Sommario: 1. L’Executive Order voluto da Trump contro la Relatrice speciale ONU Francesca Albanese – 2. Le funzioni dei Relatori speciali nominati dal Consiglio per i diritti umani all’interno del sistema ONU: prerogative e immunità - 3. La comunità internazionale tra sostegno, dichiarazioni di facciata e “rumorosi” silenzi.
1. L’Executive Order voluto da Trump contro la Relatrice speciale ONU Francesca Albanese
Una sicura violazione del diritto internazionale, una delle tante, ma di una particolare gravità perché colpisce le Nazioni Unite e le poche voci ancora rimaste in grado di mettere la comunità internazionale di fronte alle proprie responsabilità. L’Executive Order 14203[1] del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump con il quale sono state decise sanzioni unilaterali nei confronti della Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, Francesca Albanese[2], non è solo una delle tante e sicuramente non è l'ultima azione in contrasto con le regole del diritto internazionale del Presidente Trump, ma un colpo all’essenza stessa dell’ordinamento perché mina il principio dell’immunità, in questo caso di esperti indipendenti dell’Onu, che sono centrali per il funzionamento delle Nazioni Unite (alla base del multilateralismo) e per l’accertamento delle violazioni dei diritti umani. E talvolta anche l’unico strumento per accendere i riflettori su catastrofi umanitarie in corso e sulle repressioni di diritti e di libertà fondamentali. A sostegno delle vittime, per impedire che la comunità internazionale le releghi in zone d’ombra, sommerse da parole ma mai accompagnate da fatti che facciano cessare situazioni, come quella della Striscia di Gaza che ha portato all’uccisione di migliaia di civili, inclusi bambini, uccisi anche dalla fame a causa del blocco degli aiuti umanitari imposto dal Governo israeliano.
È evidente che gli Stati Uniti e Israele perseguono lo stesso obiettivo: screditare ogni attività di accertamento dei fatti e fare calare il silenzio, anche impedendo, tra le altre misure, ai giornalisti di accedere a Gaza e colpendo il lavoro della Relatrice speciale. Una campagna iniziata da tempo e che ha visto il suo culmine a seguito dell’adozione dell’ultimo rapporto della Relatrice speciale presentato il 16 giugno 2025 e intitolato “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”[3], in cui vi sono nomi e cognomi delle aziende che ricevono vantaggi ad ampio raggio supportando le attività militari direttamente o indirettamente di Israele. Questo ha portato all’esplosione delle reazioni di Stati Uniti e Israele (che già a febbraio 2024 aveva dichiarato Albanese come persona non grata) che non hanno tollerato quanto scritto nel documento nel quale si denunciano, tra l’altro, “i meccanismi delle aziende che sostengono il progetto coloniale israeliano di trasferimento e sostituzione dei palestinesi”, indicando 60 aziende come possibili complici degli atti genocidari in Palestina.
Come detto non si tratta delle prime sanzioni contro persone che svolgono un ruolo indipendente sul piano internazionale. Con l’aggiunta di un ulteriore elemento di gravità rispetto alle altre misure imposte da Trump perché se già in passato erano state disposte sanzioni nei confronti di funzionari della Corte penale internazionale è la prima volta che gli Stati Uniti colpiscono direttamente funzionari dell’organizzazione che hanno contribuito, in modo determinante, a fondare.
Prima di passare ad analizzare le norme violate, appare opportuno inquadrare il ruolo e il fondamento giuridico delle attività dei Relatori speciali.
2. Le funzioni dei Relatori speciali nominati dal Consiglio per i diritti umani all’interno del sistema ONU: prerogative e immunità
I Relatori speciali nominati dal Consiglio per i diritti umani, all’interno dell’ONU, sono incaricati di monitorare specifiche situazioni relative alla tutela dei diritti dell’uomo e comprendono numerosi settori, con un mandato che non può superare i 6 anni[4]. La loro istituzione è stata decisa nel 1979 e ha avuto subito la caratteristica di individuare queste figure per lo svolgimento di funzioni di monitoraggio di specifiche situazioni in soggetti esperti non dipendenti dell’Onu, ma indipendenti, che operano a titolo personale, senza ricevere alcuna retribuzione[5]. La nomina è del Consiglio per i diritti umani al quale i Relatori speciali sottopongono studi e documenti frutto delle proprie attività svolte in modo indipendente. Sono poi tenuti a presentare una relazione annuale al Consiglio per i diritti umani e a illustrare i propri risultati all’Assemblea generale ONU. Attualmente sono in attività 60 Relatori speciali: 46 hanno mandati tematici e 14 si occupano delle situazioni in specifici Paesi come la Corea del Nord, la Bielorussia, l’Iran, la Russia e l’Afghanistan[6].
