ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Il controverso requisito della permanenza in servizio per il consigliere CSM, la decisione spetta al giudice ordinario.
(nota a T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 13 novembre 2020 n. 11814)
Enrico Zampetti
1. La vicenda in esame trae origine dalla delibera del Consiglio Superiore della Magistratura che ha dichiarato cessato dalla carica di consigliere uno dei membri togati del Consiglio in ragione del suo sopravvenuto collocamento a riposo. Il Consigliere dichiarato cessato ha così proposto ricorso avverso la suddetta delibera contestandola sotto vari profili e, in particolare, per il fatto che la cessazione sia stata dichiarata prima del decorso del termine quadriennale di durata della carica[i], pur in assenza di una previsione che includa espressamente tra le cause di cessazione il sopravvenuto collocamento a riposo del magistrato.
2. Con la sentenza in esame, il T.A.R. del Lazio dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo il ricorso proposto dal consigliere togato, assumendo che sulla controversia abbia giurisdizione il giudice ordinario. A sostegno della conclusione, la decisione richiama il consolidato orientamento in materia di elezioni amministrative, secondo il quale al giudice ordinario sarebbero devolute le controversie “afferenti questioni di ineleggibilità, decadenza e incompatibilità dei candidati” in quanto relative a “diritti soggettivi di elettorato”, mentre al giudice amministrativo sarebbero devolute quelle “afferenti alla regolarità delle operazioni elettorali” in quanto relative a “posizioni di interesse legittimo”[ii]. Più esattamente, una volta esauritasi la fase elettorale, all’amministrazione spetterebbe soltanto il compito di verificare la sussistenza o meno di eventuali cause d’incompatibilità, ineleggibilità o decadenza, senza alcun esercizio di poteri autoritativo-discrezionali, sicché la pretesa ad essere dichiarato eletto, ovvero a mantenere la carica, afferirebbe pacificamente ad una posizione di diritto soggettivo e non di interesse legittimo.
Tuttavia, nel richiamare il citato orientamento, la stessa sentenza sottolinea che nel caso di specie le operazioni elettorali riguarderebbero la costituzione di un organo amministrativo di rilevanza costituzionale e non di un organo politico, e che, sempre nel caso di specie, non verrebbe propriamente in rilievo un’ipotesi di ineleggibilità, incompatibilità o decadenza, ma soltanto un caso di “cessazione dalla carica” per il venir meno di un requisito per la conservazione dell’ufficio[iii]. Cionondimeno, il T.A.R. ritiene che i principi di riparto affermati per l’elezione degli organi politici siano applicabili anche all’elezione del Consiglio Superiore della Magistratura, in quanto, pur non venendo in considerazione un’ipotesi di ineleggibilità, incompatibilità o decadenza, i poteri concretamente esercitati nei confronti del ricorrente non “possono definirsi di natura autoritativa”, ma devono “ricondursi nell’ambito delle attività di verifica amministrativa della sussistenza dei requisiti necessari per il mantenimento della carica”, con la conseguenza che “il petitum sostanziale del giudizio attiene sempre alla tutela di un diritto soggettivo, poiché la verifica svolta dal CSM non è idonea a far degradare a interesse legittimo la posizione dell’interessato”[iv].
Ad ogni modo, la decisione non chiarisce esattamente su quale norma o principio si fondi il requisito che, nell’ottica del provvedimento impugnato, andrebbe necessariamente a correlare il mantenimento della carica allo status di magistrato in servizio. Deve, pertanto, desumersi che, ai fini della questione di giurisdizione, il T.A.R. ritenga di poter prescindere dall’esatta individuazione del fondamento giuridico del requisito in esame, sul presupposto che l’esistenza o meno di un’esplicita previsione che lo contempli potrebbe soltanto implicare una diversa conformazione (dei contenuti) del diritto al mantenimento della carica, ma non mutarne la natura da diritto soggettivo a interesse legittimo.
3. Sotto altro profilo, la sentenza esclude che la sussistenza della giurisdizione amministrativa possa desumersi dall’articolo 135 del codice del processo amministrativo, il quale, nel prevedere le ipotesi di competenza funzionale del TAR Lazio, alla lettera a) vi include espressamente le “controversie relative ai provvedimenti riguardanti i magistrati ordinari adottati ai sensi dell’articolo 17, primo comma, della legge 24 marzo 1958 n. 195”[v]. La decisione sottolinea al riguardo che tutte le ipotesi di competenza funzionale individuate dalla norma sono previste “nel presupposto che la relativa controversia sia comunque sottoposta, in base agli ordinari criteri, alla giurisdizione di questo giudice”. Poiché si limita a contemplare un’ipotesi di competenza inderogabile senza al contempo introdurre un caso di giurisdizione esclusiva, la norma radicherebbe la giurisdizione amministrativa solo al cospetto di provvedimenti correlati a posizioni d’interesse legittimo, con esclusione dei casi, come quello in esame, in cui il provvedimento del C.S.M. venga a incidere su un diritto soggettivo.
