Interrogatorio preventivo: istruzioni per l’uso
(dieci soluzioni pratiche per sopravvivere al nuovo articolo 291 c.p.p.)
Sommario: premessa: Il nuovo istituto e gli operatori del diritto: dalla fase dello sconcerto a quella dell’applicazione. Dieci questioni pratiche. 1. Il regime applicabile alle richieste di misura cautelare pendenti al 25 agosto 2024. 2. Pluralità di imputazioni e pluralità di indagati: il conflitto di norme tra regola ed eccezione e la disciplina da applicare. A) Pluralità di reati. B) Pluralità di indagati. C) Coesistenza di esigenze cautelari. D) Coesistenza di richieste cautelari eterogenee. E) Il conflitto di norme derivante dall’intervento del giudice della cautela. 3. Le soluzioni possibili. 4. Trattazione congiunta della misura cautelare: precedenti e criticità applicative. 5. Lo sdoppiamento delle ordinanze cautelari e le difficoltà di gestione. 6. Il rigetto della richiesta cautelare e il regime delle impugnazioni. 7. Il termine per l’invito a comparire. 8. La notificazione dell’invito a comparire. 9. Presenza del difensore e legittimo impedimento. 10. Termine a difesa ed effettività del contraddittorio.
Premessa. Il nuovo istituto e gli operatori del diritto: dalla fase dello sconcerto a quella dell’applicazione.
Da lungo tempo il legislatore ci ha abituato a continui assalti all’impianto del codice di procedura penale, sempre più simile ad un cantiere perenne e sempre meno a quell’insieme di regole certe e dotate di sistematicità che sarebbe logico attendersi.
Gli interventi di modifica dell’impianto del processo si susseguono a cadenza quasi mensile, dettati da emergenze spesso legate a singoli casi eclatanti del momento, ciò che si riverbera fatalmente sulla qualità delle leggi: si tratta di norme connotate da respiro corto e mancanza di attenzione per l’architettura generale del sistema in cui sono inserite.
Comprensibilmente, la reazione degli operatori del diritto chiamati ad applicare le novelle norme sembra ricalcare un medesimo, triste copione: si passa dall’iniziale sconcerto nel leggere articoli e commi che sembrano dettati dall’unico scopo di ostacolare la ricerca della verità processuale alla desolata constatazione delle difficoltà operative di calare tali norme nella realtà dei processi.
Si tratta infatti di prescrizioni scritte in modo sempre più incompleto ed a volte così avulse dal corpus normativo in cui - con operazione di infelice ortopedia - sono inserite da essere parzialmente inapplicabili, non senza rivelarsi spesso all’atto pratico controproducenti per gli scopi avuti di mira dal legislatore.
È quanto accade oggi per le modifiche al codice di procedura penale conseguenti all’introduzione del cosiddetto “interrogatorio preventivo”, di cui si approfondiranno in questa sede alcune problematiche operative alla ricerca di soluzioni (più o meno) convincenti nel tentativo di mantenere una funzionalità di massima al sistema delle misure cautelari personali[1].
Dieci questioni pratiche.
1. Il regime applicabile alle richieste di misura cautelare pendenti al 25 agosto 2024.
La prima questione da affrontare, quantomeno in ordine logico, riguarda la disciplina da applicare per le richieste depositate dal Pubblico Ministero al 25 di agosto del 2024 e non ancora esitate dal Giudice delle Indagini preliminari.
Il G.I.P. dovrà applicare la norma vigente al momento del deposito della richiesta o quella nuova e procedere dunque, nei casi previsti, ad interrogatorio preventivo?
La seconda soluzione è imposta sia dal principio secondo cui per ciascun atto è disciplinato dalla legge vigente al momento della sua emanazione (tempus regit actum) sia dalla necessità di adottare la disciplina più favorevole all’indagato (favor rei), sicuramente da individuare nella nuova formulazione dell’articolo 291 c.p.p..
Conseguentemente, per tutte le richieste pendenti nei propri uffici i G.I.P. dovranno procedere, nei casi previsti dalla nuova legge, all’interrogatorio preventivo degli indagati.
Naturalmente, se il Pubblico Ministero dovesse realizzare che questa discovery anticipata provoca pericoli all’indagine, potrà revocare la richiesta di misura cautelare pendente prima della notifica dell’invito a comparire per rendere interrogatorio.
In proposito, non si può non rilevare che uno dei paradossi di questa nuova normativa, acutamente messo in rilievo dal parere dell’ANM, è che la modifica apportata al sistema delle misure cautelari è essa stessa foriera, potenzialmente, di un aumento del periculum libertatis: “In ipotesi, l’interrogatorio anticipato può quasi rendere concreto il pericolo di inquinamento probatorio anche laddove tale esigenza non sussista nella fase delle indagini: la conoscenza delle dichiarazioni rese da persone informate sui fatti da parte dell’indagato in una fase preliminare all’adozione della misura potrebbe esporre questi ultimi a interventi finalizzati alla ritrattazione o alla modifica delle dichiarazioni, soprattutto in contesti ad alta densità criminale; rende, inoltre, possibile condotte elusive laddove vi siano circostanze non emerse in sede di indagine e di cui l’indagato sia comunque a conoscenza“.
