e soluzioni “inequivocabili” sui possibili pericoli e danni che possono derivare dall’espletamento di talune attività ha finito con il mettere in dubbio la deferenza del diritto ai portati tecnico-scientifici sulla quale era stata imperniata la teorizzazione della “società del rischio”[2].
In ragione di ciò, in un contesto segnato da una evidente incertezza scientifica, la discrezionalità del decisore pubblico, pur dovendosi conformare al principio di precauzione, non resta ineluttabilmente vincolata alle risultanze della valutazione del rischio[3].
Ciò nondimeno il percorso valutativo volto all’assunzione di idonee misure precauzionali deve essere condotto in modo trasparente ritenendosi tale metodo funzionale a favorire un confronto costruttivo ed aperto fra i diversi fattori (scientifici e non) sui quali dovrà basarsi la scelta pubblica.
Detta valutazione scientifica, che si snoda nelle fasi di identificazione e di caratterizzazione del pericolo, nonché in quelle di valutazione dell’esposizione al rischio e della sua connotazione, vede nella individuazione delle modalità attraverso le quali gestire quest’ultimo, nonché nell’analisi delle possibili alternative di intervento, il tratto qualificante dell’approccio precauzionale[4].
L’omessa valutazione del rischio, perciò, conducendo ad una determinazione assunta in violazione del principio di precauzione, ne determina l’illegittimità non giovando a salvaguardarla sul piano della sua validità la circostanza che il provvedimento di natura precauzionale nel quale essa si invera sia adottato in costanza di situazioni “eccezionali”[5].
L’attuale quadro ordinamentale delineatosi per effetto degli anomali contorni assunti dalla pandemia, oltre ad un ripensamento dei rapporti tra scienza, politica, ed amministrazione[6], rende indispensabile indagare da una visuale differente il possibile coinvolgimento dei privati nella strategia di contenimento del rischio sanitario.
Tale analisi è oltremodo essenziale giacchè la vocazione neopubblicista riscontrata da ultimo è spesso sfociata in una sorta di pubblicizzazione delle relazioni sociali di portata generale con la conseguenza di offuscare ogni proficua lettura del principio di sussidiarietà orizzontale nella “delimitazione” e nella gestione dell’emergenza epidemica[7].
La cornice pandemica rappresenta un (seppure inusuale e “spinoso”, ma) utile banco di prova per collaudare la concreta applicazione del citato principio costituzionale nella gestione del rischio sanitario principalmente nell’ottica di cogliere le potenzialità del contributo e di appurare l’incidenza degli interventi dei soggetti privati.
In questa logica tale ambito rappresenta, inoltre, terreno nel quale sperimentare la coniugazione del richiamato principio con quello di precauzione in ragione dei vicendevoli punti di interazione.
Siffatti profili di interlocuzione possono, infatti, trovare emblematica estrinsecazione in contesti come quello in esame laddove si avverte una incidenza del principio di precauzione sull’attività degli operatori economici[8].
In particolare, il loro intervento non può essere concepito unicamente come proteso al conseguimento del profitto in netta contrapposizione dell’interesse pubblico conseguito esclusivamente dalle pubbliche amministrazioni.
Il principio di sussidiarietà nella sua accezione orizzontale, dunque, non può essere invocato per avallare la tesi di una sostituzione del privato al pubblico o di una alternativa di “azione” pubblica o privata, quanto piuttosto per favorire una impostazione delle questioni concernenti la gestione del rischio epidemico alla luce di una cooperazione fra le due sfere.
Del resto, la paventata pretermissione del principio di sussidiarietà orizzontale appare in evidente controtendenza rispetto al significato progressivamente avvertito della collaborazione pubblico-privato in diversi settori dell’ordinamento e nel percorso di certificazione della sicurezza in particolare.
L’apporto virtuoso di soggetti diversi da quelli pubblici, difatti, è adeguatamente messo in risalto sul fronte della laboratoristica privata nei processi di screening di intere categorie della popolazione attraverso test molecolari (c.d. tamponi) e di tipo sierologico[9].
Tuttavia, mentre a livello “centrale” si è inteso promuovere il percorso che sottopone ai test soltanto i soggetti sintomatici[10], in ambito regionale, è stata attuata una diversa strategia preventiva che estende tale esame ad intere categorie di popolazione[11].
