di Giuliano Scarselli
Sommario: 1. L’ordinanza del Tribunale di Verona: dubbi di legittimità costituzionale dell’art.171 bis c.p.c. per eccesso di delega e violazione del principio del contraddittorio. 2. Programma della presente nota. 3. La ratio per la quale l’eccesso di delega è incostituzionale. 4. Gli eccessi di delega che potrebbero riscontrarsi nell’ultima riforma del processo civile. L’insussistenza di essi per rispetto della ratio della legge delega da parte del decreto legislativo. 5. Segue: l’insussistenza altresì dell’incostituzionalità dell’art. 171 bis c.p.c. per violazione degli artt. 3 e 24 Cost. 6. Osservazioni di sintesi.
1. L’ordinanza del Tribunale di Verona; dubbi di legittimità costituzionale dell’art.171 bis c.p.c. per eccesso di delega e violazione del principio del contraddittorio
Il Tribunale di Verona, con ordinanza del 22 settembre 2023 (R.G. 4138/2023) ha dichiarato “rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 171 bis del codice di procedura civile per contrasto con gli articoli 76, 77, 3, e 24 Cost.”.
Il Tribunale ha sostenuto che tale nuova disposizione processuale, inserita nel codice di rito a seguito della riforma c.d. Cartabia di cui al d. lgs. 10 ottobre 2023 n. 149, presenta due possibili difetti di costituzionalità, uno riguardante eccesso di delega, in relazione agli artt. 76 e 77 Cost., e l’altro riguardante il diritto al contraddittorio e al trattamento di parità delle parti nel processo in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.
In particolare il Tribunale di Verona ha rilevato:
a) quanto al primo aspetto che: “la legge delega (l. 26 novembre 2021, n.206), pur contenendo, all’art. 1, comma 5, lett. i), alcuni principi molto dettagliati relativi alla fase di trattazione, non prevede però un intervento anticipato del giudice prima dell'udienza di comparizione delle parti.
Al contempo, i principi di cui all'articolo 1, comma 5, lett. da c) a g), che disciplinano il contenuto degli atti di parte e i termini del loro deposito, non indicano tra le memorie delle parti, successive agli atti introduttivi, anche la trattazione delle questioni rilevate d'ufficio dal giudice.
Nella legge 206/2021 i due regimi (quello della fase di trattazione e quello delle attività delle parti) risultano quindi tra loro coerenti tanto più che l’art. 1, comma 5, lett. i), stabilisce che le disposizioni sulla trattazione devono essere adeguate proprio alle condizioni di cui alle lettera f) e g).
Sulla scorta di tali dati normativi, invero inequivoci, può affermarsi che la legge delega non aveva contemplato minimamente una fase, antecedente all’udienza di prima comparizione delle parti, deputata alle verifiche preliminari, alla quale invece il d. lgs. attribuisce il rilievo di cui si è detto, dedicandovi una disciplina alquanto articolata e differenziata”.
Da ciò, dunque, per il Tribunale di Verona, l’eccesso di delega e la violazione degli artt. 76 e 77 Cost.
b) Quanto ai profili di incostituzionalità relativi agli artt. 3 e 24 Cost., il Tribunale di Verona ha ancora osservato che l’art. 171 bis c.p.c. pone oggi una discriminazione, poiché prevede: “la decisione del giudice, inaudita altera parte, per solo alcune questioni rilevabili d’ufficio, quelle che condizionano la stessa nascita del processo o la sua estensione soggettiva (così il difetto di legittimazione, di capacità di essere parte, o di interesse ad agire), mentre per tutte le altre, non espressamente menzionate, differisce la decisione alla udienza di prima comparizione con una scelta che risulta in contrasto con l’art.3 Cost.”.
Peraltro, tale scelta discriminatoria, per il Tribunale di Verona, non viola solo l’art. 3 Cost., ma non rispetta nemmeno l’art. 24 Cost., in quanto: “nel regime ante riforma, la verifica in esame avveniva per la prima volta all’udienza di prima comparizione”, e quindi nel contraddittorio con le parti e i loro difensori, mentre oggi l’art. 171 bis c.p.c. dispone che le questioni indicate nel suo primo comma siano decise dal giudice senza udire sul punto le parti, e quindi la nuova norma: “lede il principio del contraddittorio, sancito ora in termini generali dall’art. 101, comma 2, secondo periodo, come integrato dal d. lgs. 149/2022”.