Il titolare delle indagini potrebbe dunque valutare che, alla luce del mutato quadro normativo, non è più conveniente l’adozione di una misura cautelare preceduta da un momento – conseguente alla citazione per rendere interrogatorio preventivo – in cui l’indagato è avvertito del rischio per la sua libertà derivante dall’indagine in corso…. E conseguentemente richiedere il fascicolo revocando la richiesta pendente.
2. Pluralità di imputazioni e pluralità di indagati: il conflitto di norme tra regola ed eccezione e la disciplina da applicare.
Il problema più spinoso che la nuova normativa pone da un punto di vista pratico nasce dalla possibile coesistenza nella medesima ordinanza di custodia cautelare tra posizioni (oggettive e soggettive) che richiedono l’interrogatorio preventivo e posizioni che non lo richiedono.
La nuova disciplina introdotta dalla legge Nordio appare tarata sull’eventualità di una richiesta di misura cautelare da emettere nei confronti di un indagato accusato di un reato.
Il comma 1 quater dell’articolo 291 del codice di procedura impone infatti di procedere ad interrogatorio preventivo prima dell’emissione di una ordinanza cautelare e prevede alcune ipotesi, in guisa di eccezioni, in cui tale adempimento deve essere omesso.
In queste ipotesi si adotterà la procedura tradizionale dettata dall’articolo 294 del codice di rito (interrogatorio da svolgersi immediatamente dopo l’esecuzione della misura).
Il sistema previsto è rigidamente binario: o si applica la regola generale (interrogatorio preventivo) o si rientra in una delle eccezioni (interrogatorio differito).
Nulla è stabilito per l’eventualità di un’ordinanza che riguardi una pluralità di reati e/o una pluralità di indagati, ipotesi peraltro statisticamente preponderante in tutti i casi in cui l’indagine preliminare supera un livello minimo di complessità.
È invero assai raro, nella pratica quotidiana del lavoro di Pubblici Ministeri e Giudici, che si intervenga con la privazione della libertà personale come risposta alla commissione di un singolo reato, per quanto grave (basti pensare ad un omicidio o a un reato di stalking, che sono solitamente accompagnati dalla contestazione di uno o più reati-satellite); l’esperienza insegna altresì che il campo di azione tipico delle misure cautelari personali è quello dei reati commessi da più persone in concorso, se non addirittura associate per delinquere.
È dunque evidente che nella maggior parte dei casi il giudice della cautela non si troverà di fronte alla semplicistica alternativa binaria prevista dalla novella legislativa tra l’applicazione della regola generale ed una delle sue eccezioni, ma dovrà fare i conti con una molteplicità di situazioni, alcune delle quali ricadenti sotto una o più delle eccezioni ed altre nella regola generale, da applicare contemporaneamente con conseguente conflitto di norme.
Per alcuni reati/indagati dovrà infatti procedersi ad interrogatorio preventivo, per altri no.
La sorprendente lacuna del legislatore (il “bug” nel nuovo articolo 291 c.p.p.) è probabilmente conseguenza di un intervento normativo pensato su una tipologia specifica di intervento cautelare: l’ipotesi di reato monosoggettivo compiuto da soggetto non aduso a delinquere e con assenza di pericolo di reiterazione di delitti.
In altri termini, il classico delitto contro la Pubblica Amministrazione, categoria cui sono dedicate non a caso tutte le altre norme della legge Nordio, dalla mutilazione del traffico di influenze all’abrogazione dell’abuso di ufficio alla limitazione dell’uso di intercettazioni in determinati casi.
Per questo tipo di reati, non essendo possibile eliminare del tutto il ricorso allo strumento cautelare (anche per non incorrere nelle ire degli organismi internazionali, già da tempo critici sull’approccio nostrano alla lotta alla corruzione e fenomeni assimilabili), sono stati introdotti dalla nuova legge limiti ed ampliate le garanzie in favore dell’indagato, cui è data la possibilità di fornire la sua versione dei fatti anche a scapito delle esigenze di segretezza ed efficacia delle indagini, e di neutralizzare l’intervento cautelare fornendo elementi per escludere il pericolo di reiterazione (come ad esempio le dimissioni dalla carica pubblica ricoperta che ha costituito occasione per delinquere).
È del resto questa la ratio legis conclamata dell’articolo 289, secondo comma del codice di rito, unica ipotesi in cui era fino ad oggi previsto l’interrogatorio preventivo: per la richiesta di misura cautelare interdittiva della sospensione da un pubblico servizio, l’interrogatorio deve essere eseguito prima dell’esecuzione dell’ordinanza del giudice, a tutela del prestigio e della funzionalità della Pubblica Amministrazione.
Il nuovo articolo 291 del codice di procedura penale, però, si applica indiscriminatamente a tutti i reati per i quali è necessario agire con misura cautelare e non ad una singola categoria.
La complessità della realtà criminale e dei tipi di intervento cautelare, trascurata dal legislatore, viene dunque a ricadere sugli operatori del diritto, chiamati a dirimere in via interpretativa le numerose ipotesi di possibile conflitto tra regola ed eccezioni, che di seguito si vanno ad elencare.