A tal fine sono state promosse “forme di collaborazione” da parte dei laboratori privati mediante apposite procedure volte a selezionare quelli dotati di standard qualitativi adeguati sul fronte organizzativo, in termini di strumentazione e di risorse umane.
Il compito delle strutture private si sostanzia nell’espletamento di una attività analitica le cui risultanze vengono messe a disposizione esclusivamente delle amministrazioni pubbliche che, una volta acquisite, ne tengono conto nelle disposizioni sulle possibili “riaperture” dei loro territori.
Tuttavia, al fine di garantire una gestione omogenea del rischio pandemico, tale tecnica preventiva ha implicato il mantenimento in capo alle Regioni della funzione di controllare e gestire i dati e le informazioni concernenti i risultati ottenuti.
In altri casi, invece, le Regioni hanno preferito adottare modelli parzialmente differenti da quello appena descritto in cui i laboratori privati effettuano i test sierologici, mentre è rimessa alle strutture pubbliche la funzione di processare i c.d. tamponi[12].
Prescindendo da uno specifico giudizio sulla qualità degli “schemi” verso cui è stata orientata la preferenza delle Regioni, l’impostazione che fa leva su un metodo di differenziazione territoriale, rinsalda l’idea di una strutturazione del servizio sanitario su “base regionale” e ridà vitalità ad una riflessione su un approccio alla gestione del rischio pandemico in grado di valorizzare l’apporto qualificato dei soggetti privati.
2. Principio di sussidiarietà e strategie di contenimento del rischio sanitario
Le esperienze regionali incentrate “sull’inserimento” delle strutture private accreditate nel “sistema” dell’organizzazione sanitaria pubblica presentano profili di particolare rilievo in merito ai quali anche la giurisprudenza, in occasione di un suo sindacato giurisdizionale su specifiche vicende processuali, non ha mancato di offrire il proprio contributo valorizzandone le possibili declinazioni.
In questo solco si pongono quelle pronunce con le quali il giudice amministrativo si è espresso riguardo all’indagine di mercato condotta per l’analisi dei tamponi orofaringei volti all’attività di screening o in merito alla qualificazione degli accordi pubblico-privato intervenuti al fine di procedere alla elaborazione di nuovi test molecolari e sierologici per la diagnosi di infezione da SARS-Cov-2 anche per le implicazioni che essa presenta sull’aspetto della concorrenza fra gli operatori economici presenti nel mercato[13].
Su un piano che trascende dalle modalità attraverso le quali realizzare l’inserimento dei soggetti privati nel “circuito sanitario” e che investe, invece, quello sostanziale relativo alle rifluenze di tale “operazione” sulla gestione del rischio epidemico possono essere richiamati i principali passaggi argomentativi contenuti nelle determinazioni giurisdizionali riguardanti i modelli regionali scelti per consentire ai laboratori privati di effettuare e processare i test sierologici.
Fra queste è alquanto significativa quella sulla vicenda nella quale la società ricorrente, Artemisia s.p.a., aveva impugnato l’ordinanza del Presidente della Regione Lazio (n. Z0003 del 6 maggio 2020) con la quale l’esecuzione di esami molecolari per la ricerca del virus era stata affidata esclusivamente alla rete di laboratori CoroNET-Lazio.
Successivamente l’ente resistente aveva chiarito che alle strutture, pur autorizzate all’esercizio di detta attività diagnostica, non inserite nella rete CoroNET non era consentito eseguire tamponi nasofaringei e/o orofaringei per la diagnosi di laboratorio del virus SARS-CoV-2. Detto esame, conseguentemente, avrebbe potuto essere espletato solo da laboratori inclusi all’interno di uno specifico percorso diagnostico-assistenziale di tipo regionale.
Nello specifico, per effetto dei provvedimenti regionali impugnati, sebbene la struttura ricorrente fosse abilitata ad effettuare i test per l’identificazione di anticorpi diretti verso il virus SARS-CoV-2, alla stessa di fatto veniva precluso di effettuare tale tipo di esame.
Tuttavia il segnale di una apertura da parte dell’autorità decidente verso una formula applicativa estensiva del principio di sussidiarietà orizzontale, che appare netta nella fase giurisdizionale di merito, si presenta non univocamente definita nell’ambito del giudizio cautelare.