4. Al di là della sua incidenza o meno sul profilo della giurisdizione, l’assenza di una norma che richieda espressamente lo status di magistrato in servizio tra i requisiti per mantenere la carica di consigliere costituisce, invero, l’aspetto centrale della questione di merito sulla quale dovrà pronunciarsi il giudice provvisto di giurisdizione. Non è certamente questa la sede per affrontare una questione così rilevante e complessa, ma può osservarsi che la sua soluzione richiede essenzialmente di chiarire se, in assenza di un’apposita norma che disciplini compiutamente la fattispecie, il collegamento tra status di magistrato in servizio e mandato consiliare debba mantenersi per tutta la durata dell’incarico, alla stregua di un principio generale desumibile dall’ordinamento nel suo complesso; o se, invece, sia necessaria un’espressa previsione normativa che prescriva l’attualità del rapporto di servizio per l’intero svolgimento dell’incarico e non solo al momento dell’elezione, sul presupposto che non sia possibile desumere aliunde un principio generale che correli la cessazione della carica al collocamento a riposo. Nel merito della questione l’ulteriore aspetto rilevante riguarda l’esatta qualificazione del C.S.M., a fronte dei diversi inquadramenti che ora tendono a valorizzarne la funzione di “autogoverno” della magistratura, ora a porne in risalto quella di garanzia dell’autonomia e indipendenza della magistratura stessa[vi].
[i] È appena il caso di sottolineare che, ai sensi dell’art. 104, co.6, Cost., “i membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili” (cfr. anche art. 32 l. 24 marzo 1958 n. 195).
[ii] Ex multis, Cons. St., sez. V, 15 luglio 2013 n. 3826; Cons. St., sez. V, 11 giugno 2013 n. 3211; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II bis, 7 novembre 2018 n. 10756.
[iii] Come noto, la legge 24 marzo 1958 n. 195 “Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura” prevede le cause di ineleggibilità, incompatibilità e decadenza dalla carica di consigliere. Nel recare la disciplina dell’elettorato attivo e passivo, l’articolo 24 stabilisce che non sono eleggibili i magistrati che “al momento della convocazione delle elezioni non esercitino funzioni giudiziarie o siano sospesi dalle medesime”, gli uditori giudiziari e i magistrati di tribunale che “al momento della convocazione delle elezioni non abbiano compiuto almeno tre anni di anzianità nella qualifica”; i magistrati che “al momento della convocazione delle elezioni abbiano subito sanzione disciplinare più grave dell’ammonimento, salvo che si tratti della sanzione della censura e che dalla data del relativo provvedimento siano trascorsi almeno dieci anni senza che sia seguita alcun’altra sanzione disciplinare”; i magistrati che abbiano prestato servizio “presso l’Ufficio studi o presso la Segreteria del Consiglio superiore della magistratura per la cui rinnovazione vengono convocate le elezioni”; i magistrati che “abbiano fatto parte del Consiglio superiore della magistratura per la cui rinnovazione vengono convocate le elezioni”. A sua volta, nel prevedere le ipotesi di incompatibilità, l’articolo 33 sancisce che i componenti del Consiglio “non possono far parte del Parlamento, dei consigli regionali, provinciali e comunali, della Corte costituzionale e del governo”; che i componenti eletti dal Parlamento, finché sono in carica, “non possono essere iscritti negli albi professionali. Non possono essere titolari di imprese commerciali né far parte di consigli di amministrazione di società commerciali. Non possono altresì far parte di organi di gestione di unità sanitarie locali, di comunità montane o di consorzi, nonché di consigli di amministrazione o di collegi sindacali di enti pubblici, di società commerciali e di banche (…)”. Con specifico riferimento ai casi di decadenza dalla carica, l’articolo 34 prevede che “i componenti del Consiglio superiore decadono di diritto dalla carica se sono condannati con sentenza irrevocabile per delitto non colposo” e che “i magistrati componenti il Consiglio superiore incorrono di diritto nella decadenza dalla carica se riportano una sanzione disciplinare più grave dell’ammonimento”.
