Questo contributo costituisce il primo di una serie di approfondimenti sul "d.d.l. Nordio" di questa Rivista.
D.d.l. Nordio in materia di intercettazioni: l'ennesima ombra gettata sull'operato del pubblico ministero (e l'ennesimo passo verso la separazione delle carriere)
di Andrea Apollonio
La sfiducia mostrata dal legislatore nel d.d.l. Nordio nei confronti del pubblico ministero, per quanto qui interessa sul fronte delle intercettazioni, sembra collocarsi in una più generale tendenza dell'attuale politica criminale di netto rifiuto delle funzioni giurisdizionali (in senso stretto) in capo al magistrato inquirente, non più primo "giudice" del procedimento ma "cane da guardia" della polizia giudiziaria; e neppure in questo ruolo valorizzato appieno sul piano ordinamentale. Non più co-protagonista della giurisdizione teso al pieno accertamento dei fatti, ma irredimibile accusatore ad ogni costo. La distanza tra giudici e pubblici ministeri, che il Costituente aveva convintamente azzerato, almeno a considerare le ultime leggi adottate appare ormai incolmabile.
Sommario: 1. Prologo: il messaggio veicolato dalla classe politica - 2. La "rilevanza" delle comunicazioni intercettate - 3. La "nuova" disciplina della tutela del terzo - 4. La <<compiuta esposizione>> dei fatti (e il pubblico ministero stretto in una morsa) - 5. I divieti (relativi e assoluti) di pubblicazione - 6. Epilogo: intercettazioni, separazione delle carriere e doveri delle parti.
1. Prologo: il messaggio veicolato dalla classe politica
Il c.d. "d.d.l. Nordio" (disegno di legge governativo approvato in prima battuta dal Senato il 13 febbraio 2024) presenta, tra le varie modifiche al codice di procedura penale, una parziale rimodulazione della disciplina delle intercettazioni relativa da un lato all'ampliamento dei divieti di pubblicazione del materiale intercettato e, dall'altro, all'implementazione dei profili di riservatezza del terzo estraneo al procedimento; due profili che tendono ad integrarsi tra loro.
Su questo versante, attraverso i media si è veicolato il messaggio per cui si introducono <<alcune modifiche alla disciplina delle intercettazioni al fine di rafforzare la tutela del terzo estraneo al procedimento>>[1]; in alcune ricostruzioni giornalistiche si parla di <<stop per le intercettazioni>>[2] nel caso di soggetti non indagati e comunque intercettati. L'obiettivo dichiarato della classe politica è dunque quello di <<aumentare la tutela della riservatezza di una persona, estranea al processo, che possa essere citata in una conversazione intercettata>>[3].
Ad osservare più da vicino la legge di nuovo conio, però, ci si avvede che non solo per il terzo che - suo malgrado - viene coinvolto in una attività di intercettazione nulla cambia, giacché - come si vedrà - le formule introdotte sono prive di reale efficacia innovativa, ma che le modifiche normative satellitari in tema di rapporti con la stampa - effettuate con lo stesso d.d.l. Nordio e con la coeva legge di delegazione europea n. 15 del 21 febbraio 2024 - creano, in realtà, un vulnus maggiore per il terzo coinvolto nel procedimento, perché attraverso l'irrigidimento dei divieti di pubblicazione a carico dei giornalisti - a cui però, al netto dei suddetti divieti, non può ovviamente essere preclusa la possibilità di dare una notizia di cronaca giudiziaria, purché rigorosamente verificata - si determina una tensione maggiore nel (e del) circuito giustizia-media, dovendo la notizia stessa, nella sua illustrazione e comprensione, spesso complessa dal punto di vista tecnico-giuridico, essere in qualche misura rielaborata dai professionisti della stampa.
Il d.d.l. Nordio è in questo senso emblematico di come <<quando viene usata come arma ideologica, il garantismo finisce sempre per ritorcersi contro le persone che presume di garantire>>[4].
Ma viste in una più ampia prospettiva ordinamentale, le modifiche introdotte, pur numericamente esigue, gettano una cupa ombra (l'ennesima) sull'operato del pubblico ministero, dipinto come un soggetto della procedura poco attento agli elementi a discarico degli indagati, insensibile alle esigenze di tutela della riservatezza dei soggetti coinvolti (tutti, indagati inclusi) e - sopratutto - incapace di discernere l'effettiva rilevanza (ai fini delle sue stesse indagini) delle conversazioni captate, soccorrendo in seconda battuta, a tali manchevolezze, il giudice: fino al punto di coprire, con un divieto assoluto di pubblicazione, tutti gli atti relativi all'attività di intercettazione lavorati dal pubblico ministero, che non siano stati riportati dal giudice in un suo provvedimento.
La sfiducia mostrata dal legislatore nel d.d.l. Nordio nei confronti del pubblico ministero, per quanto qui interessa sul fronte delle intercettazioni, sembra collocarsi in una più generale tendenza dell'attuale politica criminale di netto rifiuto delle funzioni giurisdizionali (in senso stretto) in capo al magistrato inquirente, non più primo "giudice" del procedimento ma "cane da guardia" della polizia giudiziaria; e neppure in questo ruolo valorizzato appieno sul piano ordinamentale. Non più co-protagonista della giurisdizione teso al pieno accertamento dei fatti, ma irredimibile accusatore ad ogni costo.