In quest’ultima sede, in un primo momento, il giudice non aveva condiviso le ragioni poste a fondamento dei provvedimenti limitativi dello svolgimento degli esami molecolari per la ricerca del virus e non aveva considerato adeguatamente “alimentata” l’argomentazione fondata sull’esigenza di assicurare un grado di elevatissima professionalità, né quella, in ragione della numerosità degli esami, di limitare il numero dei c.d. falsi positivi destinati a crescere all’aumentare del numero dei dati elaborati.
A riguardo, inoltre, aveva osservato come il divieto per le strutture sanitarie private di eseguire test molecolari contrastasse con il principio di libertà dell’utente di scegliere la struttura di fiducia per la fruizione dell’assistenza sanitaria.
Detta preclusione avrebbe potuto essere superata soltanto in presenza di effettive ragioni che ne avessero giustificato la restrizione, basate su un adeguato apparato motivazionale a supporto del provvedimento e «nella presupposta, oggettiva valutazione dell’interesse pubblico finalizzato alla tutela del diritto alla salute».
L’istanza cautelare, dunque, veniva accolta giacchè «nel bilanciamento degli interessi coinvolti era considerato prevalente l’interesse pubblico ad effettuare il maggior numero di esami possibile», tanto più che ciò non avrebbe implicato oneri per le finanze pubbliche, né avrebbe limitato l’accesso ai reagenti per le strutture del servizio sanitario. In quest’ottica, pertanto, veniva evidenziata l’utilità di una «rilevazione mediante esami “altri” rispetto a quelli comunemente previsti ed eseguiti per la individuazione del paziente contagiato»[14].
Successivamente, seguendo una logica argomentativa differente, tale ordinanza veniva sospesa prima in sede monocratica e poi in sede collegiale, in quanto la decisione assunta in ambito regionale di apprestare un sistema diagnostico specialistico a carattere pubblico sembrava maggiormente idonea a garantire in modo più tempestivo il coordinamento del servizio di analisi e dei relativi flussi informativi, nonché ad assicurare «la piena e più sollecita soddisfazione, nella situazione data, dell’interesse primario tutelato (diritto alla salute, art. 32 Cost.), quale istanza prevalente su quelle antagoniste evocate dalla parte appellata»[15].
Di tutt’altro tenore argomentativo e di più ampio respiro applicativo del principio costituzionale di sussidiarietà in una declinazione che ne consente di apprezzare la correlazione con quelli di precauzione e di proporzionalità può considerarsi la pronuncia con la quale il TAR Lazio ha deciso in primo grado il merito della sopra descritta vicenda giuridica, accogliendo le richieste della società ricorrente[16].
In questo contesto giurisdizionale è stato chiarito preliminarmente come le misure adottate dai vari gradi di competenza istituzionale fossero state assunte privilegiando l’applicazione ora del principio di proporzionalità, ora quello di prevenzione, a seconda dello stadio emergenziale riscontrato. Inoltre, sono state delineate la differente portata concettuale e le condizioni di applicazione del principio di precauzione indicate dalla Comunicazione della Commissione europea del 2 febbraio 2000, così da poterne tracciare una linea discretiva rispetto a quello di prevenzione[17].
La pronuncia con la quale è stato definito in primo grado il merito, pur condividendo alcune considerazioni iniziali poste alla base della decisione cautelare di secondo grado, da quest’ultima si è discostata nelle conclusioni cui essa è pervenuta.
Analogamente a quanto chiarito nella fase giurisdizionale cautelare è stata riconosciuta prevalenza ad una azione precauzionale quand’anche essa incida, comprimendola, sulla libera determinazione dell’iniziativa economica e sulla libera scelta da parte del cittadino tanto delle modalità di tutela della propria salute, quanto del medico[18].
Ciò nella consapevolezza che il diritto alla salute, valore costituzionale primario e non negoziabile, nei limiti e nei modi ritenuti di volta in volta indispensabili, può giustificare determinate limitazioni dell’esercizio di altri diritti e libertà anch’essi costituzionalmente rilevanti quali quelli alla circolazione o all’iniziativa economica privata in regime di piena concorrenza.
In questa cornice viene, comunque, condivisa la preoccupazione esternata dalla Regione nella specifica fase dell’emergenza sanitaria e trasfusa nei provvedimenti impugnati di aumentare il numero dei tamponi, riducendone quanto più possibile i tempi per poterli processare, così come quella di consolidare l’affidabilità del processo di tracciatura dei flussi dei dati sia in chiave preventiva nell’individuazione di nuovi focolai, sia allo scopo di alimentare la banca dati dell’O.M.S.