[iv] Più precisamente, la sentenza osserva che, nonostante la veste provvedimentale assunta dall’impugnata delibera del CSM, la relativa controversia deve essere comunque conosciuta dal giudice ordinario, in quanto, secondo il consolidato orientamento della Corte di cassazione, devono ritenersi “devolute al giudice ordinario le controversie concernenti l'ineleggibilità, la decadenza e l'incompatibilità, in quanto volte alla tutela del diritto soggettivo perfetto inerente all'elettorato passivo” anche nei casi in cui “la questione di eleggibilità venga introdotta mediante impugnazione del provvedimento di decadenza, perché anche in tale ipotesi la decisione verte non sull'annullamento dell'atto amministrativo, bensì sul diritto soggettivo perfetto inerente all'elettorato attivo o passivo” (Cass. civ., sez. un., ord. 6 aprile 2012 n. 5574).
[v]Ai sensi dell’articolo 17, primo comma, l. n. 195 del 1958, come richiamato dall’articolo 135, lettera a), c.p.a., “tutti i provvedimenti riguardanti i magistrati sono adottati, in conformità delle deliberazioni del Consiglio superiore, con decreto del Presidente della Repubblica controfirmato dal Ministro, ovvero, nei casi stabiliti dalla legge, con decreto del Ministro per la grazia e giustizia”.
[vi] Sui termini della questione, R. Russo, L’affaire Davigo. Semel iudex semper iudex? e S. Amore, Collocamento in quiescenza del magistrato ordinario e cessazione del mandato elettivo al C.S.M., entrambi in questa Rivista (12 ottobre 2020); N. Rossi, Sta per nascere al CSM un caso Davigo?, in questionegiustizia.it (31 luglio 2020).
Digital package: verso la regolamentazione delle piattaforme online
di Elisa Arbia
sommario: 1. Introduzione. – 2. I mercati digitali. – 3. Attuale quadro normativo. – 4. Verso una regolamentazione dei gatekeeper: il Digital Package – 4.1. Piattaforme come canali per la diffusione di contenuti, beni e servizi illeciti – 4.2. Regolamentazione ex ante – 5. Considerazioni finali
1. Introduzione
A partire dall’inizio del XXI secolo abbiamo assistito allo sviluppo e diffusione delle grandi piattaforme online quali potenti mezzi per sfruttare appieno la tecnologia internet. Attualmente più di un milione di imprese europee raggiunge i propri clienti attraverso tali piattaforme , e si stima che circa il 60% dei consumi privati e il 30% dei consumi pubblici di beni e servizi legati all'economia digitale complessiva siano processati attraverso intermediari online[1].
Se da una parte, come accade sempre nelle economie di mercato, le imprese pioniere sono state premiate con l'acquisizione di un solido potere di mercato e dei relativi profitti, dall’altra il mondo digitale presenta delle specificità che rendono tale potere difficile da contrastare. In generale, la principale peculiarità di queste piattaforme è quella di creare, a partire dalle proprie competenze di base, interi ecosistemi in cui sono in grado di controllare l’accesso e la permanenza sul mercato delle imprese e indirizzare le scelte dei consumatori.
La crescente intermediazione nelle transazioni commerciali da parte di queste piattaforme, come si vedrà nel proseguo, combinata con forti effetti indiretti di rete, e alimentata dai vantaggi competitivi estratti dallo sfruttamento dei dati, porta ad una sempre maggiore dipendenza delle imprese dalle piattaforme online, che finiscono per operare quasi come "guardiani"(c.d. gatekeepers) dei mercati e dei consumatori.
Non a caso, in dottrina, si è parlato delle piattaforme online non solo come gatekeepers ma anche di veri e propri “stati nazionali”[2]:“ Nella complessità dei problemi di governance che devono affrontare, le grandi piattaforme assomigliano agli stati nazionali. Con oltre 1,5 miliardi di utenti, Facebook supervisiona una "popolazione" più grande di quella cinese. Google gestisce il 64% delle ricerche online negli Stati Uniti e il 90% di quelle in Europa, mentre Alibaba gestisce più di 1 trilione di yuan (162 miliardi di dollari) di transazioni all'anno e rappresenta il 70% di tutte le spedizioni commerciali in Cina. Le piattaforme online di queste dimensioni controllano sistemi economici più grandi di molte economie nazionali (…)”.
È evidente, allora, come la pressione sulle autorità di concorrenza e sui legislatori europei sia sempre più forte, e i tempi potrebbero essere maturi per una prima vera regolamentazione dei mercati digitali, in linea, peraltro, con le priorità europee individuate dalle linee guida politiche tracciate dal presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen[3].
Il Digital Service Act Package[4], atteso per i primi di dicembre, è rivolto proprio a questo obbiettivo, nel tentativo di rafforzare il mercato unico per i servizi digitali e innalzare il livello di innovazione e concorrenza nell’orizzonte europeo online.
Dopo una breve disamina delle caratteristiche dei mercati digitali (paragrafo 2) il presente contributo intende fornire un quadro generale dell’attuale normativa europea (paragrafo 3), per poi illustrare la proposta al momento al vaglio della Commissione Europea (paragrafo 4).
