I due volumi della Nuova Guida al codice di procedura penale (Carabba editore, 2023) di Aniello Nappi ci consegnano l’intero sistema processale penale italiano in tutta la sua complessità, con gli importanti innesti operati dal d.lgs. 150 del 2022 (riforma Cartabia), che ha proceduto ad una vera e propria riscrittura di alcuni istituti processuali.
Il lavoro di Nappi non può definirsi solo un “manuale”, inteso secondo i concetti della manualistica corrente, cioè un libro che espone gli argomenti fondamentali attorno alla materia del processo, ma - appunto - una “guida”, che conduce e segnala al lettore la strada per accedere al sistema del processo. Una strada affatto semplice, rispetto alla quale Nappi non si è sottratto alla sfida di rappresentarne la “complessità”, nel senso che non ha operato scorciatoie o semplificazioni nel descrivere gli istituti, ma li ha esaminati in modo approfondito e critico, soprattutto li ha letti attraverso un continuo confronto con la giurisprudenza e con la dottrina.
Rispetto ai tradizionali “manuali” di procedura penale la Nuova Guida sembra differenziarsi proprio per il rilievo che assegna alla giurisprudenza, che non viene riportata solo in nota, ma che è descritta in tutti i suoi orientamenti, spesso divergenti, per poi essere analizzata, vagliata e discussa all’interno del testo, con l’obiettivo finale di riportare ad un ordine razionale i vari istituti esaminati.
L’impegno di dare razionalità al sistema è il filo rosso che attraversa l’intera opera di Nappi: si percepisce lo sforzo di offrire una ricostruzione logica agli snodi processuali, agli istituti e di leggere le nuove disposizioni, anche quelle introdotte dalla recente riforma del 2022, in modo tale da consentire al “sistema” di funzionare, lontano da quell’atteggiamento, proprio di alcune operazioni interpretative, volto a dimostrare solo le carenze del sistema. Non che manchino nella Nuova Guida accenti di forte critica per alcune scelte, come ad esempio quando, con riferimento alle prove, si rileva uno stato di notevole confusione sul tema della valutazione degli indizi a causa di una ricorrente incertezza della giurisprudenza tanto “da tradursi in un’imbarazzante licenza di arbitrio valutativo”. Tuttavia, prevale sempre un’esigenza di critica costruttiva, che avversa ogni approccio demolitorio, per preferire una paziente e accorta ricerca delle ragioni che hanno spinto il legislatore e la stessa giurisprudenza a fare certe scelte.
Quello della ricerca della soluzione razionale è una esigenza dell’Autore, che deriva dalla sua impostazione di studioso, attento lettore di saggi sulla logica, e anche dalla sua lunga e significativa esperienza di magistrato presso la Corte di cassazione, funzione che ha esercitato nella piena consapevolezza del ruolo della Corte di legittimità, cioè di un giudice che deve dispensare soluzioni interpretative che consentano il funzionamento del processo nel pieno rispetto delle garanzie.
Vi è da dire che l’aspirazione alla ricostruzione razionale del sistema e la continua attenzione all’opera della giurisprudenza possono apparire in qualche modo antitetiche, considerando che il diritto giurisprudenziale procede disordinatamente, per strappi, in un movimento continuo e impetuoso difficilmente governabile, tanto che per descriverlo si è fatto ricorso alla teoria del caos (M. Taruffo): ebbene il lavoro di Nappi raccoglie questa sfida impegnativa, offrendo una rilettura completa e critica del processo, anche attraverso il diritto vivente giurisprudenziale.
La Nuova Guida si compone di due volumi, divisi in tre parti, riprendendo l’impostazione contenuta nella originaria Guida: il sistema, i riti, le implicazioni.
La prima parte si apre con il capitolo (I metodi) in cui sono discussi i problemi generali della giurisdizione penale, evidenziando come il concetto di matiére pénal elaborato dalla giurisprudenza di Strasburgo se, da un lato, aumenta le garanzie anche per illeciti non qualificati come penali dalle leggi nazionali, dall’altro, mette obiettivamente in crisi il nostro principio di legalità.
