GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Guardati, guardati bene. Non quell’osservare fugace, quel correre superficiale sulla pelle di quando ti fai la barba o ti conti le rughe più recenti. Guardati bene, guardati dentro, potresti avere delle sorprese.

    Lo so che non sei stato tu, che pensi che chi fa certe cose è uno psicopatico, un reietto della società, uno squilibrato. Tu non lo faresti mai, tu sei innocente.

    Forse è vero, non l’hai mai fatto e mai lo farai. Probabilmente chi ti ha educato quando eri un  bambino ti ha detto no, con fermo e attento amore. È stata una fortuna quel no, e ora hai gli strumenti per capire qual è la differenza fra l’essere protettivo e l’essere proprietario, fra il rispetto e il possesso, fra un uomo e un bambino viziato.

    Ma è sempre utile insinuarti con cura negli interstizi dell’anima: magari non incontrerai una parte nera e inconfessabile, il pensiero buio che presagisce un’azione orribile. Ma potresti trovare la complicità passiva, la testa che si gira dall’altra parte quando dovresti intervenire.

    Inizia allora dal no che hai ricevuto: chiediti se sei stato altrettanto fermo e amorevole nel dirlo ai tuoi figli, ai tuoi amici, a tutti quelli che a te si affidano. Comunica quel no: ti è stato dato per tramandarlo, perché la civiltà e i doveri e i diritti non sono altro che un passaparola.

    Se non hai mai avuto un no, indaga meglio nelle pieghe più recondite e domandati se ti sei mai sentito proprietario di un’altra persona, se hai mai formulato nel tuo pensiero la frase “la voglio, quindi deve essere mia”, se hai giudicato intollerabile l’abbandono. Questo è il bordo del precipizio: pensare di poterti rapportare a una possibile compagna della tua vita, o anche di un solo occasionale incontro, come se fosse una macchina nuova che vuoi avere o tenere a tuo piacimento, costi quel che costi. Non rapinerai mai la concessionaria che vende l’auto, non prenderai mai con la forza la donna che ti attrae: ma sei a un passo dal desiderio di farlo.

    Potresti però non avere l’istinto del possesso, ma semplicemente provare invidia per quella donna che vive la propria felicità senza coinvolgerti e senza condividerla. Invidia della bellezza e dell’intelligenza, delle speranze giovani e delle serenità adulte, in un mondo in cui pensi di stare male perché non fai tuo ciò che gli altri hanno, non appari come gli altri appaiono.

    Coltiva allora quel no che ti hanno insegnato o che più tardi ti hanno comunicato, fallo crescere e prosperare anche nella tua vita adulta, senza rinunciare ai sogni e ai desideri ma declinandoli solo con la frase “mi piacerebbe”.

    Ma anche se hai ogni buon motivo per autoassolverti, se sei sicuro che mai ti ha sfiorato il pensiero del possesso e dell’invidia, questo non dovrà fermare la tua indagine interiore. Prova a contare quante volte da ragazzo, o anche da adulto, hai espresso con i tuoi amici propositi di conquista solo per fregiarti della vittoria; quante volte hai riso a battute sessiste per essere parte del gruppo; quante volte hai pensato, girandoti da un’altra parte, che la sopraffazione, la violenza anche minima, il controllo possessivo e ossessivo delle vite non fossero affar tuo.

    Troverai là la tua colpa: aver pensato che tirandotene fuori avresti potuto sempre dire “io non l’ho fatto, io non lo farei mai”. Affinché non ci faccia provare vergogna ciò che tu vedi allo specchio, che io vedo nel mio specchio, non basta star fermi: si deve agire, una buona volta, aiutando e proteggendo chi ha bisogno, mettendoci alla pari con i desideri altrui.

    Dicendo sempre a noi stessi e agli altri quel benedetto no, con fermo e attento amore.  

    * in copertina Egon Schiele, Autoritratto con camicia rigata, 1910

    Di che materia è fatta la scienziata?  Intervista di R. Conti e M. C. Amoroso ad Anna Grassellino

    Di che materia è fatta la scienziata?

