Il rider lavoratore dipendente, operaio 2.0 del nuovo millennio. Primo commento alla nuova sentenza del Tribunale di Palermo su una questiona annosa
di Gabriele Allieri
La sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Palermo, n. 3570 del 24 novembre 2020, si inserisce all’interno del dibattito giurisprudenziale in tema di qualificazione del rapporto di lavoro dei rider, facendo leva, nel proprio iter motivazionale, su aspetti di carattere storico-culturale che, abbinati alla valorizzazione della dimensione globale del fenomeno oggetto d’esame, la conducono ad abbracciare un’interpretazione evolutiva degli stilemi tipici della subordinazione.
Sommario: 1. Introduzione - 2. Il caso - 3. Le soluzioni giuridiche - 4. Osservazioni.
1. Introduzione
“…la piattaforma non è un terzo, dovendosi con essa identificare il datore di lavoro che ne ha la disponibilità e che programma gli algoritmi…che regolano l’organizzazione del lavoro…e di fatto sovrastano il lavoratore con il subdolo esercizio di un potere di totale controllo sul medesimo, ai fini dell’esecuzione della prestazione lavorativa”.
Con queste parole, degne di un romanzo distopico in cui l’intelligenza artificiale ha preso il sopravvento sull’uomo, il Tribunale di Palermo ha sintetizzato le caratteristiche del rapporto instaurato tra un rider e una nota società operante nel settore del food delivery, adottando una sentenza che, per esiti ed approccio, rappresenta un innovativo spartiacque in tema di qualificazione giuridica dei rapporti in cui sia dedotta l’esecuzione di una prestazione lavorativa.
La sentenza in commento, infatti, presenta spunti d’interesse non solo per il fatto di inserirsi all’interno del dibattito giurisprudenziale, di cui dà ampio conto, in tema di qualificazione del rapporto dei rider, ma anche perché fa leva, nel proprio iter motivazionale, su aspetti di carattere storico-culturale che, abbinati alla valorizzazione della dimensione globale del fenomeno oggetto d’esame, la conducono ad abbracciare un’interpretazione evolutiva degli stilemi tipici della subordinazione.
2. Il caso
Con ricorso ex art. 414 c.p.c., depositato il 29 luglio 2020, il ricorrente – premesso di aver lavorato come rider in favore della convenuta dal 28 settembre 2018 al 3 marzo 2020, data in cui venne disconnesso dalla piattaforma della stessa convenuta - ha agito in giudizio nei confronti di quest’ultima rivendicando, in via principale, la natura subordinata del rapporto con essa instaurato; su quest’assunto, ha dunque chiesto la condanna al versamento delle differenze retributive legate sia all’insufficienza dei compensi corrisposti per la prestazione svolta che all’omessa retribuzione del tempo in cui, seppure di fatto inattivo, era stato a disposizione della società in attesa dell’assegnazione di un incarico di consegna. Inoltre, riqualificato il rapporto, ha chiesto di accertare che la predetta disconnessione dalla piattaforma integra un’ipotesi di licenziamento orale.
In via subordinata, ha chiesto di giungere alle medesime conclusioni previa sussunzione della relazione negoziale dedotta in giudizio entro lo schema delle c.d. collaborazioni eterorganizzate di cui all’art. 2 d. lgs. 81/2015.
A sostegno della sua pretesa, ha descritto il modello organizzativo utilizzato dalla società e ha sostenuto che esso fosse tale da escludere qualsivoglia tipo di autonomia in capo all’addetto alle consegne, tenuto ad aderire pedissequamente a quel modello in sede di ritiro/consegna dei prodotti e determinazione del corrispettivo, e sottoposto, in caso di scostamenti dallo stesso, a sanzioni e penalizzazioni atipiche; esse, in particolare, sarebbero consistite nella diminuzione del punteggio destinato ad identificarlo all’interno di una sorta di graduatoria utile a determinare la priorità con cui ciascun rider può prenotare le proprie sessioni lavorative.
