Sommario: I. La sentenza della Corte costituzionale 3 giugno 2024 n. 96 in tema di verifiche preliminari nel processo civile. II. Disamina e commento delle questioni affrontate dalla Corte costituzionale: l’art. 171 bis c.p.c. a fronte dell’art. 24 Cost. e del rispetto del principio del contraddittorio. III. Segue: l’art. 171 bis c.p.c. a fronte dell’art. 76 Cost. e dell’art. 1, comma 5 della legge n. 206 del 2021. IV. Segue: l’art. 171 bis c.p.c. a fronte dell’art. 3 Cost. e del principio di parità di trattamento tra questioni rilevabili d’ufficio. V. Osservazioni sullo stato del processo civile del nostro tempo. Giudicare e rassicurare. VI. Orelsan e il poema “Tout va bien”.
I. La sentenza della Corte costituzionale 3 giugno 2024 n. 96 in tema di verifiche preliminari nel processo civile.
1. Quando il Tribunale di Verona, con l’ordinanza del 22 settembre 2023, rimise la questione di legittimità costituzionale dell’art. 171 bis c.p.c. alla Corte costituzionale, io mi prestai subito a preparare un commento per questa rivista[1], e il tono che decisi di usare fu quello del sarcasmo, poiché se da una parte condividevo i rilievi sollevati da quel giudice, dall’altra immaginavo che le questioni sarebbero state invece dichiarate infondate.
Oggi posso dire che la mia previsione fu corretta, visto che la Corte costituzionale, con la pronuncia che qui si annota, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 171 bis c.p.c. con riferimento agli artt. 76, 3 e 24 Cost.[2]
Le questioni sollevate dal Tribunale di Verona erano infatti sostanzialmente tre: eccesso di delega (art. 76 Cost.), principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), principio del contraddittorio (art. 24 Cost.)[3].
Tutt’e tre sono state dichiarate senza fondamento.
1.1. Per quanto riguardi l’eccesso di delega, dopo lunghe pagine nelle quali si illustra la disciplina esistente, nonché le sottolineature della Relazione illustrativa al decreto legislativo n. 149 del 2022 (attuativo della legge delega n. 206 del 2021), nonché le prospettazioni del giudice remittente, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione; e ciò non tanto perché non mancasse effettivamente, nella legge delega, ogni riferimento a possibili decreti decisori delle verifiche preliminari anteriori alla prima udienza, quanto perché deve riconoscersi una “discrezionalità del legislatore delegato, il quale è chiamato a sviluppare, e non solo ad eseguire, le previsioni della legge delega, potendo così ben svolgere un’attività di riempimento normativo, che è pur sempre esercizio delegato di una funzione legislativa” (così espressamente Corte Cost. 3 giugno 2024 n. 96).
Sulla base di questo principio, che la Corte costituzionale ha ricondotto ai propri precedenti n. 79 del 2019, n. 198 del 2018 e n. 104 del 2017, ella ha proseguito sul punto asserendo che: “se effettivamente l’art. 1, comma 5 della legge n. 206 del 2021 non fa specifico riferimento all’emanazione, da parte del giudice, prima dell’udienza di comparizione e trattazione, di alcun provvedimento, non di meno la disposizione censurata si colloca coerentemente nell’ambito degli altri criteri di delega enucleati per la fase introduttiva e di trattazione del giudizio”; ed inoltre: “la disposizione censurata è, al contempo, volta a realizzare il generale canone della concentrazione processuale sancito dalla lettera a) del medesimo art. 1, comma 5, della legge delega, perché orientata a ridurre le ipotesi di regressione del giudizio dopo il deposito delle memorie integrative”.
1.2. Quanto ai profili di cui all’art. 3 Cost., ovvero quanto al diverso trattamento posto in essere dall’art. 171 bis c.p.c., tra questioni processuali rilevabili d’ufficio che possono essere decise con decreto dal giudice prima dell’udienza ex art. 183 c.p.c. e questioni che invece non possono decidersi se non dopo le memorie ex art. 171 ter c.p.c., la Corte costituzionale ha ritenuto che tale differenziazione non si ponga in contrasto con l’art. 3 Cost.
Ed infatti: “Tale diversa regola processuale appare invero giustificata per le differenti conseguenze che l’assunzione dei provvedimenti volti alla corretta instaurazione del contraddittorio ovvero alla sanatoria dei vizi degli atti introduttivi e il rilievo d’ufficio di altre questione ad opera dell’autorità giudiziaria, hanno sui tempi di svolgimento del giudizio, sui quali sono suscettibili di incidere, dilatandoli, solo i primi, comportando, di regola, un differimento dell’udienza di trattazione”.
Dunque, la disparità di trattamento è data dalla legge poiché alcuni provvedimenti sono funzionali alla necessità di non perder tempo, mentre altri non hanno queste caratteristiche.
Ed ancora, per la Corte costituzionale: “Vi è, poi, che i provvedimenti emessi a seguito delle c.d. verifiche preliminari si correlano a questioni spesso “liquide”, ossia con un basso tasso di controvertibilità, soprattutto per quanto attiene alla regolarità delle notifiche e alla rappresentanza in giudizio, mentre le altre questioni rilevabili d’ufficio non solo non sono tipizzate, ma evocano profili di maggiore controvertibilità tra le parti: Il che impedisce di ritenere integrata un’ingiustificata disparità di trattamento”.
1.3. Infine, per quanto concerni il rispetto del principio del contraddittorio, la Corte costituzionale, di nuovo, non ha ravvisato violazioni dell’art. 24 Cost. da parte del nuovo art. 171 bis c.p.c.
La Corte costituzionale non ha negato che il problema possa legittimamente porsi, visto che il giudice, con l’art. 171 bisc.p.c.: “decide tali questioni con decreto, anticipatamente rispetto all’udienza di prima comparizione e, soprattutto, le decide senza che le parti siano chiamate ad interloquire su di esse o abbiano la possibilità di farlo”.
