Sicurezza e sfruttamento sul lavoro. Come spezzare la catena
Presentazione di Tiziana Orrù
Con la fine della XVIII legislatura della Repubblica Italiana si concludono anticipatamente i lavori della Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati, costituita presso il Senato e presieduta dal senatore Gianclaudio Bressa.
La Commissione, oltre alle tradizionali audizioni di associazioni, sindacati ed esperti nelle sedi parlamentari, è uscita all’esterno del ‘Palazzo’, con sopralluoghi e visite ispettive in tutto il territorio nazionale per acquisire “sul campo” elementi utili ai compiti istituzionali.
Sicurezza e sfruttamento costituiscono due costanti insopprimibili del mondo del lavoro: la Commissione parlamentare ha provato a spezzare questo dualismo evidenziando da un lato che infortunarsi sul lavoro, spesso con esiti mortali, non ha solo un costo di dolore per il lavoratore e la sua famiglia, ma costituisce un danno per la stessa azienda e per l’intera società. Stimare gli impatti economici e sociali di sfruttamento e mancata tutela di salute e sicurezza sul lavoro non è semplice, ma secondo la Commissione occorre al più presto trovare un sistema di misurazione condiviso, un indicatore economico che consenta di valutare i danni dell’inosservanza delle norme e al tempo stesso i benefici che derivano dall'applicazione delle normative in materia di sicurezza e di regolarità del rapporto di lavoro, considerando anche il return on prevention per l’Italia. Questo nuovo indicatore può essere realmente l’unico vero indice di legalità e di illegalità del lavoro nel nostro Paese.
Da un altro lato la Commissione ha denunciato il lato oscuro del mercato del lavoro in evoluzione con la transizione digitale. L’utilizzo sempre più massiccio delle nuove tecnologie ha fatto emergere il fenomeno del “caporalato digitale” dove i lavoratori della gig economy hanno sostituito i braccianti agricoli. Non è più soltanto il furgone a caricare al mattino i lavoratori in attesa della chiamata, ma è l’uso degli algoritmi che costituisce il fulcro per lo sfruttamento dei lavoratori. Ecco, allora, che il pericolo più profondo è che l’algoritmo e, più in generale, l’intelligenza artificiale possano diventare strumenti senza controllo.
Il nuovo “caporalato” nei magazzini della logistica non risulta ancora documentato in modo rigoroso, ma è del tutto simile a quanto avviene in agricoltura. Nel comparto la Commissione ha registrato fenomeni di severo sfruttamento lavorativo, con controlli e ritmi serrati che ricalcano le condizioni di lavoro nelle catene di montaggio degli anni Sessanta. Non a caso le vittime degli incidenti sul lavoro sono, la maggior parte delle volte, gli anelli deboli della catena lavorativa. Se a subire quasi sempre gli eventi lesivi sono gli operatori della fascia più bassa, evidentemente vi è un sistema dell’impresa che spesso, soprattutto in alcune aziende medie o piccole, non presta la dovuta attenzione agli obblighi della sicurezza e scarica sui lavoratori i deficit dell’ambiente di lavoro.
Non si muore, dunque, soltanto di cadute dall’alto o per schiacciamento, ma anche di cattiva organizzazione.
Il 25 maggio 2022 in un convegno alla presenza, in qualità di relatori, del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, della Presidente della Commissione lavoro del Senato e del Direttore Capo dell’Ispettorato nazionale del lavoro è stata presentata la relazione intermedia dei lavori della Commissione d’inchiesta nonché un importante disegno di Legge (in allegato) “Disposizioni volte a tutelare il lavoro nei casi di utilizzo di piattaforme digitali e a contrastare i fenomeni di sfruttamento lavorativo”.
In qualità di consulente esterno della Commissione d’inchiesta per la novità dei temi trattati ritengo utile condividere con i lettori di questa rivista, sempre particolarmente attenta ai temi di attualità sociale oltre che giuridica, il testo della relazione dell’onorevole Bressa e del disegno di legge n° 2628/2022.
