La Procura Europea (EPPO): prime riflessioni dall’esperienza concreta[1]
di Andrea Venegoni[2]
Sommario: 1. Introduzione – 2. Il Procuratore europeo e le Camere permanenti – 3. EPPO e gli uffici giudicanti.
Introduzione
1. Introduzione
«Da quando sei partito c’è una grossa novità» recitava una famosa canzone di molti anni fa, e nessuna frase appare più appropriata per sintetizzare cosa è avvenuto negli ordinamenti della maggior parte degli Stati facenti parte dell’UE, e quindi anche dell’Italia, ad un ipotetico studioso di diritto penale, o anche collega, che idealmente fosse andato a vivere lontano dal nostro mondo nel 2016 e fosse tornato ai giorni nostri.
La «grossa novità» con cui il rientrante avrebbe a che fare oggi è la comparsa nei sistemi nazionali penali della Procura Europea o, per usare la terminologia con cui è unanimemente conosciuta, di EPPO (European Public Prosecutor’s Office).
Non si vuole qui ripercorrere tutto ciò che riguarda la sua struttura e le sue funzioni, su cui moltissimo é stato già scritto[3].
Oggi che lo vivo dall’interno, piuttosto, mi sembra più interessante iniziare a compiere un’analisi di varie questioni che si sono poste e si stanno ponendo nella pratica, alcune delle quali rivelano sempre più come la creazione ed operatività di EPPO rappresenti veramente un «unicum» nella storia dei sistemi giuridici nazionali, e, per quanto ci riguarda, del nostro.
Uno di quegli eventi che, come si dice, capitano una volta ogni cento anni, ed essere testimone dei quali rappresenta già un fatto eclatante.
Esserne, poi, partecipante attivo può anche dare l’illusione di stare davvero contribuendo a costruire con piccoli mattoni il mondo di domani e di stare facendo, quindi, qualcosa di rilevante.
Sarà forse una illusione o una benevola bugia, ma poco importa ai nostri attuali fini.
Così come, credo, poco importa sapere delle mie personali sensazioni derivanti dal ricoprire una funzione, quella di Procuratore europeo per l’Italia (se si può usare una terminologia tecnicamente non impeccabile, ma che rende l’idea del compito) il cui peso e la cui responsabilità sento appieno, pur cercando di portarli con la consapevolezza del massimo impegno su tutti i fronti che l’incarico richiede.
Molto più importa, invece, iniziare ad addentrarsi in alcuni temi perché si tratta di aspetti coi quali, poco alla volta, una gran parte della magistratura italiana dovrà confrontarsi, nell’inevitabile avanzare di un mondo che va oltre i confini nazionali e che, senza dover necessariamente comportare una rinuncia alla propria tradizione e cultura giuridica, richiederà però una elasticità mentale, una disponibilità all’apertura, come mai forse sono state necessarie prima d’ora.
Credo che la magistratura italiana saprà reggere da par suo il confronto con questo nuovo contesto, come ha fatto dagli anni ’70 in poi nelle varie sfide che le si sono poste di fronte, se non si rinchiuderà in sé stessa, ma saprà porsi come soggetto aperto al dialogo, forte della propria storia che le permetterà di giocare un ruolo da protagonista anche in questo nuovo scenario.
Tra i numerosissimi argomenti di cui si puo’ discutere per illustrare cosa è EPPO e cosa comporta la sua creazione, ce ne sono alcuni che, a mio parere, meritano un accenno anche solo in un’ottica divulgativa, quale può considerarsi la finalità di questo scritto.
Tra questi, in particolare, non posso evitare di trattare la figura del Procuratore europeo, la carica che mi trovo a ricoprire dal luglio 2023, e la figura delle Camere permanenti.
Successivamente, vorrei dedicare alcune righe ad uno degli argomenti ai quali tengo di piu’, e cioé quello del rapporto tra EPPO e gli uffici giudicanti, un argomento non particolarmente esplorato fino ad ora, ma che mi sta particolarmente a cuore e che considero uno delle chiavi di volta del funzionamento del nuovo sistema.
2. Il Procuratore europeo e le Camere permanenti
Nell’ufficio centrale di EPPO esiste un Procuratore europeo per ogni Stato Membro dell’UE aderente alla cooperazione rafforzata.
