Sommario: 1. Premessa - 2. Il caso di specie – 3. La questione della illegittimità delle universal injuctions – 4. Conclusioni.
1. Premessa
In questi mesi, l’esame del laboratorio politico – costituzionale statunitense sta facendo emergere un tema ormai troppo evidente per non essere colto, nonostante le difficoltà di governare il deliberato disordine provocato per occultarlo[1]: il rapporto tra istituzioni democratiche e principio di maggioranza e, in particolare, tra organi direttamente espressi da quest’ultima e istituzioni di controllo che, per struttura e/o per funzione, sono deputate a garantire la tenuta del sistema di una comunità plurale, attraverso la tutela dei diritti dell’individuo e della sua dignità, indipendentemente dal variare delle maggioranze[2].
Si tratta di una questione ormai non più recentissima[3], che ha trovato, in una dimensione all’apparenza meramente processuale, ma dal rilievo squisitamente costituzionale, ulteriore emersione nella decisione della Corte suprema degli Stati Uniti del 27 giugno 2025, Trump e altri c. Casa, Inc. e altri[4].
2. Il caso di specie
La specifica problematica processuale era rappresentata dalla possibilità per le corti federali inferiori di emanare ordini validi nei confronti della generalità dei consociati su tutto il territorio nazionale (universal injunctions): si tratta, quindi, di provvedimenti che producono effetti anche in favore di quanti non abbiamo esercitato il diritto di azione giurisdizionale e che sono idonei a paralizzare l’efficacia di decisioni dell’esecutivo ritenute prima facie illegittime.
Sostanzialmente recependo le critiche a siffatta tipologia di rimedi processuali, la Corte suprema ha ritenuto di dare una risposta negativa al quesito, posto che la contraria conclusione finirebbe per squilibrare i rapporti tra esecutivo e giudiziario e per incentivare pratiche di forum shopping.
Nel caso di specie, l’ordine presidenziale paralizzato da alcune Corti federali minori (Maryland, Massachussets e Washington) – ciò che provocato il ricorso alla Corte suprema - dispone che la cittadinanza statunitense non si estenda alle persone nate – a partire dal trentunesimo giorno successivo all’emanazione dell’ordine - da una madre illegalmente presente negli Stati Uniti, o legalmente presente su base temporanea, e da un padre che non è né cittadino né residente permanente legale, con le conseguenti ricadute in tema di rilascio dei documenti relativi agli interessati.
3. La questione della illegittimità delle universal injuctions
La Corte suprema si è concentrata sulla generale questione dell’esistenza del potere delle corti federali inferiori, nel sistema di equity, di emettere universal injunctions, senza affrontare il tema – non casualmente posto con forza nell’incipit della dissenting opinion della giudice Sotomayor – della patente illegittimità costituzionale dell’ordine presidenziale per contrasto con il Quattordicesimo emendamento in tema di cittadinanza che ruota attorno ai principi dello jus soli e della sottoposizione alla giurisdizione statunitense come criterio attributivo della cittadinanza.
Non è questa la sede per affrontare le complesse questioni politiche e, in ampia prospettiva, filosofiche, legate ai significati delle scelte dei criteri attributivi della cittadinanza[5].
Il tema cruciale, colto nella dissenting opinion appena menzionata, all’esito di una articolata disamina storica dei termini concettuali di riconoscimento del diritto di cittadinanza (par. I, lett. A) e del suo significato (successiva lett. B), è costituito dai criteri di esercizio della discrezionalità sottesa all’esercizio del potere di equity della Corte suprema di inibizione delle decisioni urgenti delle corti federali: criteri di bilanciamento che ruotano attorno alla esatta identificazione del diritto esposto a pregiudizio dall’ordine presidenziale (soprattutto quando il fondamento della posizione soggettiva si radichi nella Costituzione) e all’irreparabilità del pregiudizio al quale l’Esecutivo sarebbe esposto in assenza di inibizione.
Proprio muovendosi nella prospettiva processuale sollecitata dal rimedio degli “emergency (o shadow) docket”, con i quali la Corte suprema interviene interlocutoriamente in via d’urgenza su casi che restano aperti nel merito presso le corti inferiori[6], la dissenting opinion si concentra sui presupposti del potere inibitorio degli effetti delle decisioni urgenti adottate dalle corti distrettuali federali e osserva, con estrema lucidità, che ben difficilmente può essere individuato un irreparabile pregiudizio per l’Esecutivo nell’impossibilità di dare esecuzione, nei confronti di quanti non abbiamo agito in giudizio, a un ordine presidenziale manifestamente contrario alla Costituzione (par. III, lett. A della dissenting opinion) e dissonante rispetto ad una prassi operativa ormai ferma da secoli[7].