La distanza tra giudici e pubblici ministeri, che il Costituente aveva convintamente azzerato, almeno a considerare le ultime leggi adottate appare ormai incolmabile.
2. La "rilevanza" delle comunicazioni intercettate
Il cuore di questa mini-riforma è costituito dalle modifiche dell'art. 268 del codice di procedura penale; le ulteriorimodifiche, verrebbe da aggiungere. Va infatti specificato che il co. 2-ter dell’art. 1 del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 105, convertito con modifiche nella legge 9 ottobre 2023, n. 137, già interveniva sulla disciplina della verbalizzazione delle intercettazioni (c.d. "brogliacci", redatti dalla polizia giudiziaria preposta all’ascolto delle conversazioni), modificando i commi 2 e 2-bis dell’art. 268. Da un lato, il comma 2 (che prevede la verbalizzazione sommaria) veniva sostituito dalla previsione più articolata per cui <<nel verbale di esecuzione delle operazioni redatto dalla polizia giudiziaria viene trascritto, anche sommariamente, soltanto il contenuto delle comunicazioni intercettate rilevante ai fini delle indagini, anche a favore della persona sottoposta ad indagine>>; dall'altro veniva specificato che <<Il contenuto non rilevante ai fini delle indagini non è trascritto neppure sommariamente e nessuna menzione ne viene riportata nei verbali e nelle annotazioni della polizia giudiziaria, nei quali è apposta l'espressa dicitura: "La conversazione omessa non è utile alle indagini">>.
Per rafforzare questa previsione veniva poi modificato il comma 2-bis dell’art. 268 con cui si onera il pubblico ministero di controllare che i verbali rispettino il più generale divieto di trascrizione delle comunicazioni "non rilevanti" di cui al novellato comma 2, peraltro sostituendo il richiamo ai dati sensibili, rigidamente imperniato su una nozione normativa, con un più lato rinvio a <<fatti e circostanze afferenti alla vita privata degli interlocutori>>.
Un provvedimento che accentuava ulteriormente gli aspetti della primigenia c.d. "riforma Orlando", che <<era volta, sostanzialmente, a innovare la disciplina delle intercettazioni telefoniche in funzione della necessaria tutela della riservatezza delle persone>>[5]. Peraltro, sempre con la riforma Orlando era già stato modificato, nel contesto, la speculare norma di cui all' art. 114 - che ha nel corso del tempo assunto, com'è stato affermato, una <<funzione centrale nell'intero articolato in quanto si pone all' "incrocio" tra problematiche essenziali, quali la tutela delle indagini e la pubblicità degli atti, il diritto di cronaca e di critica, il diritto di difesa e quello alla formazione della prova penale>>[6] - con l’introduzione del comma 2-bis che fino a ieri stabiliva che è sempre vietata la pubblicazione, anche parziale del contenuto delle intercettazioni non acquisite ai sensi dell’art. 268, 415-bis o 454 c.p.p.: norma che a quel punto vedeva ampliata per le intercettazioni l’ambito di operatività del divieto di pubblicazione previsto per gli altri atti, e su cui si tornerà più avanti.
Le interpolazioni effettuate dal legislatore del 2023 sul tessuto dell'art. 268, che va letto assieme all'art. 114, specificano quella che già era la regola - alquanto scontata - di selezione del materiale intercettato: la trascrizione delle sole comunicazioni rilevanti per le indagini; così come di palese evidenza è il collegamento della "rilevanza" con elementi che si mostrino <<a favore della persona sottoposta ad indagine>>. "Rileva", infatti, ciò che è in grado di confermare o di disattendere l'iniziale, a volte anche solo abbozzata, tesi accusatoria, sulla quale si è espresso il Gip con il suo provvedimento autorizzativo.
In ogni caso, volendosi confrontare con il sistema nel suo complesso, una siffatta "rilevanza" si evince(va) chiaramente dal co. 6 dello stesso articolo (nella parte in cui <<il giudice dispone l'acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche indicati dalle parti, che non appaiano irrilevanti, procedendo anche di ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l'utilizzazione e di quelli che riguardano categorie particolari di dati personali, sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza>>), ma anche, al di là del dato normativo, su un piano logico, meta-giuridico.
Occorrerebbe, una volta per tutte, chiarire che il concetto di rilevanza è sempre in nuce al procedimento; e che il pubblico ministero, nell'attività di accertamento dei reati cui è preposto, ha interesse - e non può essere diversamente - a fare emergere solo le conversazioni rilevanti, in un senso o nell'altro. Se è vero che una conversazione viene trascritta per essere poi non tanto utilizzabile quanto concretamente utilizzata dal pubblico ministero (un esempio tra tutti: per la richiesta di misura cautelare), non avrebbe alcun senso per l'organo inquirente pescare nel - torbido o limpido che sia - bacino delle conversazioni private prive di agganci con l'indagine che si sta conducendo.