Questa parte si conclude con un denso capitolo dedicato alla valutazione della prova. Qui Nappi affronta, tra l’altro, il controverso tema del rapporto tra verità storica e verità processuale, non senza confrontarsi con le più recenti teorie filosofiche, per sostenere che “la verità di cui si discute nel processo è la verità di un enunciato singolare posto a base del capo di imputazione, formulato dal pubblico ministero, e la realtà”, avvertendo che “oggetto del processo è pur sempre un problema di verità”, un oggetto che costituisce lo “scopo più autentico di qualsiasi processo”. E’ una affermazione in cui crede fortemente: l’obiettivo del processo è pur sempre la verità, che va intesa come “accertamento attendibile dei fatti”. D’altra parte, Nappi pur dando atto dell’importanza sempre crescente che ha nel processo la conoscenza scientifica con i suoi modelli e strumenti tecnici sofisticati, avverte come l’ingresso della scienza nel processo non può determinare “una sorta di abdicazione del giudice e delle parti”: ad essi rimane la responsabilità della decisione.
Nel mezzo vi sono i capitoli dal II al IV che descrivono le fasi processuali, mentre il V e il VI sono dedicati, rispettivamente, al giudice e al tema della competenza, e all’ufficio del pubblico ministero; il VII riguarda la forma degli atti.
Con la seconda parte si entra nel cuore del processo.
I primi due capitoli sono dedicati alle indagini e all’udienza preliminare.
Sono valutate positivamente le modifiche apportate dal d.lgs. 150 del 2002 (riforma Cartabia) su tempi e controlli dell’iscrizione della notizia di reato; riguardo alla nuova regola di giudizio contenuta nell’art. 425, comma 3, c.p.p., si ribadisce la natura processuale della sentenza di non luogo a procedere, evidenziando che la modifica ha operato una omologazione tra la regola di giudizio dell’udienza preliminare e quella del procedimento di archiviazione.
Grande attenzione è riservata alle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, comprese quelle tra presenti, eseguite per mezzo di captatori informatici. Con riguardo a questa tipologia di intercettazioni viene operata una distinzione circa le condizioni di ammissibilità, precisando che solo quando si procede per i delitti di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. le intercettazioni tra presenti sono “incondizionatamente ammesse in ambito domiciliare”, anche se eseguite attraverso l’uso di captatori informatici; mentre in caso di procedimenti di criminalità organizzata per delitti diversi da quelli indicati dall’art. 51 cit. le intercettazioni sono ammesse in ambito domiciliare, ma possono essere eseguite per mezzo di captatori informatici solo se sia in corso un’attività criminosa. Sul punto, recentemente, si è aperto un delicato dibattito sulla nozione di “criminalità organizzata” funzionale all’ammissibilità di intercettazioni tra presenti con l’uso del c.d. trojan horse, questione presa in esame nella versione on line della Nuova Guida, in cui si afferma che non tutti i reati contemplati nell’art. 51, commi 1-bis e 1-quater c.p.p. rientrano nel concetto di criminalità organizzata, ma solo quelli che hanno una base associativa, precisando che il concorso nei delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis c.p. può riferirsi solo a reati diversi da quelli associativi, laddove la condotta finalizzata ad agevolare l’attività, se è riferita all’associazione, può implicare il concorso nel reato associativo e, quindi, è ricompresa nel concetto di delitto di criminalità organizzata. Tali problematiche, sorte soprattutto in relazione alla interpretazione non univoca dei principi desumibili dalla sentenza delle Sezioni unite Scurato, del 28 aprile 2016, sono state rapidamente e, forse, frettolosamente superate dal decreto legge n. 105 del 10 agosto 2023, che ha espressamente incluso i reati commessi ricorrendo alle modalità e condizioni previste dall’art. 416-bis c.p. e quelli finalizzati ad agevolare le associazioni mafiose tra i delitti cui si applica l’art. 13 del decreto legge n. 152 del 1991, così facendoli rientrare nel regime delle intercettazioni tra presenti relativo ai delitti di criminalità organizzata.
Seguono i capitoli (XI e XII) sugli istituti che Nappi colloca all’interno di due distinte partizioni, definite alternativa accusatoria e alternativa inquisitoria: nella prima la prova si forma nel contraddittorio delle parti dinanzi al giudice e gli atti di indagine non hanno, di regola, valore probatorio; nell’altra, invece, gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero senza contraddittorio, assumono valore di prova in funzione di una definizione anticipata e semplificata del giudizio.
L’alternativa accusatoria è quella principale, in cui il processo, passando attraverso l’udienza preliminare o la citazione diretta, si sviluppa e si conclude nel pubblico dibattimento ovvero nei due riti speciali del giudizio direttissimo e del giudizio immediato.