A) Pluralità di reati.
Come si diceva in precedenza, la stragrande maggioranza delle richieste di misura cautelare, anche nei confronti di un singolo indagato, contiene una pluralità di imputazioni, essendo assai raro il caso in cui la privazione della libertà personale sia richiesta per una singola violazione di legge.
Si pensi al caso di soggetto accusato di evasione dagli arresti domiciliari per commettere una rapina, o ad indagini riguardanti una serie di cessioni di sostanza stupefacente di cui solo una di ingente quantità.
Nel primo caso (rapina ed evasione) l’interrogatorio preventivo è necessario solo per uno dei due reati contestati, nel secondo (più cessioni ordinarie ed una di ingente quantità) per tutti i reati tranne uno.
B) Pluralità di indagati
Molto spesso le richieste di applicazione di una misura cautelare sono poi avanzate dal Pubblico Ministero all’esito di indagini complesse e rivolte verso una pluralità di indagati, cui sono contestati i diversi reati emersi (nell’impostazione accusatoria sottoposta al vaglio del Giudice) durante gli accertamenti e le indagini preliminari.
Conseguentemente, è da considerarsi fisiologica l’ipotesi in cui nella medesima richiesta di misura cautelare vi siano indagati per cui si richiede al G.I.P. un’ordinanza per reati per i quali occorrerà, secondo la nuova formulazione dell’articolo 291 c.p.p., procedere ad interrogatorio preventivo ed altri, accusati di reati ricompresi nel nutrito novero delle eccezioni, per cui tale adempimento non sarà necessario.
Si pensi al caso di una richiesta di misura cautelare in cui è contestata ad alcuni indagati la partecipazione ad un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (art. 74 t.u. 309/90) e ad altri il semplice concorso in una o più condotte di cessione (art. 73 t.u. 309/90), o ad una misura nei confronti di un soggetto accusato di rapina aggravata e di un suo coindagato al quale è contestato di aver riciclato il provento della stessa.
Nel primo degli esempi, l’interrogatorio preventivo non sarà necessario per tutti gli indagati accusati di essere intranei all’associazione ma dovrà essere effettuato per gli altri indagati per i quali è stata chiesta la misura cautelare; nel secondo, l’interrogatorio preventivo dovrà essere eseguito solo per il soggetto accusato di riciclaggio e non per quello accusato di rapina.
C) Coesistenza di esigenze cautelari
Ancora, può capitare che per alcuni indagati la misura cautelare sia sollecitata per il pericolo di inquinamento delle prove o per il pericolo di fuga e per altri per il pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie di quelli per i quali si procede: anche in questo caso, l’interrogatorio preventivo sarà necessario solo per una parte dei destinatari della richiesta mentre per gli altri il GIP potrà decidere inaudita altera parte, essendo l’incombente anticipato previsto solo per le richieste motivate sulle esigenze cautelari indicate dalla lettera c dell’articolo 274 c.p.p..
D) Coesistenza di richieste cautelari eterogenee
Infine, non è affatto raro il caso in cui nella stessa richiesta il Pubblico Ministero chieda per alcuni indagati la custodia cautelare in carcere e per altri, coinvolti in modo meno grave, una misura meno afflittiva: in questo caso, secondo una diversa norma destinata ad entrare in vigore nel 2026, scatterà addirittura una diversa competenza, essendo chiamati a decidere addirittura tre Giudici per la sola custodia in carcere con conseguente deviazione “in corsa” della competenza funzionale (che tornerà ad essere monocratica per le sole misure minori).
Ma di questa (ed altre) implicazioni della norma sul Giudice collegiale converrà occuparsi a tempo debito.
E) Il conflitto di norme derivante dall’intervento del giudice della cautela.
Tutte le ipotesi sopra descritte riguardano situazioni già presenti nel momento in cui la richiesta è posta all’attenzione del Giudice per le indagini preliminari.
Ma a queste vanno aggiunte, specularmente, tutte quelle che possono scaturire dall’analisi degli atti compiuta dal giudice della cautela al momento della sua decisione.
Questi potrà infatti, a fronte di una richiesta di misura cautelare per rapina nei confronti di due indagati, decidere di riqualificare l’accusa nei confronti di uno dei due nel meno grave delitto di favoreggiamento (con conseguente obbligo di procedere, solo per il presunto favoreggiatore, con interrogatorio preventivo).
Parimenti il giudice potrà, a fronte di una richiesta basata sul pericolo di fuga e di reiterazione di delitti nei confronti di due indagati, ravvisare il pericolo di fuga solo nei confronti di uno dei due; anche in questo caso, prima di emettere misura cautelare, dovrà procedere ad interrogatorio preventivo ma solo nei confronti dell’indagato per cui ha ravviato esclusivamente il pericolo di reiterazione di delitti (274 lettera c c.p.p.).
Ancora più frequente il caso in cui, a fronte di una richiesta di custodia in carcere per due o più indagati, il Giudice decida in senso conforme per uno e di applicare una misura meno afflittiva per un altro (con conseguente attribuzione della ordinanza alla composizione collegiale di cui si è detto solo per una parte della misura).