Diversamente, si dovrebbe immaginare una polizia giudiziaria prima (che ascolta, seleziona e trascrive) e un pubblico ministero poi (che effettua una verifica del materiale trascritto, avalla le operazioni compiute e dà ulteriore corso al procedimento, ad es. avanzando la richiesta di misura cautelare) che d'accordo tra loro intendano cristallizzare dettagli della vita personale di indagati e terzi manifestamente irrilevanti ai fini dell'indagine; per ragioni chiaramente - e patologicamente - estranee alle finalità del procedimento penale, quali la divulgazione a mezzo stampa di tali dettagli, quindi per finalità ancora più estranee alla giustizia.
Sembra che sia stata proprio l'idea, che però non risulta in alcun modo corroborata nella prassi, del pubblico ministero "guardone", incline al voyeurismo giudiziario, ad avere inquinato il recente dibattito pubblico sulle intercettazioni, strumento di ricerca della prova semplicemente imprescindibile, e ad avere stimolato i successivi interventi di riforma contenuti - adesso - nel d.d.l. Nordio in commento.
3. La "nuova" disciplina della tutela del terzo
Se il legislatore del 2023 aveva specificato il concetto di "rilevanza" nel campo delle intercettazioni, senza di fatto incidere sulla prassi giudiziaria, meglio definendo però l'idea stereotipata sull'operato e sulla collocazione stessa del pubblico ministero nella cornice ordinamentale sotteso alle recenti riforme, il legislatore del 2024, con il d.d.l. Nordio, la rimarca innestando ulteriori modifiche nel corpo dell'art. 268.
Oggi, a seguito della legge n. 137/2023, l'art. 268 descrive una peculiare dinamica applicativa, una doppia fase di selezione/controllo: in prima battuta (co. 2) v'è la polizia giudiziaria che trascrive soltanto le comunicazioni rilevanti (verbali da ritenersi sempre comprensivi, come si è detto, degli elementi <<a favore della persona sottoposta ad indagine>>); in seconda battuta (co. 2-bis) il pubblico ministero che, verificata la corretta selezione operata dalla polizia giudiziaria (<<dà indicazioni e vigila>>), svolge un ulteriore controllo: si accerta che siano espunte, o comunque non compaiano nei verbali, <<espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano fatti e circostanze afferenti alla vita privata degli interlocutori>>. Selezioni, verifiche e controlli che, si ribadisce, il pubblico ministero già era tenuto ad effettuare[7], la cui tipizzazione strutturata in questa "doppia fase" dà peraltro corso ad un fraintendimento logico: perché se le conversazioni sono a monte rilevanti per l'indagine (nel senso favorevole o sfavorevole all'indagato) queste vanno in ogni caso trascritte (ne va della completezza dell'indagine) e il controllo del pubblico ministero, che può definirsi "successivo" solo per la peculiare struttura dell'art. 268 giacché nella prassi tale controllo si svolge "in diretta" con costanti interlocuzioni tra l'organo investigativo e quello requirente, in presenza di una conversazione rilevante è volto a ratificare la selezione operata dalla polizia giudiziaria. Non a caso, il legislatore del 2023 non ha potuto esimersi dall'inserire nel co. 2-bis la formula di chiusura <<salvo che risultino rilevanti ai fini dell'indagine>>: che compendia tutto quanto si è detto.
Questo fraintendimento logico si accentua con la modifica apportata, sempre al co. 2-bis, dal d.d.l. Nordio: oggi infatti il pubblico ministero vigila affinché i verbali non riportino, oltreché espressioni lesive o indicazioni sulla vita privata degli interlocutori, <<espressioni [...] che consentono di identificare soggetti diversi dalle parti>>, salvo sempre che risultino rilevanti ai fini dell'indagine.
L'indicazione del legislatore sembra proiettarsi in una duplice direzione operativa: la polizia giudiziaria non dovrebbe riportare le generalità degli interlocutori (ad es. non dovrebbe riportare i dati del titolare dell'utenza chiamata); né dovrebbe riportare espressioni che consentano di identificare qualsivoglia soggetto che non sia compreso nel novero degli indagati - e se queste espressioni inopinatamente compaiono, il pubblico ministero dovrebbe provvedere ad espungerle.
Si tratta di una preclusione normativa che richiede un bilanciamento circa l'importanza della captazione, e che nondimeno lascia perplessi. Anche qui, e a maggior ragione: se una conversazione è rilevante, lo è a tutto tondo: se corrotto e corruttore conversano per dieci minuti del campionato di calcio, e poi toccano per pochi secondi la questione dell'appalto da assegnare scalzando i concorrenti A e B, i dieci minuti saranno omissati, ma quei pochi secondi devono essere illustrati nel dettaglio, e nel dettaglio devono essere indicati (e quindi identificati dalla polizia giudiziaria) i concorrenti A e B di cui costoro parlano.
Oppure, se il corrotto chiama un funzionario alle sue dipendenze per annunciare che il corruttore farà pervenire la documentazione mancante per la "regolare" partecipazione al bando di gara, è necessario identificare il funzionario: che in un momento successivo potrà sempre essere chiamato a rendere informazioni al pubblico ministero per meglio lumeggiare i fatti, e cogliere qualche altro dettaglio del pactum sceleris tra corrotto e corruttore.