Pur non contestando le circostanze di fatto con cui il ricorrente ha descritto il modello de quo, la società convenuta ha resistito in giudizio sostenendo che, diversamente da quanto opinato dalla controparte, il quadro descritto avrebbe confermato la natura autonoma del rapporto e la sua estraneità tanto alla subordinazione quanto alle collaborazioni eteroorganizzate, atteso che al ricorrente era integralmente rimessa la scelta degli orari in cui lavorare e che l’influenza esercitata sulla predetta scelta dal punteggio conseguito in base alle consegne precedenti aveva carattere premiale ma mai penalizzante. Disattese dunque le deduzioni del ricorrente, ha chiesto l’integrale rigetto del ricorso introduttivo.
3. Le soluzioni giuridiche
Prima di procedere all’esame della questione cruciale sottoposta dalle difese delle parti sopra sintetizzate, il Tribunale di Palermo ha ritenuto ad esso prodromica la valutazione della natura giuridica delle piattaforme digitali del tipo di quella utilizzata dalla convenuta e attraverso la quale il ricorrente svolgeva la propria prestazione di lavoro.
Invero, secondo il Tribunale di Palermo, stabilire se detta piattaforma svolga una mera attività di intermediazione tra gli utenti o una vera e propria attività di distribuzione di prodotti alimentari risulterebbe funzionale a comprendere la natura del rapporto tra le parti, in quanto, nel primo caso, il rider potrebbe agire semplicemente in nome dell’organizzazione, ma con un’organizzazione d’impresa a sé imputabile, mentre, nel secondo caso, egli sarebbe senz’altro inserito in un’organizzazione di mezzi materiali ed immateriali nella proprietà e nella disponibilità altrui.
Nello sciogliere la predetta alternativa in favore della seconda soluzione, il Tribunale di Palermo ha ritenuto di condividere le indicazioni provenienti, oltre che da precedenti interni, anche dalla giurisprudenza eurounitaria e da decisioni estere – si fa in particolare espresso riferimento a pronunce della Cour d’Appel de Paris francese e del Juizado Especial Civel brasiliano – che avevano individuato nel servizio offerto da piattaforme utilizzate per organizzare il trasporto di persone – del tutto affine al trasporto di beni - un servizio pienamente rientrante nel settore dei trasporti, interamente ideato e operato dal titolare della piattaforma, entro la quale il conducente non assume la veste di partner commerciale della stessa ma di soggetto che, previa adesione alle condizioni prestabilite, svolge la propria attività senza alcuna possibilità di sviluppare una propria clientela o determinare proprie tariffe.
Su queste premesse, il Tribunale ha dunque affrontato il problema della natura del rapporto dedotto in giudizio. Nel far ciò, ha inquadrato la fattispecie con una prospettiva innovativa, valorizzando tanto “la natura internazionale delle piattaforme e del lavoro svolto mediante le stesse” quanto l’opportunità di assicurare un’interpretazione evolutiva dell’art. 2094 c.c., in modo tale che esso, “scritto per la prima Rivoluzione Industriale, in cui il modello di lavoro subordinato era quello dell’operaio della fabbrica del fordismo”, possa rivelare la propria vitalità anche in presenza di modelli negoziali affatto differenti da quelli presenti all’epoca della sua redazione. In quest’ottica, la pronuncia si è posta nel solco tracciato da una recente decisione adottata, in un caso affine, dalla Corte suprema spagnola, nella quale è stato osservato che “nella società postindustriale il concetto di dipendenza è diventato più flessibile. Le innovazioni tecnologiche hanno favorito la nascita di sistemi di controllo digitalizzati per la prestazione dei servizi. L’esistenza di una nuova realtà produttiva obbliga ad adattare i concetti di dipendenza e alienità alla realtà sociale del tempo in cui le norme devono essere applicate”.