Occorre premettere, infatti, che non tutti gli Stati dell’Unione sono partecipi dell’esperienza di EPPO. L’ufficio è nato secondo la suddetta procedura, la cooperazione rafforzata appunto, che permette anche solo ad alcuni Stati di accordarsi tra loro per conseguire un determinato obiettivo.
Peraltro, la suddetta cooperazione ha riguardato, al momento, ventidue Stati UE su ventisette, e quindi un numero sicuramente significativo. Ad oggi, non aderiscono ad EPPO, infatti, cinque Stati dell’Unione, Irlanda, Svezia, Danimarca, Polonia ed Ungheria.
Sulla base di quanto sopra, nell’ufficio centrale di EPPO, a Lussemburgo, siedono ventidue procuratori europei, oltre al Procuratore capo, che ovviamente appartiene ad uno dei Paesi aderenti.
Un unico Paese, quindi, dispone di due procuratori nell’ufficio centrale, e cioé il Paese del Procuratore capo, che può annoverare, oltre a quest’ultimo, il rispettivo Procuratore europeo.
Peraltro, il Procuratore capo non ha compiti operativi, tranne il fatto di sedere in una Camera permanente, ma di policy generale, per cui non vi è rischio di sovrapposizione tra le due funzioni.
Quello di Procuratore europeo è un ufficio con alcune peculiarità.
Per sintetizzare, si potrebbe dire che il Procuratore europeo deve saper guardare con ciascun occhio in due direzioni diverse, seppure complementari, quella nazionale e quella europea.
Egli, infatti, secondo il regolamento (UE) 1939/2017 [4], tra gli altri compiti, supervisiona le indagini condotte a livello decentrato dai procuratori europei delegati (PED), e quindi, in questo senso, deve occuparsi della dimensione nazionale, ma ciò compie «per conto della Camera permanente e conformemente a eventuali istruzioni da questa fornite», da cui emerge che il livello decentrato non è mai scisso da quello centrale.
Secondo il considerando n. 23 del regolamento, la «supervisione» dovrebbe essere intesa come «riferita a un’attività di controllo più stretta e costante sulle indagini e azioni penali, comprendente, ove necessario, interventi e istruzioni per questioni relative a indagini e azioni penali», per cui questa formulazione sembra attribuire un ruolo assai pregnante al Procuratore europeo nelle indagini; tuttavia, nella pratica, il contenuto di questo concetto non si concretizza in una situazione ed in un potere di controllo analogo a quello che opera oggi all’interno delle procure italiane ai sensi del d.lgs. n. 106 del 2006[5]. I procuratori europei delegati, per esempio, non devono sottoporre ad alcun «visto» preventivo le richieste di misure cautelari e, quindi, sotto questo profilo, godono di un’autonomia che può ritenersi maggiore di un sostituto. Peraltro, non può tacersi che il potere di «supervisione» si possa tradurre nel seguire comunque in maniera dettagliata le indagini, venendo il Procuratore europeo di fatto coinvolto dai PED nelle decisioni più rilevanti o partecipando anche a riunioni operative, senza intaccare, però, il ruolo del PED di gestore dell’indagine stessa.
Molto dipende anche, ovviamente, dalla quantità di indagini attive nello Stato di riferimento. Nella specie, l’Italia è di gran lunga lo Stato EPPO più attivo, se si pensa che circa il 40% dell’intero carico attualmente pendente in EPPO riguarda casi italiani.
Sempre sul «lato nazionale», poi, il procuratore europeo è, di fatto, il punto di contatto con lo Stato per fare in modo che quest’ultimo doti gli uffici di EPPO situati nel territorio nazionale (in Italia sono otto) delle risorse necessarie per condurre le indagini.
Il regolamento prevede, infatti, un sistema ibrido per il funzionamento di EPPO.
In linea generale, l’Unione provvede a fornire le risorse a livello centrale e, tranne che per alcune spese che l’Unione sostiene anche a livello decentrato, sono i singoli Stati a dover fornire le risorse nei singoli uffici di EPPO collocati in ciascun Paese.
Le risorse riguardano tutto ciò che è necessario per il funzionamento degli uffici, dai locali e le loro attrezzature, materiali ed immateriali (informatiche) al personale di segreteria, alla polizia giudiziaria.