Intervento per il Convegno “Salute e sicurezza dei lavoratori in un mondo del lavoro in continua evoluzione” - 25 maggio 2022
di Gianclaudio Bressa
La Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati, si è costituita il 12 maggio del 2021.
Subito c'è stata in tutti noi la consapevolezza della delicatezza del compito che avevamo: morire di lavoro è una tragedia umana e morale inaccettabile.
Ma proprio per questo diventava necessario comprendere ed elaborare i dati tremendi con cui ci dovevamo confrontare e per dirla con Aldous Huxley, grande scrittore della narrativa distopica, che descrive un mondo indesiderabile e spaventoso, dovevamo evitare che la verità dei fatti e degli avvenimenti tragici finisse affogata in un mare di irrilevanza.
Avendo ben chiare due cose:
la prima, il lavoro è cambiato, profondamente cambiato, tanto è vero che si parla di New Work;
la seconda, l'endiadi ambiente di vita e di lavoro, diventa linguaggio della legge.
E questo significa essenzialmente due cose:
la prima, che la vicenda ordinamentale ha saldato, progressivamente nel tempo, tutele nei rapporti tra privati e tutele assolute, affidate alla garanzia dello Stato, evidenziando una trasformazione dell'originaria obbligazione datoriale di sicurezza, un dovere per il datore di lavoro, in un diritto individuale assoluto del lavoratore e in un interesse della collettività;
la seconda che si può parlare di lavoro buono - per dirla con il Centro di ricerca sulle scienze sociali di Berlino - quando sono disponibili risorse sufficienti e possibilità di sviluppo per i dipendenti, un reddito adeguato, la sicurezza sul posto di lavoro e i diritti di codecisione.
Nonostante l’insediamento della Commissione sia avvenuto in una fase ormai inoltrata della Legislatura, la Commissione ha immediatamente iniziato la propria attività, con l’avvio di una serie di audizioni per acquisire immediatamente una serie di elementi informativi su un tema così attuale e delicato quale quello della sicurezza sui luoghi di lavoro e delle diverse forme di sfruttamento dei lavoratori.
Accanto al tradizionale strumento delle audizioni, la Commissione ha ritenuto di acquisire «sul campo» una serie di ulteriori elementi attraverso diversi sopralluoghi nell’ambito dei quali, in alcuni casi, sono stati utilizzati tutti i poteri d’inchiesta attribuiti dalla Costituzione, dalla delibera istitutiva e dal regolamento interno.
In particolare la Commissione ha svolto una serie di sopralluoghi focalizzando la propria attenzione sul tema dello sfruttamento dei lavoratori in agricoltura, con particolare riguardo al fenomeno del caporalato.
Il raggio di azione si è presto allargato per approfondire fenomeni di sfruttamento presenti non solo nel settore agricolo, ma anche nel comparto tessile (significativa tra tutte, la missione svolta nella realtà del distretto tessile di Prato) e, più in generale, in alcune realtà industriali a volte insospettabili.
Ne è emerso un quadro di come il fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori, da parte di caporali senza scrupoli, si sia evoluto significativamente nel corso degli ultimi anni.
Si è passati, infatti, in un breve arco temporale, dai casi di un forte coinvolgimento della malavita organizzata locale a situazioni di sfruttamento di lavoratori indifesi, quasi sempre stranieri, da parte di loro connazionali che organizzano il loro trasferimento dal Paese d’origine fino al luogo di lavoro, nel quale quotidianamente vengono negati i loro diritti di persone, prima ancora che di lavoratori.
La Commissione, inoltre, ha voluto dedicare un focus specifico anche alle ulteriori nuove forme di sfruttamento che si affiancano, purtroppo, ai casi di sfruttamento più tradizionali.
Da questo punto di vista le missioni della Commissione hanno consentito di acquisire utili elementi informativi, con un rilievo particolare per il settore della logistica.