Discostandosi quindi dalle interpretazioni fornite in fattispecie analoghe da precedenti di merito interni[1], che, a dire della pronuncia in esame, scontavano il limite di valorizzare la sola fase genetica del rapporto, entro cui si esprimerebbe la libertà dell’operatore di decidere in autonomia l’an e il quando della propria prestazione, il Tribunale di Palermo ha puntato l’attenzione sulla fase esecutiva del rapporto, connotata dal fatto che entro la stessa “l’azienda stabilisce delle fasce orarie (slot nel gergo maggiormente ricorrente tra le piattaforme di consegna di pasti e bevande) all’interno delle quali si inseriscono i riders e i drivers in base a meccanismi di auto assegnazione, influenzati tuttavia (almeno nel caso di specie) anche da scelte dell’impresa, mediante l’applicazione di algoritmi”.
Dato conto del fatto che in altri contesti ordinamentali – Brasile, Spagna e Cina – i rapporti coinvolgenti i rider erano stati qualificati come subordinati e della recente giurisprudenza di legittimità in materia[2], secondo cui, una volta accertata la sussistenza di un’eterorganizzazione, risulta del tutto sfumata l’importanza di una classificazione del rapporto entro lo schema della subordinazione o dell’autonomia, posto che esso rientra nell’ambito d’applicazione dell’art. 2 d. lgs. 81/2015 e viene regolato, pertanto, dalle norme sul rapporto di lavoro subordinato, il Tribunale di Palermo ha tuttavia valorizzato, da un lato, l’indicazione della stessa Corte di cassazione secondo cui l’introduzione della norma de qua non osta a che, rivendicata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, il giudice valuti le modalità effettive di svolgimento del rapporto e accerti la ricorrenza del tipo contrattuale testé menzionato e, dall’altro lato, il fatto che, secondo la Corte di giustizia[3], la libertà di decidere “se e quando” lavorare osta al riconoscimento della subordinazione solo qualora detta libertà sia effettiva e non fittizia.
Tracciato in questi termini il perimetro metodologico, il Tribunale di Palermo ha ricostruito la dinamica del rapporto – pacifica tra le parti – e ha concluso per la natura subordinata del rapporto.
Nel far ciò, ha in primo luogo osservato che la circostanza per cui il ricorrente avesse lavorato con cadenza pressoché quotidiana e per un numero di ore crescente, in linea con il meccanismo della piattaforma che tende a selezionare il rider con una frequenza direttamente proporzionale all’anzianità acquisita, induce ad attribuire alla collaborazione così instaurata “natura continuativa, non invece occasionale né costituita dall’insieme di singoli innumerevoli contratti, come dedotto dalla società convenuta”.
In secondo luogo, il giudice ha rilevato la sicura eteroorganizzazione dell’attività del rider, interamente gestita e organizzata dalla piattaforma, nonché la connotazione meramente fittizia della sua libertà di scegliere “se e quando” lavorare.
In quest’ottica è stato innanzitutto posto in evidenza che il rider, lungi dal poter prenotare il proprio slot sulla base delle proprie esigenze personali, vede il proprio ventaglio d’opzioni progressivamente ridotto dalla priorità nella scelta assicurata ad altri rider contrassegnati da un punteggio maggiore, con la conseguenza che in tal modo egli potrebbe vedersi totalmente preclusa la possibilità di selezionare i turni per lui più convenienti e preferibili.
È stato inoltre considerato che, all’interno dello slot prescelto, l’assegnazione della consegna al rider è ulteriormente influenzata da fattori estranei alle sue preferenze in quanto l’algoritmo utilizzato dalla piattaforma seleziona l’operatore sul presupposto che egli abbia fatto accesso all’applicazione nel periodo di tempo che precede l’assegnazione della consegna, abbia il cellulare carico in misura almeno pari al 20% e si trovi nelle vicinanze del locale presso cui la merce dev’essere ritirata, poiché altrimenti l’algoritmo non lo selezionerà, benché egli avesse prenotato e non disdetto lo slot.