Ciò nondimeno, per l’autorità giurisdizionale decidente, soprattutto dinanzi ad una riscontrata impennata dei contagi che rendeva indispensabile concretizzare l’interesse nazionale di massimizzare il numero delle verifiche così da procederne ad un tracciamento attendibile, è essenziale aprire il sistema sanitario all’apporto dei laboratori privati in grado di effettuare tali tipi di riscontri diagnostici.
Né a tali conclusioni sarebbe d’ostacolo il rischio di una disomogeneità dei dati relativi al tracciamento ricadendo esclusivamente sulla Regione il compito di stabilire le metodologie ritenute cogenti finalizzate alla relativa acquisizione e trasmissione.
D’altro canto, l’espletamento degli esami molecolari al di fuori dei percorsi diagnostici pubblici del servizio sanitario regionale e, quindi, affidato alle strutture laboratoriali private troverebbe ulteriore avallo non implicando alcuna sottrazione di risorse pubbliche né di tipo finanziario, né di ordine materiale.
Anche per tali ragioni è stata considerata rispettosa della logica precauzionale la «massimizzazione delle possibilità di esame mediante strutture specializzate a ciò dedicate», mentre, al contrario, non lo è stato il «divieto imposto sull’assunto della sufficienza delle sole strutture pubbliche».
3. Emergenza pandemica e metodo di gestione “integrata” del rischio sanitario
L’inaspettato sopraggiungere della emergenza sanitaria da Covid 19, che ha duramente colpito il nostro Paese travalicandone, peraltro, i confini nazionali, offre eterogenei e molteplici aspetti sui quali potere riflettere, consentendo, fra l’altro, di analizzare da una inedita angolazione i rapporti fra scienza e diritto.
La peculiarità della prospettiva di indagine è legata principalmente a diversi fattori: la fisionomia sui generis dell’epidemia per via dei suoi incerti ed indefiniti confini spazio-temporali, le “atipiche” modalità attraverso le quali si è ritenuto di intervenire per farvi fronte, la varietà degli strumenti utilizzati per ostacolarne la diffusione.
Ai suddetti connotati - che basterebbero a consacrarla in termini di emergenza (non solo) sanitaria senza precedenti - si aggiungono quelli legati alla constatazione che essa si è presentata come priva di dati idonei ad individuarne le cause e le origini e (forse anche per tale ragione) di certezze scientifiche in grado di incidere in modo tempestivo e determinante sulla prevenzione e sulla gestione dei rischi da essa derivanti per la salute umana.
Gli ambigui tratti dell’evento pandemico ancora in atto hanno appannato i contorni del quadro emergenziale di riferimento e sono divenuti ancora più nebulosi per effetto degli assunti interventi di varia natura giuridica incidenti sui diversi settori dell’ordinamento.
Tuttavia le questioni che ruotano attorno all’ampio tema della gestione dell’emergenza pandemica offrono l’occasione, attraverso l’analisi delle fattispecie riguardanti la laboratoristica privata, di ripensare al contributo che i soggetti diversi da quello pubblico possono offrire per il contenimento della diffusione del virus.
La delicatezza di siffatta questione è tanto più evidente laddove si consideri che la gestione consequenziale ai risultati derivanti dall’avere processato i tamponi è destinata a ricadere su ulteriori posizioni di diritto e di libertà individuali costituzionalmente garantiti.
Ciò impone, pertanto, di apprezzare le potenzialità di un modello fortemente permeato dalla prospettiva costituzionale della sussidiarietà orizzontale in cui l’attività diagnostica espletata dai laboratori privati è destinata a condizionare il processo di valutazione del rischio, facendo transitare da percorsi “integrati” di certificazione della sicurezza l’assunzione di misure emergenziali, più o meno restrittive.
Da siffatto angolo visuale, inoltre, la concreta applicazione del principio di precauzione non implica l’adozione di formule organizzative di stampo centralistico, ma incoraggia l’assunzione di metodi fondati sul coinvolgimento pieno del sistema delle autonomie, pubbliche e private.
Il valore aggiunto costituito dall’attività diagnostica espletata dalla laboratoristica privata può essere apprezzato anche se inserito all’interno di un percorso complesso ed integrato nel quale la raccolta degli esiti, la ripetizione e gli ulteriori approfondimenti ove occorrenti, la tracciatura, la comunicazione “unitaria” ad enti nazionali e internazionali vengano garantiti per effetto di «una canalizzazione governativa in entrata e in uscita, in un circuito omogeneo e di elevato valore scientifico pubblico»[19].
