La Corte di Giustizia risponde alle S.U. sull’eccesso di potere giurisdizionale. Quali saranno i “seguiti” a Corte Giust., S., 21 dicembre 2021 - causa C-497/20, Randstad Italia? - 5) Enzo Cannizzaro
Intervista di Roberto Conti a Enzo Cannizzaro*
[Per l’introduzione al ciclo di interviste si rinvia all’Editoriale]
1. Il dispositivo reso dalla Corte di Giustizia a conclusione della fase del rinvio pregiudiziale non sembra lasciare margini di dubbio in ordine al “responso” del giudice di Lussemburgo. Chiamata a testare, sotto il profilo della compatibilità con il principio di effettività di matrice UE, l’istituto dell’eccesso di potere giurisdizionale come declinato dal diritto vivente interno, la Grande Sezione ha escluso che la violazione del diritto UE perpetuata dal supremo organo della giustizia amministrativa – nel caso concreto perpetrata per avere ritenuto irricevibile il ricorso contro l’aggiudicazione di un appalto presentato dalla ditta esclusa dalla gara non in via definitiva - possa vulnerare il principio di effettività laddove sia escluso dal sistema interno che gli offerenti partecipanti all’aggiudicazione possono contestare la conformità al diritto dell’Unione della sentenza del supremo organo della giustizia amministrativa nell’ambito di un ricorso dinanzi all’organo giurisdizionale supremo di detto Stato membro. Valuta questa conclusione appagante, soddisfacente o non condivisibile?
La sentenza Corte Giust., Grande Sezione, 21 dicembre 2021, C-497/20, Randstad, ha un contenuto chiaro: il diritto europeo non impone agli Stati membri di istituire mezzi di ricorso straordinari al fine di assicurare il rispetto dell’obbligo di rinvio pregiudiziale formulato dai Trattati istitutivi e interpretato dalla Corte di giustizia. Si chiude così il dibattito concernente la possibilità di fondare direttamente sul diritto europeo la qualificazione del rifiuto un ricorso di disporre un rinvio, da parte di un giudice che ne sarebbe tenuto, come una violazione del riparto giurisdizionale dell’ordinamento nazionale.
Si tratta di un dibattito iniziato in tempi ormai remoti. Per quanto inelegante possa essere, segnalo un mio remoto scritto del 1988 (Un nuovo indirizzo della Corte costituzionale tedesca sui rapporti fra ordinamento interno e norme comunitarie derivate, in Rivista di diritto internazionale, 1988, p. 24 ss.) il quale richiamava l’ordinanza della Corte di cassazione (sez. un.) 25 maggio 1984, n. 3223. Tale ordinanza aveva, appunto, negato che, nel sistema italiano, il mancato rinvio di una questione di interpretazione del diritto europeo alla Corte di giustizia da parte del Consiglio di Stato giustificasse un ricorso per motivi di giurisdizione. Si legge nella sentenza:
“il citato art. 177 (ora art. 267 TFUE) non esclude che la giurisdizione rimanga al medesimo (giudice nazionale), salvo il suo obbligo di mettere la successiva in conformità alla pronunzia sulla interpretazione della norma da parte della Corte comunitaria … senza che sia esclusa, essendo anzi presupposta, la giurisdizione del giudice nazionale adito”.
E, tuttavia, l’utilizzo del ricorso per motivi di giurisdizione incontra sia difficoltà di carattere sistematico, attinenti ai rapporti fra ordinamento europeo e ordinamento nazionale, sia difficoltà di carattere pratica, consistenti nel rinvenire strumenti idonei ad assicurare l’effettività del rinvio pregiudiziale.
Conviene osservare, in via preliminare, che l’obbligo di un giudice di procedere a rinvio pregiudiziale configura, invero, una situazione giuridica inusuale: quella di un obbligo esterno all’ordinamento dello Stato, ma rivolto non già allo Stato come persona giuridica unitaria quanto bensì a uno specifico organo di esso: un organo, peraltro, che gode di autonomia costituzionale non solo sul piano nazionale, ma anche sul piano europeo (v. la sentenza 27 febbraio 2018, causa C-64/16, Associação Sindical dos Juízes Portugueses/Tribunal de Contas). In ciò consiste la stranezza sistematica del rinvio pregiudiziale. Esso pone obblighi direttamente in capo ai giudici; ma l’inadempimento di tali obblighi viene attribuito, secondo uno schema internazionalista classico, in capo allo Stato.
Come ha precisato la sentenza in questione, infatti, l’inadempimento da parte del giudice tenuto a sollevare rinvio pregiudiziale comporta una forma di responsabilità istituzionale per infrazione al diritto europeo, prevista dai Trattati agli articoli 259 ss., e una forma di responsabilità civilistica per risarcimento del danno, non prevista dai Trattati ma ricostruita dalla giurisprudenza della Corte di giustizia a partire dalla celebre sentenza Francovich (19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90).
