Nell’ambito dei possibili scambi internazionali, quale Sostituto Procuratore presso la Procura della Repubblica di Trapani ho avuto la possibilità di prendere parte al programma Justfree a Parigi della durata di quattro giorni, risalente a novembre 2021.
Prima di illustrare l’esperienza parigina, intendo premettere che tale è stata la mia prima esperienza di questo tipo, tuttavia gli spunti di interesse e riflessione, il concreto confronto con i colleghi di tutta Europa, mi ha entusiasmato e mi ha spinto a fare domanda per altri corsi internazionali, ai quali, successivamente, ho preso parte. Da ultimo, nel novembre 2022, in Romania per uno scambio EJTN di due settimane.
Diversamente dai programmi di scambio di breve o lunga durata, il corso a cui ho preso parte non era finalizzato alla presentazione del sistema giudiziario francese, quanto piuttosto a creare una tavola rotonda alla quale facessero parte rappresentanti, sia giudicanti che requirenti, dei vari Paesi dell’Unione europea, per confrontarsi specificamente sul tema del rapporto tra giustizia e media anche alla luce della direttiva 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 09.03.2016.
Pur senza pretesa di esaustività, stante la complessità del tema, per comprendere a pieno l’utilità dello scambio, si ritiene opportuna una breve premessa. La direttiva sopracitata prevede il diritto dell’indagato/imputato a essere considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia dimostrata in via definitiva oltre ogni ragionevole dubbio (art.3); il divieto per le autorità pubbliche di rendere dichiarazioni pubbliche contrario alla suddetta presunzione d’innocenza (art.4, par.1); la divulgabilità di informazioni inerenti i procedimenti penali solo qualora ciò sia necessario per motivi connessi all’indagine o per l’interesse pubblico (art.4, par.3); il divieto di presentare l’indagato/imputato, in tribunale o in pubblico, come colpevole attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica, salve per ragioni di sicurezza (art. 5); l’onere per l’accusa di provare la colpevolezza degli indagati e imputati, salvo l’eventuale obbligo per il giudice o il tribunale di ricercare prove a carico e a discarico e il diritto della difesa di produrre prove in conformità del diritto nazionale applicabile (art.6, par.1); il principio secondo il quale ogni dubbio sulla colpevolezza è valutato in favore dell’indagato/imputato (art.6, par.2); il diritto dell’indagato/imputato di restare in silenzio e di non autoincriminarsi rispetto al reato che gli viene contestato e il divieto di utilizzare contro l’indagato/imputato l’esercizio de predetti diritti (art.7, par.5); il diritto dell’indagato/imputato a presenziare al proprio processo (art.8, par.1 e 2); l’obbligo per gli Stati di prevedere un rimedio effettivo in caso di violazione dei diritti previsti dalla direttiva (art. 10).
L’ordinamento italiano, in un primo momento, non aveva esercitato la delega di cui alla L. n. 163 del 25 ottobre 2017 ritenendo erroneamente che l’ordinamento interno fosse già conforme ai contenuti della direttiva europea. Tuttavia, alla luce delle criticità rilevate dalla Commissione europea, e che avevano dato luogo all'apertura di procedure di infrazione nei confronti di altri paesi dell’Unione, si è deciso di procedere a una nuova delega con la L. 22 aprile 2021, n. 53, recepita poi nel D.Lgs. 8 novembre 2021, n. 188. Da ultimo il quadro viene poi ulteriormente implementato dalla risoluzione del CSM in data 11 luglio 2018, contenente le linee-guida per l’organizzazione degli uffici giudiziari ai fini di una corretta comunicazione istituzionale, e costituente coerente sviluppo delle precedenti delibere del CSM in data 24 settembre 2008 e in data 20 febbraio 2008, dedicate al tema dei rapporti tra l’ufficio del pubblico ministero e gli organi di informazione.
