Il tema dei criptofonini, vicenda ormai notissima, è approdato alla Corte di Giustizia, su iniziativa del Landgericht Berlin, che si è pronunciata nella Grande Sezioni il 30 aprile 2024.
I termini della decisione erano noti alla luce delle argomentazioni sviluppate dal procuratore generale. In Italia, anche questo dato è noto, a sciogliere i forti contrasti interpretativi espressi in materia, soprattutto in punto di utilizzabilità del materiale trasmesso dalla Francia, sono intervenute le Sezioni unite che, rispondendo ai quesiti prospettati dalla Sez. III e dalla Sezioni VI, hanno fissato i seguenti punti di diritto.
In relazione alle questioni sollevate dalla Sez. III hanno deciso:
a) se il trasferimento all’Autorità giudiziaria italiana, in esecuzione di ordine europeo di indagine, del contenuto di comunicazioni effettuate attraverso criptofonini e già acquisite e decrittate dall’Autorità giudiziaria estera in un proprio procedimento penale, costituisca acquisizione di documenti e di dati informatici ai sensi dell’art. 234 bis c.p.p. o di documenti ex art. 234 c.p.p. ovvero sia riconducibile ad altra disciplina relativa all’acquisizione di prove;
b) se il trasferimento di cui sopra debba essere oggetto di verifica giurisdizionale preventiva della sua legittimità, nello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine;
c) se l’utilizzabilità degli esiti investigativi di cui al precedente punto a) sia soggetta a vaglio giurisdizionale nello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine.
In relazione al primo che il trasferimento di cui sopra rientra nell’acquisizione di atti di un procedimento penale che, a seconda della loro natura, trova alternativamente il suo fondamento negli artt. 78 disp. att. c.p.p., 238, 270 c.p.p. e, in quanto tale, rispetta l’art. 6 della Direttiva 2014/41/UE; in relazione al secondo quesito sostenendo che rientra nei poteri del pubblico ministero quello di acquisizione di atti di altro procedimento penale e in relazione al terzo quesito affermando che l’Autorità giurisdizionale dello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine deve verificare il rispetto dei diritti fondamentali, comprensivi del diritto di difesa e della garanzia di un equo processo (informazione provvisoria n. 3 del 2024).
In relazione alle questioni sollevate dalla Sez. VI hanno stabilito: a) se l’acquisizione, mediante ordine europeo d’indagine, dei risultati di intercettazioni disposte da un’autorità giudiziaria straniera, in un proprio procedimento, su una piattaforma informatica criptata e su criptofonini integri l’ipotesi disciplinata, nell’ordinamento nazionale, dall’art. 270 c.p.p.;
b) se, ai fini dell’emissione dell’ordine europeo di indagine finalizzato al suddetto trasferimento, occorra la preventiva autorizzazione del giudice;
c) se l’utilizzabilità degli esiti investigativi di cui al precedente punto a) sia soggetta a vaglio giurisdizionale nello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine.
In relazione al secondo ricorso le Sezioni Unite hanno convenuto che si trattava di un atto riconducibile all’art. 270 c.p.p. che l’oie può essere richiesto dal p.m.; che l’Autorità giurisdizionale dello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine deve verificare il rispetto dei diritti fondamentali, comprensivi del diritto di difesa e della garanzia di un equo processo (informazione provvisoria n. 4 del 2024).
Siamo in attesa delle motivazioni anche se nel frattempo con le decisioni n. 13535 della Sez. I e n. 13819 della Sez. IV del 2024 due sezioni della Cassazione si sono già pronunciate relativamente ai ricorsi davanti ad esse pendenti.
La sentenza della Corte di Giustizia è importante perché, al di là di possibili variabili, fissa i punti di diritto della Corte sovranazionale destinati ad essere efficace per le situazioni che si dovessero prospettare, ma soprattutto perché ad essa dovranno adeguarsi le Corti dei vari Paesi interessati nel valutare l’utilizzabilità delle attività probatorie sviluppate in Francia.
La motivazione della Corte è molto ampia, come sempre, ma è possibile individuare le risposte alle questioni prospettata dai giudici tedeschi, che non differiscono da quelle che sono prospettate nelle sedi giudiziarie dei vari Paesi dove la questione si presenta.
In premessa: si da per acquisito che il materiale probatorio sia costituito da esiti di intercettazioni.
Secondo i giudici di Strasburgo, tenuto conto del fatto che nessuna disposizione della direttiva 2014/41 contiene una definizione della nozione di “telecomunicazione” utilizzata all’art. 31, par. 1, di tale direttiva, né un rinvio espresso al diritto degli Stati membri per determinare il senso e la portata di tale nozione, si deve ritenere che tal disposizione debba ricevere un’interpretazione autonoma e uniforme nel diritto dell’Unione.
Conseguentemente, sulla scorta dei dati deducibili dal contesto dell’art. 31 della direttiva 2014/41, ne deriva che l’infiltrazione in apparecchiature terminali volta ad estrarre dati di comunicazione, ma anche dati relativi al traffico o all’ubicazione, a partire da un servizio di comunicazione basato su Internet costituisce un’”intercettazione di telecomunicazioni” ai sensi dell’art. 31 della direttiva 2014/41.
Venendo alle puntuali questioni sollevate dai giudici tedeschi, va in premessa detto che la Corte pur ritenendo che spetti a lei dare al giudice la risposta che gli consenta di dirimere la controversia, ritiene che spetti ai giudici europei trarre dalle motivazioni della decisione gli elementi del diritto dell’Unione europea.
Sotto questo profilo, nel rispondere alla richiesta relativamente al presupposto dei gravi indizi da porre a fondamento dell’OIE, allo svolgimento della difesa in relazione alla segretezza delle procedure; alle stesse condizioni sostanziali applicate nello stato di emissione, la Corte fissa i seguenti punti di diritto.