2. Programma della presente nota
Che dire?
Sinceramente, non so quante possibilità di successo possa avere questa ordinanza.
E poiché mi è stato insegnato di non esprimere giudizi in materie ancora sub iudice, in questa nota non elaborerò aspetti tecnici posati e ponderati, ma solo, scherzosamente, alcune osservazioni più generali tanto in punto di eccesso di delega quanto in riferimento al diritto alla difesa e al contraddittorio.
Se si vuole, ciò che segue è solo una caricatura delle ragioni in base alle quali, forse, chissà, perché no?, le questioni verranno dichiarate infondate.
3. La ratio per la quale l’eccesso di delega è incostituzionale
Iniziando dagli artt. 76 e 77 Cost., credo sia utile ricordare preliminarmente la ratio per la quale l’eccesso di delega è incostituzionale.
E la ratio è semplicissima: poiché la funzione legislativa spetta al Parlamento, e il Governo non ha funzione legislativa se non nei limiti dati dal Parlamento, se il Governo non rispetta detti limiti ed emana un decreto legislativo che esorbita dalle direttive ricevute, esso si appropria di una funzione che non le spetta, ovvero di quella legislativa, e da ciò ne segue l’incostituzionalità.
3.1. Orbene, il problema, però, si potrebbe osservare, è che porre simili questioni in una realtà nella quale, ormai da anni, la contrapposizione tra funzione legislativa ed esecutiva si è persa, e il Governo si è sostanzialmente appropriato anche della funzione legislativa svuotando le funzioni del Parlamento, può suscitare ilarità, poiché delle due l’una: o abbiamo la forza di opporsi a questa nuova realtà costituzionale, oppure ritenere incostituzionale che il Governo, nell’emanazione di un decreto legislativo, non rispetti la legge delega che egli stesso si è dato, è qualcosa che non può non far sorridere.
E se questo ragionamento vale in generale, ancor più vale nel caso della riforma del processo civile di cui al d. lgs. 10 ottobre 2022 n. 149.
Conviene al riguardo non dimenticare le modalità con le quali la riforma si è perfezionata.
3.2. Il Governo nomina una commissione affinché rediga un progetto.
La commissione redige il progetto, ma il Governo lo condivide solo in parte.
Il progetto è reso pubblico ed riceve critiche piuttosto numerose dagli addetti ai lavori.
Il Governo, tuttavia, non si preoccupa di queste critiche, e presenta in modo sostanzialmente invariato il suo progetto al Senato.
Il Senato è tenuto ad approvare il progetto senza discussione parlamentare, in quanto su esso viene messo dal Governo la fiducia.
E, proprio al fine di evitare la discussione parlamentare, il disegno di legge delega viene riscritto, seppur con analogo contenuto, in un solo articolo a fronte di 16 articoli che conteneva il progetto n. 1662.
Il nuovo unico articolo presentato al Senato sarà infatti lungo ben 39 pagine.
In questo modo, e in queste condizioni, il Senato, approva il disegno di legge delega di riforma del processo civile in data 21 settembre 2021 (poi l. 26 novembre 2021 n. 206).
3.3. È naturale osservare che il paradosso di un Governo che si fa legislatore è ancora più forte nelle leggi delega.
In quei casi, infatti, si realizza la grottesca situazione nella quale il Governo, imponendo la legge al Parlamento, di fatto delega sé stesso a fare quella cosa che egli stesso ha determinato.
In meccanismi di questo genere, davvero abbiamo ancora la voglia di discutere di eccesso di delega?
Io, accanto all’istituto dell’eccesso di delega, proporrei quello del ripensamento: una cosa è dunque l’eccesso di delega, come tale incostituzionale; altra cosa il ripensamento, irrilevante invece ai fini della legittimità costituzionale.