Naturalmente, è apparso subito necessario istituire un Relatore speciale per la Palestina e, infatti, il Consiglio ha deciso l’istituzione di questo ruolo nel 1993 con un mandato chiaro: seguire e preparare rapporti sulle violazioni dei diritti umani nei territori occupati e lavorare con governi, società civile e altri soggetti per rafforzare la cooperazione internazionale. Per attuare in modo concreto questo compito è prevista la possibilità per l’incaricato di svolgere visite nei territori, attività che è stata del tutto preclusa alla Relatrice speciale Francesca Albanese dal Governo israeliano. In primo piano, in quest’attività di monitoraggio, le indagini sulle violazioni del diritto internazionale umanitario e della Convenzione di Ginevra sulla protezione dei civili in tempo di guerra del 12 agosto 1949, la raccolta di testimonianze e documenti al fine di indicare raccomandazioni al Consiglio per i diritti umani.
La Relatrice Francesca Albanese (l’ottava relatrice), nominata a marzo 2022 dal Consiglio per i diritti umani, ha preso servizio dal 1° maggio 2022.
Se le campagne contro la Relatrice sono state da tempo svolte ad ampio raggio, con vere e proprie iniziative d’odio e contenuti diffamatori, un salto di livello in negativo si è avuto con le misure contenute nell’Executive Order “Imposing Sanctions on the International Criminal Court”. Tali misure erano state preannunciate, il 9 luglio, dal Segretario di Stato statunitense Marco Rubio il quale, senza tema del ridicolo, ha dichiarato che le sanzioni erano necessarie per tutelare la sovranità di Israele e Stati Uniti perché la collaborazione con la Corte penale internazionale nelle indagini nei confronti di cittadini degli Stati Uniti e di Israele “senza il consenso di questi due Paesi”, che non sono parti allo Statuto di Roma, sarebbe una sostanziale minaccia all’integrità dei due Stati. E, in questa direzione, Rubio ha scritto che “The United States has repeatedly condemned and objected to the biased and malicious activities of Albanese that have long made her unfit for service as a Special Rapporteur”, accusandola di spargere antisemitismo e finanche di supportare il terrorismo. Poi Rubio ha colpito l’ultimo rapporto presentato da Francesca Albanese accusata di aver “puntato il dito” verso alcune società americane e di aver raccomandato alla Corte penale internazionale indagini nei confronti degli amministratori di queste aziende, definendo queste accuse come atti che fanno parte di una campagna di guerra politica ed economica che minaccia gli interessi nazionali e la sovranità degli Stati Uniti.
Le sanzioni contro Albanese seguono quelle indirizzate ai giudici della Corte penale internazionale Reine Adelaide Sophie Alapini Gansou, Solomy Balungi Bossa, Luz del Carmen Ibáñez Carranza e Beti Hohler, in aggiunta a quelle che avevano già colpito il Procuratore Karim A.A. Khan, con l’applicazione del divieto di ingresso sul territorio Usa – che vuol dire anche impedire ai destinatari di recarsi nella sede principale dell’Onu a New York nonché il congelamento di conti e beni che si trovano sul territorio statunitense.
Al di là dell’evidente messaggio di odio politico che tra l’altro rischia di additare la Relatrice speciale come bersaglio dei milioni di sostenitori di Trump e Netanyahu, l’Executive Order è adottato in aperta violazione degli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite, in particolare con riguardo al rispetto dell’immunità.