    Intervista di R. Conti e M. C. Amoroso ad Anna Grassellino

    Di che materia è fatta la Professoressa Anna Grassellino,  scienziata e direttrice   del centro  Superconducting Quantum  Materials  and Systems (SQMS) con sede al  Fermilab (Fermi National Accelerator Laboratory) di Batavia, uno dei templi della fisica moderna?
    Di tenacia, studio costanza e perseveranza, perché da ragazza è partita da Marsala, con in tasca un diploma con lode, per laurearsi a  Pisa, con una  tesi in microelettronica,  per poi dirigersi ancora più lontano negli States, arrivando a lavorare con Nigel Lockyer, direttore del Fermilab, uno dei più importanti fisici al mondo delle particelle sperimentali.
    Di competenza elevatissima, perchè in Pennsylvania, Philadelphia, Vancouver ha raccolto incredibili successi, fino a ricevere, nel 2017,  dalla mani del Presidente Barak Obama, il “Presidential Early Career Award for Scientists and Engineers”,  il massimo riconoscimento  del governo USA ai giovani  professionisti della ricerca scientifica.
    Di  creatività e di sogno, perché con la sua preziosa forza visionaria, a 40 anni, ha accettato dal Department of Energy degli Stati Uniti (DOE) l’incarico  di realizzare, alla guida del SQMS,  in soli cinque anni, il più evoluto computer quantistico al mondo basato su tecnologie superconduttive, che dovrà essere in grado di fornire soluzioni ai  problemi complessi irrisolvibili con l‘ausilio dei computer tradizionali che utilizzano i bit, e di sviluppare nuovi sensori quantistici  utili ad implementare la ricerca sulla natura della materia oscura e di altre particelle subatomiche sfuggenti.
    Una donna, moglie di uno scienziato altrettanto brillante e madre di tre figli, che ha messo a disposizione la sua vita per la conoscenza, che dovrà imprimere una svolta fondamentale nel progresso tecnologico di sicuro impatto  nelle scienze della vita, nella medicina, nella biologia, nella sicurezza nazionale, a tacere della possibilità di raggiungere misurazioni di incomparabile precisione e sensibilità.
    Semplificando terribilmente una questione di grande complessità, al centro delle potenzialità rivoluzionarie del quantum computing, c’è il “qubit”, l’elemento base di un computer quantistico; se un bit classico immagazzina un valore binario (0 oppure 1), un qubit, sfruttando le leggi della meccanica quantistica, può immagazzinare un’arbitraria sovrapposizione di stati di 0 e di 1, contenendo un più elevato numero di informazioni.
    La Professoressa Grassellino ed il suo staff, unitamente ad altre venti istituzioni, (tra cui l’INFN, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare italiano, l’unico partner non statunitense del progetto), dovranno, quindi, in estrema sintesi, superare uno dei problemi più importanti della computazione quantistica: la limitatezza del  cosiddetto “tempo di coerenza” ossia il tempo in cui un qubit (bit quantistico) mantiene inalterate le informazioni in esso contenute. La vittoria sarà la realizzazione di nuovi tipi di qubit capaci di conservare intatta l’informazione immagazzinata per tempi molto più lunghi di quanto sia possibile attualmente, l’individuazione e l’eliminazione dei fattori in tal senso limitanti (i cd. fattori di decoerenza).

    Un’eccellenza italiana  alla quale siamo davvero grati  per il tempo dedicatoci attraverso due collegamenti via Zoom Italia-Chicago,  difficili da dimenticare per la naturalezza e la sincerità di una scienziata che non ha perso i tratti del suo essere normale ed al contempo speciale, anche nel ricordare i suoi illustri predecessori italiani, vanto dell'italianità nel mondo. Una persona che incarna il sogno di chi vuole arrivare e che non ha mostrato affatto di essere appagata dai riconoscimenti ricevuti.

    Professoressa Grassellino,  ci piace cominciare dalla lingua italiana. Cos’è per Lei, una lingua dimenticata, un ricordo o un valore?

    L’italiano è per me tutt’altro che una lingua dimenticata, la parlo quotidianamente con molti dei miei collaboratori, e praticarla mi consente di mantenere salde le mie radici. Sono fermamente convinta che esprimersi in più lingue è una grande risorsa perché consente di entrare in contatto più profondo con i saperi degli altri Paesi. Ultimamente tutti puntualizzano che parlo ormai anche “l’italese”, un personale innesto tra italiano e inglese che testimonia la mia doppia anima.