Il Governo, quando ha scritto la legge delega, pensava di poter fare una cosa, poi ne ha fatta un’altra; evidentemente ha cambiato idea, che male c’è?
A tutti deve essere riconosciuto il diritto che i romani etichettavano con l’espressione re melius perpensa.
4. Gli eccessi di delega che potrebbero riscontrarsi nell’ultima riforma del processo civile. L’insussistenza di essi per rispetto della ratio della legge delega da parte del decreto legislativo.
Comunque, anche a voler convenire che l’art. 171 bis c.p.c. contenga un eccesso di delega così come rilevato dal Tribunale di Verona, questo non potrebbe egualmente comportare l’incostituzionalità della norma, poiché il d. lgs. 10 ottobre 2022 n. 149 è pieno di eccessi di delega, e certo non è possibile dichiarare l’incostituzionalità dell’intera legge per queste ragioni.
4.1. Fra il serio e faceto mi sia così consentito ricordare almeno quattro tra questi eccessi di delega, aventi ad oggetto momenti centrali del nuovo processo civile: faccio riferimento alla disciplina della sinteticità e chiarezza degli atti processuali, oggi regolati dal decreto ministeriale 7 agosto 2023 n. 110 in attuazione dell’art. 46 delle disp. att. c.p.c., alla disciplina delle udienze cartolari e a distanza, oggi regolate dagli artt. 127 bis e ter c.p.c., alla disciplina della nuova procedura in appello di cui agli artt. 348 bis, 349 bis, 350, 3° comma, 350 bis c.p.c., e infine alla disciplina del procedimento in cassazione ex nuovo art. 380 bis c.p.c.
4.2. Quanto alla sinteticità e chiarezza degli atti processuali si osserva che:
a) la legge delega (art. 1, comma 17, lettera d) ribadiva il principio della libertà delle forme nella redazione degli atti processuali, stabilendo che questi possano essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo, nel rispetto dei principi di chiarezza e sinteticità, mentre il decreto legislativo ha abbandonato il criterio della libertà delle forme degli atti ed ha espressamente previsto che un decreto del Ministro della Giustizia stabilirà i limiti degli atti processuali, tenendo conto della tipologia, del valore, della complessità della controversia, del numero delle parti e della natura degli interessi coinvolti, disponendo altresì che l’atto processuale debba avere in ogni caso un indice e una breve sintesi del contenuto dell'atto stesso.
b) La legge delega, poi, semplicemente prevedeva che gli atti processuali dovessero essere redatti in modo da assicurare la strutturazione di campi necessari all’inserimento delle informazioni nei registri del processo, mentre il decreto legislativo ha disposto, oltre ciò, che con decreto del Ministro della Giustizia sono stabiliti i limiti degli atti processuali, tenendo conto della tipologia, del valore, della complessità della controversia, del numero delle parti e della natura degli interessi coinvolti. Nella determinazione dei limiti non si tiene conto dell'intestazione e delle altre indicazioni formali dell'atto, fra le quali si intendono compresi un indice e una breve sintesi del contenuto dell'atto stesso. Il decreto è aggiornato con cadenza almeno biennale.
c) La legge delega, infine, giustificava l’inquadramento e la regolamentazione degli atti processuali semplicemente sulla esigenza della raccolta dati nel processo telematico, ovvero strutturazione di campi necessari all’inserimento delle informazioni nei registri del processo; il decreto legislativo ha superato al contrario questa ratio e ha previsto una regolamentazione ministeriale di tipo generale (……rispettano la normativa, anche regolamentare, concernente la redazione……), in grado così di investire gli atti processuali in ogni momento, e non solo in quello della raccolta telematica dei dati.
4.3. Qualcosa di simile è avvenuto con riferimento alle udienze a distanza e cartolari.
La disciplina delle udienze a distanza e cartolari, disposte per la prima volta nella legislazione di emergenza da COVID 19 con l’art. 221 della l. n. 77 del 2020, venivano riportate anche nella legge delega 26 novembre 2021 n. 206, e ciò esattamente nell’art. 1, comma 17, lettere l) e m).