2. I mercati digitali
I mercati digitali presentano una serie di caratteristiche comuni[5], destinate ad avere un impatto positivo su consumatori e imprese. Permettono una maggiore scelta e una più facile comparazione per i consumatori, che possono godere di prodotti innovativi; aiutano le imprese agevolando il commercio intra e transfrontaliero; facilitano l’accesso sul mercato di nuovi operatori. Senonché sono proprio queste caratteristiche a sollevare perplessità sotto un profilo concorrenziale e di tutela dei consumatori.
Si tratta, infatti, di mercati molto concentrati e trasparenti in cui è più facile monitorare le condotte dei concorrenti pervenendo a collusioni tacite e altre forme di coordinamento, facilitate altresì da un ampio uso di algoritmi che permettono l’adattamento alle condotte dei concorrenti anche attraverso meccanismi di riadeguamento automatico di prezzi.
Allo stesso tempo gli operatori dei mercati digitali possono godere di forti economie di scala ed effetti di rete alimentati dallo sfruttamento dei dati raccolti per mezzo di servizi per così dire “gratuiti”. Questi meccanismi, che in questa sede non è possibile approfondire, sono alla base di scenari c.d. “winner takes it all” o “winner takes the most”, in cui una volta acquisito il potere di mercato o, spesso, la dominanza, tale posizione è molto difficile da contrastare per gli altri operatori.
Il loop positivo è ben noto. Le piattaforme digitali collegano molte aziende con molti consumatori attraverso i loro servizi. A loro volta questi servizi permettono alla piattaforma di accedere a grandi quantità di dati, che possono essere sfruttati per migliorare ulteriormente i propri servizi o sviluppare nuovi servizi nei mercati adiacenti.
In questo scenario il successo di qualsiasi tentativo di sfidare un operatore consolidato nel mercato, c.d. incubent, dipenderà dalla capacità di un potenziale rivale di attrarre una massa critica di utenti e quindi di generare i propri effetti positivi di rete.
Alla luce del quadro sinora delineato pare lecito domandarsi in che modo sia possibile depurare le piattaforme online dei richiamati effetti distorsivi sul mercato, assicurando il corretto dipanarsi del gioco della concorrenza sia per i mercati digitali (al fine di assicurare che le piattaforme dominanti competano nel merito) che nel mercato digitale (al fine di assicurare che all’interno di queste piattaforme gli operatori non subiscano discriminazioni o limitazioni).
3. Attuale quadro normativo
Il quadro normativo attualmente in vigore è connotato da un approccio fortemente settoriale e viene lasciato agli ordinari strumenti in materia di tutela della concorrenza il compito di adattarsi ai nuovi scenari digitali.
Più nello specifico, la disciplina dei c.d. “information society service” i.e., internet service providers e intermediari online, ruota intorno alla c.d. Direttiva E-Commerce[6], adottata nel 2001 con lo scopo di rafforzare il mercato interno ponendo le basi per l’innovazione tecnologica attraverso una rafforzamento della fiducia dei consumatori nei confronti dei servizi digitali, migliorando la trasparenza e delineando i limiti alla responsabilità in capo agli information society service provider per quanto riguarda eventuali contenuti illeciti. Inoltre, la direttiva risponde alla finalità di armonizzare i principi che regolano la fornitura di servizi transfrontalieri.
Il quadro normativo è, poi, completato da una serie di strumenti legislativi, soft law non vincolanti, e forme di cooperazione facoltativa, che si rivolgono non solo alla tutela dei consumatori ma anche a profili inerenti all’utilizzo dei mercati digitali come nuovi canali per la Commissione di condotte illecite e, in particolare la diffusione di contenuti, beni e servizi illeciti[7].
Importante aggiornamento è rappresentato dal Regolamento sulla correttezza trasparenza nelle relazioni tra piattaforme online e imprese, c.d. P2B Regulation[8] in vigore da luglio 2019. Il regolamento contribuisce al corretto funzionamento del mercato interno stabilendo norme intese a garantire che gli utenti commerciali di servizi di intermediazione online e gli utenti titolari di siti web aziendali che siano in relazione con motori di ricerca online dispongano di un adeguata trasparenza, di equità e di efficaci possibilità di ricorso.
In particolare, l’ambito soggettivo del regolamento è lo stesso della richiamata Direttiva E-Commerce, essendo riferito ai servizi di intermediazione online e ai motori di ricerca online. Sono invece esclusi dall’ambito di applicazione le piattaforme che gestiscono servizi di pagamento online, strumenti di pubblicità online o scambi pubblicitari online dal momento che non perseguono l’obiettivo di agevolare l’avvio di transazioni dirette e che non implicano una relazione contrattuale con i consumatori.