Ciò tanto più che l’identità dei parametri di riferimento e dei relativi metodi di elaborazione dei risultati gioverebbe all’omogeneità ed alla qualità delle indagini diagnostiche espletate e contribuirebbe a contenere il numero dei casi di falsi positivi e negativi.
Più precisamente l’inserimento dei privati nel circuito di gestione emergenziale non si porrebbe in alcun modo in contrasto con un sistema diagnostico specialistico in cui il soggetto pubblico è chiamato a coordinare il servizio di analisi e dei relativi flussi informativi, a gestire ogni possibile variabile o contingenza anche a carattere emergenziale, a prevedere ed assicurare l’uniformità delle tecniche diagnostiche e, quindi, dei parametri di riferimento e di affinamento dei risultati.
Una impostazione basata su meccanismi di integrazione pubblico-privato nella gestione dell’emergenza sanitaria renderebbe più proficua la pianificazione e l’allocazione delle risorse tutelando in modo pieno e tempestivo nella situazione data il valore primario costituzionalmente garantito qual è il diritto alla salute.
La convergente e sinergica “azione” dei laboratori pubblici e privati protesa all’individuazione di soggetti positivi è, inoltre, coerente con il principio di precauzione, soprattutto in vista delle possibili limitazioni costituzionali a diritti e libertà conseguenti ad un accertamento diagnostico di positività che richiedono una loro “riespansione nel più breve tempo possibile.
L’esecuzione dei test molecolari anche da parte di soggetti privati, dunque, non mortificherebbe la funzione pubblica, né svilirebbe la gestione di tutta l’emergenza ma, al contrario, implicando l’espletamento in modo coordinato tra Regione, strutture sanitarie pubbliche e private accreditate, dell’attività diagnostica avrebbe tangibili ricadute positive sui destinatari della prestazione e sull’organizzazione sanitaria nel suo complesso.
Sui primi, in quanto il contenimento dei tempi previsti per processare i tamponi condizionato dall’aver evitato di far pesare unicamente sulle strutture sanitarie pubbliche l’esecuzione di un numero elevatissimo di test consentirebbe loro di venire a conoscenza tempestivamente dei risultati dell’esame laboratoriale al quale sono stati sottoposti.
Sulla seconda, giacchè una organizzazione coordinata nei termini di cui si è detto valorizzerebbe tutte le professionalità presenti sul territorio, preziose in una fase complicata qual è quella nella quale ci troviamo, con una “preferenza” per le strutture pubbliche solamente laddove scelte di tal guisa siano sorrette da un saldo ed argomentato corredo motivazionale.
L’impianto discrezionale che connota l’adozione di specifiche tecniche organizzative, sia pure in un contesto emergenziale, non può legittimare inadeguate misure restrittive dell’iniziativa economica e di altre libertà costituzionalmente garantite se non in quei casi nei quali occorra trovare «un ragionevole e proporzionato controbilanciamento nella cura in concreto, da parte della pubblica amministrazione decidente, dell’interesse pubblico demandatole e (…) nella presupposta, oggettiva, valutazione dell’interesse pubblico finalizzato alla tutela del diritto alla salute»[20].
In questa impostazione l’inserimento dei laboratori privati all’interno del sistema diagnostico pubblico confermerebbe come la gestione dell’emergenza pandemica debba essere affidata alla Repubblica nel suo complesso, secondo una lettura costituzionalmente orientata che rinviene espresso e saldo ancoraggio giuridico non solo nell’art. 118, u.c., ma anche nell’art. 114 della Carta fondamentale italiana.
Siffatta ricostruzione dimostrerebbe, dunque, come «la “certificazione della sicurezza” si inserisce proprio all’interno delle complesse dinamiche cooperative che legano amministrazioni ed imprese nella governance del rischio, rappresentando così uno degli aspetti di riconsiderazione del ruolo dei soggetti privati all’interno dei processi di risk regulation»[21].
***
[1] Cfr. A. Barone, Emergenza pandemica, precauzione e sussidiarietà orizzontale, in PA Persona e Amministrazione, 2020, 186-187
[2] A riguardo è imprescindibile il rinvio a U. Beck, Risikogesellshaft. Auf dem Wegin eine andere Moderne, Franfkfurt, 1986 trad. it. a cura di W. Privitera, La società del rischio verso una seconda modernità, Roma, 2000.