3. Le soluzioni possibili.
Alla luce di quanto fin qui esaminato, appare evidente che nella maggior parte delle ipotesi al vaglio dei giudici, ci si troverà di fronte alla coesistenza di regola ed eccezioni, con conseguente necessità di procedere ad interrogatorio preventivo per una parte dell’ordinanza da emettere e di mantenere invece il procedimento inaudita altera parte per altra parte.
Verranno dunque in conflitto due esigenze contrapposte: quella di segretezza delle indagini, che impone la compressione della libertà personale dell’indagato prima che questi sappia che ci sono accertamenti in corso sul suo conto (è per questo che fino all’introduzione della legge Nordio l’interrogatorio di garanzia era svolto dopo l’adozione della misura cautelare) e il diritto dell’indagato di fornire la sua versione dei fatti prima degli effetti devastanti della privazione della sua libertà.
Nei casi di coesistenza di posizioni oggettive e soggettive cui il legislatore assegna prevalenza all’una e ipotesi in cui prevale l’altra delle due esigenze descritte, è di fatto demandato all’operatore del diritto – nel colpevole silenzio del legislatore – la scelta di quale delle due esigenze andrà sacrificata.
In alternativa, si potrà procedere ad una separazione delle posizioni eterogenee con emissione di due distinte tipologie di atti: l’ordinanza di custodia cautelare per i reati per i quali non occorre interrogatorio preventivo e un invito a comparire per quelli per i quali tale atto è necessario.
Tuttavia, è innegabile che uno spacchettamento dell’ordinanza in due parti, una immediatamente eseguita e l’altra da scrivere ed emettere eventualmente all’esito dell’interrogatorio preventivo comporta un appesantimento (sia per il giudice che scrive che per le cancellerie, costrette a duplicare gli atti e a moltiplicare gli avvisi) che inevitabilmente verrà ad incidere su una situazione di gestione degli affari penali notoriamente in cronica difficoltà per ragioni che in questa sede non è possibile approfondire.
Senza contare la difficoltà di frazionare un compendio indiziario che le indagini hanno fatto emergere come unitario e che unitario si presenta nella ricostruzione accusatoria, tanto da avere indotto il Pubblico Ministero a presentare un’unica richiesta di misura cautelare.
Per tali ragioni, la trattazione congiunta delle varie posizioni deve essere considerata prioritaria, laddove possibile.
4. Trattazione congiunta della misura cautelare: precedenti e criticità applicative.
Occorre dunque chiedersi se sia possibile considerare le ipotesi per le quali occorrerebbe procedere ad interrogatorio preventivo sub valenti rispetto a quelle per le quali la misura può essere emessa de plano.
Esiste, in altri termini, ed a quali condizioni, un principio di prevalenza della segretezza del procedimento a scapito delle garanzie difensive?
Può essere utile ricordare che, nella corrente interpretazione giurisprudenziale, si ritiene che in caso di pluralità di reati (e di persone) che sottostanno a norme regolatrici differenti, la norma che disciplina il reato più grave viene comunemente applicata anche a tutti gli altri reati, prevalendo l’opportunità di una gestione unitaria del fascicolo.
Così, in tema di intercettazioni, laddove siano iscritti nel registro degli indagati soggetti per reati di criminalità organizzata (sottoposti alla disciplina speciale dettata dall’articolo 13 del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152) e soggetti indagati per reati comuni (per i quali vigono termini e condizioni dettati dall’articolo 267 c.p.p.), si applicheranno per tutti gli indagati intercettati i termini di quaranta giorni per la durata del decreto di intercettazione e le successive proroghe avranno vigore per venti giorni (in luogo dei 15 giorni sia iniziali che per i decreti di proroga previsti per le fattispecie ordinarie).
In merito, la Corte di Cassazione ha più volte affermato che “in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni la valutazione del reato per il quale si procede, da cui dipende l'applicazione della disciplina ordinaria ovvero di quella speciale per la criminalità organizzata di cui al d.l. 13 maggio 1991, n. 151, convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, va fatta in relazione all'indagine nel suo complesso e non con riguardo alla responsabilità di ciascun indagato” (cass. Pen., sez. II, n. 31440 del 24 luglio 2020, rv. 280062).
Ciò che rileva, ai fini dell’applicazione di questo principio, è che tra i reati vi sia una connessione “quantomeno probatoria”: “La valutazione sul reato per il quale si procede con conseguente applicazione della disciplina ordinaria ovvero di quella speciale (per la "criminalità organizzata") va fatta con riferimento alla indagine complessiva, quindi per tutti reati per i quali vi sia quantomeno connessione probatoria (vale, al riguardo, quanto elaborato in tema di identità o diversità di procedimento ai sensi dell'articolo 270 cod. proc. pen. ) e non certo con riferimento ad ogni singolo indagato. Del resto, si rammenta, il concetto di gravità o sufficienza degli indizi ai fini degli artt. 266 e ss cod. proc. pen. è riferito alla esistenza del reato e non alla responsabilità di ciascun singolo.” (Cass. Pen., sez. VI, 6 aprile 2017, n. 28252, rv 270565).