La P2B Regulation fornisce obblighi di trasparenza e di informazione agli utenti, con particolare riferimento, tra l’altro, alla modalità di accesso ai dati, che deve essere descritto nei termini e nelle condizioni contrattuali, ad eventuali trattamenti differenziati applicati o applicabili, e alla formulazione di condizioni in maniera trasparente e comprensibile.
La Direttiva su una migliore applicazione e modernizzazione delle norme UE a tutela dei consumatori ha, inoltre, aggiunto requisiti di trasparenza nell’ambito dei mercati online nei confronti dei consumatori, che dovrebbero diventare applicabili nel maggio 2022[9].
Tra gli strumenti di soft law meritano invece di essere richiamati la comunicazione e la raccomandazione del 2018 della Commissione Europea destinate a piattaforme online e Stati membri per la lotta ai contenuti illegali online [10].
Diversi sono i documenti di analisi e monitoraggio della “platform economy” su iniziativa della Commissione Europea. Si tratta, in particolare, del gruppo di Esperti dell’Osservatorio sulle Piattaforme Online[11]; la Comunicazione della Commissione Europea sulle piattaforme online nel mercato unico: opportunità e sfide[12]; la consultazione pubblica lanciata sugli scenari regolatori delle piattaforme online, intermediari online, cloud computing e collaborative economy[13]; e lo Staff Working Document sulle piattaforme online[14].
Infine, su richiesta del Parlamento europeo, la Commissione sta svolgendo un'analisi approfondita della trasparenza algoritmica e della connessa responsabilità. Il progetto pilota fornirà uno studio approfondito sul ruolo degli algoritmi nell'economia e nella società digitale. In particolare, come modellano, filtrano o personalizzano i flussi di informazioni[15].
A fianco al delineato quadro normativo si pongono le prassi decisionali delle autorità europee garanti della concorrenza e della Direzione per la Concorrenza della Commissione Europea nonchè la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea e delle corti nazionali che si trovano a dover adattare gli attuali strumenti a tutela della concorrenza alle mutate esigenze dei mercati digitali.
Uno degli aspetti di maggior problematicità con il quale i public enforcers si trovano a dover fare i conti è proprio quello dominanza di queste piattaforme e della responsabilità sociale da essa derivante. Responsabilità sociale che, come proposto a più riprese a livello accademico, potrebbe sostanziarsi in veri e propri obblighi di autoregolazione all’interno del proprio microsistema, così come accade per esempio per le leghe sportive[16].
4. Verso una regolamentazione dei gatekeeper: il Digital Package
In questo contesto si inserisce il c.d. Digital Package[17] volto a rafforzare il mercato unico per i servizi digitali e innalzare il livello di innovazione concorrenza nell’orizzonte europeo online. Si tratta di un ambizioso pacchetto normativo previsto per i primi di dicembre.
Due sono i capisaldi dell’intervento, come si vedrà in maggior dettaglio nel proseguo.
Un primo focus è quello di regolare le piattaforme sotto il profilo della diffusione di beni/contenuti/servizi illeciti. In questo senso la proposta normativa si pone in continuità con l’esistente apparato normativo, fissando come obbiettivo una maggiore chiarezza nell’allocazione della responsabilità nell’ambito dei servizi digitali, nonché l’introduzione di un meccanismo che possa assicurare una migliore applicazione delle regole riguardanti i contenuti illeciti. Lo scopo è quello di proteggere in maniera più pregnante i diritti fondamentali degli utenti e limitare la diffusione di beni/contenuti e servizi illegali.
Un secondo focus, del tutto innovativo rispetto all’attuale quadro normativo, è quello volto all’individuazione di una prima regolamentazione sull’operato dei gatekeeper ai fini della tutela della concorrenza.
4.1. Piattaforme come canali per la diffusione di contenuti, beni e servizi illeciti
Sotto il primo profilo le soluzioni prese in considerazioni sono quelle di aggiornare la Direttiva E-Commerce e rendere vincolanti le richiamate Raccomandazioni 2018 sui contenuti illeciti presenti sul web, o, in alternativa, adottare un sistema efficace di supervisione, applicazione e cooperazione normativa tra gli Stati membri, supportato a livello UE.
Scopo è quello di risolvere alcune lacune della Direttiva E-Commerce. In particolare la proposta si rivolgerebbe a problematiche che, sebbene esistenti già al momento di adozione della Direttiva E-Commerce, si stanno diffondendo oggi in scala maggiore. Un esempio è rappresentato dalla maggiore diffusione di fenomeni di hate speech, ed in generale dall’utilizzo delle piattaforme per diffusione di contenuti e prodotti illegali. A fianco a queste si aprono poi nuove problematiche emergenti, sconosciute in fase di redazione della Direttiva E-Commerce. Primo fra tutti è il problema dell’accesso alle informazioni, e la diffusione di informazioni dannose e non veritiere sfruttando algoritmi per amplificare la diffusione del messaggio. La scala di impatto di questi problemi è particolarmente importante se solo si considera la portata di audience delle piattaforme online, veri e propri spazi pubblici nel mondo digitale.
