1. Il tema della restrizione della libertà personale prima della condanna è da sempre oggetto di approfondimenti e riflessioni tra gli studiosi del processo. L’approccio è fortemente condizionato da molti elementi non ultimo dei quali quello del modello processuale.
Non senza alcune – rozze – semplificazioni si potrebbe essere tentati di dire che il modello processuale inquisitorio tendenzialmente sia orientato a prevedere la carcerazione preventiva, come peraltro emerge anche dalla nostra Carta costituzionale, che senza previsione della finalità (c.d. vuoto dei fini, riempito dalla giurisprudenza costituzionale e da quella ordinaria) è orientata – fermi solo i limiti massimi – a concepirla come funzionale al sistema (v. anche il riferimento all’autorità giudiziaria). Ciononostante naturalmente, nella evoluzione del modello non sono mancati recuperi di garanzia (controlli nel merito, pluralità di misure, gradualità, proporzionalità e tutto il coacervo di norme che ne accompagnano ora l’applicazione). Cose note, frutto di una lenta ma evidente evoluzione, contrassegnata da moltissime modifiche sia nei presupposti (sufficienti indizi versus gravi indizi), esigenze cautelari (variamente individuate) sia nelle soglie di pena, sia nelle esclusioni applicative, sia nelle presunzioni di pericolosità, sia con riferimenti soggettivi (soggetti deboli), sia a tutela delle vittime.
Si afferma, all’opposto – anche in questo caso con una nettezza facilmente confutabile – che un sistema accusatorio, impostato sulla presunzione di innocenza o di non colpevolezza, non ammetterebbe (forse si teoricamente) una carcerazione preventiva (al di là della presenza della concessione onerosa della cauzione), dato peraltro di cui è agevole sostenere la fallacia, come emerge dai sistemi anglosassoni impostati sul modello accusatorio.
Invero, al di là dei semplicisti schematismi così delineati, che non sono in grado di reggere di fronte ad una tematica complessa, va considerato che anche questo tema – come tutto il processo – risente di molti elementi quali storia, cultura, ordinamento giudiziario, contesti criminali, e l’evoluzione sociale e politica e il contesto sovranazionale, così da non poter essere meramente ricondotto entro schemi rigidi.
Del resto, il provvedimento restrittivo, a differenza delle decisioni di merito, è caratterizzato da tre elementi molto peculiari: è emesso (quasi sempre) senza contraddittorio (a sorpresa); è immediatamente esecutivo; l’impugnazione (quasi sempre: art. 310 c.p.p.) non ne sospende l’esecuzione.
Tutto questo trova conferma nella attuale disciplina del libro IV del Codice di rito penale. Com’è noto, superando la fase del c.d. rito ambrosiano, la riforma del 1988, autentico sistema, dentro il codice del 1988 (non casualmente fatto proprio addirittura dalla c.d. legge anticipatrice) è stato interessato, oltre a varie modifiche puntuali e specifiche (si pensi alle misure a tutela della vittima: art. 282 bis, 282 quater, c.p.p.), da due grandi passaggi riformatori che hanno rimodulato la materia nel senso di assicurare al soggetto da sottoporre a misura, maggiori garanzie (l. n. 332 del 1995; l. 47 del 2015).
Questa premessa, del tutto insufficiente a delineare un quadro complesso, molto articolato, a volte casistico, intessuto di modifiche normative e di apporti giurisprudenziali (con moltissime decisioni a sezioni unite) costituisce una solo abbozzata e ovviamente incompleta premessa per affrontare i profili sulla materia contenuti nel d.d.l. Nordio.
2. Il tema è affrontato nell’art. 2 del citato d.d.l., attraverso l’interpolazione di molteplici emendamenti agli artt. 291, 292, 294, 299, 309, 313 e 328 c.p.p.
Due sono gli assi portanti della riforma: il contraddittorio anticipato e la collegialità nell’applicazione della misura della custodia in carcere e della provvisoria applicazione della misura di sicurezza detentiva.
Anche se quest’ultimo aspetto viene differito (di due anni) all’assunzione in ruolo dei 250 magistrati di cui al reclutamento straordinario, per assicurare la funzionalità dei piccoli tribunali (stante la possibilità di situazioni di incompatibilità), sarà necessario tener conto comunque di questo elemento, per valutare la prospettiva riformatrice nella sua complessità e completezza.
Incrociando i due elementi, pare possibile affermare che, fermo quanto previsto dall’art. 284, comma 2, c.p.p., e quanto regolato in tema di responsabilità degli enti, sulla richiesta del pubblico ministero il giudice procederà all’interrogatorio anticipato ove la misura custodiale e non custodiale sia richiesta al di fuori dei pericula di cui alla lett. a e b dell’art. 274 c.p.p., nonché con esclusione dei gravi reati di cui alla lett. c sempre dell’art. 274 c.p.p., di cui all’art. 407, comma 2, lett. a c.p.p. e all’art. 362, comma 1 ter, c.p.p., ovvero dei gravi delitti commessi con uso delle armi o con altri mezzi di violenza personale.
Pertanto, difettando le altre esigenze (lett. a e b), si procederà all’interrogatorio anticipato solo in presenza delle situazioni di cui al secondo periodo della lett. c dell’art. 274 c.p.p.: a ben vedere si tratta delle situazioni che erano state oggetto del referendum, che, peraltro, non aveva raggiunto il quorum richiesto.
Come anticipato, la misura cautelare sarà disposta dal collegio solo nel caso in cui si debba applicare la custodia cautelare in carcere.