E appare arduo superare l’obiezione logica che valorizza l’impossibilità di cogliere l’irreparabile pregiudizio per il Governo, ad es., in un ordine proveniente da qualunque corte federale inferiore che paralizzasse una decisione esecutiva avente ad oggetto il blocco nei confronti delle sole donne dei sussidi per la disoccupazione o nei confronti dei cittadini neri (“black citizens”) del diritto di voto.
Pur concettualmente distinguibili, il fondamento giuridico della decisione (e, in ultima analisi, della posizione soggettiva tutelata) e il pericolo di danno irreparabile, sottesi logicamente all’esercizio di ogni potere cautelare, non sono aree valoriali incomunicanti, in quanto la consistenza delle posizioni giuridiche incide sulla valutazione della entità dell’esposizione a pericolo.
E la garanzia dei diritti fondamentali – qui sorretti da un non equivoco richiamo alla Costituzione, oltre che alle leggi e alla prassi amministrativa – rappresenta un macigno valoriale rispetto a pretese aree di immunità dei pubblici agenti, fossero pure investiti dell’autorità presidenziale[8].
4. Conclusioni
Si tratta di un tema che esattamente la giudice Sotomayor lamenta essere stato eluso da un confronto in termini astratti (ossia, va detto con nettezza, in modo non casualmente incompleto) congelato sul piano meramente formale dei criteri di esercizio del potere senza considerare la concreta realtà del caso che i giudici della Corte suprema erano chiamati a giudicare.
E qui prendono le mosse due direttrici di sviluppo della riflessione che il senso dello scritto impone di accennare soltanto.
La prima, sul quale indugia la dissenting opinion in esame nella lett. C del par. III, è quello della effettività della tutela assicurata dall’ordinamento in genere e da quello costituzionale in particolare[9].
La seconda (v. in particolare, il par. IV della dissenting opinion) è che la tutela dei diritti – ossia una tutela effettiva e, in una prospettiva di tenuta del sistema costituzionale, non limitata a chi abbia i mezzi per una reazione giurisdizionale - è coessenziale ad un sistema democratico, anche quando, ovviamente muovendosi nel quadro del sistema delle fonti che vincolano l’operato del giudice, entra in rotta di collisione con le scelte dei decisori politici espressione della maggioranza[10].
Su quest’ultimo punto, si sta registrando, negli ultimi tempi, un innalzamento del livello del confronto, ma non un suo approfondimento, nel senso che la reiterazione della critica avente ad oggetto l’interferenza del potere giudiziario nelle scelte politiche non si accompagna ad una riflessione sul fondamento del potere democratico, sul ruolo dei diritti fondamentali negli ordinamenti che sono costruiti attorno alla persona e non attorno alle mutevoli maggioranze e, in definitiva, sulla necessità di recuperare una prospettiva dialogico-argomentativa e non genericamente conflittuale in una dimensione comunitaria dell’ordinamento.
In questa cornice, la necessità di una continua vigilanza rispetto al ruolo della legge nei nostri sistemi, con la quale si chiude la dissenting opinion della giudice Sotomayor[11], e sulla necessaria delimitazione di senso e di confini della funzione politica[12], nel quadro della Costituzione, appare un caveat sul quale continuare a meditare operosamente.
[1] Nell’editoriale di Internazionale del 11 luglio 2025, G. De Mauro ricorda, attraverso il resoconto di E. Klein, quanto dichiarato da S. Bannon nel 2019: «I mezzi d’informazione sono l’opposizione. E siccome sono stupidi e pigri, riescono a concentrarsi solo su una cosa alla volta. Tutto quello che dobbiamo fare è inondarli. Ogni giorno li colpiamo con tre cose. Loro abboccano a una e noi abbiamo fatto il nostro lavoro. Bang, bang, bang. Resteranno tramortiti. Ma dobbiamo essere veloci come un proiettile, dobbiamo martellare». Esiste, peraltro, una complessità della trama dei rapporti che rende difficile mantenere ferma la visione di insieme e la capacità di affrontare le sfide di conoscenza e di analisi.
[2] Ciò che poi si traduce, secondo una risalente puntualizzazione, nella protezione costituzionale della libertà dell’individuo rispetto al potere pubblico e nella strutturata divisione dei poteri (v., ad es., C. Schmitt, Dottrina della costituzione, Milano, 1984, 173; per alcune recenti riflessioni, v. O. Chessa, La Costituzione e il diritto costituzionale, in M. Benvenuti – R. Bifulco, Trattato di diritto costituzionale, I, Torino, 2022, 37).