L'attività investigativa di identificazione, inoltre, è essenziale che si faccia nell'immediatezza, e la si faccia anche a costo di vincere qualche dubbio sul concetto di rilevanza, nel senso che una conversazione potrebbe essere nell'immediatezza intesa come solo potenzialmente rilevante, per poi acquisire piena e concreta rilevanza nello sviluppo dell'indagine, ed essere così, pur a posteriori, debitamente valutata.
L'identificazione va fatta nell'immediatezza, non la si può fare in seguito (né nel seguito dell'indagine, né in altra fase processuale): dal punto di vista investigativo, la polizia giudiziaria deve disporre di ogni elemento utile a conoscere il contesto in cui opera (ad es. chi sono i concorrenti scalzati dal fascino irresistibile della tangente), mentre dal punto di vista processuale è noto che il dato identificativo non sarebbe più recuperabile una volta chiuse le indagini. Se ad es. in fase dibattimentale il giudice, ritenendolo un elemento conoscitivo utile al pieno accertamento dei fatti, volesse sapere chi è il concorrente B, approfondendo i motivi dell'esclusione, non lo potrebbe più sapere: in dibattimento, non potrebbe chiederlo più a nessuno. E per questo l'iter argomentativo seguito in una sentenza di condanna o di assoluzione potrebbe risultare monco.
Un ulteriore onere viene specularmente addossato al giudice dal d.d.l. Nordio quando - a mente del co. 6 dell'art. 268 - <<dispone l'acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche indicati dalle parti, che non appaiano irrilevanti, procedendo anche di ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l'utilizzazione e di quelli che riguardano categorie particolari di dati personali o soggetti diversi dalle parti, sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza>>: ed è a questo punto inutile rimarcare che la locuzione <<soggetti diversi dalle parti>> è frutto dell'interpolazione disposta dal d.d.l. in parola, che anche in questo caso sembra prefigurare una indagine "parcellizzata"[8], à la carte.
E varrà anche per il giudice nella fase di stralcio descritta dal co. 6 quanto si è detto per il pubblico ministero: se la conversazione è rilevante, è rilevante anche rispetto all' interlocutore e alle persone terze che nella conversazione vengono citate. Se rilevante, la conversazione - o la parte rilevante di essa - non potrà che essere illustrata in tutto il suo perimetro, ivi compresa - ovviamente - l'identificazione dei soggetti diversi dalle parti.
4. La <<compiuta esposizione>> dei fatti (e il pubblico ministero stretto in una morsa)
Si tratta di regole elaborate con l'intento di specificare nel dettaglio una prassi - ma si potrebbe anche dire: di imbrigliare sempre più pubblico ministero e giudice in vincoli formali poco consoni ad una serena valutazione dell'importanza oggettiva di un dato elemento per l'indagine - ma che rischiano di determinare un effetto inverso, e perverso: se oggi, a seguito della "riforma Cartabia", il pubblico ministero è tenuto - correttamente - a prestare la massima attenzione al momento in cui iscrivere un soggetto nel registro degli indagati (anche in virtù del potere di retrodatazione, affidato a lui stesso e al giudice)[9], considerate le nuove regole a "tutela" del terzo egli - quale riflesso condizionato - sarà portato ad adottare un ulteriore scrupolo nel valutare la sussistenza dei presupposti per l'iscrizione del terzo, in presenza di pur blandi indizi di reità: e il terzo, una volta iscritto, sfugge alle regole (comunque inefficaci, per tutto quanto si è detto) poste a tutela della sua riservatezza.
Il pubblico ministero, in altri termini, è stretto in una morsa: da un lato la conversazione rilevante, che ancora oggi, nonostante tutto, deve essere trascritta e completamente illustrata; dall'altro la tutela della riservatezza del terzo, i cui dati, se confluiscono in una conversazione rilevante, non possono essere pretermessi. Stretto nella morsa, e pressato dall'irrigidimento dei controlli sul registro degli indagati, il rischio è che il pubblico ministero azioni disinvoltamente lo strumento dell'iscrizione, che qualifica in "parte" chi era ab origine "terzo"; questo, se non altro, lo farebbe uscire dal cul de sac in cui lo stesso legislatore (in particolare attraverso il combinato disposto della riforma Cartabia e del d.d.l. Nordio) lo ha infilato.
Un effetto certo non auspicabile nell'economia del procedimento, perché potrebbe appesantire inutilmente il fascicolo d'indagine; non auspicabile, sopratutto, nel quadro delle garanzie del procedimento, se è vero che già la sola iscrizione nel registro degli indagati può alimentare <<la gran cassa dei social media>>[10] ed essere frutto di effetti pregiudizievoli per il soggetto.