Lì si prevedeva che il giudice: ”fatta salva la possibilità per le parti costituite di opporsi, può disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice, si svolgano con collegamenti audiovisivi a distanza…oppure (alle medesime condizioni)…disporre che le udienze civili siano sostituite dal deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni”.
Orbene, non v’è bisogno di particolare acume giuridico per accorgersi che i nuovi artt. 127 bis e 127 ter c.p.c. sono andati oltre un limite affatto secondario della legge delega, e che era quello che le parti potessero opporsi alla scelta del giudice di disporre udienze cartolari e/o a distanza.
Infatti, l’opposizione delle parti prevista dalla legge delega è stata di fatto soppressa dalle nuove norme del decreto legislativo, che hanno sì previsto che queste possano chiedere l’udienza in presenza, ma hanno parimenti disposto che spetta in ogni caso al giudice assumere ogni decisione finale con “decreto non impugnabile”.
Ora, come è noto, in base all’art. 135, 3° comma c.p.c. i decreti sono privi di motivazione se la motivazione non è espressamente prescritta dalla legge, e gli artt. 127 bis e ter c.p.c. non prevedono che i decreti in questione debbono essere motivati, e quindi i decreti che dispongono le udienze a distanza o cartolari non sono motivati; inoltre essi sono espressamente definiti dalla legge “non impugnabili”.
Ne segue, così, che mentre la legge delega prevedeva che gli avvocati potessero opporsi allo svolgimento delle udienze non in presenza (“salva la possibilità per le parti costituite di opporsi”), e non semplicemente potessero presentare una richiesta in tal senso, i nuovi articoli scaturiti dal decreto legislativo hanno trasferito ogni potere al giudice, il quale lo esercita addirittura con un provvedimento che ha la forma del decreto (una eccezione, poiché sulle istanze delle parti il giudice deve provvedere di regola con ordinanza e non con decreto), e il decreto non è ne’ motivato ne’ impugnabile (quindi il potere del giudice di disporre udienze non in presenza è pieno, e le parti non hanno strumenti per opporsi a ciò).
4.4. In tema di appello, l’idea della legge delega era quella di rivedere la disciplina degli artt. 348 bis e ter c.p.c. introdotti nel 2012, che avevano creato non pochi problemi alla Corte di Cassazione prevedendo che le impugnazioni senza ragionevole possibilità di accoglimento dovessero essere decise con ordinanza.
La legge delega, all’art. 1, comma 8, lettera e), disponeva conseguentemente che la definizione di quegli appelli dovesse essere data con sentenza e non più con ordinanza, e così statuiva che: “la decisione di manifesta infondatezza sia assunta a seguito di trattazione orale con sentenza succintamente motivata anche mediante rinvio a precedenti conformi”; e sulla base di ciò andavano modificati “conseguentemente gli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c.”
Il decreto legislativo, al contrario, è andato ben oltre: a) ha provveduto all’abrogazione dell’art. 348 ter c.p.c.; b) poi alla riscrittura degli artt. 348 bis e 350 c.p.c.; c) e infine ad inserire nuovi artt. 349 bis e 350 bis del codice di procedura civile.
Da segnalare, che mentre per la legge delega, in conformità con la disciplina già fatta propria dall’art. 348 bis c.p.c. nel suo testo originario, la possibilità della definizione dell’appello in via breve era riservata ai soli casi di manifesta infondatezza ovvero alle ipotesi nelle quali l’impugnazione non avesse alcuna ragionevole possibilità di essere accolta, il nuovo art. 348 bis c.p.c. ha aggiunto anche i casi di manifesta fondatezza, di nuovo non previsti dalla legge delega, e soprattutto l’art. 350, 3° comma c.p.c. ha ricompreso in tal alveo anche altre ipotesi del tutto libere, che si hanno quando il giudice discrezionalmente “lo ritenga opportuno in ragione della ridotta complessità o dell’urgenza della causa”, e ciò anche in contrasto con la lettera l) della medesima disposizione di legge delega, che individuava i poteri del giudice istruttore senza ricomprenderne questo.