In questo senso, vengono in rilievo i rapporti con il Ministero della Giustizia e con il Consiglio Superiore della Magistratura.
Riguardo ai rapporti con la polizia giudiziaria, il procuratore europeo é anche il punto di riferimento, a livello generale, per le forze di polizia nazionali che conducono le indagini sui reati di competenza di EPPO.
Il «lato europeo» è, invece, rappresentato dal fatto che il Procuratore europeo siede in due organismi dell’ufficio centrale di EPPO, entrambi previsti dal regolamento istitutivo di EPPO, il gia’ citato regolamento (UE) 2017/1939: il Collegio e le Camere permanenti.
Il Collegio comprende tutti i Procuratori europei degli Stati aderenti ed il Procuratore capo.
Esso non ha funzioni operative relativamente alle indagini, ma, essenzialmente, adotta decisioni che riguardano le questioni generali ed organizzative interne dell’ufficio e di policy.
Le Camere permanenti sono il cuore di EPPO. Sono dei mini collegi composti da tre procuratori europei ciascuna che, di fatto, prendono decisioni, sotto la forma di approvazioni o autorizzazioni, sulle questioni essenziali dell’indagine che i PED devono loro sottoporre. Il regolamento enuncia in dettaglio i compiti delle Camere[6]; se, quindi, come si diceva prima, i PED non sono soggetti ad un controllo particolarmente invasivo da parte del Procuratore europeo, per contro sono soggetti a seguire le indicazioni e, in qualche caso, le istruzioni delle Camere permanenti relative ad alcuni momenti-chiave dell’indagine.
Qui, per semplificare, si può riassumere nel senso che, tra le altre cose, la modalità di conclusione dell’indagine (si tratti di archiviazione o di richiesta di rinvio a giudizio) deve essere sottoposta alla Camera, così come la volontà di definire l’indagine con una procedura semplificata, che varia a seconda delle legislazioni nazionali (in Italia la questione opera soprattutto nei confronti del patteggiamento). Le Camere decidono anche questioni strategiche per l’indagine, come la allocazione di un’indagine dal PED di uno Stato al PED di un altro Stato, quando gli elementi concreti lo richiedono.
Le Camere, unitamente ai procuratori europei, sono, infatti, espressione di una delle principali caratteristiche delle indagini di EPPO, in particolare delle indagini sovranazionali, e cioè la visione d’insieme dell’indagine, quando questa riguarda fatti che coinvolgono il territorio di più Stati. EPPO, infatti, in una certa misura abbatte veramente le frontiere nazionali nelle indagini penali, e questa è, probabilmente, la più rilevante novità della sua introduzione, anche se tale percorso non è completo per il fatto che, in mancanza di norme processuali europee comuni, nelle indagini ciascun PED applica la legge nazionale dello Stato in cui opera. Ma l’unicità dell’ufficio europeo, il fatto che i PED operanti nei vari Stati non siano autorità nazionali tra loro diverse, ma colleghi della stessa Procura, costituisce certamente un passo significativo nella realizzazione di un’area comune di giustizia penale.
Tornando all’attività delle Camere permanenti, una delle loro caratteristiche è che ciascuna di esse valuta solo le indagini diverse da quelle condotte dai PED della stessa nazionalità dei componenti. In altre parole, le indagini italiane vengono discusse in tutte le Camere, tranne in quella in cui siede il Procuratore europeo per l’Italia.
La domanda che potrebbe sorgere spontanea, allora, è come può una Camera permanente prendere decisioni consapevoli ed informate su un’indagine che si sta svolgendo alla luce di un sistema giuridico diverso da quello dei suoi componenti.
La normativa primaria e secondaria di EPPO si è raffigurata questo tema, prevedendo che alle riunioni della Camera sia invitato anche il Procuratore europeo dello Stato di riferimento, il quale potrà illustrare gli elementi di fatto e giuridici della questione che deve essere decisa.
Naturalmente, più casi appartengono ad uno Stato e più il Procuratore europeo di quello Stato sarà ospite nelle riunioni di varie Camere permanenti.