In conseguenza di tale singolare situazione, è ben difficile rinvenire strumenti per l’adempimento in forma specifica dell’obbligo di rinvio. Da un lato, il rimedio civilistico tende, per propria natura, ad assicurare al cittadino danneggiato un risarcimento per equivalente. D’altro lato, l’accertamento di una infrazione da parte dello Stato, ai sensi dell’art. 260 TFUE, comporta, bensì, un obbligo di ripristino della situazione giuridica lesa. Tale ripristino, tuttavia, è difficilmente applicabile a un inadempimento per fatto giudiziale, dato che, sovente, l’obbligo di rinvio incombe a un giudice di ultima istanza, le cui decisioni sono assistite dal meccanismo del giudicato. Pur se la Corte di giustizia ha ammesso, in rarissimi casi, che un giudicato possa venir meno se pronunciato in violazione del dovere del giudice di promuovere un rinvio pregiudiziale, essa ha indicato altresì che ciò possa accadere solo in casi eccezionali. Sul punto, conto di tornare sinteticamente nella risposta a una domanda successiva.
Proprio queste difficoltà sono alla base della configurazione di una violazione dell’obbligo di rinvio come violazione del riparto di giurisdizione. A tale configurazione, tuttavia, osta la qualificazione dell’inadempimento rispetto al dovere di rinvio come una violazione della giurisdizione assegnata alla Corte di giustizia. Il diritto europeo, a differenza di taluni sistemi federali, assegna, invero, alla Corte la competenza a interpretare ed applicare il diritto europeo, ma non la configura come esclusiva. Al contrario, essa indica, espressamente, all’art. 19 TUE, che i giudizi nazionali ben possano, e addirittura, debbono, interpretare e applicare il diritto europeo nell’ambito delle proprie competenze.
D’altronde, lo strumento del ricorso per motivi di giurisdizione non sembra lo strumento più idoneo a garantire l’effettività del rinvio pregiudiziale e a evitare un inadempimento dello Stato. Chi mai potrebbe assicurare che il giudice della giurisdizione non possa commettere il medesimo errore commesso dal giudice di merito nella interpretazione dei complessi criteri che consentano di determinare se vi fosse una facoltà ovvero un obbligo di rinvio? L’effetto di tale qualificazione sarebbe semplicemente la retrocessione del giudice di ultima istanza a giudice di “penultima” istanza. Insomma, le tormentate vicende del rinvio pregiudiziale confermano, tristemente, che l’esigenza di istituire un organo giudicante in ultima istanza sia una necessità pratica, incompatibile logicamente con l’idea di un sistema giudiziario volto a individuare l’unica soluzione “giusta” per qualsiasi caso controverso.
Se l’ordinamento italiano ritenesse utile istituire un sistema giudiziario di controllo del rispetto dell’obbligo di rinvio sarebbe opportuno che tale compito venisse affidato a un giudice esterno rispetto alle giurisdizioni apicali esistenti. Si potrebbe pensare a un organo giudiziario composta da un giudice per ciascuna giurisdizione nazionale di ultima istanza, abilitato a ricevere ricorsi dalle parti processuali alle quali sia stato negato un rinvio ovvero da un pubblico ministero, a tutela dell’ordinamento obiettivo.
In alternativa, non sarebbe irragionevole qualificare la Corte di giustizia “giudice naturale” ai sensi dell’art. 25, comma 1, Cost., con la conseguente abilitazione della Corte costituzionale a ricevere tale nuova tipologia di ricorsi diretti. Quest’ultima soluzione, già sperimentata con un certo successo nell’esperienza costituzionale tedesca, presenta un inconveniente, ma anche qualche pregio. L’inconveniente sarebbe dato dalla circostanza che, a propria volta, la Corte costituzionale è un giudice di ultima istanza tenuto a sollevare rinvio. Peraltro, la particolarissima natura della Corte costituzionale renderebbe verosimilmente più accettabile tale duplicità di ruoli, che già la Corte esercita rispetto ad altre situazioni.
Il pregio maggiore consisterebbe nel rinunciare all’idea che la Corte di giustizia abbia una sfera di giurisdizione esclusiva, e nell’accogliere, piuttosto, l’idea che le sue prerogative abbiano rilievo costituzionale: una idea che si nutre altresì della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale ha più volte qualificato la violazione dell’obbligo di sollevare un rinvio pregiudiziale come una violazione del diritto ad un equo processo ai sensi della Convenzione europea, come indicherò in risposta a una successiva domanda.