Il richiamo contenuto nella pronuncia all’elaborazione giurisprudenziale sulla nozione di procedimento diverso ai fini della inutilizzabilità prevista dall’articolo 270 c.p.p. porta all’applicazione dei principi contenuti in altra massima: “In tema di intercettazione di conversazioni, ai fini del divieto di utilizzazione previsto dall'art. 270, comma primo, cod. proc. pen., la nozione sostanziale di "diverso procedimento" va desunta dal dato dell'alterità o non uguaglianza del procedimento instaurato non nell'ambito del medesimo filone investigativo, ma in relazione ad una notizia di reato, che deriva da un fatto storicamente diverso da quello oggetto di indagine nell'ambito di altro, differente, anche se connesso, procedimento” (Cass. Pen. Sez. II, n. 19730 del 1 aprile 2015, rv 263527).
Ad analoghe conclusioni si arriva esaminando le norme sulla proroga delle indagini preliminari.
Come noto, nel caso di richiesta di proroga delle indagini per reati ricompresi nelle ipotesi di cui all’articolo 406 comma 5 bis del codice di procedura penale non occorre la notifica della richiesta all’indagato né la fissazione dell’udienza camerale con instaurazione del contraddittorio, potendo il GIP decidere de plano poiché prevale l’esigenza di segretezza delle indagini in casi di particolare allarme sociale su quella di instaurazione del contraddittorio.
Ebbene, per prassi unanime di tutti i Tribunali, nel caso in cui un fascicolo sia iscritto per reati sottoposti alla speciale disciplina menzionata ed altri reati comuni, non occorre la notifica della proroga per questi ultimi reati, poiché la disciplina dettata dalla legge speciale prevale su quella generale.
Da quanto sopra evidenziato emerge dunque che, in determinati casi, le congiunte esigenze di segretezza delle indagini e di trattazione unitaria del procedimento consentono il differimento delle garanzie difensive.
Il principio sembra applicabile anche al caso in esame; l’interpretazione in questo senso dipenderà ovviamente dal bilanciamento degli interessi in gioco che, in assenza di una previsione di legge, compiranno i giudici caso per caso.
È auspicabile naturalmente un’interpretazione conforme tra i magistrati, per evitare difformità di trattamento in caso analoghi.
In attesa di un verosimile intervento interpretativo della Corte di cassazione, molti uffici stanno adottando linee ermeneutiche comuni tra i giudici che li compongono.
L’Ufficio GIP di Roma a seguito di riunione tra i suoi componenti, ha adottato delle linee guida (non vincolanti per i singoli giudici) scegliendo di distinguere tra le varie ipotesi fin qui menzionate.
In particolare, per le misure cautelari riguardanti una pluralità di reati ( alcuni dei quali richiedenti l'interrogatorio preventivo, altri no) con unico indagato, sarà adottata un’unica misura cautelare senza procedere all'interrogatorio preventivo, prevalendo la disciplina ora speciale rispetto a quella neo-introdotta ora generale che richiede l'interrogatorio preventivo.
Nelle ipotesi di misure cautelari che riguardano invece soggetti diversi, per alcuni dei quali occorre procedere ad interrogatorio preventivo e per altri no, è stata scelta una linea prudenziale, dandosi prevalenza alle esigenze di garanzia difensiva e non ritenendosi le medesime sacrificabili per l’occasionale connessione con posizioni soggettive meno garantite.
Si procederà dunque ad eseguire la misura "a sorpresa" per coloro per i quali l'interrogatorio preventivo non è dovuto, con le correlative operazioni di perquisizione e sequestro, e contemporaneamente, o successivamente , a notificare gli inviti a presentarsi per gli interrogatori preventivi.
5. Lo sdoppiamento delle ordinanze cautelari e le difficoltà di gestione.
La soluzione adottata presenta diverse evidenti criticità.
In primo luogo, viene meno l’effetto sorpresa che è connaturato alle misure cautelari e che consente al Pubblico Ministero di compiere alcuni degli atti di indagine più delicati ed importanti potendo contare sulla mancanza di reazione dell’indagato, che tende naturalmente a neutralizzare l’efficacia degli atti medesimi.
Per minimizzare gli effetti della discovery e contemperare le garanzie difensive ritenute prevalenti dal legislatore per gli indagati per i quali non è previsto l’interrogatorio preventivo con le esigenze di indagini, ritenute invece prevalenti per quegli indagati per i quali permane il differimento di tale adempimento, l’unico strumento sembra essere di prevedere che l’invito a comparire per rendere interrogatorio preventivo non preceda l’esecuzione della misura de plano, e che le notifiche dei primi avvengano contestualmente all’esecuzione delle ordinanze per i secondi.
Viene dunque a gravare sull’ufficio GIP un onere organizzativo aggiuntivo a tutela della salvaguardia dell’efficacia delle indagini preliminari svolte dal Pubblico Ministero.
Va anche rilevato che tale onere, non essendo prescritto formalmente, non è nemmeno sanzionato in alcun modo, sicché il GIP potrebbe semplicemente ignorarlo e privilegiare proprie esigenze organizzative o di ufficio.