Ma veniamo, in sintesi, ai primi risultati del lavoro della Commissione d'inchiesta, che hanno scoperchiato un pericoloso vaso di Pandora, fatto di sfruttamento e mancato rispetto delle norme di sicurezza: dal 3 al 6 percento del PIL divorato dagli infortuni sul lavoro; l’emergere del “caporalato digitale”, che arruola non più braccianti, ma lavoratori della gig economy; cooperative “spurie”, che impongono un nuovo "caporalato urbano" e dettano le regole dell'illegalità nei magazzini.
Infortunarsi sul lavoro, spesso con esiti mortali, non ha solo un costo di dolore per il lavoratore e la sua famiglia, (una conseguenza di un infortunio potrebbe comportare, ad esempio, l'incapacità dei figli del lavoratore infortunato di proseguire gli studi per la diminuzione del reddito familiare) ma anche per la stessa azienda e per l’intera società. In Italia, secondo stime dell’Inail, il danno economico causato da infortuni e malattie professionali è risultato, nel 2007, pari a quasi 48 miliardi di euro, ovvero più del 3% del Pil, ma gli studi internazionali, riportati nella “Relazione intermedia sull’attività svolta” della Commissione, indicano che l’incidenza stimata dei costi totali sul PIL è significativamente superiore anche ai dati europei finora conosciuti, e vede la percentuale più alta per la Polonia (10,2%), mentre per l’Italia raggiunge il 6,3% del Pil.
Stimare gli impatti economici e sociali di sfruttamento e mancata tutela di salute e sicurezza sul lavoro non è semplice, ma secondo la Commissione occorre al più presto trovare un sistema di misurazione condiviso, un indicatore economico che consenta di valutare i danni dell’inosservanza delle norme e al tempo stesso i benefici che derivano dall'applicazione delle normative in materia di sicurezza e di regolarità del rapporto di lavoro, considerando anche il ritorno in prevenzione per l’Italia (in vari paesi del mondo si attesta su 2,2, cioè per ogni euro speso vi è un ritorno positivo che va oltre il doppio). Questo nuovo indicatore può essere realmente un autentico e attendibile indice di legalità e di illegalità del lavoro nel nostro Paese.
Quel che è certo è che l’enorme dispendio di ricchezza, di benessere e di salute tocca tutta Italia, perché l’altro aspetto che delinea la Relazione, è un’economia nazionale dove, da nord a sud, da est a ovest, si registra il dato tragico delle morti e degli incidenti gravi o gravissimi per cause di lavoro. Nessuna regione risulta esente da questa piaga indegna per un paese civile.
Se il lavoro è cambiato e si sta evolvendo, se oggi parliamo di transizione digitale in atto, non dobbiamo pensare che il lato oscuro del mercato del lavoro non evolva.
L’utilizzo sempre più massiccio delle nuove tecnologie ha fatto emergere il fenomeno del “caporalato digitale” dove i lavoratori della gig economy hanno sostituito i braccianti agricoli. Non è più soltanto il furgone a caricare al mattino i lavoratori in attesa della chiamata, ma è l’uso degli algoritmi che costituisce il fulcro per lo sfruttamento dei lavoratori. Ecco, allora, che il pericolo più profondo è che l’algoritmo e, più in generale, l’intelligenza artificiale, possano diventare strumenti senza controllo.
La spasmodica ricerca di risparmio dei costi è spesso attuata a svantaggio della sicurezza sul lavoro e il mezzo per realizzare tali risparmi sono le cooperative “spurie”, che nascono e muoiono giusto il tempo della durata di un appalto o di un subappalto. La logistica e l'edilizia sono i settori che più soffrono per situazioni borderline con soggetti che utilizzano manodopera irregolare o applicano ai dipendenti contratti collettivi con meno diritti e meno tutele di quelli previsti dai rispettivi contratti nazionali di categoria. Oltretutto creando di fatto una concorrenza sleale rispetto a chi li rispetta e li applica. Negli ultimi anni i cicli di lotte dei facchini (costituiti maggiormente da forza lavoro migrante), in particolare nei distretti logistici e magazzini del Nord-est, dell’Emilia-Romagna e della Lombardia, hanno fatto emergere l’opacità della catena degli appalti, dovuta alla presenza di cooperative spurie ed anche irregolarità ed abusi subiti dai lavoratori.