    Lei che è nata nella siciliana Marsala, ha studiato nella toscana Pisa e si è affermata negli Stati Uniti si sente migrante, ha incontrato muri che hanno reso difficile la sua affermazione professionale e cosa le fanno pensare i muri che sempre più spesso si ergono rispetto al fenomeno universale delle migrazioni?

    Il settore scientifico per fortuna è uno dei pochi veri mondi globali, l’internazionalità della scienza si sente tutta, ed è la chiave della efficacia  delle scoperte. Personalmente ho viaggiato e mi sono spostata molto senza mai sentirmi una emigrante, ho mosso i miei passi come una scopritrice della scienza alla  ricerca di un posto nel mondo, una esploratrice e non una giovane donna che si allontanava da qualcosa. In questo momento sono al Fermilab, ma non è detto che questa sia la mia destinazione finale, dopo i cinque anni previsti per la realizzazione del progetto potrei di nuovo rifare le valige.

    Lei ha un modello italiano di scienziato al quale si ispira?

    Sicuramente mi ispiro a Rita Levi Montalcini perche per me Lei è soprattutto uno spettacolare esempio di tenacia. Ha  superato barriere e ostacoli con costanza e forza, portando avanti le cose in cui credeva in un momento storico in cui essere donna e scienziata era davvero una anomalia. Riuscire a costruire un laboratorio in casa e diventare professoressa, contro il suo tempo, una vera rivoluzione.

    Enrico Fermi ed Ettore Maiorana. Come descriverebbe questi due scienziati e cosa rappresentano per lei e per il mondo in cui lavora.

    Per me Fermi e Maiorana  sono due scienziati che hanno aperto le porte al mondo dello studio delle particelle. Le loro figure ispirano orgoglio e fierezza e la loro autorevolezza è percepita chiaramente e con forza  dagli scienziati  italiani e da tutto il contesto internazionale. Per me sono davvero due grandissimi geni.

    Esiste un limite alla ricerca oltre il quale la ricerca ha il dovere di fermarsi? Insomma, esiste una coscienza dello scienziato?

    Anche Fermi ad un certo punto nella sua attività arrestò i suoi passi, mi riferisco al Progetto Manhattan. La sfida  della scienza è proprio di agevolare il progresso e lo sviluppo tecnologico in modo da far sì che non si ritorca contro la stessa umanità. Il problema si è posto sovente proprio in occasione del progetto cui sto lavorando, nel quale  sono previste  figure professionali che si occuperanno specificamente degli aspetti etici dell’allestendo computer quantistico proprio per far fronte alle sue  potenzialità inimmaginabili che necessitano di essere tenute  sotto controllo. Lo scienziato, per me, deve essere l’argine alla deriva della tecnologia facendosi carico di indirizzarne lo sviluppo avendo quale obiettivo il  bene della società. Sicuramente posso dire che bisogna vedere ed intercettare in maniera lungimirante i limiti delle scoperte e fare i conti con essi.   Del resto, se ci pensiamo, è questo il periodo in cui sono maggiormente visibili gli effetti negativi di uno sviluppo tecnologico non controllato: la prepotente iperconnessione imposta dalla pandemia, ci consente da un lato di far fronte all’immobilismo dettato dal COVID  utilizzando i servizi on line, dall’altro lo spostamento delle attività in rete e la sempre maggiore offerta di notizie in essa contenute determinano a mio avviso la serissima difficoltà di discernere tra quanto è vero e quanto è  falso.

    La laicità dello scienziato. Anche nel mondo dei giuristi si discute molto delle influenze fra il piano religioso e quello dell’esercizio della funzione di giudicare. Quanto incidono le sue personali convinzioni religiose sulla sua attività di ricercatrice e scienziata? Si può capire l’origine dell’universo senza pre-convinzioni?

    Le convinzioni personali guidano costantemente il cammino di noi scienziati. Io, ad esempio, credo fermamente che la scienza sia il motore più importante  della società,  l’esperienza della pandemia ci ha fatto toccare con mano la necessità assoluta dello sviluppo della medicina, della biologia e di come non si possa prescindere da scoperte e rimedi e dall’avanzamento della tecnologia. E’ mia convinzione, inoltre,  che la ricerca debba essere perseguita ed incentivata anche qualora non si intraveda il risultato applicativo immediato. Alle convinzioni religiose invece antepongo la ricerca oggettiva della verità, ho da sempre preferito osservare quanto disvela la natura. Posso dire che religione e scienza non sono antitetiche in assoluto, dipende dagli scienziati, ad esempio Zichichi è stato sempre animato da un profondo senso religioso, ma per me non è così. Non c’è una inconciliabilità preconcetta, ma è un connubio che può appartenere o meno ad ognuno di noi.