Ma, sottolinea la Corte costituzionale: “le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali” e va quindi al riguardo suggerita una “interpretazione adeguatrice”.
Quale?
Semplicemente: “per un verso il giudice, in occasione delle verifiche preliminari di cui all’art. 171 bis c.p.c. può apprezzare egli stesso la necessità, in concreto, che le parti interloquiscano in ordine all’oggetto del decreto che è chiamato ad adottare prima dell’udienza di comparizione. A questo scopo ha la possibilità di fissare, prima dell’emanazione del decreto previsto dalla disposizione censurata, un’udienza ad hoc, nell’ambito di quelli che sono i propri generali poteri di organizzazione e direzione del processo”.
Parimenti una esigenza del genere può essere avvertita anche dalle parti, e quindi: “ciascuna parte può sollecitare il giudice affinché, esercitando il suo potere direttivo, fissi un’udienza ad hoc e determini i punti sui quali essa deve svolgersi……nell’uno e nell’altro caso la fissazione di un’udienza ad hoc soddisfa la necessità della piena realizzazione del contraddittorio tra le parti”.
Ogni soluzione, comunque, deve spettare al giudice, il quale ha il potere, caso per caso, di determinare il da farsi: “Rimane però che, pur nel contesto di un’interpretazione adeguatrice della disposizione censurata, l’art. 175 c.p.c. non può essere piegato fino a far ritenere un vero e proprio obbligo processuale del giudice, essendo il suo potere direttivo essenzialmente discrezionale. Non può escludersi che il giudice, seppur sollecitato a farlo, ritenga di non frapporre un’udienza anticipata nell’ordinario iter processuale al solo fine di realizzare il contraddittorio tra le parti su singole questioni di rito”; ed in queste ipotesi: “le parti, nelle memorie integrative ex art. 171 ter c.p.c. possono prendere posizione in ordine ai provvedimenti adottati dal giudice, in ipotesi chiedendone la modifica o la revoca, e il giudice debba pronunciarsi”.
1.4. “In sintesi” – conclude la Corte costituzionale – “anche se le verifiche preliminari ex art. 171 bis c.p.c. hanno ad oggetto questioni di rito normalmente liquide, per altro verso non è sacrificato il contraddittorio delle parti nella misura in cui, quando emerga l’esigenza che questo debba dispiegarsi, il giudice possa adottare, nei modi sopra indicati, provvedimenti che salvaguardino il diritto di difesa. Così interpretata la disposizione censurata risulta non essere in contrasto con l’evocato parametro (art. 24 Cost.)”.
II. Disamina e commento delle questioni affrontate dalla Corte costituzionale: l’art. 171 bis c.p.c. a fronte dell’art. 24 Cost. e del rispetto del principio del contraddittorio
2. Ora, per procedere al commento di questa decisione, ritengo necessario continuare a tenere separate le tre questioni sopra esposte, seppur invertendone l’ordine di trattazione, e così inizierei dalla più importante, ovvero dall’ultima, quella relativa all’art. 24 Cost. e al rispetto del principio del contraddittorio.
2.1. E nell’affrontare tale tematica, ritengo parimenti necessario fare un passo indietro, e muovere dalle differenze che nel nostro sistema processuale vi sono tra i provvedimenti che hanno la forma del decreto e quelli che hanno la forma dell’ordinanza.
Perché questa divagazione?
Perché la riforma Cartabia ha trasferito le verifiche preliminari che prima si trovavano nel vecchio art 183 c.p.c. nel nuovo art. 171 bis c.p.c., e in questo modo ha consentito che una serie di questioni attinenti a diritti processuali controversi, o potenzialmente controversi, che fino a ieri si pronunciavano con ordinanza, oggi si possano e si debbano pronunciare con decreto.
Esattamente, nel vecchio sistema dell’art. 183 c.p.c. la decisione delle questioni preliminari aveva la forma dell’ordinanza proprio perché data dal giudice in udienza, o immediatamente dopo essa, e quindi nel contraddittorio delle parti; inoltre, la forma dell’ordinanza assicurava la motivazione, e ciò nel rispetto dell’art. 134 c.p.c.
La riforma ha trasferito invece l’analisi e la decisione di queste questioni sub art. 171 bis c.p.c., aggiungendone, peraltro, un’ulteriore, visto che in tale nuova norma si trova oggi anche l’art. 107 c.p.c., prima non richiamato nell’art. 183 c.p.c.
Il problema è che questo trasferimento delle questioni dal vecchio art. 183 c.p.c. al nuovo art. 171 bis c.p.c. ha comportato la modifica della forma del provvedimento con il quale risolverle, poiché oggi, quelle medesime questioni, coerentemente alla circostanza che vengono pronunciate avanti la prima udienza e in assenza delle parti e dei loro difensori, vengono decise con decreto, e non più con ordinanza, e ciò emerge in modo chiaro dallo stesso tenore dell’art. 171 bis c.p.c., che all’ultimo comma dispone: “il decreto è comunicato alle parti costituite a cura della cancelleria”.
2.2. Ora, però, questo trapasso non sembra essere privo di conseguenze sul piano della costituzionalità dell’art. 171 bisc.p.c., e per convincersi di ciò è forse utile tornare alle differenze, che, anche dal punto di vista della nostra tradizione processuale, corrono tra i decreti e le ordinanze.
a) I decreti che si pronuncino in seno al processo ordinario di cognizione, stando all’art. 135 c.p.c., si caratterizzano rispetto alle ordinanze sotto un duplice profilo: aa) sono provvedimenti privi di motivazione, “salvo che la motivazione sia prescritta espressamente dalla legge”; ab) e sono provvedimenti pronunciati dal giudice senza il previo contraddittorio tra le parti; e l’assenza del contraddittorio, a sua volta, è giustificata: - dal fatto che il giudice, con il decreto, decide questioni che non hanno, a monte, normalmente, contrasto tra le parti; - e soprattutto dal fatto che il giudice, con il decreto, provvede su questioni che non attengono a veri e propri diritti processuali dei litiganti quanto piuttosto ad aspetti meramente organizzativi dell’attività processuale.