Il contributo del Procuratore europeo invitato permette, quindi, di fare sì che la decisione della Camera sia secondo diritto dello Stato interessato, ma certo l’impressione che l’esperienza pratica mi suggerisce è che il confronto tra il Procuratore europeo e la camera permanente non sia esente, per una certa parte del processo valutativo, anche dalla presenza di una componente che si potrebbe definire di «senso comune». Il risultato di questo processo non si può negare che sia la formazione di una «giurisprudenza» (anche se occorre sempre ricordare che le decisioni delle Camere permanenti sono pur sempre interne all’ufficio di procura e non provengono da un organo giudiziale esterno ad esso) che è la sintesi di valutazioni provenienti da culture giuridiche molto diverse tra loro, ma nelle quali alcuni elementi di base, generali, sono comuni anche in virtu’ del processo di armonizzaizone normativa del diritto sostanziale, e quindi, in questo senso, autenticamente nuova ed «europea».
Il compito del Procuratore europeo è, allora, da un lato proprio quello di raccordo tra le indagini dei PED e le decisioni delle Camere permanenti, e questa funzione unitamente, dall’altro lato, all’appartenenza ad una o più Camere permanenti che valutano casi diversi da quelli del proprio Stato, così come l’appartenenza al «College» per le questioni di policy generale e di strategia dell’ufficio ne fanno una figura davvero europea, per questo così affascinante ed impegnativa.
3. EPPO e gli uffici giudicanti
Si è compreso come EPPO sia un ufficio di procura, che conduce indagini penali a livello europeo.
Non è, quindi, un ufficio di coordinamento di indagini di autorita’ nazionali, ne’ di scambio di informazioni, ma è un ufficio titolare delle proprie indagini penali, condotte attraverso propri magistrati che non appartengono più, funzionalmente, ad uno Stato Membro.
Per questo, specie dopo la sua creazione e l’inizio della sua operatività, ci si è molto concentrati sul rapporto tra EPPO e gli uffici di procura nazionali.
Questo anche perché il regolamento ha creato un sistema che si potrebbe definire di «competenza ripartita» sui reati PIF[7] tra EPPO e le procure nazionali.
Se, quindi, EPPO si occupa solo di reati PIF ai sensi dell’art. 22 del regolamento (salvi i reati «inestricabilmente connessi» a questi ultimi, rientranti anch’essi nella competenza di EPPO), non tutti i reati PIF sono trattati esclusivamente da EPPO.
Il regolamento delinea, quindi, agli artt. 25-27, un complesso sistema per individuare in ogni caso specifico se la «competenza», o per meglio dire la “giurisdizione”, a condurre l’indagine spetti a EPPO o alla procura nazionale, stabilendo il principio di alternatività tra le due indagini.
Per questo, i primi contatti che EPPO ha avuto con gli uffici giudiziari nazionali degli Stati hanno riguardato principalmente gli uffici di Procura, specie in relazione ad indagini già pendenti ed astrattamente rientranti nella competenza, anche temporale, di EPPO, in particolare per stabilire se essi dovessero essere trattati da EPPO o continuare ad esserlo da parte dell’A.G. nazionale.
Anche oggi, superata la prima fase «transitoria» sui procedimenti già iniziati, per i nuovi procedimenti i contatti con gli uffici di procura riguardano principalmente la questione dell’individuazione dell’autorita’ addetta a trattare un’indagine.
A mano a mano che le indagini si sono sviluppate e che, a maggior ragione, sono giunte a giudizio, è però emerso il tema del rapporto tra EPPO e gli uffici giudicanti.
Si tratta di un tema, a mio avviso, di grandissima importanza, sebbene non ancora approfondito sufficientemente negli studi su EPPO.
Gli uffici giudicanti, infatti, contrariamente a quanto si potrebbe ritenere a prima vista, sono pienamente coinvolti nell’applicazione del regolamento (UE) 1939/2017.
La premessa delle considerazioni che si andranno a svolgere è che, in mancanza di un giudice europeo, l’interlocutore di EPPO nei vari Stati membri è sempre ed essenzialmente il giudice nazionale.
Questo già nella fase delle indagini, per esempio per le richieste di misure cautelari.
In Italia sono ad oggi numerose le richieste di misure cautelari di EPPO decise dai giudici nazionali, e ciò presuppone, in primo luogo, che il giudice che si trova a ricevere la richiesta proveniente da un ufficio diverso dall’ordinaria Procura della Repubblica conosca EPPO, la sua competenza ed i suoi poteri.