    E quanto è importante la cooperazione ed il fare squadra  per chi fa scienza?

    Le collaborazioni estese, la squadra, fanno confluire in un centro condiviso la molteplicità di competenze che sussistono nel mondo, cooperazione significa fare  della scienza una sapienza allargata. Qui al Fermilab chi collabora proviene da ogni parte del globo e per questo offre al progetto ricchezza e conoscenze variegate.

    Il valore del team numeroso è quindi indubbio. Tuttavia va anche detto che poi, all’interno del gruppo è altrettanto necessaria una guida che sappia autorevolmente ricondurre ad unità tutti gli apporti. E’ assolutamente importante che il leader trovi un equilibrio sapiente tra l’obiettivo del progetto e lo sviluppo del singolo che partecipa al progetto. Sicuramente i ricercatori devono trovare una realizzazione nelle attività, ma è compito del leader fare in modo che la realizzazione di ciascuno, le sue proposte, le sue idee siano sempre indirizzate verso il fine da raggiungere.  

    Si sente un modello per le nuove generazioni come donna o semplicemente come persona  che ha scelto di arricchire il mondo e di studiare?

    Io mi sono sentita per molto tempo solo una persona  che ha scelto di arricchire il mondo e di studiare, ma di recente, grazie anche all’attenzione che mi ha riservato il mio Paese, inizio a sentire l’onore di essere un modello per le nuove generazioni e per tutti coloro che amano il mondo della scienza. Mi piace pensare che prendendo me ad esempio molti  giovani potrebbero scegliere di contribuire allo studio del mondo tecnologico, sapendo che anche loro possono raggiungere i loro obiettivi e sogni.  

     Quale aiuto ha ricevuto come donna-scienziata negli Stati Uniti? Esiste un problema di discriminazione di genere nel suo mondo e/o di disparità di trattamento economico nel suo campo fra uomo e donna?

    Sicuramente c’è anche in questo contesto molta disparità. Confrontando gli Stati Uniti con l’Italia la mia sensazione è che in Italia sia più agevole per le donne la scelta delle facoltà scientifiche ma che, di converso, ci sia meno promozione delle stesse nel mondo del lavoro; negli Stati Uniti vedo, invece,  meno donne nelle facoltà, ma maggiore promozione per il loro inserimento nei contesti lavorativi. Come manager mi occupo proprio di monitorare e revisionare costantemente le condizioni di salario e di carriera delle donne presenti nella mia divisione. In questa attività  sono anche  coadiuvata da una specifica struttura che si occupa di questo. Posso dire quindi che qui  c’è veramente molta attenzione su questi temi.

    Pensa che l’aver creato una famiglia in Italia le avrebbe in qualche modo impedito di raggiungere il successo che ha avuto? E se si, quali sarebbero, a suo avviso, le azioni positive da mettere in campo per evitare che la crescita sentimentale e familiare sia un freno a quella professionale?

    Personalmente non ho vissuto l’esperienza italiana essendo andata via dal nostro Paese prima di aver creato una famiglia, ma dai racconti di colleghi che conosco posso sicuramente affermare che negli Stati Uniti ci sono condizioni molto diverse che rendono più agevoli percorsi come il mio. Innanzitutto gli stipendi sono molto soddisfacenti, ed era così già da dottoranda. L’adeguatezza della ricompensa economica  ti consente di avere gli aiuti necessari. Poi ci sono le strutture; personalmente ho beneficiato dell’asilo del Fermilab, ciò ha consentito che  dopo solo dodici settimane dalla nascita del mio bambino io fossi già nuovamente a lavoro, avendo la possibilità di  recarmi da lui ogni due ore. A queste condizioni è tutto più facile e di conseguenza la maternità estesa a più di un anno è una opzione poco praticata più che una necessità.

    Una scienziata donna in un paese, gli Stati Uniti, in cui le discriminazioni razziali sembrano ancora presenti e divisive. Con l’occhio di una donna-scienziata come vive questo problema?