Inoltre, il Tribunale ha ritenuto che il meccanismo volto all’assegnazione del punteggio a ciascun rider, sulla base di parametri quali a) lo svolgimento dell’attività in momenti di “alta domanda”, b) la sua efficienza, c) i feedback degli utenti e dei partner e d) la sua esperienza, esprimesse non solo un potere organizzativo-direttivo della società, ma anche l’esercizio del suo potere disciplinare. È stato infatti sottolineato che l’aumento del punteggio in modo premiale in dipendenza di quei fattori corrispondesse, all’opposto, ad un mancato aumento o ad una riduzione dello stesso punteggio in base ad un supposto rendimento del lavoratore inferiore alle sue potenzialità, ciò che, influendo in senso negativo sulla possibilità di scelta dello slot, e dunque di lavorare in condizioni vantaggiose, integra l’adozione di sanzioni disciplinari atipiche.
In relazione a tali circostanza, il Tribunale ha dunque concluso affermando che “le modalità … di assegnazione degli incarichi di consegna da parte dell’algoritmo (e quindi del datore di lavoro) costringono il lavoratore a essere a disposizione del datore di lavoro nel periodo di tempo antecedente l’assegnazione dello stesso, mediante la connessione all’app con il cellulare carico e la presenza fisica in luogo vicino quanto più possibile ai locali partner di parte datoriale, realizzando così una condotta tipica della subordinazione. In sostanza, quindi, al di là dell’apparente e dichiarata (in contratto) libertà del rider, e del ricorrente in particolare, di scegliere i tempi di lavoro e se rendere o meno la prestazione, l’organizzazione del lavoro operata in modo esclusivo dalla parte convenuta sulla piattaforma digitale nella propria disponibilità si traduce, oltre che nell’integrazione del presupposto della eteroorganizzazione, anche nella messa a disposizione del datore di lavoro da parte del lavoratore delle proprie energie lavorative per consistenti periodi temporali (peraltro non retribuiti) e nell’esercizio da parte della convenuta di poteri di direzione e controllo, oltre che di natura latamente disciplinare, che costituiscono elementi costitutivi della fattispecie del lavoro subordinato ex art. 2094 c.c.” e che integrano il concetto di subordinazione anche laddove essa venga configurata, secondo le indicazioni della Corte costituzionale[4], come “doppia alienità”, ossia destinazione esclusiva ad altri del risultato per il cui conseguimento la prestazione di lavoro è utilizzata ed estraneità del prestatore all’organizzazione produttiva in cui la prestazione si inserisce (c.d. etero-organizzazione).
Così qualificato il rapporto, il percorso motivazionale del Tribunale si è concentrato quindi sull’episodio che ha visto la società disconnettere dalla piattaforma l’account del ricorrente a causa del mancato versamento del saldo a sue mani, e, una volta eseguito il bonifico richiesto, omettere la riattivazione dello stesso account per alcuni mesi.
Il Giudice, nell’esaminare la condotta societaria, ha valutato che, pressoché contestualmente al distacco del suo account, il ricorrente aveva formulato talune rivendicazioni sindacali e partecipato ad una trasmissione televisiva nel corso della quale aveva denunciato la mancanza di garanzie per la categoria cui apparteneva; considerata l’inverosimiglianza della deduzione della convenuta secondo cui la mancata riattivazione del profilo - avvenuta solo un mese e mezzo dopo che il ricorrente aveva censurato la condotta datoriale qualificandola come un licenziamento e inviando la relativa impugnazione – era dipesa da un problema tecnico, ha ritenuto che “se non il distacco, certamente la mancata riattivazione dell’account …. sia riconducibile alla volontà della società di reagire in tal modo alle provate rivendicazioni di natura sindacale operate dal ricorrente” con la conclusione che “la sequenza temporale dei fatti – contrariamente a quanto asserito dalla convenuta – è tanto diretta ed immediata da portare a ritenere assai verosimile l’intento punitivo datoriale”.
