I tabulati: il regime transitorio...in attesa degli effetti generati dallo tsunami della nuova sentenza della Corte di Giustizia
di Giorgio Spangher
Dopo essere rimasto per molti anni “dimenticato” dai diversi operatori della giustizia, il tema dei tabulati del traffico telefonico è diventato oggetto di attenzione e di prese di posizione a seguito della sentenza della Corte di Giustizia H.K. c. Procuratuur (C 746-18) con la quale, fra gli altri aspetti, i giudici europei hanno affermato che la direttiva 2002/58/CE, letta alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, osta a una normativa nazionale che investa il pubblico ministero della competenza ad autorizzare l’accesso ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all’ubicazione al fine di condurre un’istruttoria penale, dovendo il controllo preventivo essere rimesso a un giudice o a una autorità amministrativa indipendente, comunque diversa dall’autorità richiedente.
Com’è noto, nel nostro Paese, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 81 del 1993 che con una sentenza interpretativa di rigetto, aveva affermato che “la particolare disciplina predisposta dagli artt. 266 e 271 c.p.p. sulle intercettazioni di conversazioni o di comunicazione telefoniche si applica soltanto a quelle tecniche che consentono di apprendere, nel momento stesso in cui viene espresso, il contenuto di una conversazione o di una comunicazione, contenuto che, per le modalità con le quali s svolge, sarebbe altrimenti inaccessibile a quanti non siano parti della comunicazione medesima”, le questioni dei dati “esterni” delle comunicazioni sono rimaste ancorate agli orientamenti giurisprudenziali in materia, come cristallizzati nelle pronunce delle Sezioni Unite. Ad una prima presa di posizione (Cass. Sez. un. 13.7.1998, Gallieri) ritenendo non adeguata l’iniziativa della polizia giudiziaria (rispetto al pubblico ministero o al giudice), subentrava la decisione (Cass. sez. un. 23.2.2000, D’Amurri) con la quale si riteneva sufficiente il decreto motivato dell’autorità giudiziaria, non essendo necessaria l’osservanza delle disposizioni relative alle intercettazioni e la sentenza (Cass. sez. un. 21.6.2000, Tammaro) con cui si precisava che “anche se manca la previsione di un immediato controllo giurisdizionale di detto decreto motivato, tuttavia il recupero di tale controllo, che attiene a un mezzo di ricerca della prova, avviene attraverso la rilevabilità, anche di ufficio, dell’eventuale relativa inutilizzabilità, in ogni stato e grado del procedimento, così nelle indagini preliminari nel contesto incidentale relativo all’applicazione di una misura cautelare, come nell’udienza preliminare, ovvero nel dibattimento o nel giudizio di impugnazione”.
Con riferimento alla conservazione dei dati, il quadro normativo va integrato con quanto previsto dal d. lgs. n. 196 del 2003 ed in particolare dall’art. 132, nonché dagli artt. 121, 123 e 126 .
Com’è noto, nella necessità di dare attuazione alla decisione dei giudici del Lussemburgo, essendo stato escluso che la decisione europea potesse trovare immediata applicazione nel nostro sistema processuale, rendendosi necessario un provvedimento legislativo (Cass. 4.10.2021 n. 1054) anche al fine di superare alcune incertezze applicative n sede di merito, ed in presenza di un rinvio pregiudiziale di un giudice italiano, è intervenuto il d.l. n. 132 del 2021 modificando nei presupposti e nelle modalità operative la disciplina dei data retention, introducendo altresì una previsione finalizzata a fissare i termini di utilizzabilità dei dati acquisiti precedentemente in forza della sola determinazione del pubblico ministero.