    Io penso che l’America sia un paese dove la realtà è molto complessa. Esiste la discriminazione razziale , ma è anche molto elevata l’attenzione a correggere tali situazioni. Sicuramente l’amministrazione Trump è stata la negazione  di una modalità anche espressiva non discriminatoria, Il problema esiste ma su di esso registro quotidianamente molta considerazione e cautela.

     Lei ha detto  di credere in quattro punti chiave: coraggio, fiducia, conoscenza e sogno. Si sente di fare una graduatoria in termini di importanza fra questi punti cardinali?

    Il sogno è il motore: serve avere grandi ambizioni per  fare grandi cose. Nella mia carriera ho raggiunto posizioni molto soddisfacenti ma non mi è bastato, ho sentito la necessità di fare ancora di più e poi di più perchè solo così nella mia vita entusiasmo. Al secondo posto metto la conoscenza, la verità della conoscenza dei fatti, dei numeri, dell’oggettività. La rovina è la soggettività delle informazioni che confonde il pensiero e che determina schieramenti di idee irreali e non legati alla reale comprensione.

    Realizzato il sogno del più grande computer quantistico della storia, come cambierebbe l’attuale prospettiva del mondo scientifico? E quali sarebbero le ricadute negative da evitare?

    Il computer quantistico disegnerà nuove frontiere utilissime perché consentirà in pochi minuti computazioni per le quali i computer classici impiegano ore. Aiuterà a capire il mondo che ci circonda, il comportamento delle molecole e delle particelle, con riflessi importanti per il mondo della medicina e della biologia. E importantissime saranno anche le ricadute sulla sicurezza nazionale. 

                                                                                                        ***

    Gli impegni rapiscono all’improvviso la Professoressa, tanto da lasciare inevase le altre domande pensate  per l’intervista.
    Avremmo voluto chiederLe  quali, secondo Lei, avrebbero potuto essere i passi futuri per assicurare a tutti la fruibilità delle nuove risorse scientifiche, o cosa sarebbe servito, a suo avviso, per incentivare il ritorno in Italia dei cervelli in fuga. Ci sarebbe piaciuto sapere quale era il suo libro o la sua favola preferita.
    Comprendiamo dalla sua sollecitudine quanto sia stato prezioso il tempo dedicatoci e quanta passione anima la volontà di questa giovane scienziata che ha già chiaro dove vuole portare il progresso, al punto che la determinatezza e la lucidità  che la guidano Le consentiranno di andare oltre i sogni del giorno prima e di trainare col suo entusiasmo  la società verso nuovi orizzonti destinati forse a cambiare la scienza ed il mondo. E ci ha colpito davvero, fra tutti, l'accostamento del sogno alla verità oggettiva, alla conoscenza laica dei fatti, dei numeri. Categorie in apparenza così distanti ma  che la scienziata avverte come interconnesse, indispensabili non solo per raggiungere traguardi personali importanti, ma soprattutto per le nuove generazioni che si troveranno nelle mani un mondo complesso nel quale tendono ad inabissarsi  e  scomparire posizioni di comodo, rendite di posizione e nicchie di potere intoccabili.
    Sentiremo sicuramente ancora parlare di lei. In grande.

     


     

     

     

    La violenza contro le donne, in qualsiasi forma sia declinata, dalla violenza domestica a quella sessuale, dal femminicidio allo stupro di guerra, colpisce tutti, è una cicatrice per le generazioni future, crea disgregazione sociale e rappresenta sempre una ferita indimenticabile per l’intera comunità umana, nazionale o internazionale che sia.

    La pandemia ha scoperchiato il calderone  bollente della violenza domestica che una normativa nazionale ancora troppo giovane e non sperimentata (1), insieme alle restrizioni imposte dal lockdown, non ha consentito di arginare adeguatamente.

    Abbiamo scoperto che nella pandemia di tutti c’era una pandemia occulta che avevamo sempre avuto sotto gli occhi e che aveva fatto della casa, invece che un rifugio contro gli assalti del virus, un inferno in terra.

    È stato il primo violento colpo all’Agenda 20/30 che aveva aperto grandi prospettive al raggiungimento, in concreto, del goal n. 5 della parità di genere, obiettivo trasversale che inglobava in sé l’impegno, assunto da gran parte degli Stati, a una lotta concreta contro ogni forma di discriminazione, politica, amministrativa, di leadership ma anche a ogni forma  di violenza alla vita, alla sessualità e alla psiche delle donne, imponendo a tal fine regole di politica sociale e di diritto.