Il quadro normativo non dà adito ad alcun dubbio. Accanto ad alcune norme della Carta che garantiscono all’ONU l’esercizio delle proprie funzioni per il conseguimento dei fini fissati nello Statuto (articolo 104) e che assicurano all’Organizzazione, nel territorio degli Stati membri, i privilegi e le immunità “necessari per il conseguimento dei suoi fini” (con la previsione dell’immunità ai funzionari ONU, articolo 105), la Convenzione sui privilegi e le immunità delle Nazioni Unite del 13 febbraio 1946[7], pur non contenendo, come è ovvio, una specifica disciplina per i Relatori speciali, all’articolo VI, sezione 22 dedicata agli esperti in missione per l’organizzazione, dispone che “gli esperti (diversi dai funzionari elencati nell’articolo V) in missione per l’Organizzazione godono dei privilegi e delle immunità necessari per esercitare in piena indipendenza le loro funzioni durante tutta la durata della missione, incluso il tempo del viaggio. Essi godono in particolare dei privilegi e delle immunità seguenti: a) immunità da arresto o da detenzione e sequestro dei loro bagagli personali; b) immunità da qualsiasi giurisdizione per quanto concerne gli atti da essi compiuti durante le loro missioni (parole e scritti compresi)”; c) inviolabilità di qualsiasi pratica e documento; d) diritto di fare uso di codici e di ricevere documenti o corrispondenza per corriere o valigie sigillate per le loro comunicazioni con l’Organizzazione; e) stesse agevolazioni concesse ai rappresentanti dei Governi stranieri in missione ufficiale temporanea, in materia monetaria o di cambio; f) stesse immunità e agevolazioni concesse agli agenti diplomatici per i loro bagagli personali”. La norma è chiara e vincolante per gli Stati Uniti, che hanno aderito alla Convenzione il 29 aprile 1970, ed è funzionale a proteggere i Relatori speciali da attacchi di Governi e altri che, proprio con la previsione di sanzioni o azioni giurisdizionali, possono mettere a rischio le funzioni loro attribuite.
Come detto, l’immunità copre gli atti compiuti nell’esercizio delle proprie funzioni: è proprio il caso di Francesca Albanese che ha svolto il compito attribuito dalle Nazioni Unite.
Inoltre, la norma stabilisce che l’immunità “continua a essere loro concessa anche dopo la conclusione delle loro missioni per l’Organizzazione” e solo il Segretario generale può revocare “l’immunità concessa a un esperto in tutti i casi in cui ritenga che essa ostacoli l’azione della giustizia e qualora possa essere revocata senza pregiudicare gli interessi dell’Organizzazione”.
A ulteriore conferma di quanto affermato nella Convenzione, è intervenuta, in passato, la Corte internazionale di giustizia nel parere del 29 aprile 1999 nel caso “Divergenza in tema di immunità processuale di un Relatore speciale della Commissione dei diritti umani”[8]. La richiesta di parere era arrivata dal Consiglio economico e sociale e riguardava proprio l’applicazione dell’articolo VI, sezione 22 al Relatore speciale Param Cumaraswamy, nominato dall’allora Commissione sui diritti umani per monitorare la situazione dell’indipendenza di giudici e avvocati. Il Relatore speciale era stato oggetto di azioni giudiziarie vessatorie e abusive in Malesia per alcune interviste rilasciate a giornali di quel Paese proprio sulla mancata indipendenza del sistema giudiziario ed era stato destinatario di richieste di risarcimento pari a 112 milioni di dollari. Dal canto suo, il Segretario generale aveva chiarito che il Relatore speciale parlava nelle sue funzioni ufficiali ed era così tutelato dall’immunità. Nel parere, la Corte ha riconosciuto l’immunità del Relatore speciale in base all’articolo VI della Convenzione, precisando che spettava unicamente al Segretario generale privarlo dell’immunità diplomatica. Ancora prima, nel parere del 15 dicembre 1989, nel caso dell’ “Applicabilità della sezione 22 dell’articolo VI della Convenzione sui privilegi e le immunità delle Nazioni Unite” (nota anche come Mazilu case, dal nome del cittadino rumeno membro della Sottocommissione per la lotta contro le discriminazioni e la tutela delle minoranze al quale il Governo di Bucarest impediva di lasciare il Paese e di ricevere documenti delle Nazioni Unite[9]), la Corte ha precisato che l’indicata sezione 22 comprende anche l’invio di esperti così come coloro ai quali è stato affidato l’incarico di preparare rapporti, svolgere inchieste e attività di analogo tenore per consentire lo svolgimento delle funzioni affidate a esperti che non hanno lo status di funzionari dell’Organizzazione. Sul punto, in un’ottica di ampliamento dell’attribuzione di tali immunità a esperti nominati dall’Organizzazione, la Corte ha precisato che “The essence of the matter lies not in their administrative position but in the nature of their mission (par. 47)[10].