Inoltre, l’art. 349 bis c.p.c. ha previsto per la prima volta la contrapposizione in appello tra un giudice “istruttore” e un giudice “relatore”, e ha rimesso al Presidente, in limine litis, e in un momento che appare addirittura anteriore alla costituzione dell’appellato, la scelta discrezionale di optare per la definizione dell’impugnazione in un modo o nell’altro.
Ed ancora, il nuovo art. 350, bis, 3° comma c.p.c. prevede che la sentenza sia “motivata in forma sintetica, anche mediante esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi”, e ciò tanto per i casi di decisione immediata con la nomina del “relatore”, quanto con riferimento ai casi ordinari a seguito di trattazione con “l’istruttore”, visto che l’art. 350 bis c.p.c., fa riferimento sia al primo caso nel 1° comma, sia al secondo caso nel 2° comma.
La legge delega, invece, e per la verità, prevedeva che la sentenza in forma semplificata si potesse pronunciare solo per le ipotesi di impugnazione manifestamente infondata; al contrario con il decreto legislativo, e secondo meccanismi non conosciuti dalla legge delega ne’ nella lettera e) ne’ nella successiva lettera n), l’attuale art. 350 bis c.p.c. consente invece che tutte le sentenze in appello possano essere definite con sentenza in forma semplificata, in quanto lo stesso art. 352 c.p.c. consente all’istruttore di scegliere tra la modalità di definizione ordinaria e la modalità di definizione prevista dall’art. 350 bis c.p.c. anche fuori dai casi di cui agli artt. 348 bis e 350, 3° comma c.p.c.
4.5. Discorso analogo può essere sviluppato con riguardo al giudizio di cassazione.
L’art. 1, comma 9 lettera e) della legge delega prevedeva l’introduzione di un procedimento accelerato rispetto alla camera di consiglio per la definizione dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati.
Questo procedimento accelerato si doveva realizzare attraverso: “una proposta di definizione del ricorso”, da comunicare “agli avvocati delle parti”, e “se nessuna delle parti chiede la fissazione della camera di consiglio nel termine di venti giorni dalla comunicazione, il ricorso si intende rinunciato e il giudice pronuncia decreto di estinzione, liquidando le spese”.
Orbene, anche in questo caso non è difficile rilevare come il nuovo art. 380 bis c.p.c. sia andato oltre i limiti della legge delega.
A parte la circostanza che il termine per richiedere la camera di consiglio è stato portato da venti a quaranta giorni, soprattutto l’art. 380 bis c.p.c. inserisce due nuovi elementi che condizionano fortemente la natura e la struttura dell’istituto: a) si è previsto infatti che la richiesta della camera di consiglio debba esser “sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale”; b) e si è previsto altresì che, nelle ipotesi nelle quali la definizione con ordinanza collegiale sia richiesta, se la Corte di cassazione “definisce il giudizio in conformità alla proposta applica il terzo e il quarto comma dell’art. 96”.
Non v’è bisogno di spendere troppe parole per rilevare quanto queste due novità, non contenute nella legge delega, disciplinino in modo del tutto diverso il diritto alla difesa e il trattamento paritario di tutti i cittadini di fronte alla legge, poiché par evidente che solo le parti benestanti potranno affrontare le eventuali ulteriori spese di cui all’art. 96 c.p.c., mentre le classi meno abbienti avranno senz’altro più difficoltà ad accettare simili rischi per esercitare il diritto all’azione.
Ed inoltre, ad abundantiam, mentre la legge delega prevedeva che la proposta dovesse contenere “la sintetica indicazione delle ragioni di inammissibilità, dell’improcedibilità o della manifesta infondatezza ravvisata”, l’art. 380 bis c.p.c. si limita a disporre che il consigliere deve dare una “sintetica proposta”, senza altro aggiungere.
In questo modo, non solo è venuto meno il riferimento alle ragioni di inammissibilità o manifesta infondatezza che il parere del consigliere doveva contenere, ma anche l’aggettivo sintetico è stato spostato dalla motivazione alla proposta stessa: è la proposta oggi che deve essere sintetica, non più la motivazione o le ragioni di manifesta infondatezza della proposta; queste ultime infatti potranno anche non esserci in base al tenore del nuovo testo.