    Il conflitto russo-ucraino, con le deportazioni di donne e bambini e con gli abusi e le violenze sessuali massificate contro le donne, ha inflitto il secondo colpo .

    Ancora una volta, come per la pandemia, un evento del tutto imprevisto, come un conflitto nel cuore dell’Europa, ci ha costretti a riflessioni che già ci erano state offerte sia dalle cronache quotidiane di casa nostra sia dalle guerre, note o dimenticate, in corso o apparentemente cessati (nei territori della ex Jugoslavia, in Siria, Yemen, Sud Sudan, Darfur, Mali, Congo…impossibile citarli tutti), o dalle situazioni di conflitto civile come il Myanmar (ex Birmania) o l’Iran, che dimostrano come il corpo delle donne continui ad essere oggetto di brutale e inarrestabile violenza (2). E che le donne sono ancora protagoniste in negativo, sia nella vita sociale sia nei conflitti, dove la violenza contro le donne è stabilmente utilizzata per annientare un nemico e una comunità e dove la terra da sottomettere è associata alle sue donne da violare. Tanto che viene da chiedersi come si possano indagare a fondo gli eventi bellici e le loro conseguenze senza affrontarne la dimensione sessuale.

    La “tematizzazione dell’informazione" (3) ci porta a concentrarci quasi esclusivamente sul conflitto in corso. Ma non possiamo dimenticare le afghane che continuano ad essere assoggettate ad un regime oppressivo che le ha escluse dalla vita pubblica, politica, dal lavoro e dall’istruzione, insomma dalla vita.

    Né le donne iraniane il cui grido Donne Vita Libertà è stato se non annientato certamente represso nel sangue, nelle strade, nelle case e nelle carceri dove, dalle poche notizie che filtrano, l’abuso sessuale è, per le donne, la regola ordinaria di punizione prima della pena .

    Anche i dati di casa nostra non sono di conforto.

    Il trend crescente dei femminicidi è sconcertante. In aumento persino rispetto al 2021, definito un “anno di sangue”, ha raggiunto quota 100 nei primi 9 mesi del 2023, un numero drammaticamente simbolico di un fenomeno che non accenna ad arrestarsi e che è entrato di prepotenza nei nostri Tg, come dimostra il ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin, ultima di una lunga lista di nomi che raccontano uno schema sempre uguale.

    Affermare come ho letto da qualche parte, non ricordo dove (credo di aver rimosso) che il fenomeno è sempre esistito e che anzi le statistiche ci dicono che gli omicidi in Italia sono complessivamente diminuiti, significa non aver capito che i due fenomeni non hanno nulla a che vedere l’uno con l’altro, perché il femminicidio trova le sue radici nell’odio sessuale che spinge a violare e umiliare un altro corpo, nel senso di proprietà che assimila la donna ad un oggetto e nello stereotipo di genere che impone all’essere umano donna regole, convenzioni comportamentali e in fondo diritti diversi da quelli dell’essere umano uomo.

    Il dato delle violenze sessuali, anche di gruppo, non lo è da meno visto che si registra una evidente crescita delle denunce passate dal decremento del 2020 –4497- verosimilmente causato dalla segregazione e dalle difficoltà di accedere alla giustizia, alle 5991 del 2022 (4).

    Il fenomeno degli stupri di massa nelle guerre, la pagina più oscura e più oscurata della violenza di genere, pratica costante in tutti i conflitti e che spesso assume i connotati del genocidio, è un argomento solo apparentemente distante perché, come la violenza domestica, la violenza sessuale o il femminicidio, esprime lo stesso meccanismo di disprezzo per la vita e per i diritti umani in generale  e per quelli  delle donne in particolare (5).          

    E dunque evidente, com’è stato autorevolmente detto (6), che esiste una linea diretta tra la violenza contro le donne, l’oppressione, che può manifestarsi in ogni luogo, anche tra le mura domestiche o nelle relazioni cosiddette “d’amore” e i conflitti.    

    Il conflitto israelo-palestinese in corso non si sottrae a questa regola.

    Ce lo racconta un’immagine cruda e simbolica anche se risalente (5) che mostra una donna completamente velata stesa a terra con le gambe aperte e con sul petto la scritta “Gaza”. Terra da conquistare, donne da violare.