I decreti da ricordare, prima della riforma Cartabia, sono infatti quelli relativi alla designazione del giudice (art. 168 bis c.p.c.), allo spostamento dell’udienza per consentire al convenuto la chiamata in causa di un terzo (art. 269 c.p.c.), o comunque, più in genere, alla fissazione delle udienze (artt. 168 bis, 5° comma, 297, 303 c.p.c., artt. 80, 82 disp. att. c.p.c.), e poi quelli aventi ad oggetto la riunione dei procedimenti pendenti dinanzi al medesimo giudice (artt. 273 e 274 c.p.c.), o la correzione dei provvedimenti richiesti concordemente dalle parti (art. 288 c.p.c.), ecc……[4]
Si tratta, come può notarsi, o di questioni che non vedono le parti su posizioni contrapposte, oppure di questioni meramente organizzative, che non attengono a veri e propri diritti processuali.
Sulla base di ciò, e solo sulla base di ciò, detti provvedimenti possono essere pronunciati dal giudice senza contraddittorio e senza motivazione[5].
b) Per contro, le ordinanza sono provvedimenti motivati, ed infatti lo stesso art. 134 c.p.c. ricorda che: “L’ordinanza è succintamente motivata”; ed inoltre le ordinanze sono provvedimenti che seguono il contraddittorio tra le parti, tanto che si danno o in udienza: “Se è pronunciata in udienza è inserita nel processo verbale”, oppure a seguito di udienza, e in questi casi l’ordinanza: “è scritta in calce al processo verbale, oppure in foglio separato, munito della data e della sottoscrizione del giudice” (così l’art. 134 c.p.c.).
Proprio per queste diverse garanzie, le ordinanze possono avere ad oggetto la definizione di diritti processuali controversi tra le parti, e gli esempi da dare, sempre prima della riforma Cartabia, sono quelli dell’art. 39 c.p.c. con il quale il giudice dichiara la litispendenza o la continenza delle cause, dell’art. 102, 2° comma, con il quale il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio nei confronti di un litisconsorte necessario pretermesso, dell’art. 107 c.p.c., circa l’ordine del giudice di far svolgere il processo in confronto di un terzo al quale ritiene comune la causa, o ancora dell’art. 183, 7° comma c.p.c., ordinanza con la quale il giudice, ritenuti ammissibili e rilevanti, ammette i mezzi di prova richiesti dalle parti.
Si tratta, in questi casi, non tanto di aspetti meramente organizzativi del processo, quanto di propri diritti processuali, che il giudice decide con ordinanza, anziché con decreto, proprio per il rispetto che in questi casi si deve al principio del contraddittorio (art. 24 Cost.) e a quello della motivazione (art. 111 Cost.).
2.3. Dicevo, in questo contesto si inserisce altresì la nostra tradizione.
Già l’art. 50 del codice di procedura civile del 1865 asseriva che: “I provvedimenti dell’autorità giudiziaria fatti sopra ricorso di una parte senza citazione dell’altra, hanno nome di decreti”, col che rimarcando l’assenza del contraddittorio nella pronuncia dei decreti.
Giuseppe Chiovenda asseriva che il decreto avesse infatti una funzione quasi amministrativa piuttosto che giurisdizionale e che “non è che la conseguenza di questa natura il carattere proprio del decreto di essere emanato senza contraddittorio”[6].
Virgilio Andrioli scriveva che nel decreto “l’assenza di motivazione non dovrebbe arrecare alcun inconveniente, dal momento che esso non ha finalità decisoria perché è emanato sul presupposto che non vi sia controversia”[7]. E ancora per Salvatore Satta il decreto “non presuppone il contraddittorio tra le parti. Analizzando i vari casi che offre il diritto positivo, sembra possa dirsi che esso corrisponde più che ad una attività processuale vera e propria, ad una attività preparatoria del processo e di determinati atti del processo, ovvero ad una attività amministrativa o negoziale coordinata al processo”[8]
In questa tradizione anche Carmine Punzi, per il quale: “Il decreto… assolve a varie funzioni, spesso di carattere amministrativo e collaterali al processo vero e proprio” – e per questo: “il decreto è un provvedimento che non presuppone necessariamente il contraddittorio”[9]. Infine per Girolamo Monteleone il decreto: “trova ingresso anche nell’ordinario processo di cognizione, generalmente al fine di preparare, e consentire, la trattazione della causa nel contraddittorio tra le parti”[10]
2.4. Dunque, se tant’è, a me sarebbe sembrano necessario affrontare questo aspetto, che invece non è stato proprio preso in considerazione, nemmeno un cenno[11].
Mi sarebbe sembrato naturale chiedersi se poteva essere costituzionalmente legittimo sconfessare la nostra tradizione circa la differenza tra i provvedimenti che si adottano con ordinanza rispetto a quelli che viceversa si adottano con decreto,
E la domanda che necessitava di una risposta era esattamente quella se è costituzionalmente legittimo decidere con decreto diritti processuali delle parti affidate fino ieri all’ordinanza.
Questo, a mio sommesso parere, doveva essere il primo giudizio di costituzionalità dell’art. 171 bis c.p.c. in relazione all’art. 24 Cost.
Ma ciò non è stato.
Una riflessione su ciò, avrebbe tendenzialmente portato a ritenere incostituzionale la novità dell’art. 171 bis c.p.c., in quanto rivoluzionaria del principio fondamentale secondo il quale la decisione dei diritti processuali non può darsi d’ufficio dal giudice, senza contraddittorio e senza motivazione.