Ulteriore criticità è ravvisabile nella difficoltà per il giudice emittente di redigere un’ordinanza di misura cautelare parziale.
A fronte di una richiesta di misura del Pubblico Ministero che ricostruisce fatti complessi e connessi tra loro, il magistrato della cautela dovrebbe emettere un provvedimento in cui si approfondiscono gli elementi indiziari a carico di alcuni indagati e non di altri (quelli per i quali occorrerà attendere l’esito dell’interrogatorio preventivo).
Non sempre tale scissione tra posizioni che in fatto - e nella richiesta del magistrato inquirente – si presentano unite sarà agevole.
Si pensi alle difficoltà di motivare sulla sussistenza di un’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti senza poter approfondire alcuni – o tutti – gli episodi di spaccio che dell’associazione costituiscono i reati-fine.
Solo dopo l’espletamento degli interrogatori preventivi nei confronti dei coindagati accusati dei singoli episodi di spaccio il Giudice potrà emettere una seconda ordinanza, dedicata questa volta ai reati-fine e che avrà per presupposto (questa volta, spendibile) l’esistenza di un’associazione i cui componenti sono già stati attinti dalla prima misura.
In alternativa a quella che potrebbe diventare una sorta di slalom ermeneutico tra gli elementi indiziari, si potrebbe pensare ad un’unica ordinanza cautelare che prenda in considerazione la valenza indiziaria di tutti gli elementi a carico di tutti gli indagati, ma che nelle conclusioni ordini la cattura dei soli indagati per i quali non occorre l’interrogatorio preventivo, riservando al momento successivo l’eventuale completamento della parte dispositiva con integrazione dei soggetti interrogati (sempre che le loro dichiarazioni non convincano il GIP della necessità di non procedere alla misura nei loro confronti).
Questa soluzione sembra contrastare intuitivamente con la ratio del nuovo comma 1 quater del codice di procedura penale: se il GIP è così convinto della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico di tutti gli indagati, tanto da scrivere anche la parte dell’ordinanza che li riguarda, l’anticipazione dell’interrogatorio finisce col ridursi ad un vuoto simulacro.
Tale perplessità, tuttavia, a ben vedere non coglie nel segno: il nuovo articolo 291 del codice di rito prevede che il Giudice proceda ad interrogatorio preventivo solo quando deciderà di emettere la misura (e non vi proceda dunque in caso decida di rigettare la richiesta cautelare).
Da ciò discende che per inviare l’invito a comparire egli deve avere maturato la convinzione di emettere ordinanza cautelare.
Si tratta ovviamente di una decisione allo stato degli atti e il magistrato deve essere pronto a modificarla, nel caso in cui dalle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio emergano elementi scagionanti o ridimensionanti i gravi indizi di colpevolezza.
Ma, di fatto, fino al momento dell’interrogatorio il giudice deve avere - lo richiede l’articolo 291 nel comma in esame - ben salda la decisione di procedere all’emissione del provvedimento, sicché non vi è alcuna indebita anticipazione di giudizio se espliciterà questa convinzione nella prima misura cautelare (quella dedicata ai soggetti per i quali l’interrogatorio preventivo non serve).
Potrà dunque essere emessa un’unica ordinanza in cui si esamineranno le posizioni di tutti gli indagati e nella parte dispositiva si ordini l’esecuzione della misura solo per una parte di essi; contestualmente si procederà ad interrogare gli altri indagati e all’esito dell’interrogatorio, se nulla è mutato, si emetterà la stessa misura cautelare – integrata dalla parte motiva che spieghi eventualmente le ragioni per cui gli elementi emersi nell’interrogatorio non hanno modificato l’originario convincimento – ma con la parte dispositiva dedicata all’ordine di esecuzione degli altri indagati.
In questo modo si attenuerà altresì l’indubbio aggravio organizzativo che graverà su giudici e cancellerie a causa dello sdoppiamento degli atti.
6. Il rigetto della richiesta cautelare e il regime delle impugnazioni.
Come si è osservato in precedenza, nel caso in cui il Giudice della cautela ritenga di non accogliere la richiesta di misura non dovrà procedere ad interrogatorio preventivo.
A questa conclusione porta la lettera della norma, poiché l'art. 291 comma 1-quater del codice di procedura penale dispone che l'interrogatorio preventivo debba essere fatto "prima di disporre la misura".
Il provvedimento di rigetto, alla luce delle modifiche apportate al sistema cautelare della legge Nordio, apre scenari inediti nel caso di impugnazione da parte del Pubblico Ministero: qualora la misura venga disposta dal Tribunale per il riesame, dovrà essere preceduta da interrogatorio preventivo? E da parte di quale organo?
Anche in questo caso il legislatore tace.
Un risalente intervento della Corte di cassazione in tema di misure interdittive ex art. 289, 2° comma c.p.p. sembra indicare nel Tribunale per il riesame l’organo deputato all’espletamento dell’incombente. La Corte ha infatti affermato che «in tema di richiesta di applicazione della misura cautelare interdittiva è illegittimo il diniego da parte del tribunale della libertà al quale il P.M. abbia avanzato appello avverso la reiezione da parte del G.i.p. della medesima misura, sul rilievo della mancata effettuazione da parte del G.i.p. dell'interrogatorio dell'indagato, nonostante la riconosciuta fondatezza dei motivi esposti a sostegno dell'applicazione della predetta misura, essendo in tal caso obbligo del Tribunale di procedere all'interrogatorio che sia stato omesso» (Cass. Pen., sez. V, 19 ottobre 2004 n. 14967, rv. 231623).