La completezza dell'indagine è un valore processuale ed è garanzia sopratutto per l'indagato/imputato, che dovrebbe avere tutto l'interesse ad un pieno accertamento del fatto. È lo stesso legislatore che ha elaborato il d.d.l. Nordio a riconoscerne la portata, con le modifiche degli articoli 291 e 292, per cui, rispetto alla richiesta del pubblico ministero di misure cautelari, nella stessa sono riprodotti soltanto i brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni intercettate, <<in ogni caso senza indicare i dati personali dei soggetti diversi dalle parti, salvo che ciò sia indispensabile per la compiuta esposizione>> (art. 291 co. 1-ter). Una formula di chiusura - che a sua volta contempla la clausola di salvaguardia della "compiuta esposizione" (ma non è dato sapere di cosa) - che si ripete anche all'art. 292 rispetto all'ordinanza cautelare, informata alla regola per cui quando è necessario per l'esposizione delle esigenze cautelari e degli indizi, delle comunicazioni e conversazioni intercettate sono riprodotti soltanto i brani essenziali, <<in ogni caso senza indicare i dati personali dei soggetti diversi dalle parti, salvo che ciò sia indispensabile per la compiuta esposizione degli elementi rilevanti>> (co. 2-quater).
Al netto di una evidente asimmetria (al co. 1-ter si parla solo di <<compiuta esposizione>> mentre al co. 2-quater ci si riferisce espressamente agli <<elementi rilevanti>>: e non può che essere così), forse frutto di un lapsus calami, il concetto di <<compiuta esposizione degli elementi rilevanti>> evidenzia per tabulas che laddove una trascrizione rilevante viene trascritta deve essere corredata da tutti i possibili elementi conoscitivi, perché - per l'appunto - deve essere "compiutamente" esposta al giudice, sia nella fase delle indagini preliminari sia delle fasi successive.
Il valore processuale della completezza dell'indagine, e quindi della <<compiuta esposizione>> della rilevanza degli elementi raccolti attraverso l'attività captativa, viene messo in discussione, attraverso un bilanciamento a dir poco difficoltoso quando non impossibile con la (altrettanto doverosa) tutela della riservatezza del terzo, perché si ritiene (a torto o a ragione) che ciò che finisce nel fascicolo del pubblico ministero possa essere, un domani, pubblicato sui giornali o - peggio - fare il giro del web.
Se così, il legislatore avrebbe dovuto concentrarsi su un altro settore del codice, e in particolare sui divieti di cui all'art. 114. L'ha fatto, ma l'ha fatto in guisa da innescare ulteriori effetti perversi sul piano ordinamentale.
5. I divieti (relativi e assoluti) di pubblicazione
Il d.d.l. Nordio è pervaso dalla preoccupazione che tutto ciò che viene trascritto nei verbali delle attività di intercettazione, acquisiti al procedimento, confluendo nel fascicolo del pubblico ministero possa finire, presto o tardi, sulle scrivanie dei giornalisti. Il legislatore non ne fa mistero, avendo le modifiche lo scopo esplicito di <<rafforzare la tutela del terzo estraneo al procedimento rispetto alla circolazione [corsivo nostro] delle comunicazioni intercettate>>[11].
Ne è lampante riprova la modifica del co. 2-bis dell'art. 114, che attraverso le modifiche imposte dal d.d.l. Nordio adesso recita: <<È sempre vietata la pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni se non è riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento>>, sostituendo l'ultima parte che si riferiva al contenuto delle intercettazioni <<non acquisite ai sensi degli articoli 268, 415-bis o 454>>.
Quest'ultima formula, pur richiamando tre norme tra loro molto diverse per struttura e fase processuale di riferimento, intendeva evidenziare che, in materia di intercettazioni, per tutto ciò che non era legittimamente acquisito al procedimento, era sempre vietata la pubblicazione, anche parziale; e questo perché tutto ciò che era acquisito al procedimento passava attraverso il già illustrato giudizio di rilevanza svolto dal pubblico ministero[12].
L' interpolazione normativa operata dal d.d.l. Nordio, questa più delle altre esaminate, conduce ad una concezione invero squalificante della figura del pubblico ministero, perché viene sancito il principio per cui, in materia di intercettazioni, vige il divieto assoluto di pubblicazione di qualsiasi atto della polizia giudiziaria (che opera sotto il controllo del pubblico ministero) e dello stesso pubblico ministero (quale ad esempio una richiesta di misura cautelare), se non viene ripreso dal giudice - e fatto proprio - nel suo provvedimento. Confrontando il dato precedente con l'attuale, può dirsi - volendo rimarcare gli effetti più radicali - che è solo l'atto di "appropriazione" del dato dell'intercettazione da parte del giudice a rendere legittima l'acquisizione dello stesso; e che il controllo effettuato medio tempore dal pubblico ministero conserva un valore residuale, meramente infra-procedimentale, perché lo legittima soltanto a presentare quel dato al giudice ai fini delle sue richieste. È interessante notare che nei lavori preparatori del d.d.l. in commento si parla, con riferimento alla modifica dell'art. 114, di "ampliamento" del divieto di pubblicazione del contenuto delle intercettazioni[13]. Così non è: non si tratta di una modifica quantitativa (un mero "ampliamento"), ma qualitativa: è sovvertita la natura del divieto, che adesso copre ogni atto del pubblico ministero, passando da una distinzione tra fasi del procedimento ad una distinzione tra i soggetti del procedimento: non più il pubblico ministero, ma solo il giudice valuta la rilevanza delle conversazioni captate ai fini di una eventuale e successiva ostensione.