L’altra alternativa comprende il giudizio abbreviato, il c.d. patteggiamento e il procedimento per decreto, riti che consentono alle parti una definizione anticipata del processo con il più rapido metodo inquisitorio, realizzando una deviazione rispetto al modello principale. Nell’ambito di questa alternativa Nappi colloca anche l’oblazione e il nuovo istituto della sospensione del processo con messa alla prova, con proprie caratteristiche.
Il capitolo XIII è interamente dedicato al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica. Viene preso in esame il nuovo istituto dell’udienza di comparizione predibattimentale a seguito di citazione diretta, introdotto dalla riforma del 2022, evidenziando come in tale udienza, a differenza di quanto avveniva con l’udienza di prima comparizione, al giudice è demandato il compito di verificare l’attendibilità dell’accusa, in base al fascicolo del pubblico ministero, così delimitando anche l’oggetto del giudizio e realizzando una disciplina che riproduce quanto previsto all’art. 423 c.p.p. per l’udienza preliminare.
Il capitolo successivo tratta i procedimenti complementari: il processo penale minorile e quello davanti al giudice di pace. A quest’ultima procedura complementare Nappi dedica una particolare attenzione, evidenziando l’importanza della funzione della giurisdizione onoraria nell’ambito del sistema giudiziario, sottolineando l’originalità di alcune scelte processuali compiute, come quella della citazione a giudizio su ricorso della persona offesa, vera e propria azione penale privata, e, nello stesso tempo, rilevando alcuni limiti su come la giurisdizione di pace è stata realizzata dal legislatore.
La terza parte sulle implicazioni, si apre con il capitolo dedicato alle misure cautelari, personali e reali. Si tratta di un capitolo particolarmente denso, in cui Nappi affronta in modo approfondito tutti i numerosi problemi, interpretativi e applicativi, a cui questa materia ha dato adito, con un supporto notevole, anche per estensione, di note in cui si documenta il travaglio della giurisprudenza e della dottrina sui temi della libertà personale. Basti citare, a titolo di esempio, il paragrafo sulle contestazioni a catena, uno dei temi più complessi e difficili, alla cui confusione interpretativa ha contribuito anche la giurisprudenza, non solo quella di legittimità. Ebbene, la descrizione dinamica degli orientamenti della giurisprudenza, anche costituzionale, e della dottrina sull’art. 297, comma 3, c.p.p. oltre ad essere dettagliata e puntuale, offre una ricostruzione completa e chiara dell’istituto, pur sottolineando alcuni aspetti di non facile interpretazione, come la modifica operata dall’art. 12 legge n. 332 del 1995, che ha stabilito che la disposizione non si applica “alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione”: qui Nappi, condividendo alcune osservazioni della dottrina, sostiene che “ciò che dovrebbe rilevare ai fini della contestazione a catena è solo la situazione probatoria esistente al momento della richiesta di ciascun provvedimento, non quella esistente al momento del rinvio a giudizio per alcuno dei fatti contestati”.
Medesima accuratezza troviamo nella parte dedicata alle misure cautelari reali. Anche qui massima è l’attenzione alla giurisprudenza, tanto che, con riferimento ai presupposti del sequestro preventivo impeditivo, si dà atto di come, nella giurisprudenza più recente, si stia affermando un orientamento che non si accontenta dell’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato, ma richiede un giudizio prognostico in merito alla probabile condanna dell’imputato.
Seguono i capitoli sulle impugnazioni, sull’azione civile, sull’esecuzione e sui rapporti giurisdizionali con autorità straniere
Fondamentale la trattazione sulle impugnazioni, che si apre con una nota critica, rilevando come il codice di procedura del 1988 abbia dedicato scarsa attenzione al tema, una mancanza questa che è continuata negli anni, come se i legislatori non abbiano percepito la decisività ed importanza delle impugnazioni, la cui disciplina tocca questioni cruciali, anche “dal punto di vista politico delle scelte legislative”.
Ritorna il giudizio critico sulla costruzione di un sistema in cui il primo grado si svolge attraverso un procedimento tendenzialmente accusatorio, in cui le prove si formano davanti al giudice, ad opera delle parti, mentre l’appello rimane un giudizio di regola scritto, in cui il convincimento del giudice non si forma nell’immediatezza del contraddittorio orale.
La riforma Cartabia ha lasciato pressoché immutata la struttura del giudizio di appello, intervenendo però sull’inammissibilità e, soprattutto, introducendo il nuovo istituto dell’improcedibilità che mira a garantire la ragionevole durata del processo. Istituto quest’ultimo rispetto al quale Nappi non appare critico, riconoscendo come, attraverso il sistema delle proroghe, si sia raggiunto un equilibrio che ha una sua coerenza, anche in rapporto con la prescrizione che invece governa i tempi del procedimento di primo grado.