Tuttavia, appare più conferente fare riferimento ad un più recente pronunciamento delle Sezioni Unite in tema di interrogatorio di garanzia per le misure coercitive, sebbene riferito all’interrogatorio differito ex art. 294 c.p.p..
In questa occasione la Corte ha infatti precisato che «in caso di applicazione di una misura cautelare coercitiva da parte del tribunale del riesame in accoglimento dell'appello del pubblico ministero avverso la decisione di rigetto del p.m. avverso la decisione del g.i.p., non è necessario procedere all'interrogatorio di garanzia a pena di inefficacia della misura suddetta».» (Cass. Pe., SS.UU., n. 17274 del 26 marzo 2020).
Saranno questa volta i Tribunali del Riesame a dover scegliere tra le due interpretazioni, in attesa di un eventuale intervento specifico della giurisprudenza di legittimità.
7. Il termine per l’invito a comparire.
Un’interessante questione è stata posta dai primi commentatori della norma[2] con riferimento al comma 1 sexies dell’articolo 291 in tema di termine per l’invito a comparire.
La norma menzionata prevede infatti che il giudice notifichi l’invito all’indagato e al difensore “almeno cinque giorniprima dell’interrogatorio”, ma lascia al giudice la possibilità di abbreviare il termine in caso di urgenza.
In questo caso non è previsto un termine minimo, se non quello necessario (all’indagato) per comparire[3].
È stato giustamente osservato che la previsione della possibilità di elidere il termine di cinque giorni fino a ridurlo a poche ore (il tempo necessario per recarsi nell’ufficio del giudice) postula che ciò che conta è che sia assicurata la presenza dell’indagato e non che questi abbia la possibilità di studiare l’incartamento processuale e preparare un’adeguata difesa.
Un’interpretazione siffatta sembra tuttavia svuotare di significato l’intero istituto dell’interrogatorio preventivo e riportare al centro dell’attenzione l’esigenza di cautela e di salvaguardia delle indagini che sono alla base del tradizionale sistema delle misure cautelari personali e che hanno costituito (e costituiscono ancora oggi per le numerose ipotesi “eccezionali” in cui è prevista l’applicazione dell’articolo 294 c.p.p.) fondamento per il differimento del contraddittorio al momento successivo all’emanazione dell’ordinanza cautelare.
Verosimilmente, per evitare un’interpretazione draconiana della norma, il giudice dovrà dunque usare con molta prudenza la possibilità di abbreviare il termine di cinque giorni e in ogni caso ridurre il tempo del minimo indispensabile, in modo da evitare che l’incombente si riduca ad una mera formalità, non avendo l’indagato avuto possibilità di prepararsi per rispondere.
Ancora a proposito di termine per l’invito a comparire, va rilevato altresì che non è previsto un termine “massimo”, sicché il Giudice potrebbe teoricamente fissare l’interrogatorio anche a grande distanza temporale. Naturalmente anche in questo caso occorrerà agire con buon senso, contemperando esigenze di effettività della difesa (che potrebbero spingere ad una dilazione dei tempi) ed esigenze cautelari, che rischierebbero di rimanere frustrate in assenza di un intervento tempestivo.
8. La notificazione dell’invito a comparire.
L’ultima parte del comma 1 sexies si occupa dell’ipotesi in cui la notificazione dell’invito a comparire per rendere interrogatorio preventivo non vada a buon fine, prevedendo che il giudice possa emettere ordinanza senza procedere ad interrogatorio in caso di mancato rintraccio, ma solo dopo aver verificato che gli organi incaricati per la notificazione abbiano compiuto ricerche esaurienti “anche nei luoghi dell’articolo 159 c.p.p.”[4].
Non è questa la sede per una ricognizione della nutrita giurisprudenza sul concetto di “ricerche esaurienti” e sulle molteplici implicazioni pratiche delle ricerche nei luoghi indicati nella norma dell’articolo 159 del codice di rito.
Interessa tuttavia rilevare che il legislatore omette ancora una volta di considerare il caso – più che frequente, come si è detto – di misura cautelare avanzata nei confronti di una pluralità di indagati.
Cosa succede se solo alcuni degli interrogandi viene rintracciato nel brevissimo termine stabilito dal giudice per l’interrogatorio? Mentre le ricerche proseguono per gli altri fino a raggiungere lo status di “ricerche esaurienti” il giudice dovrà procedere agli interrogatori di quelli rintracciati o dovrà attendere per eseguire un interrogatorio il più possibile contestuale (anche per evitare che gli indagati si “lascino rintracciare” solo dopo aver letto le dichiarazioni di chi li ha preceduti)?
E cosa succederà se il Giudice svolgerà gli interrogatori man mano che gli indagati, magari a distanza considerevole di tempo gli uni dagli altri, saranno rintracciati e interrogati?