Il nuovo “caporalato” nei magazzini, non risulta ancora documentato in modo rigoroso, ma è del tutto simile a quanto avviene in agricoltura. Nel comparto, la Commissione ha registrato fenomeni di severo sfruttamento lavorativo, con controlli e ritmi serrati che ricalcano le condizioni di lavoro nelle catene di montaggio degli anni Sessanta. Non a caso le vittime degli incidenti sul lavoro sono, la maggior parte delle volte, gli anelli deboli della catena lavorativa.
Se a subire quasi sempre gli eventi lesivi sono gli operatori della fascia più bassa, evidentemente vi è un sistema dell’impresa che spesso, soprattutto in alcune imprese medie o piccole, non presta la dovuta attenzione agli obblighi della sicurezza e scarica sui lavoratori i deficit dell’ambiente di lavoro. Non si muore, dunque, soltanto di cadute dall’alto o per schiacciamento, ma anche per la cattiva organizzazione.
Sicurezza e sfruttamento, insomma, sembrano essere due costanti insopprimibili del mondo del lavoro: la Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia ha provato a spezzare questo dualismo.
A tale proposito la Commissione ha predisposto un disegno di legge che propone una attuazione concreta delle proposte elaborate nel corso di questi mesi.
L’articolo 1 reca alcune disposizioni volte a tutelare il lavoro nei casi di utilizzo di piattaforme digitali.
Negli ultimi anni, infatti, si è assistito alla nascita di nuovi fenomeni di sfruttamento del lavoro quali, ad esempio, il caporalato digitale dove i lavoratori della gig economy si affiancano ai lavoratori già protagonisti di fenomeni di sfruttamento fino ad ora conosciuti (tipico il caso dei braccianti agricoli).
Il luogo e l’orario di lavoro sono oggi concetti fluidi, regolati da una nozione normativa classica che necessita di una disciplina specifica e maggiormente al passo con i tempi, in grado di tutelare le nuove esigenze di sicurezza.
Le moderne tecnologie, infatti, stanno modificando radicalmente la dimensione spazio-temporale dei luoghi di lavoro.
Vi è inoltre un pericolo più profondo e cioè che l'utilizzo dell’algoritmo artificiale possa diventare uno strumento prescrittivo senza controllo.
Gli algoritmi funzionano principalmente come sistemi atti a produrre canoni da considerare come standard al quale adeguarsi per massimizzare la performance dei lavoratori.
Questi congegni vengono oggi utilizzati per dirigere, controllare ed eventualmente sanzionare i lavoratori.
A tale riguardo si ritiene necessario introdurre una serie di disposizioni che stabiliscano dei livelli minimi di tutela per tutti i lavoratori della gig economy.
Per questo l’articolo 1 individua una serie di casi precisi in cui, qualora la prestazione avvenga tramite piattaforme digitali, si considera lavoratore subordinato chiunque si obbliga, mediante retribuzione, a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale, anche se la prestazione sia svolta in tutto in parte con strumenti che siano nella disponibilità del prestatore.
Le precise condizioni individuate dall’articolo 1 per attribuire la qualifica di lavoratore subordinato traggono spunto dai diversi casi giurisprudenziali già affrontati su queste tematiche.
L’articolo 2 reca alcune misure ulteriori di protezione dei dati personali dei lavoratori nel caso in cui il committente utilizzi delle piattaforme digitali. In particolare si prevede che le piattaforme non possano raccogliere dati personali quando il lavoratore delle piattaforme digitali non sta svolgendo un lavoro richiesto dal sistema automatizzato.
L’articolo 3 introduce dei nuovi obblighi a carico del committente che utilizzi delle piattaforme digitali.
Nello specifico il committente dovrà monitorare e valutare periodicamente l’impatto sulle condizioni di lavoro delle decisioni prese dai sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati nonché valutare i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori delle piattaforme digitali, in particolare per quanto riguarda i possibili rischi di infortunio sul lavoro nonché i rischi psico-sociali ed ergonomici.