Ma la sfida ancora maggiore per gli uffici giudicanti si gioca, a mio avviso, nel processo, successivamente al rinvio a giudizio.
In quella sede, infatti, non può escludersi l’interferenza delle norme nazionali, primariamente applicabili, con il regolamento europeo.
Si pensi, solo per fare un esempio, all’accesso da parte dell’imputato ad un rito alternativo quale il nostro patteggiamento.
Il regolamento EPPO prevede che le decisioni chiave dell’indagine, tra cui anche l’accesso ad un rito alternativo («simplified procedure» nella versione originale inglese) siano approvate dalla Camera permanente[8].
Molto si discute, invece, se il ruolo della Camera permanente si esaurisca con la fine dell’indagine o continui, essenzialmente con un compito di monitoraggio, durante la fase successiva all’esercizio dell’azione penale.
Alcune norme del regolamento che richiedono l’intervento della Camera permanente anche per alcune decisioni che riguardano certamente la fase del dibattimento, come l’art. 36 comma 7, potrebbero orientare verso questa conclusione[9].
Ipotizzando che sia così , allora, la domanda è se l’accesso ad una «simplified procedure» dopo la richiesta di rinvio a giudizio da parte di EPPO, e quindi al di fuori dell’ambito dell’art. 40 del regolamento, richieda ugualmente un passaggio procedurale presso la Camera permanente.
La questione è particolarmente rilevante nei procedimenti italiani, in cui, come è noto, molte richieste di patteggiamento sono presentate dall’imputato dopo tale momento, come prevede lo stesso art. 446 c.p.p.
Se si ammette che per una richiesta di patteggiamento presentata dopo la richiesta di rinvio a giudizio il procuratore europeo delegato di EPPO debba informare la Camera permanente, lo scenario che si potrebbe porre in una ordinaria udienza davanti ad un giudice italiano in un procedimento EPPO è che il PED – che, ipoteticamente, venga a conoscenza dell’istanza solo in quella sede – non possa concludere l’accordo con il difensore nella stessa udienza in cui l’istanza é presentata, mancando l’informativa alla Camera permanente.
Sempre sul presupposto dell’accoglimento di tale ipotesi, in tal caso, il PED potrebbe essere obbligato a manifestare tale necessità, chiedendo quindi un rinvio dell’udienza per informare la Camera permanente.
A questo punto, la decisione passa al giudice nazionale, ed è qui che il rapporto tra regolamento EPPO e normativa interna si manifesta chiaramente, e la responsabilità di sciogliere il nodo è tutta nelle mani del giudice medesimo.
Per una decisione consapevole, però, il giudice nazionale dovrebbe essere pienamente al corrente di cosa si stia parlando; in primo luogo, dell’esistenza stessa di EPPO e dei poteri dei PED in udienza (ma questo, dopo un po’ di anni dall’inizio dell’operatività di EPPO, auspicabilmente si dovrebbe dare per assodato) ; in secondo luogo, però, di come la richiesta di rinvio da parte del PED trovi una piena base legale nel coordinamento delle norme del regolamento EPPO con le norme nazionali; infine, dello stesso contenuto del regolamento EPPO e della possibilità di fornirne una diversa interpretazione sul punto.
Se manca questa consapevolezza nel giudice, la ipotizzabile richiesta del PED di rinvio dell’udienza «per non poter esprimere il consenso in mancanza di informativa alla Camera permanente» (e quindi per un motivo non previsto nella normativa nazionale) potrebbe sembrare qualcosa di assolutamente anomalo, per quanto, invece, fornito di una base legale del tutto valida, sebbene non rinvenibile completamente nella normativa nazionale, quanto nell’interpretazione di quella europea.
Nel caso estremo, davvero di scuola ma che per completezza di analisi non si può escludere, potrebbe addirittura portare il giudice – erroneamente – a ritenere che il PED non abbia prestato il consenso, e quindi a non dare accesso al patteggiamento, con conseguenze che, evidentemente, ricadrebbero tutte sull’imputato.
Ma vi è di più: poiché il giudice è interprete anche della normativa europea, direttamente applicabile, se egli dubitasse della correttezza dell’interpretazione del regolamento secondo cui il consenso del PED richiede il passaggio processuale presso la Camera permanente anche dopo l’esercizio dell’azione penale, egli potrebbe/dovrebbe chiedere la corretta interpretazione del regolamento (UE) 1939/2017 sul punto alla Corte di Giustizia con un rinvio pregiudiziale, ai sensi dell’art. 42, comma 2, del regolamento stesso.