A tale proposito, il legislatore, con l’art. 1 del cit. d.l. come risultante dalla l. n. 178 del 2021 di conversione, ha previsto una disciplina transitoria con la quale si stabilisce che in deroga al principio del tempus regit actum, i dati esteriori relativi alle comunicazioni telefoniche (con ciò intendendosi, per quanto sopra detto, i numeri di chiamante e chiamato, data, ora, durata, compreso il luogo) – acquisiti prima del 30 settembre 2021, in base a decreto motivato del pubblico ministero (modalità legittima secondo la legge in precedenza vigente) – possono essere utilizzati come elemento di prova a carico dell’imputato solo “unitamente ad altri elementi di prova” e solo per l’accertamento dei reati che rientrano nella categoria già delineata “per il futuro” dal d.l. n. 132 del 2021.
Sui contenuti di questa previsione si è da ultimo pronunciata con alcune decisioni la Corte di Cassazione.
Con la prima pronuncia (Cass. sez. V, 24.02.2022, n. 8968), che riconduce alla disciplina dei dati del traffico, anche quelli relativi all’ubicazione, si precisa che la colpevolezza dell’indagato-imputato, non può fondarsi unicamente sui dati esteriori del traffico telefonico (contatti e collocazione dell’interlocutore).
Invero, escludendo riferimenti alla sanzione dell’inutilizzabilità dei dati acquisiti dal pubblico ministero (prima della modifica normativa) il legislatore consente di porre a fondamento di una condanna il materiale solo se integrato da “altri elementi di prova” che “non predeterminati nella specie e quantità possono essere di qualsiasi tipo e marca, così da ricomprendere non soltanto le prove storiche dirette, ma ogni altro elemento probatorio, anche indiretto ...”.
Questo elemento è alla base anche della decisione Cass. sez. II 31.1.2022, 11991, con la quale i data retention hanno integrato le acquisizioni documentabili dalla p.g., avviate dopo una denuncia anonima (che esclusa la configurazione di notitia criminis, ha costituito lo spunto investigativo per l’avvio dell’attività di ricerca della notizia di reato).
La motivazione, dove si sottolinea come la disciplina transitoria sia ispirata alla logica della non dispersione delle prove, di cui i riscontri sono ritenuti elemento compensativo della carenza di potere del p.m. (alla luce della decisione europea), si segnala per il fatto di adeguare nell’ambito dei data retention anche “l’aggancio delle celle telefoniche da parte del cellulare dell’imputato poste lungo al percorso da lui effettuato.
Si tratta del c.d. pedinamento satellitare che con la presente decisione viene in tal modo ricondotto nel contesto della disciplina di maggiore garanzia, superando orientamenti, a volte, diversi.
La varietà delle situazioni investigative prospetterà numerosi quesiti pratico-operativi che tuttavia dovranno essere ricondotti nella previsione a regime dell’art. 132 cit.
Al riguardo (anche in relazione a quanto conseguire, come si dirà, dalla recentissima sentenza sempre della Corte di Giustizia) già da ora resta aperto il tema del tempo della conservazione dei dati, non potendosi ritenere corretto che il maggior tempo di conservazione per i reati più gravi, consenta (per la non dispersione delle prove) di utilizzarli per quelli meno gravi. Sotto quest’ultimo profilo (anch’esso interessato dalla nuova sentenza della Corte di Giustizia) si potrebbe porre una questione di utilizzabilità.
Resta un interrogativo. Come mai, nel nostro Paese, dalla citata sentenza Tammaro non si sono prospettati quei profili di tutela e di garanzia che i diritti costituzionali avrebbero imposto. Come mai non solo avvocatura, ma anche la magistratura (cioè, i giudici) non si sono posti le questioni alle quali il giudice europeo ci richiama?
Credo che nel nostro Paese, il problema delle garanzie processuali sia fortemente condizionato dalla logica del doppio binario che finisce per attrarre anche la restante disciplina.
Come anticipato, il tema dei dati retention è destinato a ripercussioni significative ed in qualche modo dirompenti alla luce della sentenza della Corte di Giustizia (alla quale si è fatto un cenno) che esclude una conservazione ed un uso indiscriminato dei dati deducibili dai tabulati (v. Resta F., Dalla conservazione generalizzata a quella mirata: la Corte di Giustizia ridelinea i contorni della data retention, in Giust. insieme, 7.4.2022).