Dunque, considerata la natura subordinata del rapporto e la dinamica della sua cessazione per come sopra ricostruita, il Tribunale ha concluso affermando che il definitivo distacco dell’account non può che qualificarsi come licenziamento, “attesa la pacifica impossibilità per il ricorrente di rendere la prestazione lavorativa al di fuori della piattaforma”, intimato in forma orale e dunque inidoneo a produrre la risoluzione del rapporto; ne è conseguita la condanna alla reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro e al versamento in suo favore delle differenze retributive dovute sia in ragione dell’insufficienza dei compensi corrisposti per la prestazione svolta che della mancanza di ogni retribuzione per il tempo in cui egli era stato a disposizione della società in attesa dell’assegnazione di un incarico di consegna.
4. Osservazioni
La pronuncia in commento, intervenendo nell’ampio dibattito relativo alla figura dei rider, ha fornito una qualificazione del rapporto controverso differente, tanto rispetto a quella operata dai precedenti di merito in materia, quanto rispetto a quella cui era approdata a gennaio di quest’anno la Corte di cassazione.
Invero, mentre nei precedenti di primo grado era stata esclusa tanto la natura subordinata del rapporto, quanto l’applicabilità dell’art. 2 d. lgs. 81/2015, è noto che, sebbene con iter argomentativi di carattere diverso, quest’ultima disposizione era stata individuata come atta a governare la fattispecie tanto dalla Corte d’appello di Torino, quanto dalla Corte di cassazione.
Collocandosi però su un versante opposto rispetto ai primi interventi in materia, ed operando un apprezzamento in concreto contemplato dallo stesso precedente di legittimità, il Tribunale di Palermo è giunto, come si è evidenziato, ad un esito differente, raggiunto al termine di un percorso motivazionale pregevole con cui la rassicurante e piana soluzione che avrebbe condotto all’applicazione dell’enigmatico art. 2 d. lgs. 81/2015 è stata scartata in favore di una logica tesa a ribadire la centralità del lavoro subordinato, il suo “diritto di esistere” e la sua perdurante adeguatezza a descrivere le vicende anche dell’attuale mondo del lavoro, mutato rispetto a quello del secolo scorso.
Del resto, che nell’ottica del Tribunale di Palermo la figura del rapporto del lavoro subordinato sia naturalmente in grado di offrire una risposta tassonomica alla soggezione del singolo all’organizzazione datoriale, trova un’acuta dimostrazione nel parallelismo introdotto nella pronuncia in commento tra la figura del rider e quella dell’operaio del secolo scorso, laddove il primo viene descritto come “impotente avverso l’ignota modalità di funzionamento della piattaforma” esattamente come lo era il secondo “rispetto al funzionamento della catena di montaggio”.
Quest’ultima prospettiva culturale ed evolutiva, con cui il rapporto controverso è stato condotto oltre l’orizzonte delle c.d. collaborazioni eteroorganizzate al quale pareva destinato ad arrestarsi, viene abbinata, nella motivazione, a solidi riscontri di fatto che, apprezzati alla luce del contesto disciplinare di riferimento, giustificano l’esito della decisione in commento.
In questo senso, deve osservarsi che, nel tentativo di tracciare la distinzione tra le collaborazioni coordinate di cui all’art. 409 n. 3) c.p.c. e le collaborazioni eterodirette di cui all’art. 2 d. lgs. 81/2015, è stato posto in evidenza che, mentre nel primo caso il coordinamento che connota il rapporto si fonda su un comune accordo delle parti, nel secondo caso il potere di coordinamento prescinde da quest’ultimo, ciò che si risolve nella possibilità, per il destinatario della prestazione, di definirne unilateralmente modalità estrinseche quali l’obbligo del prestatore di presenza in un certo luogo ed orario e l’obbligo di operare secondo procedure e modalità prestabilite[5].