4.6. Che fare dunque? Possiamo dichiarare incostituzionale tutta la riforma Cartabia?
Evidentemente no, e allora si tratta di ridurre, forse anche di azzerare, il problema dell’eccesso di delega.
La questione, se si vuole, è trattata dallo stesso Tribunale di Verona, laddove ricorda che la Corte costituzionale, con più di una pronuncia, ha già statuito che non può darsi eccesso di delega se il decreto legislativo non ha comunque violato la ratio della legge delega (così il Tribunale di Verona: “Occorre individuare la ratio della delega, per verificare se la norma delegata sia con questa coerente, ex plurimis: sentenze n. 230 del 2010, n. 98 del 2008, nn. 340 e 170 del 2007, e, più recentemente, sentenza 24 ottobre 6 dicembre 2012, n. 272”).
La soluzione è perfetta: in questo modo la risoluzione della questione non dipende più da una sola valutazione tecnica scaturente dall’esegesi dei testi, bensì sostanzialmente da una valutazione discrezionale, rimessa al contenuto di una espressione elastica ed imprecisa quale quella della ratio, che può contenere tutto e il contrario di tutto.
La filosofia del linguaggio ci insegna che per collegare una qualunque cosa con una qualunque altra è sufficiente aumentare il livello di astrazione delle parole, e la parola ratio è ideale per ciò.
Si può, così, sempre ritenere che il decreto legislativo non abbia violato la ratio della legge delega, e il problema si dissolve.
5. Segue: l’insussistenza altresì dell’incostituzionalità dell’art. 171 bis c.p.c. per violazione degli artt. 3 e 24 Cost.
E passiamo all’altra parte dell’ordinanza, ovvero a quella che dubita della legittimità costituzionale dell’art. 171 bis c.p.c. in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.
Sostanzialmente, il problema, per il Tribunale di Verona, è questo: l’art. 171 bis c.p.c. si pone in contrasto con l’art. 3 Cost., poiché tale norma divide le questioni processuali tra quelle che si decidono prima dell’udienza, e quindi senza contraddittorio (ad esempio le questioni di cui agli artt. 102, 107, 164), e quelle che si mantengono invece quali questioni che si decidono in udienza, e quindi nel contraddittorio tra le parti e i loro difensori (scrive il Tribunale di Verona: mentre per tutte le altre, non espressamente menzionate, differisce la decisione alla udienza di prima comparizione).
Si tratterebbe di una disparità di trattamento non giustificata.
Soprattutto, il Tribunale di Verona rileva che le questioni indicate nel 1° comma dell’art. 171 bis c.p.c. prima stavano nel vecchio art. 183 c.p.c.: nel vecchio sistema, quindi, tale verifiche si realizzavano nel rispetto del contraddittorio con le parti e i loro difensori, perché appunto avvenivano in udienza, mentre oggi, essendo state dalla riforma anticipate in un momento anteriore, esse sono rese nella completa solitudine del giudice, che provvede senza sentire nessuno.
E qui, veramente, siamo alla parte romantica dell’ordinanza, quasi commovente per un avvocato, poiché si scopre, così, che esistono ancora giudici che ritengono costituzionalmente necessaria l’attività difensiva.
A pensarci, però, il dubbio di costituzionalità della norma per ragioni di questo genere non può che risultare alla fine infondato, e ciò non solo perché i provvedimenti resi dal giudice senza contraddittorio ai sensi dell’art. 171 bis, 1° comma c.p.c. potranno sempre essere rivisti e modificati a seguito del successivo contraddittorio nel successivo svolgimento del processo, e ciò non solo perché l’ordinanza prende a parametro del ragionamento una norma abrogata quale il vecchio resto dell’art. 183 c.p.c. e questo potrebbe addirittura condurre all’inammissibilità della questione, ma soprattutto perché è totalmente contrario allo spirito della riforma quello di immaginare una qualche rilevanza costituzionale della presenza degli avvocati nell’esercizio della funzione giurisdizionale.