3. La comunità internazionale tra sostegno, dichiarazioni di facciata e “rumorosi” silenzi
Dal quadro descritto è evidente che l’Executive Order è stato adottato in violazione degli obblighi internazionali assunti dagli Stati Uniti che, come detto, hanno ratificato la Convenzione del 1946. Né gli Stati Uniti possono sostenere di poter agire svincolati da regole internazionali sul proprio territorio perché sono ancora parte del sistema ONU.
Le sanzioni imposte nei confronti della Relatrice speciale, che ha agito nel pieno rispetto del mandato assegnatole dal Consiglio per i diritti umani e del codice di condotta adottato il 6 dicembre 2007 con risoluzione 5/2 del Consiglio per i diritti umani, hanno un mero fine politico, con gli Stati Uniti che usano tali misure al solo fine di impedire lo svolgimento di attività che oggi sono più che mai essenziali in ragione dei crimini in corso da lungo tempo, ben sapendo, per di più, che ogni azione giudiziaria volta ad impugnare l’Executive Order risulterà inutile.
Ma c’è di più perché è innegabile che le sanzioni unilaterali di così ampia portata non colpiscono il singolo relatore ma hanno un sicuro chilling effect sull’intero operato di altri esperti che, oggi più che in passato, svolgono un ruolo fondamentale nel monitorare le violazioni e nel mostrare la situazione all’intera comunità internazionale, in modo che nessuno, tra Stati, imprese e privati, possa dire di non sapere.
Le Nazioni Unite hanno reagito: il Presidente del Consiglio per i diritti umani, Jürg Lauber, ha protestato immediatamente, presentando, il 10 luglio, una dichiarazione con la quale ha ricordato gli obblighi di tutti gli Stati membri dell’ONU di cooperare con i relatori speciali e di astenersi da ogni atto di intimidazione o rappresaglia[11]. Così, il supporto è arrivato dal Segretario generale António Guterres il quale ha dichiarato che “The use of unilateral sanctions against Special Rapporteurs, or any other UN expert or official is unacceptable”[12] e dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, che è intervenuto chiedendo l’immediata cessazione delle misure che costituiscono un attacco alle Nazioni Unite[13].
Anche altre organizzazioni hanno espresso supporto alla Relatrice speciale Francesca Albanese, ben consapevoli dell’importanza di sostenere il lavoro di chi è impegnato a far luce sulle gravissime violazioni dei diritti umani in Palestina a nome dell’intera comunità internazionale, a rischio anche della propria incolumità. Così, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, l’11 luglio[14], ha espresso una forte condanna nei confronti dell’amministrazione americana e forti preoccupazioni per misure che minano l’indipendenza e l’integrità del sistema ONU. In particolare, oltre a sostenere il lavoro della Relatrice speciale, è stato sottolineato che i tentativi di intimidire o punire i funzionari dell’ONU che svolgono il proprio dovere tra numerose difficoltà è un attacco ai principi del multilateralismo e all’ordine giuridico internazionale al quale gli Stati sono vincolati.
Colpisce il sostanziale silenzio dell’Unione europea perché non bastano le dichiarazioni di facciata e questo in particolare quando vengono colpiti cittadini europei. È nota solo una dichiarazione del portavoce del Consiglio Anouar El Anouni, il quale ha affermato: “We deeply regret the decision to impose sanctions on Francesca Albanese", e che l’Unione europea "strongly supports the United Nations human rights system”[15]. Totale silenzio dall’Alta rappresentante per gli affari esteri e per la politica di sicurezza Kalia Kallas, dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e dal Parlamento europeo.
E arriviamo al grande assente, il Paese del quale Francesca Albanese ha la cittadinanza. Il ministro degli esteri Tajani, con una dichiarazione singolare resa nel corso di un’intervista, ha affermato che non è necessario occuparsi di ciò che riguarda cittadini italiani, colpiti in modo unilaterale da uno Stato straniero, nell’esercizio delle funzioni in qualità di soggetti che hanno un incarico dell’ONU e non in quanto cittadini italiani[16]. Inutile, quindi, sperare, anche in futuro, in un’azione in protezione diplomatica.