Il limite “esterno” della collaborazione eteroorganizzata pare allora doversi individuare nel fatto che essa consente un adeguamento funzionale della prestazione all’organizzazione del committente che, tuttavia, non sfoci in una vera e propria sottoposizione del prestatore al suo potere gerarchico, mercé il quale si assisterebbe ad un indebito esercizio del potere di conformazione della prestazione, del potere di controllo e del potere disciplinare[6].
Calando tali indicazioni nel contesto del rapporto tra i rider e la piattaforma, a parere di chi scrive, può dunque affermarsi che la sua estraneità al modello di cui all’art. 2094 c.c. risulta smentita non già dal fatto che l’operatore sia tenuto ad osservare determinati comportamenti prodromici all’esecuzione della prestazione – esecuzione del log-in, collocazione topografica e cronologica adeguata – ma dalla presenza di fattori ulteriori che, incidendo non sul quomodo ma sull’an e sul quando della prestazione, rendono fittizia quella libertà di scelta che, come evidenziato, si pone a fondamento della natura autonoma del rapporto.
Della presenza di detti fattori, del resto, sembrano essere state consapevoli anche le parti sociali che, nell’esercizio del potere di deroga alla disciplina dell’art. 2 d. lgs. 81/2015 che la stessa norma conferisce alle organizzazioni sindacali, il 15.09.2020 hanno sottoscritto il “Contratto collettivo nazionale per la disciplina dell’attività di consegna di beni per conto altrui, svolta da lavoratori autonomi, c.d. rider”.
Infatti, il relativo testo – destinatario di un’accoglienza, invero, piuttosto tiepida[7] - dopo essersi fatto carico di precisare che taluni profili tipicamente caratterizzanti le modalità d’esecuzione dei rapporti disciplinati non costituiscono altrettanti indici di subordinazione, stabilisce, all’art. 20, titolato “Divieto di discriminazione, diritto alla disconnessione e ranking”, che “Il rider può liberamente decidere quali proposte di consegna accettare o rifiutare e le Piattaforme non riducono le occasioni di consegna in ragione della mancata accettazione delle proposte offerte, anche con riferimento ai sistemi di ranking”.
È dunque tangibile la consapevolezza che il sistema di graduatoria adottato dalla piattaforma, in quanto in grado di alterare, e rendere fittizia, la libertà del rider sia in grado di “spostare” gli equilibri qualificatori del rapporto, rappresentando uno strumento atipico d’esercizio del potere gerarchico in grado di ricondurre la relazione contrattuale entro lo schema della subordinazione.
In tal senso, la piena valorizzazione degli effetti prodotti dal sistema di punteggio cui era assoggettato il ricorrente integra un riscontro fattuale che vede il rapporto deragliare dal binario tracciato anche nell’accordo collettivo testé menzionato e giustifica pienamente tanto l’esito della pronuncia, quanto la sostenibilità della prospettiva culturale da cui essa ha preso le mosse.
[1] Tribunale di Torino, sent. n. 778/2018; Tribunale di Milano, sent. n. 1853/2018.
[2] Cass. n. 1663/2020.
[3] Corte di giustizia, C 692/19.
[4] Corte costituzionale, sent. n. 30/1996.
[5] Così M. Marazza, In difesa del lavoro autonomo (dopo la legge n. 128 del 2019), in Riv. It. Dir. Lav., fasc. 1, 2020, pp. 62 ss..
[6] Così A. Maresca, Brevi cenni sulle collaborazioni eterorganizzate, in Riv. It. Dir. Lav., fasc. 1, 2020, pp. 73 ss..
[7] Per l’esame del testo del Ccnl si rinvia a P. Staropoli, Il contratto collettivo dei Riders: le nuove tutele e le critiche ingenerose del Ministero del lavoro, in www.il giuslavorista.it.