Breve: il co. 2-bis riguarda soltanto le intercettazioni ma completa, con una regola speciale, il sistema dei divieti di cui al co. 1 e al co. 2[14], affermando che, sebbene il verbale di intercettazione sia legittimamente confluito nel fascicolo del pubblico ministero attraverso le operazioni di cui all'art. 268, sebbene non sia più, tale verbale o il suo contenuto, coperto da segreto istruttorio (co. 1), sebbene sia stata superata la fase dell'udienza preliminare (co. 2), quegli atti rimangono coperti da un divieto di pubblicazione assoluto, a meno che non siano stati riportati in un provvedimento del giudice e, in particolare, nell'ordinanza di misura cautelare.
Quindi oggi il sistema va ricostruito: vede gli atti delle indagini o dell'udienza preliminare non più coperti dal segreto investigativo che restano sottoposti ad un divieto di pubblicità immediata, nel senso che è vietata la pubblicazione del loro contenuto testuale, non anche del loro contenuto come notizia, dunque di una sintesi contenutistica. La ratio di un tale divieto deve essere colto sul piano procedurale, perché è teso a garantire una <<corretta formazione del convincimento giudiziale>>[15], in virtù del principio di separazione delle fasi che esige che al giudice del dibattimento sia di regola interdetta la preventiva conoscenza degli atti delle indagini preliminari. Quanto invece al contenuto delle intercettazioni, il sistema si chiude con la già vista preclusione assoluta di cui al co. 2-bis.
Va specificato che la violazione dei divieti di cui all'art. 114 comporta - oltre alla responsabilità penale ex art. 684 c.p. e, in caso di violazione del segreto delle indagini, ex art. 326 o art. 379-bis c.p., a condizione che il divieto sia previsto dalla legge e non da un provvedimento dell'autorità giudiziaria - una responsabilità disciplinare per i funzionari pubblici e per gli esercenti professioni per le quali è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, come i giornalisti (art. 115)[16]; responsabilità disciplinare cui ovviamente sfuggono tutti coloro che, pur senza essere iscritti ad alcun albo, offrono servizi di informazione alla sterminata comunità del web - e basti solo pensare al popoloso arcipelago dei blog, che possono essere gestiti da qualunque internauta.
6. Epilogo: intercettazioni, separazione delle carriere e doveri delle parti
Ad osservare quest'ultima modifica normativa nella prospettiva ordinamentale, la preclusione assoluta di cui all'art. 114 evidenzia una - irragionevole - distinzione tra atto del procedimento e atto relativo alle intercettazioni, affermando per quest'ultimo una sorta di "presunzione" di legittimità, non all'esito delle operazioni di cui all'art. 268 (come è giusto che sia: all'esito della selezione e dei controlli operati dal pubblico ministero come sopra descritti), ma solo dopo essere stato riportato in un atto del giudice. L'art. 268, che disciplina l'esecuzione delle operazioni di intercettazioni, da solo non basta più a giustificare la pubblicazione del dato procedimentale, e pur in presenza dei requisiti previsti dalla legge: va coordinato con le norme che riguardano i provvedimenti del giudice (es. l'art. 292 in punto di misure cautelari), dovendosi considerare a questo punto assorbente la verifica di legittimità dell'acquisizione (in ragione della rilevanza) svolta dal giudice, spostando in un cono d'ombra le valutazioni effettuate dal pubblico ministero.
In una prospettiva - lo si ripete - ordinamentale, si prefigura un pubblico ministero forzosamente allontanato dal giudice, che diverrebbe a questo punto l'unico, almeno per il tema che qui ci occupa, a poter realizzare un effettivo controllo di natura giurisdizionale. Un pubblico ministero che il d.d.l. Nordio sembra intendere quale organo di direzione e coordinamento della polizia giudiziaria, e solo incidentalmente quale soggetto della giurisdizione.
Il d.d.l. Nordio - è vero - contempla in subiecta materia poche modifiche, ma sono piccoli brani di un complessivo spartito appuntato quasi esclusivamente, a tratti ossessivamente, sull'erosione della sfera delle facoltà e dei poteri del pubblico ministero; senza ulteriori perifrasi, sulla separazione delle carriere intesa quale soluzione radicale, ordinamentale e costituzionale a tutti i mali della giustizia.
Senza voler considerare che la fiducia dei cittadini nella corretta amministrazione della giustizia penale è stata nel tempo minata da fattori endogeni ed esogeni d'ogni tipo, ma tra questi ultimi un ruolo di spicco può essere assegnato alle recenti leggi adottate nel primo scorcio dell'attuale legislatura (si vedano le modifiche sul c.d. "codice rosso", che ampliano e infittiscono a dismisura la rete dei controlli sull'operato del pubblico ministero per questa tipologia di reati), a quelle in procinto di essere varate (si vedano, appunto, le modifiche contenute nel d.d.l. Nordio in commento), agli annunci del governo (si veda quello, ad alto impatto suggestivo, sui test psico-attitudinali per l'accesso alla magistratura); oltreché, s'intende, al continuo rullìo di tamburi sulla sempre imminente legge costituzionale sulla separazione delle carriere.