    Anche lì "l’inferno della punizione collettiva” (7) e la caccia all’uomo non risparmia donne e bambini, con violenze e abusi che collidono con il diritto umanitario e con i diritti sanciti per i civili dalla Quarta Convenzione di Ginevra, se è vero, come attestano i dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – OIM che conta circa 11 mila morti civili di cui circa la metà bambini tra cui i neonati morti nelle incubatrici rimaste senza elettricità (8). Le madri che piangono i figli non sono solo palestinesi. La violenza contro di loro è trasversale.

    Le madri del Women Wage Pace, arabe, israeliane e palestinesi, di religione cristiana, ebraica o  musulmana, che, senza bandiere, avevano marciato insieme il 4 ottobre, prima dell’attacco del 7 ottobre, continuano a farlo e chiedono a tutte le donne del mondo di unirsi a loro per fermare la follia della guerra che uccide i loro figli (9) .

    È stato detto (10) che così come la sfida morale cruciale dell’800 è stata l’abolizione dello schiavismo e nel '900 la battaglia contro il totalitarismo, l’epocale campagna di civiltà dei secoli a venire sarebbe stata la lotta per l’uguaglianza tra i sessi e la sconfitta della violenza contro le donne.

    Anche se il quadro attuale non è confortante…c’è ancora domani(11). Tuttavia sperare in questo domani non deve lasciare inerti.

    I campi in cui agire sono tanti. Migliorare la normativa a tutela contro la violenza alle donne con riforme effettivamente migliorative e non di mera bandiera (12) è certamente una strada importante da percorrere con convinzione.

    Ma il primo essenziale passo è portare il problema nelle scuole cominciando dalle primarie e a seguire negli altri gradi dell’istruzione.

    Educare le nuove generazioni al rispetto e alla valorizzazione delle differenze e della parità di genere in termini di linguaggio, espressioni, atteggiamenti è diventato un’emergenza sociale e strumento essenziale  per la prevenzione e il contrasto di episodi sempre più frequenti ed aggressivi di violenza contro le donne. E anche per indagare il punto di vista degli uomini, come ancora non si sta facendo, per capire quali insicurezze, stereotipi e giochi di ruolo si nascondono dietro questi modelli relazionali malati.   

     Note

    (1) Legge 25.7.2019 n. 69 nota come Codice Rosso.

    (2) Emanuela Zuccalà, Le guerre delle donne, Prefazione di Emma Bonino. Ed Infinito 2021.

    (3) Metodo di organizzazione del flusso dell’informazione e di valorizzazione e di visibilità di una specifica informazione alla quale si intende conferire una posizione dominante. La Comunicazione, dizionario di scienze e tecniche a cura di Franco Lever, Per Cesare Rivoltella e Adriano Zanacchi.

    (4) Dati del Ministero dell’Interno - Dipartimento di Polizia Criminale. Non ancora disponibili i dati del 2023.

    (5) Stupri di guerra e violenza di genere a cura di Simona Rocca Ed Ediesse.

    (6) Antonio Guterres  Segretario Generale ONU – Comunicato sulla guerra israelo-palestinese dopo l’attacco del 7 ottobre.

    (7) Espressione utilizzata in un articolo del 13.11.2023 – Piattaforma on line Valigia Blu.

    (8) Fonte ISPI- Istituto di Studi Politiche Internazionali – 13.11.2023.

    (9) Benedetta Perilli – La Repubblica- 23.10.23.

    (10) Half of the Sky – Nicholas Fristof e Sheryl Wudunn – Giornalisti- Premi Pulitzer  per il giornalismo d’inchiesta - 1990.

    (11) C’è ancora domani. Film di Paola Cortellesi. La storia di una violenza domestica sconfitta, almeno per un giorno, dal diritto di votare.

    (12) Legge 122/2023.

     

     

    L’estremo saluto al Protocollo n.16 annesso alla CEDU

    EDITORIALE

    Lestremo saluto al Protocollo n.16 annesso alla CEDU

    Alle 15,35 del 23 settembre 2020, innanzi alle Commissioni riunite II e III della Camera dei Deputati è proseguito l’esame del disegno di legge C. 1124 Governo e C. 35 Schullian, relativo alla Ratifica ed esecuzione del Protocollo n. 15 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 24 giugno 2013, e del Protocollo n. 16 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 2 ottobre 2013.