[3] In dottrina sul principio di precauzione, fra i contributi più significativi F. Trimarchi, Principio di precauzione e “qualità” dell’azione amministrativa, in Riv. it. dir. pubbl. comunit. 2005, 1673-1707; F. De Leonardis, Il principio di precauzione nell’amministrazione di rischio, Giuffrè, Milano, 2005; A. Barone, Il diritto del rischio, Giuffrè, Milano, 2006; R. Ferrara, L’ordinamento della sanità, Giappichelli, Torino, 2007, 1-36; G. Corso, La valutazione del rischio ambientale, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, Giappichelli, Torino, 2008, 158-170; A. Fioritto, L’amministrazione dell’emergenza tra autorità e garanzie, Il Mulino, Bologna, 2008; I.M. Marino, Aspetti propedeutici del principio di precauzione, in Studi in onore di Alberto Romano, III, editoriale Scientifica, Napoli, 2011, 2177-2207, ora in Id., Scritti giuridici, II, a cura di A. Barone, Napoli, 2015, 1511-1544.
[4] A tale proposito Commissione Europea, Comunicazione sul principio di precauzione – COM (2000) 1, 2 febbraio 2000, https://eur-lex.europa.eu, ha evidenziato come un esame del genere non possa basarsi semplicemente su un raffronto costi/benefici richiedendo invece una comparazione più complessa.
Sulla “accettabilità” da parte della popolazione interessata come variabile alla luce della quale deve essere effettuata la valutazione della misura adottata Corte di giustizia CE, sentenze 5 maggio 1998, causa C-157/96, par. 63, e causa C180/96, punto 99; sent. 9 settembre 2003, causa C-236/01, par. 111, curia.europa.eu.
[5] A. Barone, Emergenza pandemica, precauzione e sussidiarietà orizzontale, cit., 192, ha descritto le conseguenze del vulnus causato della mancata valutazione scientifica del rischio.
[6] Tale esigenza è avvertita da F. Fracchia, Coronavirus, senso del limite, deglobalizzazione e diritto amministrativo: nulla sarà più come prima?, in www.ildirittodell’economia.it.
[7] A. Barone, Brevi riflessioni su valutazione scientifica del rischio e collaborazione pubblico-privato, in www.federalismi.it, 7, in questo senso ha ritenuto emblematico il diffuso utilizzo di strumenti dai tratti marcatamente autoritativi, come quelli contemplati nell’art. 6, d.l. c.d. “cura Italia” (n. 18 del 2020) nel quale è espressamente stabilita la «requisizione in uso o in proprietà di presidi sanitari e medico-chirurgici, nonché di beni mobili di qualsiasi genere, occorrenti per fronteggiare la predetta emergenza sanitaria, anche per assicurare la fornitura delle strutture e degli equipaggiamenti alle aziende sanitarie o ospedaliere ubicate sul territorio nazionale, nonché per implementare il numero di posti letto specializzati nei reparti di ricovero dei pazienti affetti da detta patologia». Il solco segnato dalla disposizione destinato a coinvolgere la sanità privata accreditata pare escludere il coinvolgimento dei privati nella co-gestione del rischio pandemico.
Sul principio di sussidiarietà orizzontale, senza pretesa di esaustività, G. Berti, Considerazioni sul principio di sussidiarietà, in Jus, 1994, 409; M.P. Chiti, Principio di sussidiarietà, pubblica amministrazione e diritto amministrativo, in F.A. Roversi Monaco (a cura di), Sussidiarietà e pubbliche amministrazioni, Maggioli, Rimini, 1997, 97-99; G. Pastori, La sussidiarietà «orizzontale» alla prova dei fatti nelle recenti riforme legislative, in Aa.Vv., Sussidiarietà e ordinamenti costituzionali, Padova 1999, 170-182; A. D'Atena, Costituzione e principio di sussidiarietà, in Quad. cost., 2001, 13-33; G. Arena, Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’art.118, u.c. della Costituzione, Relazione al Convegno “Cittadini attivi per una nuova amministrazione”, Roma 7-8 febbraio 2003, in www.astridonline.it; I.M. Marino, Presentazione del Master in “Gestione globale del rischio”, LUM-Jean Monnet, Casamassima (Ba), 14 maggio 2004.