2. La Corte di giustizia ha sottolineato che per eliminare gli effetti dannosi connessi alla violazione del diritto UE perpetrata per effetto di una decisione resa in via definitiva dal giudice amministrativo costituiscono idonei strumenti per eliminare le conseguenze dannose tanto il ricorso per inadempimento da parte della Commissione o l’azione di responsabilità dello Stato per violazione del diritto UE, nella ricorrenza dei presupposti fissati dalla giurisprudenza della Corte stessa- pp.79 e 80 sent. cit.-. Pensa che la fase discendente susseguente alla decisione della Corte di Giustizia potrà avere un seguito diverso da quello che il dispositivo della sentenza della Corte UE sembra avere scolpito in maniera nitida? Pensa, in altri termini, che dopo la pronunzia della Corte di giustizia le Sezioni Unite possano giungere ad un revirement, questa volta sul piano interno e non più su quello del diritto UE, rispetto al diritto vivente formatosi dopo la sentenza della Corte costituzionale n.6/2018 sui confini dell’eccesso di potere giurisdizionale? E in ipotesi di risposta positiva a tale quesito, Lei reputa che sarebbe possibile ampliare l’ambito della figura dell’eccesso di potere giurisdizionale da parte delle Sezioni Unite o risulterebbe necessario sollevare nuovamente una questione di legittimità costituzionale per suscitare una rimeditazione delle conclusioni espresse nella sentenza n.6/2018?
La sentenza della Corte indica - lo si è detto - che il diritto europeo non impone allo Stato italiano di assicurare un rimedio straordinario per la violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale. La Corte ha anche indicato che l’assenza di un tale rimedio e, in particolare di un ricorso per motivi di giurisdizione, non pregiudica l’effettività di tale obbligo. Essa, però, è altrettanto chiara nell’indicare che lo Stato italiano debba prestare nei confronti della violazione di tale obbligo rimedi equivalenti a quelli che sarebbero esperibili nei confronti di violazioni di obblighi analoghi.
Questa conclusione, derivante da uno dei due limiti al principio dell’autonomia processuale, consente di fornire una risposta alla prima parte della domanda. Se la violazione dell’obbligo di rinvio non comporta necessariamente, ai sensi del diritto europeo, una violazione del riparto di giurisdizione, essa può tuttavia rilevare a tal fine, qualora si tratti di violazione particolarmente qualificata, sì da rientrare nell’ambito della dottrina dell’eccesso di potere giurisdizionale.
Individuare tali casi non è semplice. A tal fine, occorrerebbe identificare, nell’indistinta galassia dell’obbligo di rinvio che grava sul giudice nazionale, due distinte figure: l’obbligo non qualificato, la cui violazione è integra semplicemente come un errore nell’applicazione dei criteri indicati dalla Corte di giustizia e l’obbligo qualificato, la cui violazione leda, invece, prerogative indefettibili della Corte di giustizia. Nel caso Lucchini (18 luglio 2007, causa C-119/05), ad esempio, la Corte di giustizia ha ritenuto che un giudice il quale non applichi una decisione dell’Unione, né chieda alla Corte di verificarne la validità, viola, alternativamente, due sfere di prerogative esclusive: quello della Commissione di valutare la compatibilità di un aiuto di Stato con il mercato comune, ovvero quella della Corte di accertare l’invalidità di tale determinazione da parte della Commissione (rinvio al mio libro Il diritto dell’integrazione europea, III ed, Giappichelli, Torino, 2020, p. 358 ss.).
3. Che effetti potrebbe avere sulle questioni qui esaminate la decisione del legislatore che, di recente, ha introdotto quale forma di revocazione delle sentenze rese dal giudice civile ed amministrativo una nuova causa di revocazione -art.1, c.10 l.n.206/2021- per le ipotesi di contrasto della sentenza passata in giudicato resa dal giudice nazionale e una decisione della Corte dei diritti dell’uomo che abbia accertato la violazione della normativa convenzionale?
La nuova ipotesi di revocazione, per il momento solo prefigurata nel suo contenuto ad opera dei criteri per la delega legislativa, dovrebbe funzionare solo allorché la Corte europea stabilisca che la violazione della Convenzione comporti rimedi restitutori in luogo del rimedio risarcitorio previsto dall’art. 41 della Convenzione. Ciò si dovrebbe ricavare dalla frase contenuta nell’art. 1, comma 10, “ferma restando l'esigenza di evitare duplicità di ristori”.
Pur se la giurisprudenza della Corte europea ha talvolta qualificato il diniego di rinvio alla Corte di giustizia come violazione dei diritti convenzionali, in particolare dell’art. 6, essa non ha mai, a mia conoscenza, qualificato tale inadempimento come una violazione strutturale della Convenzione, né essa ha mai ordinato agli Stati misure individuali o. tanto meno, misure generali, di carattere restitutorio.