Tutta la riforma, infatti, risponde alla logica contraria, e per la quale meno attività si fanno svolgere agli avvocati, meglio si realizza quella leale collaborazione necessaria alla realizzazione del principio di ragionevole durata dei processi e del PNRR.
Credo che nessuno possa mettere in dubbio che lo spirito della riforma sia questo: gli avvocati devono infatti scrivere gli atti in modo chiaro e sintetico e nel rispetto dei criteri e dei limiti dimensionali previsti dall’art. 46 disp. att. c.p.c.; gli avvocati non hanno diritto di interloquire personalmente con il giudice, in quanto gli artt. 127 bis e 127 ter c.p.c. hanno sostanzialmente annullato la loro possibilità di opporsi alla fissazione di udienze a distanza e/o cartolari; la decisione giurisdizionale può essere chiesta solo se le parti hanno anteriormente provato a conciliare la lite, e lo stesso giudice, tanto in primo grado (artt. 183 e 185 c.p.c.) quanto in appello (art. 350, 4° comma c.p.c.), può e deve oggi formulare “la proposta transattiva o conciliativa….fino al momento in cui fissa l’udienza di rimessione della causa in decisione” (art. 185 bis c.p.c.); tutti i termini per il deposito delle memorie sono stati ridotti (artt. 171 ter e 189 c.p.c.), e la funzione delle comparse conclusionali è stata gravemente ridimensionata, e ciò perché la definizione dei giudizi deve darsi sempre più in forma breve, tanto in primo grado (art. 281 sexies c.p.c.) quanto in appello (art. 350 bis c.p.c.), con procedure che escludono le difese scritte nella fase conclusiva del giudizio; è stato reintrodotto l’obbligo della presenza personale delle parti in prima udienza (art. 183 c.p.c.); si è previsto che il giudice, anche a fronte di una causa introdotta nelle forme ordinarie dalla parte attrice, possa sempre trasformare quel rito in sommario (art. 183 bis c.p.c.), e quindi poi decidere in via breve ex art. 281 sexies c.p.c., e sempre con facoltà di ridurre gli atti conclusionali scritti ex nuovo art. 275 bis c.p.c.; si è altresì previsto che l’avvocato che intenda chiedere in cassazione la definizione del giudizio con ordinanza collegiale debba munirsi di nuova procura speciale da parte del cliente (art. 380 bis c.p.c.); nel processo di famiglia sono aumentati i poteri d’ufficio del giudice (art. 473 bis 2 c.p.c.) e imposti alle parti nelle allegazioni doveri di verità (art. 473 bis 18 c.p.c.).e di completezza (art. 473 bis 48 c.p.c.); soprattutto ogni comportamento difensivo da considerare scorretto può costituire presupposto di sanzione a favore della controparte (art. 96, 3° comma c.p.c.) o dello Stato (art. 96, 4° comma c.p.c.), e si è arrivati perfino a sanzionare la mancata partecipazione al primo incontro di mediazione (art. 12 bis, 2° e 3° comma d. lgs. 28/2010).
In breve, la questione sollevata dal Tribunale di Verona è facilmente superabile: la svalutazione della funzione difensiva è parte integrante della riforma, e pertanto non si comprende perché l’art. 171 bis c.p.c., dovrebbe considerarsi in contrasto con l’art. 24 Cost. nella parte in cui prevede che i provvedimenti ivi indicati siano presi senza contraddittorio e/o l’ausilio dei difensori.
6. Osservazioni di sintesi.
In estrema sintesi, dunque, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Verona appaiono infondate: nel nostro nuovo sistema nessuna rilevanza costituzionale può avere l’eccesso di delega, e nessuna rilevanza costituzionale ha l’esercizio della difesa; l’art. 171 bis c.p.c. è quindi rispettoso dei dettati della nostra costituzione.
E poi, non dimentichiamo, detta norma si inserisce nel contesto di una riforma finalizzata all’attuazione del PNRR e porta il nome di un ex Presidente della Corte costituzionale.
Cosa vogliamo fare? Pretendiamo che la Corte dichiari l’incostituzionalità di sé stessa?
Suvvia, vedrete, andrà tutto bene.
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