    Come emerge dal resoconto parlamentare il Presidente Cabras ricordava solennemente che nella seduta del 23 luglio 2020 era stato approvato un emendamento con il quale era stato espunto dall'articolato del testo base ogni riferimento alla ratifica del Protocollo n. 16. Il testo così modificato, proseguiva Cabras, inoltrato alle Commissioni per i relativi pareri, riceveva incondizionato assenso dalla Commissione Bilancio mentre la Commissione Affari costituzionali esprimeva il medesimo avviso, a condizione che  le Commissioni di merito provvedessero ad espungere anche dal titolo del provvedimento il riferimento al Protocollo n. 16. La Commissione Politiche dell'Unione europea, pur approvando il testo, per parte sua aveva invitato le Commissioni ad addivenire quanto prima anche alla ratifica del Protocollo n. 16, al fine di potersi avvalere di nuovi strumenti atti a favorire ulteriormente l'interazione e il dialogo tra i giudici nazionali e la Corte europea dei diritti dell'uomo, in coerenza con l'obiettivo di una maggiore armonizzazione ed efficacia nella tutela dei diritti e delle libertà fondamentali contemplati nella Convenzione e nei suoi Protocolli.

    Si celebrava, così, in forma solenne, l’estremo saluto  al Protocollo n.16 che intendeva – e intende, essendo ormai entrato in vigore per effetto delle ratifiche operate da 15 Paesi del Consiglio d’Europa – offrire la possibilità alle Alte Corti di richiedere, se ritenuto necessario rispetto al giudizio pendente, un parere non vincolante alla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo.

    L'esito finale avutosi nella sede parlamentare non  sorprende, essendo stato suggerito e accarezzato da una parte della dottrina costituzionalistica italiana con argomentazioni che hanno offerto lo spunto per la non ratifica a  forze politiche di varia estrazione, come risulta dai lavori assembleari.

    Approvata la modifica del titolo il provvedimento veniva quindi inviato all’Assemblea della Camera che il 30 settembre 2020 lo approvava trasmettendo il testo al Senato. La relatrice del provvedimento dichiarava in quell’occasione che “il rinvio al futuro” della ratifica del Protocollo n.16 era sorta a “causa di profili di criticità connessi al rischio di erosione del ruolo delle alti Corti giurisdizionali italiane e dei principi fondamentali del nostro ordinamento.”

    Nella stessa direzione si poneva buona parte dei Deputati  intervenuti  nella discussione in Aula, nel corso della quale non sono mancate manifestazioni di autentico plauso all’indirizzo delle Commissioni, visto che il Protocollo n.16  avrebbe posto una pietra tombale sulla sovranità giuridica italiana, favorendo una deriva europeista in campo giuridico preoccupante per la giustizia italiana.

    In nome di una “presunta” salvaguardia dell’autonomia nazionale si è dunque celebrata la mancata ratifica di un trattato internazionale sottoscritto dall’Italia che priva proprio le Alte giurisdizioni italiane- Corte Suprema di Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei Conti  e la stessa Corte costituzionale – dell’opportunità formidabile  di dialogare in via preventiva  con la Corte edu malgrado non fossero mancati espliciti riferimenti all’estrema utilità di tale strumento provenienti da quegli stessi ambienti giudiziari -ed in particolare dai vertici della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, da Guido Raimondi, già Presidente della Corte edu,  dall'attuale giudice italiano alla Corte edu e dalla stessa Corte costituzionale-.

    Sulla scelta del Parlamento si registra, ora, un silenzio assordante degli organi rappresentativi della magistratura e delle sue articolazioni culturali.

    Giustizia Insieme intende accendere i riflettori sul tema e riaprire il dibattito nell'Accademia, nelle giurisdizioni e nella società civile, auspicando che il legislatore riattivi prontamente il procedimento di ratifica del Protocollo n.16 per dare voce e spazio ai diritti fondamentali di tutti quelli che si attendono una risposta giudiziaria da parte dei giudici nazionali che intendono dialogare con le Corti sovranazionali, cogliendo l’estrema importanza e l’imprescindibilità  di quel confronto che assume i tratti della equiordinazione e non della gerarchia. Sperando così che il Protocollo n.16 possa resuscitare presto in Parlamento. 

      

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