In tale eventualità il Giudice dovrà verosimilmente emettere un ‘ordinanza dedicata a ciascuna singola posizione via via “sbloccata” dall’espletamento dell’interrogatorio preventivo o dalla constatazione formale del mancato rintraccio, con moltiplicazione incontrollata di stralci o di duplicazione di atti.
9. Presenza del difensore e legittimo impedimento.
Un’apparente dimenticanza è poi evincibile dalla norma dedicata alla presenza delle parti all’interrogatorio contenuta nel comma 1 sexies dell’articolo 291: è infatti previsto che il Giudice notifichi l’invito a comparire all’indagato ed al difensore, ma che l’incombente possa essere rinviato per legittimo impedimento solo del primo.
La mancata previsione del rinvio per legittimo impedimento del difensore ha spinto gli operatori a chiedersi se la presenza di quest’ultimo fosse da ritenersi non necessaria, visto che a rigor di termini è richiesto che allo stesso l’atto sia notificato ma non che possa eccepire – come invece consentito all’indagato – un legittimo impedimento.
Tale interpretazione va senz’altro ritenuta non conforme alla sistematica del nostro processo penale, in cui non può essere svolto alcun atto pregiudizievole all’indagato senza la presenza del difensore.
L’interrogatorio preventivo è, per altro, stato introdotto per aumentare le garanzie difensive dell’indagato, sicché non avrebbe senso un suo svolgimento in condizioni deteriori rispetto al tradizionale interrogatorio differito previsto dall’articolo 294 del codice di rito, tanto più che quest’ultimo atto non sarà più necessario in caso di svolgimento dell’interrogatorio preventivo.
Deve dunque ritenersi che, pur in assenza di esplicito riferimento normativo, possa esservi spazio per il riconoscimento di un legittimo impedimento del difensore e che il Giudice debba valutare un’eventuale istanza di rinvio in tal senso, anche se tale valutazione dovrà essere fatta con particolar rigore per evitare di frustrare le esigenze della cautela.
In ogni caso, nell’ipotesi di rigetto della richiesta di rinvio o comunque di assenza del difensore, si procederà previa nomina di un difensore di ufficio nelle forme dell’articolo 97 del codice.
10. Termine a difesa ed effettività del contraddittorio.
Questione particolarmente delicata è, infine, quella che riguarda la possibilità per il difensore di chiedere un termine a difesa per essere messo in condizione di studiare il fascicolo.
È evidente infatti che proprio su questo tema si confronteranno da posizioni contrapposte le esigenze dell’accusa di procedere ad un intervento urgente a cautela dell’indagine o della collettività e quelle dell’accusa di rispondere alle domande con piena cognizione degli atti raccolti a suo carico.
Ancora una volta, si tratta di questione ignorata dal legislatore e su cui è dunque necessaria opera ermeneutica.
Il codice prevede una richiesta di rinvio per esaminare il materiale raccolto dal magistrato inquirente in fase cautelare davanti al Tribunale per il Riesame: l’articolo 309 comma 9 bis precisa infatti che “su richiesta formulata personalmente dall’imputato entro due giorni dalla notificazione dell’avviso, il Tribunale differisce la data dell’udienza da un minimo di cinque ad un massimo di dieci giorni se vi sono giustificati motivi”.
La previsione non sembra però applicabile al caso in esame: la richiesta di rinvio davanti al Tribunale per il Riesame proviene da soggetto che ha già subito una compressione della libertà personale, sicché l’accoglimento della sua istanza di rinvio non avviene a detrimento delle esigenze cautelari, poiché il periculum libertatis è stato eliso dall’applicazione della misura in atti.
Nel caso in esame, invece, il differimento avverrebbe a detrimento (potenzialmente) delle esigenze cautelari.
Ne consegue che, anche in questo caso, il Giudice dovrà valutare l’istanza con particolare rigore.
[1] Per un commento relativo alla prima fase della reazione, quella dello sgomento iniziale, ci si permette di rinviare a C.DE ROBBIO, “D.D.L. Nordio: l’interrogatorio prima della misura cautelare e l’elefante nella stanza”, in questa rivista, 25 giugno 2024.
[2] L. LUDOVICI, Le novità della legge Nordio in materia cautelare: i contenuti, i problemi, le (possibili) soluzioni, in Dir. Pen. E Processo, 2024, 9, 1139.
[3] Articolo 291, comma 1 sexies c.p.p.: “L’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio è comunicato al pubblico ministero e notificato alla persona sottoposta alle indagini preliminari e al suo difensore almeno cinque giorni prima di quello fissato per la comparizione, salvo che, per ragioni di urgenza, il giudice ritenga di abbreviare il termine, purché sia lasciato il tempo necessario per comparire”.
[4] “Il giudice provvede comunque sulla richiesta del pubblico ministero quando la persona sottoposta alle indagini preliminari non compare senza addurre un legittimo impedimento, oppure quando la persona sottoposta alle indagini preliminari non è stata rintracciata e il giudice ritiene le ricerche esaurienti, anche con riferimento ai luoghi di cui all’articolo 159, comma 1”.