Eppure, qualora fosse necessario, bisogna ricordare che il relatore speciale non perde naturalmente la sua nazionalità e, quindi, a fronte di misure illegittime nei confronti di un proprio cittadino lo Stato dovrebbe intervenire a suo supporto non fosse altro per impedire che analoghe situazioni si riproducano in futuro. Basterebbe prendere l’esempio da altri Stati e da quanto affermato dalla Corte internazionale di giustizia: proprio all’inizio dell’attività dell’Onu nel caso Bernadotte, inviato dell’Onu come mediatore tra arabi e israeliani e ucciso a Gerusalemme il 17 settembre 1948, la Corte internazionale di giustizia, nel parere dell’11 aprile 1949 relativo “alla riparazione per danni subiti al servizio delle Nazioni Unite”, ha chiarito che le azioni di risarcimento avviate dall’ONU concorrevano con quelle dello Stato di cittadinanza, in quel caso la Svezia che, infatti, era intervenuta a supporto dei familiari del proprio cittadino[17]. C’è poco da aggiungere se non che se gli esperti, funzionari o giudici hanno la nazionalità italiana e sono colpiti da sanzioni illegittime, Trump può dormire sonni tranquilli.
[1] Il testo è reperibile nel sito https://www.govinfo.gov/content/pkg/DCPD-202500234/pdf/DCPD-202500234.pdf.
[2] Si veda il sito https://www.ohchr.org/en/special-procedures/sr-palestine.
[3] Il documento “From economy of occupation to economy of genocide” (A/HRC/59/239) è reperibile nel sito https://www.un.org/unispal/document/a-hrc-59-23-from-economy-of-occupation-to-economy-of-genocide-report-special-rapporteur-francesca-albanese-palestine-2025/.
[4] Qui la pagina dedicata https://www.ohchr.org/en/special-procedures-human-rights-council.
[5] Per un approfondimento generale sui rappresentanti speciali, nominati anche da altri organi dell’Onu, si veda M. Fröhlich, The Special Representatives of the United Nations Secretary-General, in Routledge Handbook of International Organization, London and New York, 2 ed., 2025, p. 303 ss.; H. Keller, Special Representative, in Max Planck Encyclopedias of International Law, 2021, nel sito http://opil.ouplaw.com.
[6] Si veda il sito internet https://spinternet.ohchr.org/ViewAllCountryMandates.aspx.
[7] Il testo con le ratifiche e adesioni è nel sito https://treaties.un.org/pages/ViewDetails.aspx?src=TREATY&mtdsg_no=III-1&chapter=3&clang=_en#EndDec.
[8] Il parere consultivo è nel sito https://www.icj-cij.org/sites/default/files/case-related/100/100-19990429-ADV-01-00-EN.pdf.
[9] Si veda, per tutti, B. Conforti, C. Focarelli, Le Nazioni Unite, 10 ed., Padova, 2015 p. 147 s.
[10] https://www.icj-cij.org/sites/default/files/case-related/81/081-19891215-ADV-01-00-EN.pdf.
[11] Qui il testohttps://www.un.org/unispal/document/statement-by-hrc-10jul25/.
[12] Nel sito https://press.un.org/en/2025/db250710.doc.htm.
[13] Nel sitohttps://www.un.org/unispal/document/comment-by-ohchr-10jul25/.
[14] Cfr. https://pace.coe.int/en/news/9971/pace-rapporteur-concerned-by-us-sanctions-against-un-rapporteur?fbclid=IwY2xjawL2d4tleHRuA2FlbQIxMABicmlkETE3Q3pvaXlXVlg4MnZsc3JWAR6iz65WqD1JFquXyRA48IRaz7s5wzrC5pQ42PUTgBsMjrabMNORI_U9W4W81w_aem_YnuwDDPDdlYQeAbVkX06Rw.
[15] Si veda quanto riportato dall’agenzia di stampa Reuters https://www.reuters.com/world/middle-east/eu-deeply-regrets-us-sanctions-un-expert-palestinians-says-eu-spokesperson-2025-07-11/.
[17] Il testo nel sito https://www.icj-cij.org/case/4/advisory-opinions.