Nel valutare la misura da applicare e pertanto le modalità procedurali in relazione alla gravità del reato, sarà necessario considerare le situazioni per le quali le esigenze cautelari sono presunte, in termini assoluti o relativi dell’art. 275 c.p.p., con la conseguenza nel primo caso o di non applicare nessuna misura per la mancanza di esigenze ovvero di procedere alla decisione collegiale senza previo interrogatorio; ovvero nel secondo caso, relativamente alle diverse situazioni prospettabili, di procedere alla decisione collegiale, di non procedere alla decisione collegiale e di non procedere all’interrogatorio anticipato (ferma sempre la possibilità di non applicare nessuna misura).
3. I possibili percorsi procedurali, seppur così sommariamente tracciati, consentono di introdurre alcune prime riflessioni problematiche sottese alla riforma.
Così, esclusa la necessità della collegialità nel caso in cui il p.m. non chieda la misura della custodia cautelare in carcere, potrà il giudice, prima di determinarsi, valutare la richiesta del pubblico ministero o sarà vincolato dalla richiesta del suo contenuto?
In altri termini, richiesto della misura del carcere, dovrà procedere ad investire il collegio oppure, valutando di non applicare la misura inframuraria, procedere al contraddittorio anticipato, escludendo anche quelle esigenze cautelari che come visto la precludono?
Come dovrà essere valutata una richiesta di arresti domiciliari con braccialetto ovvero sarà necessario procedere collegialmente nel caso in cui alla richiesta del carcere il giudice ritenga di dare una misura meno afflittiva?
Le questioni emergono dalla formulazione dell’art. 291, 1 quater, c.p.p., ove si afferma che il giudice procede all’interrogatorio “prima di disporre la misura” facendo intendere che ci debba (o possa) essere una valutazione preliminare (del giudice singolo).
Del resto, sarebbe assurdo pensare che ritenendo infondata la richiesta del p.m. il giudice debba procedere comunque all’interrogatorio, con possibilità, forse, di dare in tal modo risposta agli interrogativi precedenti.
Ancora. Dovrebbe ritenersi, alla luce di quanto disposto indirettamente in materia di aggravamento delle esigenze ex art. 299 c.p.p., che una volta disposta collegialmente la misura del carcere spetti al collegio valutare la successiva concedibilità, a richiesta della difesa, delle misure meno afflittive, soprattutto nel caso in cui sia stata disposta, in caso di mancato accoglimento della richiesta del carcere, la misura degli arresti domiciliari (con o senza braccialetto) (con o senza contraddittorio anticipato, in relazione alle prospettate situazioni).
Sembrerebbe necessario considerare che se nel caso dell’eventuale rigetto de plano della richiesta del p.m. il materiale probatorio trasmesso sarà restituito senza che l’imputato ne abbia conoscenza, nel caso del rigetto successivo all’interrogatorio il segreto sugli atti verrebbe meno.
È evidente che se nel periodo che precede la decisione, mancando ogni ipotesi di arresto provvisorio, maturassero le esigenze cautelari preclusive del contraddittorio, il giudice potrebbe (rectius, dovrebbe) pronunciarsi senza attendere la presentazione dell’indagato.
Mancano precisi riferimenti procedurali conseguenti alle attività successive allo svolgimento dell’interrogatorio.
Resterebbe anche da considerare se, alla luce di quanto previsto dal novellato art. 292 c.p.p., a mente del quale l’ordinanza cautelare dovrà contenere una specifica valutazione degli elementi esposti nel corso dell’interrogatorio e del riformato 309, ove si prevede che sia trasmesso al tribunale della libertà (“in ogni caso”) il verbale dell’interrogatorio anticipato, il giudizio di riesame conservi la sua natura, ovvero se in questo caso non si accentui la natura di impugnazione, con la conseguente esigenza per la difesa di prospettare motivi di gravame.
Qualche interrogatorio potrebbe prospettarsi, pur in presenza del contraddittorio anticipato, sotto il profilo della collegialità, nel caso dell’applicazione del carcere nell’udienza di convalida.
Forti perplessità suscitano i profili delle garanzie difensive a tutela del soggetto che rende l’interrogatorio: manca, invero, a differenza di quanto previsto dall’art. 294 c.p.p., ogni riferimento – con le logiche conseguenze in punto di natura dell’invalidità ex art. 179, comma 1, c.p.p. – alla obbligatoria presenza del difensore, anche senza tener conto che manca ogni riferimento alla nomina di un difensore d’ufficio o di uno di turno.
Esistono, poi, perplessità sullo strumento per il timore di condizionamenti confessori, di chiamate in correità, di collaborazioni tese ad evitare le misure, soprattutto per quei soggetti non difficilmente identificabili sottoposti alla verifica anticipata.
Non possono, infine, negarsi le ricadute (negative) legate alla c.d. doppia collegialità sugli sviluppi processuali.
4. Ricollegandosi alle considerazioni iniziali si può sottolineare che nell’intento di rafforzare la tutela dell’indagato si assiste ad un ulteriore tentativo di anticipazione attraverso il contraddittorio del momento applicativo della misura, peraltro, in una misura che resta marginale e coinvolgente solo situazioni connesse al pericolo di reiterazione di reati, in una dimensione ipotizzata di non elevata criminalità.
Quanto alla collegialità, a parte il differimento della sua operatività, resta problematico il profilo della incidenza della pronuncia nei casi di contraddittorio anticipato sugli sviluppi processuali, aggravati da una eventuale decisione in sede di riesame, che forse le difese eviteranno (accentuando quanto già oggi succede) di richiedere.
Forti perplessità suscitano le segnalate carenze difensive, decisamente incomprensibili per una riforma che vorrebbe tutelare la libertà personale.