Tuttavia, la circostanza che la violazione dell’obbligo di rinvio possa integrare una violazione dell’art. 6 della Convenzione non è irrilevante ai nostri fini. Essa, anzi, potrebbe rafforzare l’ipotesi che un uso arbitrario del filtro esercitato dai giudici nazionali rispetto alle prerogative della Corte di giustizia dell’Unione venga qualificato, in ipotesi delimitate, come un eccesso di potere giurisdizionale.
Nella recente sentenza Repcevirág Szövetkezet, no. 70750/14, del 30 luglio 2019, la Corte europea ha indicato come “a domestic court’s refusal to grant a referral may, in certain circumstances, infringe the fairness of proceedings where the refusal proves to have been arbitrary. Such a refusal may be deemed arbitrary in cases where the applicable rules allow no exception to the granting of a referral or where the refusal is based on reasons other than those provided for by the rules, or where the refusal was not duly reasoned”. Se, infatti, il rifiuto arbitrario di disporre un rinvio pregiudiziale, da parte di un giudice che ne sia tenuto, viola il principio dell’equo processo, stabilito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, si potrebbe ammettere, con buone ragioni, che tale pronuncia abbia violato principi indefettibili nell’esercizio della giurisdizione. Proprio l’esercizio arbitrario del potere giurisdizionale, anzi, dovrebbe costituire un esempio paradigmatico di eccesso di tale potere.
4. Dopo la sentenza resa dalla Corte di Giustizia il 21 dicembre scorso, residuano a suo giudizio, ragioni di dubbi in ordine alla possibilità di sperimentare innanzi alle Sezioni Unite il vizio di eccesso di potere giurisdizionale sotto il profilo della mancata sollevazione del rinvio pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia da parte del giudice speciale di ultima istanza?
Credo che la mia opinione si ricavi dalle risposte alle domande precedenti. La Corte di giustizia ha chiarito che non vi è alcun obbligo di qualificare il mancato rinvio, da parte di un giudice che vi sia tenuto, come una violazione del sistema giurisdizionale italiano. Tuttavia, dal principio di equivalenza si può ben ricavare che, la dottrina dell’eccesso di potere giurisdizionale debba applicarsi a tale ipotesi con modalità analoghe a quelle che la Corte di cassazione applica a ipotesi analoghe.
Nelle risposte alle precedenti domande ho cercato di enucleare alcune di queste ipotesi. Una prima riguarda una pronuncia che disapplichi senza previo rinvio di validità alla Corte di giustizia un atto europeo rilevante nel giudizio, violando così frontalmente l’obbligo stabilito dalla sentenza Foto-Frost (22 ottobre 1986, causa 314/85). Una seconda ipotesi riguarda una pronuncia che rifiuti, arbitrariamente e senza darne le ragioni, di procedere a un rinvio pregiudiziale, anche di carattere interpretativo, come indicato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
5. In definitiva, a suo giudizio è stato utile il dialogo fra Corte di Cassazione a sezione Unite e Corte di giustizia sul tema suscitato dall’ordinanza n.19598/2020 o si è trattato di un tentativo di aggirare l’orientamento espresso dalla sentenza n.6/2018, peraltro non dotato di efficacia vincolante per il giudice comune in relazione alla natura della sentenza di rigetto della questione di legittimità costituzionale da parte della Consulta?
È difficile dare una risposta definitiva a questa domanda. Si potrebbe ritenere che l’ordinanza di rimessione sia stata inutile in quanto le risposte della Corte si sarebbero potute agevolmente ricavare dalla previa giurisprudenza della Corte. Tuttavia, la giurisprudenza sulle conseguenze di una violazione dell’obbligo di rinvio non è chiara. Essa, anzi, è pervasa da incertezze e ambiguità che emergono pressoché su qualsiasi aspetto di essa.
Tali incertezze sono verosimilmente dovute alla circostanza che, in questo campo, si scontrano esigenze difficilmente conciliabili: da un lato la necessità di assicurare la massima effettività allo strumento del rinvio pregiudiziale, un formidabile mezzo di comunicazione fra giuridici europei e nazionali che tanto ha contribuito allo sviluppo dell’integrazione europea; dall’altro, il rispetto di regole e principi riconosciuti come fondamentali anche nell’ordinamento europeo. In questa prospettiva, lungi dal riconoscere vinti e vincitori, la Corte di giustizia ha semplicemente aggiunto un ulteriore tassello in un equilibrio destinato alla permanente instabilità.
*Professore ordinario di diritto internazionale e dell'Unione europea presso l'Università di Roma "La Sapienza".