In primo luogo, in relazione all’individuazione l’autorità competente all’emissione dell’OIE, la Corte precisa che un ordine europeo di indagine inteso a ottenere la trasmissione di prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione non deve essere adottato necessariamente da un giudice quando, in forza del diritto dello Stato di emissione, in un procedimento puramente interno a tale Stato, la raccolta iniziale di tali prove avrebbe dovuto essere ordinata da un giudice, ma competente ad ordinare l’acquisizione di dette prove è il pubblico ministero.
Conseguentemente, l’art. 6, par. 1, della direttiva 2014/41 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che un pubblico ministero adotti un ordine europeo di indagine inteso a ottenere la trasmissione di prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione, qualora tali prove siano state acquisite a seguito dell’intercettazione, da parte di tali autorità, nel territorio dello Stato di emissione, di telecomunicazioni dell’insieme degli utenti di telefoni cellulari che permettono, grazie a un software speciale e a un hardware modificato, una comunicazione cifrata da punto a punto, purché un tale ordine di indagine rispetti tutte le condizioni eventualmente previste dal diritto dello Stato di emissione per la trasmissione di tali prove in un caso puramente interno a detto Stato.
La conclusione si poggia sul concetto di autorità giudiziaria che definisce l’autorità di emissione e che ricomprende anche il pubblico ministero.
Va subito detto che l’affermazione è in linea con quanto precisato dalle due decisioni delle Sezioni unite, anche sulla scorta di quanto previsto dall’art. 270 c.p.p., relativamente alle intercettazioni disposte in un procedimento separato. Sul punto bisognerà tener conto sia dell’evoluzione normativa, sia dei più recenti orientamenti giurisprudenziali anche a sezioni unite.
La Corte afferma, altresì, che in forza di tale art. 6, par. 1, lett. a), tale autorità deve accertarsi che l’emissione dell’ordine europeo di indagini sia necessaria e proporzionata ai fini del procedimento di cui all’art. 4 di detta direttiva, tenendo conto dei diritti della persona sottoposta a indagine o della persona imputata. Dall’altro, in forza di detto art. 6, par. 1, lett. b), tale autorità deve verificare che l’atto o gli atti di indagine richiesti nell’ordine europeo di indagine avrebbero potuto essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo. Naturalmente il rispetto della integrità della prova dovrà essere valutato solo nel momento si disporrà delle prove e non in una fase anteriore.
In conclusione, un siffatto ordine può essere emesso unicamente a condizione che tale trasmissione avrebbe potuto essere disposta “alle stesse condizioni in un caso interno analogo”: impiegando i termini “alle stesse condizioni” e “in un caso interno analogo”, l’art. 6, par. 1, lett. b), della direttiva 2014/41 subordina al solo diritto dello Stato di emissione la determinazione delle specifiche condizioni richieste per l’emissione di un ordine europeo di indagine.
Ne consegue che, qualora un’autorità di emissione intenda acquisire prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione, tale autorità deve subordinare un ordine europeo di indagine al rispetto di tutte le condizioni previste dal diritto del proprio Stato membro per un caso interno analogo.
Del resto, l’art. 14, par. 7, della direttiva 2014/41 impone agli Stati membri di assicurare che, nel procedimento penale avviato nello Stato di emissione, siano rispettati i diritti della difesa e sia garantito un giusto processo nel valutare le prove acquisite tramite tale ordine europeo di indagine.
A questo elemento si salda anche l’affermazione dei giudici della Corte di Giustizia a mente della quale, sulle possibili ricadute di un ordine europeo di indagine illegittimo.
La Corte affronta anche il problema delle conseguenze della possibile violazione delle garanzie difensive del giusto processo e dei diritti fondamentali.
Pur riconoscendo che spetta agli stati membri definire le condizioni di ammissibilità e di valutazione di prove acquisite in violazione delle norme dell’Unione, afferma che il giudice penale nazionale deve espungere, nell’ambito del procedimento penale avviato a carico di una persona sospettata di atti di criminalità, informazioni ed elementi di prova su tale persona, grado di svolgere efficacemente le proprie osservazioni su tali informazioni ed elementi di prova e questi ultimi siano idonei ad influire in modo preponderante sulla valutazione dei fatti.
Non può al riguardo negarsi una certa evanescenza del riferimento al “preponderante” peso dell’attività svolta in modo “efficacemente” carente delle garanzie individuali.
La Corte, infine, affronta anche il tema delle intercettazioni effettuate in un altro Paese, nei confronti di un cittadino di quella nazione, affermando che il fatto deve essere notificato allo stato del cittadino straniero, il quale (stato membro) ha la facoltà di segnalare che tale intercettazione di telecomunicazioni non può essere effettuata o che si deve porre fine alla medesima qualora essa non possa essere autorizzata in un caso interno analogo.
Questo dato non è affrontato, allo stato, dalle decisioni delle Sezioni Unite, non potendosi escludere, tuttavia, che possa essere prospettato in una qualche vicenda processuale pendente. Non sembra, tuttavia, che notificazioni in tal senso siano state effettuate, prospettandosi, pertanto, se del caso, il problema della loro utilizzabilità.
Se una riflessione conclusiva si può trarre è che Corte di Giustizia e Corte di Cassazione si collocano in sintonia confermando quel processo di dialogo tra le Corti, confermato da quel paragrafo del comunicato della Corte nel quale si afferma che il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione, ma che la Corte non risolve la controversia nazionale, spettando al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tuttavia, tale decisione vincolerà egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.
(Immagine: Christo e Jeanne-Claude, Telefono impacchettato, 1962)