L’articolo 4 affronta un tema particolarmente delicato quale quello delle tutele dei lavoratori dipendenti di ditte subappaltatrici.
A tale riguardo, anche sulla base di quanto emerso dall’attività della Commissione parlamentare di inchiesta, si stabilisce che il subappaltatore, per le prestazioni affidate in subappalto, deve garantire gli stessi standard qualitativi e prestazionali previsti nel contratto di appalto, nonché riconoscere ai lavoratori un trattamento economico e giuridico non inferiore a quello che avrebbe garantito il contraente principale, inclusa l’applicazione dei medesimi contratti collettivi nazionali di lavoro.
L’articolo 5 prevede una specifica fattispecie penale al fine di contrastare i fenomeni di somministrazione fraudolenta di lavoro.
Si tratta, in sostanza, di contrastare il fenomeno delle cosiddette cooperative spurie. A tale riguardo viene punita la condotta di chi, al fine di eludere delle norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore, anche se socio lavoratore di cooperativa, assicura della somministrazione di lavoro in modo fraudolento violando i diritti del lavoratore stesso.
L’articolo 6 introduce delle disposizioni volte a contrastare l’organizzazione dell’attività lavorativa mediante violenza o minaccia attraverso l’introduzione, all’interno del codice penale (art. 603 bis C.P.), di un’autonoma e specifica fattispecie di reato, tesa a sanzionare la condotta di chiunque, con violenza o minaccia, costringa il lavoratore ad accettare la corresponsione di trattamenti remunerativi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate e, più in generale, condizioni di lavoro contrarie alle leggi e ai contratti collettivi, ovvero a rinunciare a diritti spettanti in relazione al rapporto di lavoro procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto.
L’articolo 7 è volto a colmare una lacuna normativa in materia di responsabilità dell’ente, estendendo la responsabilità, nell’ambito di gruppi di imprese, all’ente controllante che, giuridicamente o di fatto, svolge un controllo su altre imprese collettive nei casi in cui si verifichino delle condizioni di sfruttamento lavorativo.
Da ultimo l’articolo 8 riproduce alcune disposizioni aggravanti nel caso di reato di estorsione, qualora si sia in presenza di sfruttamento di prestazioni svolte da un numero di lavoratori superiori a tre, o qualora uno o più dei lavoratori sfruttati siano stranieri irregolarmente presenti nel territorio italiano o minori in età non lavorativa.
Si segnala, da ultimo, che per quanto attiene ad eventuali ipotesi di intervento normativo per assicurare adeguata tutela ai lavoratori che denunciano situazioni di sfruttamento, si è ritenuto di non inserire delle apposite previsioni nel presente disegno di legge, essendo attualmente all’attenzione del Parlamento un provvedimento specifico, di iniziativa parlamentare (dei senatori Nannicini e Ruotolo), che affronta in maniera organica tale questione.
Così come anche per la previsione di una Procura nazionale del lavoro, in quanto già in discussione al Senato un disegno di legge a prima firma del senatore Iunio Valerio Romano che introduce tale organismo.
Una riflessione conclusiva.
Ho detto all'inizio di questo intervento che occorre una rivoluzione culturale. Il nostro compito è agevolato dalle previsioni della nostra Costituzione agli artt. 1-2-3-32 e 41 nella nuova formulazione. Ma mi piacerebbe che per noi New Work fosse quello pensato da Frithiof Bergmann, un filosofo sociale nato in Austria e vissuto negli USA.
Bergmann con la sua nozione di New Work intendeva creare un'utopia: una società del lavoro migliore, dove l'uomo non esiste per lavorare, ma il lavoro esiste per l’uomo.
Il Senato della Repubblica, approvando le proposte di modifica legislativa che la Commissione propone, ha l'occasione per avviare questo processo di profonda rivoluzione culturale e di importante riforma politica. Non sprechiamola.