Sotto questo profilo, nonostante le regolazioni di settore, alcuni aspetti rimangono scoperti, permanendo una certa frammentazione del mercato unico dal punto di vista della disciplina applicabile alle piattaforme online che evidenzia la necessità di una maggior cooperazione, e una più uniforme protezione dei diritti fondamentali online degli utenti, attraverso un aggiornamento della disciplina in vigore in materia di sicurezza dei prodotti, di profili giuslavoristici, e dei codici di condotta per il contrasto alla disinformazione e alle fake news.
4.2. Regolamentazione ex ante[18]
Come anticipato è la regolazione ex ante a rappresentare l’elemento di maggior novità della proposta della Commissione, che nei documenti di “impact assessment” allegati ha valutato una serie di opzioni configurabili per una possibile regolazione delle piattaforme gatekeepers.
L’introduzione di una regolazione sovranazionale è a maggior ragione necessaria se solo si considera che alcuni paesi europei hanno iniziato a formulare una disciplina nazionale, con un conseguente rischio di frammentazione normativa. L’articolo 114 Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) potrebbe dunque rappresentare la base giuridica su cui fondare un intervento sovranazionale volto ad affrontare in maniera armonizzata il problema della regolamentazione di servizi di intermediazione online di natura intrinsecamene e sistematicamente transnazionale, al contempo salvaguardando la contendibilità del mercato per imprese innovative e nuovi operatori del mercato2.
In particolare, questo pilastro d’azione si rivolge a problematiche quali: (i) eccessiva dipendenza delle imprese da un numero limitato di piattaforme online, con conseguente perdita del potere di contrattazione nei confronti di concorrenti e utenti; (ii) difficoltà di innovare con conseguente riduzione della concorrenza e della scelta per i consumatori; (iii) capacità da parte delle piattaforme di estendere all’infinito la propria dominanza a macchia d’olio su mercati adiacenti.
Come evidente, le strade percorribili sono di due tipi. Optare per una regolazione di dettaglio volta ad un maggior controllo delle grandi aziende tecnologiche, richiedendo, la separazione delle loro linea di business principale dalle altre attività. In questo scenario si potrebbero vietare le pratiche di c.d. self-preferencing, e Amazon non potrebbe più vendere prodotti con i suoi marchi sul suo mercato, dove presumibilmente si concede un trattamento preferenziale, ivi compreso un migliore posizionamento nei risultati di ricerca. Oppure rinunciare ad un eccessivo interventismo e limitarsi ad una modifica delle leggi antitrust esistenti, che permetterebbe di riadattare un meccanismo di controllo ex post e trasversale.
Sotto il primo profilo, per essere efficacie, una scelta regolataria deve prevedere strumenti sufficientemente elastici da potersi adattare a mercati in rapida evoluzione e cambiamento. Anche nel caso di adozione di una black-list di pratiche proibite l’approccio sarebbe dunque quello di formulare proibizioni di principio, es. divieto di pratiche di self-preferencing o il rifiuto di contrarre con imprese concorrenti, adattabili a mercati e piattaforme anche diverse tra loro.
Cionondimeno la Commissione sta valutando anche l’opportunità di adottare, caso per caso, le misure regolatorie più idonee alla luce delle specificità delle singole piattaforme. Una volta mappati i rischi potrebbero essere valutate soluzioni ad hoc. Il rischio di una simile soluzione potrebbe essere, però, quello di un’eccessiva frammentazione regolatoria – che è proprio quella che vuole evitarsi – oltre al rischio di approcci non sempre uniformi da parte dei public enforcers, che potrebbero lasciare spazio a trattamenti diversificati a seconda della classificazione della piattaforma. Nelle loro peculiarità è infatti difficile individuare canoni univoci di classificazione delle piattaforme online, e il rischio è quello di lasciare vuoti normativi.
Sotto il secondo profilo, nella proposta della Commissione emerge anche una possibile revisione delle regole di concorrenza con lo scopo di affrontare i problemi strutturali derivanti dall’ assenza o distorsione della concorrenza.
Le soluzioni prese in considerazione in questa fase iniziale sono di due tipi. Un primo strumento potrebbe essere rivolto esclusivamente ai mercati particolarmente inclini a distorsione della concorrenza; un secondo tipo di strumento sarebbe invece volto a tutti i mercati, esattamente come accade oggi per gli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Altresì discusso è se lo strumento debba affrontare solo le problematiche di abuso di dominanza, o piuttosto identificare e affrontare tutti i problemi strutturali legati alla concorrenza.