Tanto premesso, il tema centrale dello scambio oggetto del presente articolo è stato proprio quello di confrontarsi sulle diverse esperienze europee in relazione al delicato bilanciamento tra le opposte istanze in tema di informazione giudiziaria: da un lato esiste il diritto di cronaca giudiziaria che impone che i cittadini, nel nome dei quali la giustizia è amministrata, siano portati a conoscenza dei fatti di maggior interesse sociale, culturale, politico e dall’altro il diritto dell’indagato o dell’imputato che, stante la sopracitata presunzione di innocenza, potrebbe vedersi coinvolto in una spettacolarizzazione delle inchieste giudiziarie aprendo il sempre più sensibile tema della cd. “giustizia mediatica”. È la questione che parte della dottrina definisce il problema del processo “spettacolo”, è l’infotainment che caratterizza a volte il rapporto dei media con la giustizia con la possibile conseguenza che la decisione del pubblico “anticipi” quella del giudice, con il rischio che quest’ultima passi sotto traccia una volta adottata, anche se diversa a quella iniziale[1].
Il convegno, quindi, si articolava in due momenti. La mattina era dedicato a incontri frontali durante i quali i relatori ricostruivano sia le normative interne di riferimento che le criticità del proprio paese. Il profilo di maggiore interesse è sicuramente l’aver scelto diverse professionalità per tale scopo, avendo avuto cura di selezionare rappresentanti di ciascuna delle esigenze descritte. Erano pertanto presenti magistrati, avvocati e giornalisti impegnati nella cronaca giudiziaria.
Durante il pomeriggio, invece, il programma prevedeva la composizione in sottoclassi, composte da una decina di persone, nelle quali era previsto un confronto tra tutti i presenti su temi di assoluto interesse. Per quanto mi riguarda, tra l’altro, ho partecipato a una sezione nella quale la referente era la responsabile della gestione dei social network della Procura di Amsterdam.
In particolare, ha spiegato come in Olanda – così come in Francia – la maggior parte delle articolazioni della giustizia siano dotate di profili sui maggiori social network (Instagram, Facebook, Tiktok) e il suo lavoro consistesse, sostanzialmente, nel fornire l’informazione provvisoria di determinate operazioni, nonché seguire l’andamento di “gradimento” dell’ente di riferimento, rispondendo in via ufficiale ad eventuali disinformazioni o ai cd. “haters”. Spiegava come, pur non laureata in giurisprudenza ma in marketing, fosse in costante contatto con i magistrati e la polizia dai quali traeva le informazioni, e per loro conto fornisse le notizie ufficiali da diramare all’esterno. È stato particolarmente interessante prendere atto di come in molti paesi vi sia una particolare attenzione alle modalità di esternazione di informazioni relative a indagini e/o a operazioni di polizia. Tale attenzione verterebbe non solo sulla selezione dei contenuti ma anche alle modalità espositive: questa è d’altronde la ragione per cui si è scelto, in alcuni paesi, di individuare professionalità che non siano “tecniche” e che pertanto riformulino i contenuti dati loro dall’Autorità giudiziaria in termini che siano immediatamente comunicabili all’esterno anche tramite “post”.
Durante il confronto è emerso, inoltre, come molti paesi abbiamo questo sistema di informazione, non comprendendo come nel nostro ordinamento non fosse prevista un apposito profilo social network per ciascuna articolazione della giustizia. Ancor più incredibile appariva per i miei colleghi europei, e per la coordinatrice del gruppo, come nel nostro ordinamento l’informazione non fosse veicolata da organi interni preposti alla comunicazione (con competenze specifiche in materia), ma sia demandata direttamente ai magistrati e in particolare al Procuratore. Analogamente, molta distanza si è riscontrata sull’assenza della prassi da parte dei Tribunali di merito di rilasciare informazioni provvisorie, laddove ho potuto riscontrare come il ruolo del Presidente del Tribunale, in relazione alle comunicazioni di notizie di interesse pubblico, in molti paesi europei sia assolutamente assimilabile a quello che nell’ordinamento italiano è riservato al Procuratore. Ovviamente tale modalità accentrata, si diceva, potrebbe frustrare anche la professionalità dei giornalisti di cronaca giudiziaria che hanno tutto l’interesse, non solo a comunicare e riportare all’esterno le informazioni giudiziarie, ma anche eventualmente contestualizzare financo criticare, nel rispetto del principio di continenza, i provvedimenti dell’Autorità giudiziaria.