[8] A. Barone, Pubblico e privato nella gestione del rischio, in G. Guerra, A. Muratorio, E. Pariotti, M. Piccinni, D. Ruggio (a cura di), Forme di responsabilità e nanoteconologie, Bologna, 2011, 159-184.
[9] Le considerazioni su tale profilo ivi articolate e sviluppate nella parte finale del presente paragrafo sono riprese dall’analisi condotta su alcune significative esperienze regionali da A. Barone, Emergenza pandemica, precauzione e sussidiarietà orizzontale, cit., 194-196, della quale sono riproposti in modo pressoché testuale i punti più salienti.
[10] Cfr. Circolare del Ministro della Salute del 22 febbraio 2020.
[11] In questa direzione si sono mosse la Regione Toscana, come si evince dall’ordinanza n. 23 del 3 aprile 2020, adottata dal relativo Presidente, la Regione Veneto su precise indicazioni scientifiche da parte dell’AOP di Padova e dell’AOUI di Verona e la Regione Sicilia, come è possibile riscontrare nella nota prot. n. del 16 aprile 2020 del suo Assessore alla Salute.
[12] La Regione Lazio si è orientata in tal senso e la preferenza mostrata per siffatto modello ha costituito oggetto di apposita ordinanza del TAR Lazio, sez. III, 15 giugno 2020, n. 4350, sospesa prima in sede monocratica (Cons. Stato, sez. III, decr. Pres., 26 giugno 2020, n. 3769) e, poi, in sede collegiale (Cons. Stato, sez. III, ord., 17 luglio 2020, n. 4323). Su questo specifico punto si rinvia al paragrafo 2.
[13] Nel primo caso la legittimità dei provvedimenti adottati dalla Regione Campania è stata confermata sia nel giudizio cautelare (TAR Campania, Napoli, decr. Pres., 11 aprile 2020, n. 776 e sez. I, ord., 22 aprile 2020, n. 856), che in quello di merito di primo grado (sez. I, sent., 1 settembre 2020).
Nel secondo caso, precisato che siffatto accordo non può essere considerato in termini di mera collaborazione, è stata sancita l’illegittimità - per non essere stata indetta e svolta una procedura ad evidenza pubblica, in violazione dei canoni di trasparenza, parità di trattamento, e divieto di discriminazione - della determina del direttore generale di un IRCCS, con la quale era stata accettata la proposta di collaborazione con un operatore privato per la valutazione di test sierologici e molecolari per la diagnosi di infezione da SARS-Cov-2, e l'accordo ad essa connesso. Specificamene a tale ultimo riguardo cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, 8 giugno 2020, n.1006, secondo cui il diritto interno ed eurounitario impone ai soggetti pubblici di avvalersi di procedure competitive trasparenti e non discriminatorie per selezionare la controparte contrattuale ogni qual volta intendano offrire un’utilità suscettibile di trasformarsi in un’occasione di guadagno per gli operatori di un determinato settore. Le amministrazioni concedenti - pur di optare per la procedura di aggiudicazione più appropriata alle caratteristiche del settore interessato e di stabilire i requisiti che i partecipanti devono soddisfare durante le varie fasi della procedura - devono assicurare che il candidato venga scelto in base a criteri obiettivi e che la procedura si svolga rispettando le regole e i requisiti inizialmente stabiliti. Tale modus operandi, infatti, garantisce tanto l’effettiva apertura alla concorrenza del settore delle concessioni di beni, quanto il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione.
[14] Cfr. TAR Lazio, sez. III, 15 giugno 2020, n. 4350.
[15] Così Cons. Stato, sez. III, ord., 17 luglio 2020, n. 4323.
[16] TAR Lazio, sez. III, 26 ottobre 2020, n. 10933.
Fra i diversi motivi di doglianza, la ricorrente aveva evidenziato come il divieto contenuto nei provvedimenti regionali per le strutture sanitarie private di eseguire test molecolari contrastasse con l’intera impostazione del sistema sanitario in seno al quale il diritto alla salute veniva declinato mediante la libertà riconosciuta a ciascun soggetto di scegliere la cura ed il soggetto che la presta. Ad avviso della Artemisia s.p.a., inoltre, l’impianto normativo vigente in materia non legittimava forme di divieto gravanti sulle strutture private di svolgere detti test, limitandosi semmai ad indirizzare le strutture pubbliche verso l’espletamento di funzioni di raccordo tra i lavoratori esistenti allo scopo di coordinare le attività diagnostiche. Né gioverebbe, secondo la predetta società, sostenere che detto tipo di limitazione trovi sostegno nella necessità di non fare gravare detti esami sulle finanza pubbliche o nella penuria di reagenti richiesti per l’esecuzione dei test molecolari.