Invero, il giudizio di appello avrebbe meritato interventi di maggior respiro, soprattutto coerenti con le caratteristiche accusatorie del processo di primo grado. In più occasioni è stata avanzata la proposta di trasformare l’appello in una impugnazione solo rescindente, attribuendo la fase rescissoria al giudice di primo grado o, secondo altri, ad un diverso collegio della stessa corte di appello (F. Cordero). Si è detto che questa soluzione presenta forti controindicazioni in ordine alla sua compatibilità con la ragionevole durata del processo, tuttavia si è osservato che le corti di appello sarebbero comunque liberate dall’impegno, gravoso, di procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e, inoltre, l’appello rescindente avrebbe l’effetto di condurre ad un duplice giudizio di fatto, con un doppio accertamento di responsabilità che potrebbe avere l’effetto di “indurre i pubblici ministeri ad esercitare l’azione penale soltanto sulla base di prove consistenti (…) e tali da poter essere confermate nel vaglio dibattimentale”, conseguendo così l’effetto di una riduzione del numero dei processi instaurati (E. Lupo). Peraltro, in considerazione del controllo selettivo esercitato dal giudice di secondo grado vi sarebbero effetti deflattivi sul giudizio di cassazione, con un recupero della vocazione nomofilattica.
Le pagine sul controllo della motivazione in Cassazione ricostruiscono in maniera approfondita e critica il percorso della giurisprudenza e gli interventi del legislatore, con il consueto apparato di note che richiama, puntualmente, anche la dottrina. Le novità apportate dalla riforma c.d. Cartabia alla disciplina del procedimento davanti alla Corte di cassazione, con la valorizzazione del procedimento “cartolare” risultano positivamente valutate. Del resto, la prevalenza del modulo con contraddittorio scritto – oggi superabile dalla semplice richiesta di trattazione orale delle parti - rappresenta, da sempre, il modello “generale” di trattazione dei ricorsi in cassazione e trova una giustificazione nella necessità di avere a disposizione uno strumento processuale agile e capace di incidere efficacemente sull’enorme contenzioso da cui è assediata la Corte (in media, oltre 50.000 ricorsi ogni anno). È stato sottolineato come tale modello procedimentale realizzi una opportuna mediazione tra l’esigenza della massima semplificazione, i caratteri del controllo della Corte di cassazione e l’attuazione del contraddittorio.
E’ infatti il numero abnorme di ricorsi trattati dalla Corte di cassazione che mette a rischio la funzione nomofilattica di questo giudice, che finisce per dedicarsi in prevalenza allo ius litigatoris: di questo Nappi è perfettamente consapevole quando, riconoscendo che la Corte di cassazione assomma due modelli diversi di giudice, afferma che le diverse prospettive dello ius litigatoris e dello ius constitutionis dovrebbero giustificare non metodi diversi di interpretazione, ma semmai “assetti normativi radicalmente diversi sia per la disciplina del processo sia per l’ordinamento giudiziario”, in quanto “è la selezione dei ricorsi in ragione dell’importanza generale delle questioni, anziché degli interessi delle parti, a caratterizzare davvero i modelli a corte suprema, permettendo di limitare sia i carichi di lavoro sia gli organici delle Corti, che possono così esprimersi in un discorso giurisprudenziale unitario, coerente ed efficientemente comunicabile”, per concludere che “non vi può essere un’effettiva funzione nomofilattica senza una selezione dei ricorsi sui quali la corte intende pronunciarsi con piena cognizione”. In poche battute Nappi sintetizza la crisi della Corte di cassazione incapace davvero di avere quella che lui chiama vocazione comunicativa, funzionale cioè a svolgere la funzione di nomofilachia che le assegna l’art. 65 ord. giud.: “solo una corte suprema che riesca ad esprimersi con una giurisprudenza univoca potrà porsi come interlocutrice effettiva della dottrina piuttosto che come riserva di occasionali precedenti utilizzabili a sostegno delle diverse opinioni contrapposte”.
L’attuale crisi che attraversa la Corte di cassazione potrà essere superata quando il rapporto tra i due volti di questo giudice acquisterà un equilibrio sostenibile ed è la sfida che impegnerà la Cassazione del prossimo futuro.