Si tratta di temi particolarmente delicati, in relazione ai quali il corretto bilanciamento di interessi in gioco subisce inevitabilmente la storia sociale, politica e giudiziaria di ciascun paese, sicché tale diversità di presupposti ha virtuosamente condotto a illustrare le esperienze di ciascun in modo dubitativo e costruttivo di fronte a prospettive diverse.
Accanto a questo tema si è poi affrontato quello relativo all’uso personale dei social network da parte dei magistrati.
Anche rispetto a questa questione, gli approcci nei vari paesi sono molto diversi tra loro: da lato c’è chi prevede un account ufficiale – ogni magistrato, infatti, si vede assegnare unitamente all’email istituzionale un account facoltativo ma istituzionale per i social network più popolari – e chi invece esclude l’utilizzo di social network nell’ambito dell’attività lavorativa, e anzi integra il quadro deontologico con risoluzioni emanati dagli organi di autogoverno o delle rappresentanze sindacali in punto di termini e modalità di utilizzo, anche dei profili personali.
Sul punto si richiama il contenuto della relazione del Massimario della Suprema Corte di cassazione in tema di “attività secondarie e l’uso dei social media da parte dei magistrati” [2] nonché della delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa che, nella seduta del 25 marzo 2021, ha illustrato le linee guida in tema di uso dei mezzi di comunicazione elettronica e dei social media da parte dei magistrati amministrativi. In sintesi, è un provvedimento – che secondo la relazione del massimario riportata in nota deve essere valorizzata anche nell’ambito dei magistrati ordinari – in cui si richiama in primis la necessità che l’uso dei social media avvenga in maniera tale da garantire il rispetto dei diritti dei consociati e la dignità, l’integrità l’imparzialità e l’indipendenza del magistrato e dell’intero corpo della magistratura. Inoltre, esplicitano, con riguardo ai magistrati amministrativi, l’esigenza di rispetto del canone di continenza espressiva, che, per i magistrati ordinari, è già desumibile dalle generali regole deontologiche[3] che prescrivono la sobrietà e la compostezza dei comportamenti.
Sono molto diverse quindi le soluzioni assunte dai diversi Paesi e, dal confronto costruitosi durante i diversi incontri, è stato particolarmente interessante ricostruire non solo le soluzioni adottate da ciascun paese, ma soprattutto il percorso logico che ha condotto i diversi ordinamenti a preferire una o l’altra impostazione. A tale incontro si è pensato di fare seguire ulteriori incontri da svolgere con modalità similari, in altri sedi europee, proprio per proseguire in questo percorso di analisi volto a uniformare i diversi ordinamenti.
In conclusione, ritengo assolutamente formativa, utile e virtuosa la promozione di iniziative che abbiano un risvolto internazionale, e soprattutto europeo. In generale, è auspicabile continuare a sviluppare momenti di incontro volti a uniformare, nel pieno rispetto dell’autonomia di ciascun paese, alcuni aspetti della giustizia, ciò a maggior ragione alla luce dell’istituzione della Procura europea. Penso che il confronto con colleghi in servizio in altri paesi sia occasione di grandissimo arricchimento professionale e per questo, non solo continuerò a fare domande di partecipazione a tali scambi, ma penso sia utile per ciascuno di prendervi parte, costituendo crescita personale e professionale.
[1] https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/upload/5408-ferrarelladpctrim317.pdf
[2]QUESTIONARIO_SULLE_ATTIVITA_SECONDARIE_DEI_GIUDICI_REPUBBLICA_CECA_.pdf (cortedicassazione.it)
[3] Codice etico | Associazione Nazionale Magistrati (associazionemagistrati.it)