Quanto sopra è solo un esempio – al quale peraltro nella pratica si potrebbe dare probabilmente anche una diversa soluzione, autorizzando l’informativa alla Camera permanente dopo l’accordo – ma è sufficientemente chiaro per illustrare il rapporto tra normativa europea e nazionale successivamente all’esercizio dell’azione penale nei procedimenti EPPO.
Di fronte a tale scenario, o ad altri che tale rapporto potrebbe porre, allora, la grande domanda che campeggia sullo sfondo è: sono i giudici italiani, anche di tribunali di non grandi dimensioni, davanti ai quali però EPPO può esercitare l’azione penale, “attrezzati” per tali evenienze?
Essere “attrezzati” significa, in questo caso, come detto sopra, avere piena ed approfondita conoscenza della normativa europea su EPPO, del rapporto della stessa con la normativa italiana e della possibilità di interpellare la Corte di Giustizia.
Si torna, quindi, per concludere, alle considerazioni iniziali: quello con cui la magistratura italiana deve inziare a confrontarsi è un momento importante, perché con EPPO l’impatto del diritto europeo in quello penale, anche processuale, segna un ulteriore passo in avanti rispetto a quanto era avvenuto finora.
Certo, la competenza di EPPO è, almeno al momento, limitata a categorie specifiche di reati e, come detto, è ripartita con l’autorita’ nazionale, ma le possibili estensioni della competenza stessa ad altre categorie di reati e, in ipotesi, qualche futura modifica del regolamento, potrebbero rendere l’incidenza del diritto europeo che disciplina le indagini di EPPO sui sistemi nazionali ancora più significativa.
Da qui l’esigenza di informazione e di diffusione della conoscenza di questo nuovo ufficio, della sua struttura e della normativa che ne regola indagini e processi, nell’interesse di tutti i soggetti coinvolti, e nell’interesse di un procedimento realmente “giusto” anche per i casi di EPPO che saranno trattati nel nostro Paese.
[1] Le opinioni ed i commenti contenuti nell’articolo sono espressi a titolo puramente personale e non vincolano ne’ riflettono il pensiero dell’Ufficio di cui l’autore fa parte
[2] Procuratore europeo in EPPO, supervisore dei casi italiani
[3] Numerosissimi sono i testi che trattano di EPPO, della sua struttura, della sua competenza e del suo funzionamento; tra quelli che danno una visione generale degli argomenti qui basta citare SALAZAR, Habemus EPPO! La lunga marcia della Procura Europea, in Arch. Pen., 2017, n. 3, pag. 1; TAVASSI, Il primo anno di EPPO: appunti per una revisione critica, in Sist. Pen., 31.5.2022 ; TRAVERSA, I tre principali aspetti istituzionali dell’attivita’ della Procura europea (EPPO): legge applicabile, rimedi giurisdizionali e conflitti di competenza, in Arch. Pen., 2019, n. 3.
[4] Art 12 regolamento (UE) 1939/2017.
[5] Decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, recante Disposizioni in materia di riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera d), della legge 25 luglio 2005, n. 150.
[6] Art. 10 regolamento (UE) 1939/2017
[7] I c.d. «reati PIF», cioe’ che riguardano il campo della protezione degli interessi finanziari dell’Unione Europea, quali frode, corruzione, riciclaggio di denaro e appropriazione indebita, che, ai sensi dell’art. 22 del regolamento UE 2017/1939, rappresentano la competenza di EPPO, sono elencati nella direttiva (UE) 2017/1371 cui il regolamento stesso fa rinvio.
[8] Art. 40 del regolamento (UE) 1939/2017, che si riferisce espressamente alla procedura semplificata in relazione all’esercizio dell’azione penale.
[9] Sulla decisione se presentare appello contro la sentenza di primo grado, e la cui prima fase recita «Quando, in seguito a una sentenza dell’organo giurisdizionale, la procura deve decidere se ricorrere in appello, il procuratore europeo delegato presenta una relazione contenente un progetto di decisione alla Camera permanente competente e attende istruzioni da quest’ultima».