Forse sono altrove i veri problemi della giustizia italiana.
Forse, tornando al tema delle intercettazioni e delle modifiche varate, il problema non è a monte.
Non è il materiale audio-video captato, in quanto tale, né ovviamente i verbali che ne riportano il contenuto, a costituire il problema, i quali peraltro sono sottoposti ad una particolare cautela prevista nella conservazione nel c.d. "archivio del procuratore" (art. 89-bis disp. att. c.p.p.), istituito sempre dalla riforma Orlando.
Non sono le intercettazioni, in quanto tali, il problema: queste sono, come si sa, il principale e in molti casi unico mezzo di prova di cui l'organo investigativo dispone per il perseguimento di reati carsici ma non per questo meno odiosi, che minano alla base il patto sociale su cui si fonda la nostra democrazia. Solo per citare due tipologie delittuose che solo attraverso le intercettazioni possono essere scoperte: la compravendita di droga e la corruzione del pubblico ufficiale, il cui pactum nessuno ha interesse a denunciare.
Forse il problema è a valle, e sta in chi - legittimamente - dispone di questi atti e potrebbe avere l'interesse a farli pubblicare. Il legislatore è consapevole dei rischi della fuga dell'atto dal procedimento, e se ne avvede nell'art. 116, che disciplina il rilascio di copie degli atti del procedimento, che il d.d.l. Nordio integra con la previsione per cui <<Non può comunque essere rilasciata copia delle intercettazioni di cui è vietata la pubblicazione ai sensi dell’articolo 114, comma 2-bis, quando la richiesta è presentata da un soggetto diverso dalle parti e dai loro difensori, salvo che la richiesta sia motivata dall’esigenza di utilizzare i risultati delle intercettazioni in altro procedimento specificamente indicato>>.
Questo il punto: gli atti che riguardano le intercettazioni effettuate nel procedimento sono - ovviamente - nella disponibilità dei magistrati titolari di quel procedimento, della polizia giudiziaria operante, anche solo temporaneamente (si pensi agli adempimenti esecutivi quali ad es. la notifica dell'ordinanza di misura cautelare), delle parti del procedimento e dei loro difensori.
Se così, il problema andrebbe più correttamente ricondotto nell'alveo dei doveri di ciascuno: ciascun soggetto della procedura dovrebbe essere responsabile - e quindi consapevole - rispetto ai propri doveri di riservatezza, in maniera tale da tenere al riparo il procedimento giudiziario da influenze esterne quali quelle mediatiche, che nei casi più eclatanti rischiano di trasformarlo in un vero e proprio "circo"[17]. E in questo riparto di responsabilità e doveri, un ruolo centrale deve rivestire la leale collaborazione tra magistratura e avvocatura, nelle aule giudiziarie e fuori di esse, volta a definire il perimetro di un'etica condivisa dentro cui l'informazione giudiziaria può esplicare il proprio fisiologico compito[18].
Anche perché, superato il campo deontologico, sta il magmatico campo normativo: che sul piano della legge ordinaria vede un continuo affastellarsi di regole senza soluzione di continuità. E sul punto basti considerare che la legge 21 febbraio 2024, n. 15, legge di delegazione europea 2022 – 2023, chiede ora al Governo di <<modificare l'art. 114 del codice di procedura penale prevedendo, nel rispetto dell'art. 21 della Costituzione e in attuazione dei principi e diritti sanciti dagli articoli 24 e 27 della Costituzione, il divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell'ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare, in coerenza con quanto disposto dagli articoli 3 e 4 della direttiva (UE) 2016/343>>. Si tratterebbe di spingere ancora più avanti le limitazioni di pubblicità, innescando ulteriori tensioni con il diritto/dovere di cronaca giudiziaria: non è forse questa la <<complessiva rimeditazione del bilanciamento, attualmente cristallizzato nella normativa oggetto delle odierne censure, tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione individuale, in particolare con riferimento all'attività giornalistica>>, sollecitata di recente dalla Corte Costituzionale[19]; di farlo attraverso l'ennesima modifica all'art. 114, peraltro del tutto scoordinata nel procedere alla distinzione tra l’atto e il suo contenuto, perché, <<oltre che difficilmente attuabile sul piano pratico, da simile distinzione scaturiscono non di rado distorsioni nocive sia sul piano del diritto all’informazione sul processo che su quello di tutela di imparzialità del giudice dibattimentale>>[20].
Una nuova regola juris, l'ennesima, che deve però fare i conti con un bilanciamento di valori costituzionali ancor meglio avvertito sul piano convenzionale, dacché la Corte Edu di Strasburgo si è occupata a più riprese delle questioni connesse alla pubblicazione di atti di un procedimento penale, affermando che non vi è alcuna preclusione, almeno in linea di principio, affinché il giornalista divulghi informazioni di natura confidenziale, purché vi siano tutti i presupposti normativo-costituzionali che sorreggono il diritto di cronaca, e per contro escludendo che il diritto alla riservatezza delle comunicazioni prevalga in ogni caso[21].