E doveva incutere preoccupazione l’idea di arrivare, con tale norma, ad una potenziale soppressione delle differenze tra ordinanze e decreti, tanto in ordine al loro contenuto quanto alla loro funzione; non a caso le prime regolate dall’art. 134 c.p.c., e gli altri, per ragioni opposte, regolati diversamente dall’art. 135 c.p.c.
Se si arriva viceversa a fare di tutta l’erba un fascio e a negare le differenze, allora in futuro potremmo immaginare due soli provvedimenti del processo civile, da una parte le sentenze e dall’altra i decreti + le ordinanze, fuse in un unico provvedimento.
Sarebbe questa, però, una modifica di sistema, non qualcosa che si possa fare in questo modo, quasi inavvertitamente, modificando una sola disposizione di legge.
Anche solo per questo, un operare del genere doveva trovare chiusura da parte della Corte costituzionale.
2.5. La Corte costituzionale ha invece giudicato legittima la novità, e ciò è stato motivato, direi, sotto un duplice profilo:
a) sotto un primo la Corte costituzionale ha asserito che la circostanza che le verifiche preliminari siano adottate con decreto non è grave, poiché le parti possono chiedere, fin dalle memorie ex art. 171 ter c.p.c., la revoca e la modifica di quel decreto, e il giudice, a questo punto, nel contraddittorio delle parti, deve provvedere a confermare, modificare o revocare la misura assunta ai sensi dell’art. 171 bis c.p.c.
Si legge infatti nella sentenza: “le parti, nelle memorie integrative ex art. 171 ter c.p.c. possono prendere posizione in ordine ai provvedimenti adottati dal giudice, in ipotesi chiedendone la modifica o la revoca, e il giudice debba pronunciarsi”[12].
b) Ed ancora, per la Corte costituzionale, il rispetto del contraddittorio si realizza in ogni caso quando il giudice lo ritenga necessario, poiché questi può sempre, d’ufficio o su istanza di parte, anche in base al disposto dell’art. 175 c.p.c., disporre una udienza ad hoc affinché le parti esercitino la difesa avanti le decisioni di cui all’art. 171 bis c.p.c.
Si legge ancora nella sentenza: “il giudice, in occasione delle verifiche preliminari di cui all’art. 171 bis c.p.c., può apprezzare egli stesso la necessità, in concreto, che le parti interloquiscano in ordine all’oggetto del decreto che è chiamato ad adottare prima dell’udienza di comparizione. A questo scopo ha la possibilità di fissare, prima dell’emanazione del decreto previsto dalla disposizione censurata, un’udienza ad hoc, nell’ambito di quelli che sono i propri generali poteri di organizzazione e direzione del processo”.
Provvedo quindi a trattare separatamente le due questioni.
2.6. La prima argomentazione data dalla Corte costituzionale presuppone un dato che in verità non c’è, e che è quello che un decreto possa essere revocato o modificato.
La questione, infatti, non viene nemmeno dibattuta, e subito si asserisce che non sia grave che le verifiche preliminari si diano con decreto perché le parti, immediatamente, ne possono chiedere, nel contraddittorio fra loro, la revoca o la modifica.
Al riguardo, è necessario sottolineare che i decreti dei quali qui ci stiamo occupando sono solo quelli che si pronunciano nel corso del processo ordinario di cognizione, quali, appunto, i decreti che oggi si trovano nell’art. 171 bis c.p.c.
Con essi non hanno niente a che vedere i vari decreti che il codice di procedura civile invece inserisce nei processi speciali: tra questi il decreto cautelare (art. 669 sexies c.p.c.), il decreto nei procedimenti in camera di consiglio (art. 737 c.p.c.) e i decreti di condanna pronunciati con cognizione sommaria, quale i decreti ingiuntivi (art. 633 c.p.c.).
I decreti dei processi speciali possono sì essere revocati o modificati, e ognuno, normalmente, ha un suo regime di impugnazione, revoca o modifica.
Ma tutto questo non riguarda i decreti del processo ordinario di cognizione per l’organizzazione delle attività processuali quali quelli ex art. 171 bis c.p.c.
Per questi ultimi decreti, al contrario, un regime di revoca e modifica non esiste, ed anzi questa è, da sempre, una delle differenze che contrappongono le ordinanze dai decreti; ovvero, mentre le ordinanze pronunciate nel corso del processo ordinario di cognizione sono sempre revocabili e modificabili dal giudice ai sensi dell’art. 177 c.p.c., eguale disposizione con riferimento ai decreti non v’è, e non esiste infatti alcuna norma del secondo libro del codice di procedura civile che legittimi il giudice a modificare un decreto dopo che lo abbia pronunciato.
Di nuovo, tra la dottrina classica scriveva Giuseppe Nappi: “Il decreto in genere non è impugnabile, ma la legge espressamente dispone quando sia ammesso il reclamo”[13]; egualmente Salvatore Satta: “In linea di massima, non si applicano al decreto i principi di revocabilità e modificabilità propri delle ordinanze”[14]; e di nuovo così Carmine Punzi, per il quale il decreto: “non può essere revocato né modificato, se non con l’osservanza del procedimento appositamente predisposto dalla legge”[15]
Ora, che nella prassi del processo ordinario di cognizione si diano casi di revoca o modifica di decreti è possibile, visto il poco rispetto che ormai si ha della legge processuale, e visti i sempre maggiori poteri discrezionali che si riconoscono al giudice, ma che si possa asserire l’esistenza di un vero e proprio diritto processuale delle parti ad ottenere la revoca o modifica di un decreto, direi di no, proprio perché, per i decreti, lo ripetiamo, non esiste una disposizione analoga a quella che è stata data con l’art. 177 c.p.c. per le ordinanze.