Particolarmente interessante è poi l’opzione vagliata in sede di proposta di attribuire a specifiche autorità di regolazione la facoltà di raccogliere informazioni dai gatekeeper, relativamente a determinate pratiche commerciali e il loro impatto su consumatori e utenti, al fine di assicurare una più approfondita esamina delle dinamiche competitive ad esse associate.
5. Considerazioni finali
Se si osserva la questione in prospettiva politica pare che i tempi siano maturi per provare a seguire l’impervia strada di una regolazione ex ante [19]. In questa direzione sembrano andare gli USA, dove, il 6 ottobre 2020, una Commissione del Congresso Americano ha pubblicato un rapporto su come l'America dovrebbe aggiornare la sua legge sulla concorrenza[20].
Un primo nodo che i paesi che vorranno seguire la via della regolazione dovranno sciogliere è allora quello di identificare una definizione di gatekeeper che possa essere univocamente applicabile, e che possa affiancarsi alla tradizionale categoria di “posizione dominante”. In questo senso l’introduzione di un parametro quantitativo sicuramente potrebbe aiutare a tracciare una chiara linea di demarcazione nello scopo soggettivo della riforma, sebbene diversi potrebbero essere i valori presi in considerazione quali ad esempio il numero di utenti, le entrate, i dati accumulati (di più difficile misurazione).
Dall’altra parte, come a più riprese sollevato dai tech giants nelle loro osservazioni al progetto di regolazione europeo, il rischio da scongiurare è quello di intrappolare i gatekeeper in “una camicia di forza legale”, che potrebbe, in ultima istanza, limitare l’incentivo all’innovazione. È del resto questo il dilemma della regolazione.
Quel che è certo è che i mercati tecnologici in rapida evoluzione richiedono strumenti altrettanto rapidi ed elastici e l’elaborazione di regole efficaci richiederà tempo. Forse non meno tempo dei procedimenti antitrust. Ma come è stato correttamente osservato a più riprese sarebbe un'anomalia storica se la tecnologia non venisse regolata, come lo erano prima altri settori di importanza sistemica[21].
[1] Si veda Proposal for a regulation of the European Parliament and of the Council on promoting fairness and transparency for business users of online intermediation services COM/2018/238, consultabile online https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/soteu2018-preventing-terrorist-content-onlineregulation-640_en.pdf.
[2] Parker, Van Alstyne e Choudary, Platform Revolution, richiamato in Crémer Yves, Montjoye, Schweitzer, Competition policy for the digital era, pagina 60 consultabile online https://ec.europa.eu/competition/publications/reports/kd0419345enn.pdf
[3]Ursula von der Leyen, Political guidelines, A Union that strives for more - My agenda for Europe, consultabile online https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/political-guidelines-next-commission_en_0.pdf, pagina 13
[4]Shaping Europe’s digital future - The Digital Services Act package consultabile online https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/digital-services-act-package
[5] Per un’analisi approfondita delle caratteristiche delle piattaforme online si rinvia a Commissione Europea, Staff Working Document on Online Platforms, accompanying the document "Communication on Online Platforms and the Digital Single Market" (COM(2016) 288) consultabile online: https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/commission-staff-working-document-online-platforms
[6] Direttiva (Ue) 2000/31/Ce del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico») consultabile online: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32000L0031&from=EN
[7] Ne è un esempio la legislazione relativa a beni e contenuti illegali che comprende ad esempio il regolamento sulla sorveglianza del mercato; la direttiva sui servizi di media audiovisivi; la direttiva sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale; la direttiva sul diritto d'autore nel mercato unico digitale; il regolamento sulla sorveglianza del mercato e la conformità dei prodotti; la proposta di regolamento sulla prevenzione della diffusione di contenuti terroristici online; la direttiva sulla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia infantile; il regolamento sulla commercializzazione e l'uso di precursori di esplosivi.