Sulla connessione tra i principi di precauzione e di proporzionalità recentemente Cons. Stato, sez. III, 9 marzo 2020, n. 1692.
[17] Com’è noto, la Comunicazione della Commissione Europea del 2 febbraio 2000 (par. 5.1.3) ha individuato le condizioni di applicazione del principio di precauzione nella sussistenza di indicazioni ricavate da una apposita valutazione scientifica sia degli «effetti potenzialmente negativi derivanti da un fenomeno, da un prodotto o da un procedimento», sia «del rischio che, per l’insufficienza dei dati, il loro carattere non concludente o la loro imprecisione, non consente di determinare con sufficiente certezza il rischio in questione».
Nella cornice giuridica disegnata dalla Commissione non sono rispettose del principio di precauzione la scelta del c.d. “rischio zero” e la predisposizione di misure non calibrate sul livello di protezione prescelto, nè corredate da un’analisi dei conseguenti vantaggi ed oneri. Da ciò consegue che non sempre un divieto totale od un contrasto radicale siano una risposta proporzionale al rischio potenziale dovendosi invece optare per una azione cautelativa che, contemperando esigenza di precauzione e di proporzionalità, possa essere costantemente riadattata in relazione ai risultati raggiunti ed a dati scientifici progressivamente acquisiti (pa. 6 e 6.3.5).
In dottrina sui concetti di prevenzione e precauzione R. Ferrara, Etica, ambiente e diritto: il punto di vista del giurista, in R. Ferrara, M.A. Sandulli (diretto da), Trattato di diritto dell’ambiente, vol. 1, in R. Ferrara, C.E. Gallo (a cura di), Le politiche ambientali, lo sviluppo sostenibile e il danno, Milano, 2014, 26 ss.
Sostiene che vi sia identità sostanziale tra i principi di prevenzione e precauzione M.P. Chiti, Il rischio sanitario e l’evoluzione dall’amministrazione dell’emergenza all’amministrazione precauzionale, in Annuario 2015 dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Amministrativo, Il Diritto Amministrativo dell’emergenza, Giuffrè, Milano, 2016, 2004, 80.
I.M. Marino, Aspetti propedeutici del principio giuridico di precauzione, cit., 1533-1534, evidenzia come nonostante principio di precauzione e gestione del rischio siano ormai entrati nel diritto italiano, anche per i numerosi interventi dei giudici, emergano «tuttavia difficoltà concrete nel distinguere la precauzione dalla prevenzione, così come il rischio dal pericolo».
Sulla distinzione fra i principi di precauzione e di prevenzione può vedersi, inoltre, Cons. Stato, sez. III, 3 ottobre 2019, n. 6655, secondo cui «Posta la differenza concettuale che intercorre tra precauzione (limitazione di rischi ipotetici o basati su indizi) e prevenzione (limitazione di rischi oggettivi e provati) - il principio di precauzione, dettato in primis dall’art. 191 del TFUE e a seguire recepito da ulteriori fonti comunitarie e dai singoli ordinamenti nazionali, fa obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di scongiurare i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente, senza dover attendere che siano pienamente dimostrate l'effettiva esistenza e la gravità di tali rischi e prima che subentrino più avanzate e risolutive tecniche di contrasto. L'attuazione del principio di precauzione comporta dunque che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un'attività potenzialmente pericolosa, l'azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 11 novembre 2014, n. 5525 e sez. V, 18 maggio 2015, n. 2495)».
[18] In merito alle principali misure di limitazione della libertà di ini
ziativa economica privata adottate durante l’emergenza M. Cecchetti, Le limitazioni alla libertà di iniziativa economica privata durante l’emergenza, in www.astridonline.it.
[19] Testualmente TAR Lazio, sez. III, 26 ottobre 2020, n. 10933.
[20] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 3 marzo 2019, n. 1589.
[21] Così I.M. Marino, A. Barone, Impresa, rischio e pubblica amministrazione, in Ritagli di Economia e Diritto, Università LUM Jean Monnet, n. 3/2008, ora in Id., Scritti giuridici, II, cit., 1388.