Dunque, pronunciato un decreto ex art 171 bis c.p.c. non v’è una norma processuale che legittimi le parti a chiederne la revoca e/o la modifica e al giudice di concederla; questo è un percorso possibile per le ordinanze, ma non per i decreti; dal che l’ulteriore gravità della riforma nell’aver trasferito i provvedimenti che si davano con ordinanza con il vecchio art. 183 c.p.c. nei nuovi provvedimenti che si danno con decreto ai sensi dell’art. 171 bis c.p.c.
Avverso una istanza di revoca o modifica di un decreto, un giudice potrebbe semplicemente schernirsi dietro l’assenza di una disposizione analoga a quella dell’art. 177 c.p.c. che legittimi un simile potere, e così semplicemente dichiarare inammissibile la richiesta.
Non può sostenersi, pertanto, che la decisione con decreto delle verifiche preliminari non sia grave perché le parti in ipotesi ne chiedendo la modifica o la revoca e il giudice provvede, perché, in verità, le cose non stanno in quei termini, e i dubbi di costituzionalità in ordine all’assenza del contraddittorio dei decreti che si pronunciano ex art. 171 bis c.p.c., doveva rafforzarsi, e non venir meno, in ordine a questi aspetti.
2.7. La seconda questione adottata dalla Corte costituzionale, per la quale l’art. 171 bis c.p.c. non viola il principio del contraddittorio poiché il giudice può, anche prima dell’udienza ex art. 183 c.p.c., disporre comunque “un’udienza ad hoc”, va a mio parere integrata con almeno tre diverse osservazioni.
a) Una prima è che il diritto al contraddittorio deve essere assicurato dalla legge, non dal giudice.
Se il contraddittorio è assicurato solo dal potere discrezionale del giudice, che in taluni casi lo può concedere ed in altri no, lì il diritto al contraddittorio non esiste più, poiché nessuna garanzia dell’esercizio di esso è quindi in questo modo assicurato.
Nessuno mette in discussione che il giudice, nel processo civile, eserciti dei poteri discrezionali, ma questi poteri discrezionali non possono avere ad oggetto un diritto fondamentale garantito dalla costituzione quale è quello del contraddittorio.
Il diritto al contraddittorio deve essere assicurato dalla legge, e se la legge non garantisce il contraddittorio, allora va da sé che la legge è incostituzionale.
Direi, peraltro, che ciò si ricava dalle stesse disposizioni costituzionali.
L’art. 24 Cost. dice che “la difesa è diritto inviolabile”, e un diritto inviolabile non può essere rimesso alla discrezionalità del giudice; inoltre l’art. 111 Cost., come è noto, asserisce che il giusto processo è “regolato dalla legge”; il che, di nuovo, conferma che il diritto al contraddittorio, quale condizione prima di un giusto processo, deve essere assicurato dalla legge, e non rimesso alla discrezionalità del giudice, caso per caso, come se esistessero casi nei quali l’esercizio di esso non sia né necessario né opportuno.
b) In secondo luogo il processo civile deve normalmente rispondere ad un principio di legalità, ovvero deve svolgersi secondo regole predeterminate dalla legge; e queste regole hanno una funzione pubblica, che è quella di far sì che le parti, una volta che entrino in un Tribunale, conoscano a priori le modalità di svolgimento del rito che utilizza il giudice per decidere le sorti dei loro diritti soggettivi.
Ora, di nuovo, nessuno ha mai messo in discussione che nel corso del processo il giudice, possa, ai sensi dell’art. 175 c.p.c. esercitare “tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento”, ma tra questi poteri non è mai rientrato quelli di inventarsi norme che non esistono o capovolgere le assi portanti del procedimento, quali quelle, oggi, della struttura della prima udienza ex art. 183 c.p.c., che la stessa norma rubrica come “prima comparizione delle parti e trattazione della causa”, nonché quella di predisporre delle attività procedimentali non previste dalla legge e che si antepongano alla prima udienza, modificando l’iter fissato dai nuovi artt. 171 bis e ter c.p.c.
Che oggi ciò sia necessario per le scelte discutibili fatte dalla riforma Cartabia non v’è dubbio; ma che la soluzione invece di essere quella di dichiarare incostituzionale la norma sia quella di dar vita ad un correttivo non corrispondente al testo, e non previsto dalla legge, e rimesso alla discrezionalità del giudice, appare scelta discutibile, per non usare espressioni più forti, poiché in questo modo si attribuiscono al giudice poteri che questi non può avere, e perché in questo modo salta il principio di legalità del processo, che è quello che giustifica l’esistenza di un codice di procedura civile in un sistema, quale il nostro, che ancora deve essere considerato di civil law.
E, direi, che in questo senso è anche la giurisprudenza che ha preso posizione sull’art. 175 c.p.c., visto che per essa il giudice può “evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo a una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo”[16], ma non certo spingersi fino a rendersi autore delle regole, poiché ciò contrasterebbe con i fondamenti del nostro diritto.
c) La soluzione prescelta dalla Corte costituzionale, infine, a me sembra discutibile anche sotto il profilo delle fonti del diritto, che, sempre nel nostro sistema di civil law, non sono riconducibili al giudice.
Bisognerebbe porsi il problema, allora, dei limiti delle sentenze additive della Corte costituzionale: poiché è evidente che una cosa è asserire che una disposizione è costituzionale se interpretata in un certo modo, altra cosa è inventarsi un rito non previsto dalla legge per salvare dall’incostituzionalità una legge.