I due piani del diritto positivo non solo quindi non riescono ad integrarsi ma generano continui corto-circuiti, tra gli operatori del diritto e quelli dei media.
Ciononostante, è del tutto evidente che il legislatore voglia continuare ad interpolare - una interpolazione senza fine - la normativa di riferimento; quando invece occorrerebbe, perlomeno, una rilevante "pausa di applicazione", volta a verificare la concreta operatività della normativa e a fornire al legislatore gli elementi utili ad immettere nel sistema gli eventuali correttivi.
Si assiste, all'opposto, ad una vera e propria bulimia legislativa, in forza della scelta, chiaramente elettoralistica, della classe politica, di mantenere sempre aperto il cantiere della giustizia penale. Ad una riforma se ne fa seguire un'altra, e poi un'altra ancora. Ad ogni passaggio la confusione normativa aumenta, le questioni si fanno sempre più complesse, il problema, i problemi di fatto irrisolvibili. E la fiducia del cittadino nel sistema-giustizia, nel frattempo, tracolla.
[1] Sì del Senato al Ddl Nordio: dall’abuso d’ufficio alle intercettazioni, ecco cosa cambia, in Il Sole 24 Ore, 13 febbraio 2024.
[2] L. Milella, Riforma della Giustizia, cosa prevede il testo di Nordio: dal bavaglio ai giornalisti allo stop per le intercettazioni, in La Repubblica, 15 giugno 2023.
[3] Così secondo l'AGI del 15 giugno 2023, nel lancio giornalistico titolato "Nel decreto Nordio ci saranno più garanzie per chi è indagato".
[4] A. Nappi, Contro le virgolette: il garantismo delle perifrasi, in Questione Giustizia, 19 marzo 2024.
[5] Relazione di presentazione al Senato del disegno di legge di conversione del decreto legge n. 161 del 30 dicembre 2019, richiamato in C. Gallo, La procedura di deposito e selezione delle intercettazioni, in Questione Giustizia, 21 febbraio 2020.
[6] E. Aprile, Sub 114, in Commentario essenziale - Procedura penale, Piacenza, 2021, p. 116.
[7] A. Zampini, Perimetro del segreto e regime di pubblicabilità delle intercettazioni: rilievi critici e spunti interpretativi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, p. 1570 ss.
[8] Già all'inizio del percorso riformatore in materia di intercettazioni avviato nel 2018 intravedeva il rischio di "parcellizzazione" dell'indagine e dei suoi profili operativi G. Giostra, I nuovi equilibri tra diritto alla riservatezza e diritto di cronaca nella riformata disciplina delle intercettazioni, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 526 (in nota).
[9] Cfr. P. Filippi, Il pubblico ministero come ridisegnato dalla riforma Cartabia, in Giustizia Insieme, 21 novembre 2023.
[10] V. Manes, Giustizia Mediatica. Gli effetti perversi sui diritti fondamentali e sul giusto processo, Bologna, 2022, p. 69.
[11] Relazione allegata al Disegno di Legge n. 808 presentato dal Ministro della giustizia (Nordio) e dal Ministro della difesa (Crosetto) comunicato alla Presidenza il 19 luglio 2023 recante "Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare", p. 4.
[12] G. Pestelli, La controriforma delle intercettazioni di cui al d.l. 30 dicembre 2019 n. 161: una nuova occasione persa, tra discutibili modifiche, timide innovazioni e persistenti dubbi di costituzionalità, in Sistema Penale, 2, 2020, p. 118.
[13] Dossier a cura del servizio studi della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica pubblicato 1° agosto 2023 in ordine alle "Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all'ordinamento giudiziario e al codice dell'ordinamento militare" - A.S. n. 808, p. 21.
[14] Che statuisce, al co. 1, che <<È vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto>>; e al co. 2 che <<È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare, fatta eccezione per l'ordinanza indicata dall'articolo 292>>.
[15] G. Giostra, Processo penale e informazione, Milano, 1989, p. 331.
[16] In questo senso, ancora E. Aprile, Sub 114, cit., p. 117.
[17] Citando il titolo del noto pamphlet di D. S. Larivière, Il circo mediatico-giudiziario, Macerata, 1994.
[18] Sia consentito il rinvio a A.Apollonio, La stagione dei doveri nel rapporto tra presunzione di innocenza e informazione giudiziaria - Relazione tenuta all’incontro di studio "Le emergenze del sistema penale", in Diritto di Difesa, 13 ottobre 2023.
[19] Ordinanza n. 132 del 2020 della Corte Costituzionale, richiamata in V. Manes, Introduzione ai principi costituzionali in materia penale, Torino, 2023, p. 30.
[20] G. Illuminati, Divieto di pubblicazione e formazione del convincimento giudiziale, in AA. VV., Processo penale e informazione, Macerata, 2001, p. 52.
[21] Cfr. C. Edu, 1914/02-2007, 7 giugno 2007, Dupuis e altri c. Francia.
(Immagine: Richard Estes, Telephone Booths, acrilico su masonite, 1967, Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, Madrid)