[3] In ambito statunitense, per la sua significatività va ricordata la decisione della Corte suprema degli Stati Uniti del 1° luglio 2024, Trump c. Stati Uniti (https://www.supremecourt.gov/opinions/23pdf/23-939_e2pg.pdf), a proposito della quale v. E. Grande, Un diabolico circolo vizioso, in
[4] In https://www.supremecourt.gov/opinions/24pdf/24a884_8n59.pdf, a proposito della quale v. E. Grande, I “guardiani del potere”: nel senso che lo limitano o che ne tutelano l’espansione?, in
[5] Per alcune recenti riflessioni, v. L. Ypi, Confini di classe, Milano, 2025.
[6] V. E. Grande, I guardiani del potere cit.
[7] Con amara ironia (che suona sottintesa accusa di ipocrisia), all’inizio della lett. B del par. III della dissenting opinion in esame, la giudice Sotomayor sottolinea la singolarità degli esiti della pronuncia della Corte suprema adottata da una maggioranza che si è sempre dichiarata fedele rispetto alla storia e alla tradizione.
[8] Al termine della lett. A del par. III della dissenting opinion, si legge appunto, pur rammentando in senso contrario, la decisione della Corte suprema del 1° luglio 2024, Trump c. Stati Uniti di cui alla nota 3 di questo scritto, che “Tutti i funzionari del governo, dal più alto al più basso, sono creature della legge e sono tenuti a rispettarla”.
[9] Con riferimento a quest’ultima prospettiva, in sede dottrinaria, ex multis, v. D. Bifulco, L’ordinamento giuridico, lo Stato e i suoi elementi costitutivi, in M. Benvenuti – R. Bifulco, Trattato di diritto costituzionale, I, Torino, 2022 cit., 177; di recente – ma si tratta di un cenno assolutamente inidoneo a rappresentare la pervasività del principio nel nostro ordinamento – v., Corte cost. 18 luglio 2025, n. 111, par. 5.6 del Considerato in diritto.
[10] Si tratta di un tema complesso che verrà approfondito altrove e che investe la sostanza dei poteri di interpretazione e applicazione del diritto, oggi oggetto di una riflessione poco nitida nei suoi presupposti concettuali, ma chiarissima nei suoi fini proprio sul tema delicato della tutela dei diritti fondamentali. Solo per cenni, si rileva, ad es., con riguardo alla missiva del 22 maggio 2025, firmata dalla Presidente del consiglio dei ministri italiano e da rappresentanti di altri Stati europei (https://governo.it/sites/governo.it/files/Lettera_aperta_22052025.pdf), che, per un verso, sottolinea – e con ragione – i cambiamenti epocali che il fenomeno migratorio ha registrato negli anni successivi alla seconda guerra mondiale e, per altro verso, denuncia, in termini generali, l’evoluzione che nella giurisprudenza della Corte europea sono intervenuti, quanto alla interpretazione della Convenzione e della sua portata, al punto da spingersi, secondo gli autori, troppo in là rispetto alle originali intenzioni dei compilatori, in tal modo spostando il punto di equilibrio del giudizio di bilanciamento degli interessi sottesi alle controversie. Per altre riflessioni, sia consentito rinviare a G. De Marzo, Recensione a Il nuovo diritto penale tributario, in www.questionegiustizia.it, 17 maggio 2025.
[11] Nell’epilogo, la giudice richiama la necessità di una lotta per la sopravvivenza del principio della rule of law, che evoca l’antico monito verso una democrazia militante di K. Loewenstein, Democrazia militante e diritti fondamentali, Macerata, 2024. E, in questo contesto, si colloca la finale dichiarazione esplicita di dissenso della giudice Sotomayor.
[12] Per alcune recenti riflessioni su atto politico e funzione giurisdizionale, v., di recente, in coerenza con la propria giurisprudenza, Cass., sez. un. civ., 21 luglio 2025, n. 23081; 6 marzo 2025, n. 5992; in dottrina, si rinvia a G. Montedoro, L’atto politico, in www.giustiziainsieme, 11 ottobre 2023; L. Diotallevi, Atto politico e sindacato giurisdizionale, Napoli, 2024; V. Giomi, L'atto politico e il suo giudice: tra qualificazioni sostanziali e prospettive di tutela, 2022. Sui nodi che la nozione di atto politico impone di affrontare, v. R. Conti, Atto politico vs giustizia "politica". Quale bilanciamento con i diritti fondamentali? in www.giustiziainsieme, 2 novembre 2023, che, nel ricostruire l’evoluzione giurisprudenziale, puntuale sottolinea la necessità avvertita dalle corti di circoscrivere la nozione di atto politico «in ragione della nuova sensibilità verso la tutela dei diritti della persona che nasce non solo dal contesto e dall’evoluzione sociale, ma a monte da una sempre più consapevole considerazione del ruolo della Costituzione e delle Carte dei diritti, nell’interpretazione che i diritti viventi ne danno».