Qui la Corte costituzionale è arrivata ad asserire:
ca) che il giudice può disporre un’udienza ad hoc che si antepone alla prima udienza di cui all’art. 183 c.p.c.: “Ha la possibilità di fissare, prima dell’emanazione del decreto, una udienza ad hoc”;
cb) che il giudice può consentire che le parti interloquiscano in ordine all’oggetto del decreto che è chiamato ad adottare prima dell’udienza di comparizione;
cc) poi ancora si precisa che le parti possono chiedere l’udienza ad hoc, ovvero una udienza prima di quella dell’art. 183 c.p.c., anche nelle ipotesi nelle quali il giudice abbia assunto la decisione con il decreto ex art. 171 bis c.p.c. e se il giudice disattende questa richiesta all’udienza ex art. 183 c.p.c. “non può quest’ultimo, una volta rimasto inadempiuto l’ordine in questione, assumere provvedimenti sanzionatori in chiave processuale ma adotta quelli necessari per l’ulteriore corso del giudizio”;
cd) e poi ancora “ove la parte non abbia sollecitato il giudice a realizzare il contraddittorio anche prima dell’udienza di comparizione... non vi sarebbe un vulnus al diritto di difesa… rimarrebbero, nel caso di conferma, con ordinanza, del decreto ex art. 171 bis c.p.c., le ordinarie conseguenze della mancata ottemperanza all’onere processuale”.
Si tratta, in buona sostanza, della riscrittura degli atti introduttivi del processo, che riterrei non consentito al giudice delle leggi[17].
III. L’art. 171 bis c.p.c. a fronte dell’art. 76 Cost. e dell’art. 1, comma 5 della legge n. 206 del 2021.
3. Possiamo passare all’analisi dell’eccesso di delega.
Sul punto, la Corte costituzionale ha asserito che deve attribuirsi una certa “discrezionalità del legislatore delegato, il quale è chiamato a sviluppare, e non solo ad eseguire, le previsioni della legge delega, potendo così ben svolgere un’attività di riempimento normativo, che è pur sempre esercizio delegato di una funzione legislativa” (così ancora la Corte Cost. 3 giugno 2024 n. 96).
E ha aggiunto la Corte costituzionale: “se effettivamente l’art. 1, comma 5 della legge n. 206 del 2021 non fa specifico riferimento all’emanazione, da parte del giudice, prima dell’udienza di comparizione e trattazione, di alcun provvedimento, non di meno la disposizione censurata si colloca coerentemente nell’ambito degli altri criteri di delega enucleati per la fase introduttiva e di trattazione del giudizio”; poiché, appunto, “volta a realizzare il generale canone della concentrazione processuale sancito dalla lettera a) del medesimo l’art. 1, comma 5 della legge n. 206 del 2021”.
3.1. Ora, par evidente, che se il legislatore delegato è tenuto non solo ad eseguire, bensì anche a svolgere un’attività di riempimento normativo, e se per riempimento normativo si intende che il legislatore delegato può inserire nel decreto legislativo qualunque cosa si collochi nel generale canone della concentrazione processuale, allora, potremmo dire, in verità, che il concetto stesso di eccesso di delega entra inevitabilmente in crisi.
Ed anzi, a questo punto, potremmo aggiungere che, dipendendo l’eccesso di delega da valutazioni del tutto discrezionali quali quelle della ratio delle norme, e/o del raggiungimento degli obiettivi delle norme, ecc….. non solo il legislatore delegato può fare così un po’ quello che vuole a fronte della legge delega, ma anche il giudice costituzionale è libero di decidere quello che ritiene più opportuno, se le verifiche si collocano su un terreno totalmente elastico e del tutto relativo quale quello che si ricava da simili posizioni (seppur già sostenute in altri precedenti della Corte costituzionale, ancora si ricordano i precedenti n. 79 del 2019, n. 198 del 2018 e n. 104 del 2017).
Ed infatti, se nel raffronto tra l’art. 1, comma 5 della legge n. 206 del 2021 e l’art. 171 bis c.p.c. non si scorgono eccessi di delega nonostante la prima disposizione non contempli alcuna verifica preliminare da decidere con decreto in assenza di contraddittorio e prima di ogni udienza tra le parti, e l’eccesso di delega non vi sarebbe perché il decreto legislativo è rimasto comunque coerente con l’esigenza della concentrazione e della ragionevole durata del processo, beh, allora, è provato che tutto, e il contrario di tutto, può ben costituire o non costituire eccesso di delega.
3.2. Direi, alla luce di ciò, che oggi, forse, sarebbe più coerente affermare che, in una realtà nella quale ormai la contrapposizione tra funzione legislativa ed esecutiva si è persa, e il Governo si è sostanzialmente appropriato anche della funzione legislativa svuotando le funzioni del Parlamento, è un lusso continuare a discutere di eccesso di delega, e che conseguentemente il rispetto dell’art. 76 cost. deve porsi nel nostro tempo solo in termini assai sfumati.
E se questa conclusione vale in generale nell’ambito del diritto costituzionale, ancor più vale per la recente riforma del processo civile, visto che la legge delega n. 206 del 2021, preparata in ogni sua parte dallo stesso Governo, veniva approvata dal Parlamento senza discussione, a fronte della fiducia posta su essa; e proprio al fine di evitare ogni discussione parlamentare, il disegno di legge delega veniva riscritto, seppur con analogo contenuto, in un solo articolo a fronte di 16 articoli che conteneva il progetto n. 1662; un nuovo, unico articolo lungo ben 39 pagine.
In meccanismi di questo genere, il tema dell’eccesso di delega possiamo davvero ritenerlo (per i nostalgici come me, purtroppo) uno strumento del passato.
3.3. In ogni caso, in tutta onestà intellettuale, nessuno poteva davvero pensare che la Corte costituzionale dichiarasse incostituzionale l’art. 171 bis c.p.c. per eccesso di delega, e probabilmente bene ha fatto la Corte a non cedere a questa idea.
La riforma di cui al d. lgs. 10 ottobre 2022 n. 149 è piena di eccessi di delega, e se si dovesse andare a verificare, norma per norma, se vi sono stati degli eccessi nel passaggio dalla legge delega al decreto legislativo, allora tutta la riforma rischierebbe di cadere.
Io stesso, nel mio commento al Tribunale di Verona 23 settembre 2023 ne ricordavo ludicamente almeno quattro di questi eccessi, tutti aventi ad oggetto momenti centrali del nuovo processo civile: tra questi la disciplina della sinteticità e chiarezza degli atti processuali, oggi regolati dal decreto ministeriale 7 agosto 2023 n. 110 in attuazione dell’art. 46 delle disp. att. c.p.c., la disciplina delle udienze cartolari e a distanza, regolate dagli artt. 127 bis e ter c.p.c., la disciplina della nuova procedura in appello di cui agli artt. 348 bis, 349 bis, 350, 3° comma, 350 bis c.p.c., e infine la disciplina del procedimento in cassazione ex nuovo art. 380 bis c.p.c.
Però, che facciamo?
Abroghiamo una riforma voluta dal PNRR?
Io, tra il serio e il faceto (direi più faceto che serio), proponevo di porre allora, accanto all’istituto dell’eccesso di delega, quello del ripensamento: una cosa è l’eccesso di delega, come tale incostituzionale; altra cosa il ripensamento, irrilevante invece.
Il Governo, quando ha scritto la legge delega, pensava di poter fare una cosa, poi ne ha fatta un’altra; evidentemente ha cambiato idea, che male c’è?
A tutti deve essere riconosciuto il diritto che i romani etichettavano con l’espressione re melius perpensa.
IV. L’art. 171 bis c.p.c. a fronte dell’art. 3 Cost. e del principio di parità di trattamento tra questioni rilevabili d’ufficio.
4. Resta, infine, in tema dell’eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., in quanto l’art. 171 bis c.p.c. dispone che il giudice possa decidere alcune questioni preliminari, ovvero quelle indicate nella norma, con decreto avanti il contraddittorio tra le parti, mentre tutte le altre verifiche preliminari, ovvero quelle non menzionate dalla norma, devono essere trattate dopo il contraddittorio e successivamente all’udienza ex art. 183 c.p.c.
La Corte costituzionale ha dichiarato anche questa questione infondata, perché il differente trattamento trova un sua ragion d’essere, che è quella che alcuni provvedimenti attengono a questioni più liquide, e sono così più funzionali alla necessità di non perder tempo, mentre altri non hanno queste caratteristiche.
Ed infatti, per la Corte costituzionale: “Tale diversa regola processuale appare invero giustificata per le differenti conseguenze che l’assunzione dei provvedimenti hanno sui tempi di svolgimento del giudizio”, e poi perché alcune “verifiche preliminari si correlano a questioni spesso “liquide”, ossia con un basso tasso di controvertibilità, soprattutto per quanto attiene alla regolarità delle notifiche e alla rappresentanza in giudizio, mentre le altre questioni rilevabili d’ufficio non solo non sono tipizzate, ma evocano profili di maggiore controvertibilità tra le parti”.
Ora, anche qui, che talune questioni preliminari si pongano diversamente rispetto ad altre a fronte del principio di ragionevole durata del processo appare affermazione non dimostrata, né la sentenza contiene alcun esempio per giustificare in concreto una simile differenziazione, e né ancora la legge delega poneva distinzioni tra questioni e questioni.
L’incompetenza del giudice, o il difetto di giurisdizione si pongano diversamente rispetto alla nullità della notificazione in punto di ragionevole durata del processo?
E ancora, come può sostenersi che alcune questioni, per materia, siano più liquide di altre, e non invece la liquidità di una questione dipenda semplicemente dalla complessità o meno del caso in concreto, senza che sia possibile darsi a priori la condizione di liquidità a seconda della materia?
Così, è sempre liquida una questione che cada in tema di litisconsorzio necessario, oppure di nullità della citazione, o ancora di intervento di un terzo al processo per ordine del giudice?
E parimenti non è mai liquida una questione preliminare non richiamata nell’art. 171 bis c.p.c. quale ad esempio quella relativa all’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c.?
Io credo che a queste domande non si possa con tranquillità rispondere in un senso o nell’altro, cosicché anche il tema del rispetto dell’art. 3 Cost. da parte del nuovo art. 171 bis c.p.c. doveva apparire, a mio sommesso parere, affatto chiara.
V. Osservazioni sullo stato del processo civile del nostro tempo. Giudicare e rassicurare
5. Ora, dovendo dare uno sguardo conclusivo d’insieme alla sentenza in commento, potremmo aggiungere che la Corte costituzionale non ha negato l’esistenza delle incostituzionalità sollevate dal Tribunale di Verona, solo che, per ognuna di esse, invece di scegliere la dichiarazione di incostituzionalità, ha preferito trovare una rassicurazione: a) il decreto di cui all’art. 171 bis c.p.c. è pronunciato sulle verifiche preliminari senza interlocuzione con le parti, è vero, ma la norma non è incostituzionale, perché il giudice può sempre disporre il contraddittorio anticipato nei casi più dubbi o complessi, e in ogni caso le parti possono sempre successivamente chiedere la revoca o la modifica di quella decisione; b) l’art. 1, comma 5 della legge n. 206 del 2021 non prevedeva assolutamente un decreto che il giudice potesse pronunciare sulle verifiche preliminari avanti la prima udienza, è vero, ma l’art. 171 bis c.p.c. non si espone ad eccesso di delega, poiché il legislatore delegato può svolgere un’attività di riempimento normativo e comunque la norma ha come fine quello di contenere la durata del processi in una ottica di concentrazione; c) infine l’art. 171 bis c.p.c. differenzia sì le questioni attinenti alle verifiche preliminari, prevendendo che solo alcune possano essere decise immediatamente con decreto ed altre no, è vero, ma la norma non difetta sotto il profilo del principio di eguaglianza, in quanto la differenziazione ha una sua giustificazione, dovuta al fatto che le questioni scelte dall’art. 171 bis c.p.c. sono quelle più liquide e maggiormente idonee ad assolvere il compito di concentrazione delle attività processuali voluto dalla riforma Cartabia.
Quando ero adolescente, negli anni ’70, girava una frase che diceva: “Piove, Governo ladro!”, che significava un po’ che la colpa era sempre del Governo, anche quando il Governo, in verità, non aveva affatto colpe.
Oggi la tendenza mi sembra esattamente la contraria: il Governo non sbaglia mai, e tutto, in un modo o nell’altro, va sempre bene.
Questa idea secondo la quale tutto va sempre bene, ha fatto sì che di riforma in riforma, di intervento e intervento, si sia sostanzialmente capovolto le assi portanti del nostro processo civile, che oggi si presenta completamente trasformato, senza più regole fisse, senza più prederminazioni, senza distinzioni.
Quando negli anni ’30 Piero Calamandrei scriveva il suo breve articolo dal titolo Abolizione del processo civile?, il timore che egli aveva ero quello della soppressione del codice di rito a favore di un procedimento senza regole, in seno al quale il giudice potesse decidere dei diritti delle parti in modo libero e discrezionale.
Oggi si rischia di arrivare a quel risultato senza più nemmeno avere la necessità di abolire il codice: una rivoluzione.
Qual è, infatti, lo stato della procedura civile del nostro tempo?
È quello nel quale, data una certa procedura, il giudice può inventarne un'altra, se la ritiene più funzionale alla concentrazione processuale e al rispetto del contraddittorio; è quello dove il diritto fondamentale al contraddittorio può essere assicurato dal giudice e non necessariamente dalla legge; è quello, conseguenziale, nel quale non si ritiene più necessario che il cittadino abbia conoscenza predeterminata dalla legge delle regole processuali, e nessun problema si ha se questi debba invece scoprirle strada facendo, caso per caso; è quello nel quale le fonti del diritto si sfumano, e così anche l’autorità giudiziaria può essere, a pieno titolo, considerata fonte di diritto; è quello nel quale non si avverte più la differenza tra un decreto e un’ordinanza; è quello nel quale un decreto può avere ad oggetto anche la decisione di diritti processuali controversi e può essere modificabile e revocabile al pari delle ordinanze; è quello dove non è grave che il Governo svolga di fatto funzioni legislative e dove l’eccesso di delega (praticamente) non esista più; ed è quello, soprattutto, dove tutto va bene se il fine è il rispetto delle direttive europee.
VI. Orelsan e il poema “Tout va bien”.
6. Questa situazione, se mi è consentita una nota di colore in chiusura, a me ricorda il cantante francese Orelsan, il quale, nello spiegare ad un bambino come va il mondo, lo rassicura dicendo “Tout va bien”.
L’adulto spiega al bambino che: se un sans abri dorme per strada, è perché ama il rumore delle automobili; se una donna è piena di macchie su tutto il corpo, è perché ha giocato con le pitture; se un soldato in guerra è sparito, è perché si è riunito ad altri, lontano, in un girotondo, mano nella mano; Petit, tout va bien.
Poi l’adulto, in un’immagine che a me ricorda Giovanni Pascoli, dice al bambino: “Dormi, dormi!”.
[1] V. infatti G. SCARSELLI, Il Tribunale di Verona dubita della legittimità costituzionale dell’art. 171 bis c.p.c., www.giustiziainsieme.it. 14 novembre 2023.
[2] V. anche M. BOVE, La trattazione nel processo ordinario di primo grado tra riforma Cartabia, intervento della Corte costituzionale e annunciato correttivo, in www, judicium.it.
[3] V. anche F.M. SIMONCINI, Le verifiche preliminari ex art. 171 bis c.p.c. al vaglio della Corte costituzionale, in www, judicium.it, 22 febbraio 2024; D. VOLPINO, Il nuovo art. 171 bis c.p.c. censurato di incostituzionalità, Giur. it., 2024, 1080.
[4]V. anche N. GIUDICEANDREA, Decreto (dir. proc. civ.), voce dell’Enc. del diritto, Milano, XI, 1962, 824.
[5] V. anche LANCELLOTTI, Decreto, voce del Noviss. dig.it., Torino, 1960, V, 278; LUZZATTI, Decreto, in Enc. forense, Milano, 1958, III, 36.
[6] CHIOVENDA, Istituzione di diritto processuale civile, Napoli, 1934, II, 357.
[7] ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1957, II, 378.
[8] SATTA, Diritto processuale civile, Padova, 1981, 212.
[9] PUNZI, Il processo civile, Torino, 2010, I, 41.
[10] MONTELEONE. Manuale di diritto processuale civile, Padova, 2007, I, 291.
[11] Né un ripensamento in tal senso sembra giungere dal c.d. decreto correttivo, che non solo conferma la decisione con decreto delle verifiche preliminari, ma anzi aggiunge un ulteriore potere ‘d’ufficio del giudice senza contraddittorio qual è quello di passare al rito sommario prima dell’interlocuzione di ciò con le parti.
[12] In argomento v. anche C. TRAPUZZANO, Sulle verifiche preliminari opera la garanzia del contraddittorio, anche in chiave postuma, in Il Quotidiano giuridico, on line.
[13] NAPPI, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1941, I, 771.
[14] Ancora SATTA, Diritto processuale civile, cit., 212.
[15] PUNZI, Il processo civile, cit., I, 41.
[16] v., infatti, ad esempio, Cass. 8 febbraio 2010 n. 2723; Cass. 1 marzo 2012 n. 3189; Cass. 27 gennaio 2017 n. 2044; Cass. 9 gennaio 2019 n. 267; Cass. 27 maggio 2019 n. 14365.
[17] Sul punto v. anche C. CECCHELLA, Sentenza 96/24: il rigetto della questione di costituzionalità come fonte del diritto, Il Dubbio, 5 giugno 2024.
Immagine: John Koch, Padre e figlio (autoritratto), olio su tela, 1955, Kraushaar Galleries, New York.