[8] Regolamento (Ue) 2019/1150 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online consultabile online: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32019R1150&from=EN
[9] Direttiva (Ue) 2019/2161 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 Novembre 2019 che modifica la Direttiva 93/13/Cee del consiglio e le Direttive 98/6/Ce, 2005/29/Ce E 2011/83/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Unione relative alla protezione dei consumatori consultabile online: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32019L2161&from=EL
[10] Recommendation on measures to effectively tackle illegal content online; Communication on stepping up efforts to tackle illegal content online, Settembre 2017, consultabile online https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/commission-recommendation-measures-effectively-tackle-illegal-content-online
[11] Decision on setting up the group of experts for the Observatory on the Online Platform Economy (Aprile 2018) consultabile online https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/commission-decision-group-experts-observatory-online-platform-economy
[12] Communication on online platforms and the Digital Single Market opportunities and challenges for Europe (Maggio 2016) consultabile online http://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?qid=1466514160026&uri=CELEX:52016DC0288
[13] Public consultation on the regulatory environment for platforms, online intermediaries, data and cloud computing and the collaborative economy, Settembre 2015 - Gennaio 2016, consultabile online https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/public-consultation-regulatory-environment-platforms-online-intermediaries-data-and-cloud
[14] Commissione Europea, Staff Working Document on Online Platforms (Maggio 2016) consultabile online https://ec.europa.eu/digital-single-market/news-redirect/31576
[15] Commissione Europea , Algorithmic Awareness-Building, consultabile online https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/algorithmic-awareness-building
[16] Inter alia si veda Commissione Europea, Caso AT.39740 — Google Search (Shopping), 27.6.2017, Gazzetta Ufficiale 2018/C-9/08, del 12.1.2018, p. 1; Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato caso A542 - Aperta istruttoria nei confronti di Google per abuso di posizione dominante nel mercato italiano del display advertising press release del 28 ottobre 2020
[17]Shaping Europe’s digital future - The Digital Services Act package, consultabile online https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/digital-services-act-package
[18] Digital Services Act package: Ex ante regulatory instrument for large online platforms with significant network effects acting as gate-keepers in the European Union’s internal market, Giugno 2020
[19] Si rinvia a numerosi studi prodotti da diversi Paesi negli ultimi anni. Inter alia, UN IGF Dynamic Coalition on Platform Responsibility, United Nations Internet Governance Forum, Platform Regulations How Platforms are Regulated and How They Regulate Us Official Outcome, Ginevra 2017 consultabile online: https://juliareda.eu/wp-content/uploads/2019/09/Reda2017_Platform-regulations-how-platforms-are-regulated-and-how-they-regulate-us3.pdf; Australian Competition and Consumer Commission, Digital platforms inquiry, 2019, consultabile online https://www.accc.gov.au/focus-areas/inquiries-ongoing/digital-platforms-inquiry; French Competition Authority, Contribution to the debate on competition policy and digital challenges, 2020 consultabile online https://www.autoritedelaconcurrence.fr/sites/default/files/2020- 03/2020.03.02_contribution_adlc_enjeux_numeriques_vf_en_0.pdf; German Commission ‘Competition Law 4.0’, A new competition framework for the digital economy, 2019, consultabile online https://www.bmwi.de/Redaktion/EN/Publikationen/Wirtschaft/a-new-competition-framework-for-the-digital- economy.pdf?__blob=publicationFile&v=3; Stigler Committee for the Study of Digital Platforms, Market Structure and Antitrust Subcommittee 2019 consultabile online https://research.chicagobooth.edu/stigler/events/single-events/antitrust-competition-conference/digital- platforms-committee .
[20] Online Platforms and Market Power: Part 6: Examining the Dominance of Amazon, Apple, Facebook, and Google, 29 luglio 2020,
consultabile online https://judiciary.house.gov/uploadedfiles/competition_in_digital_markets.pdf .
[21] Sul punto interessante è l’articolo di approfondimento sulla situazione politica americana del The Economist, Ex-antics Google, antitrust and how best to regulate big tech, 7 ottobre 2020
La genitorialità d’intenzione e il principio di effettività. Riflessioni a margine di Corte cost. n. 230/2020 (*)
di Mirzia Bianca
Sommario: 1. Premesse di metodo - 2. La rilevanza della genitorialità di intenzione nel diritto effettivo: diritto o status? - 3. L'interesse del minore alla genitorialità di intenzione. Valutazione in astratto e in concreto - 4. Il rinvio al legislatore.
1. Premesse di metodo
Con la decisione in commento, la Corte Costituzionale aggiunge un altro importante tassello alla problematica della c.d. genitorialità di intenzione, definendo e rendendo più nitido il diritto vivente in questa materia, quale risultato del dialogo della giurisprudenza interna ed europea. La delicata problematica della rilevanza della “intenzione” di diventare genitori, a prescindere dall'assenza di un legame biologico con il nato, chiama l'interprete ad una valutazione complessiva delle norme giuridiche alla luce di quella che è la loro applicazione da parte della giurisprudenza, secondo il principio di effettività, da intendersi quale strumento che consente di verificare il grado di conformità di un complesso di norme alla realtà sociale di un determinato momento storico[1]. Le riflessioni che saranno approfondite nel corso di questa indagine impongono di considerare questa decisione non isolatamente ma alla luce del complesso delle decisioni della giurisprudenza interna ed europea e delle disposizioni vigenti, al fine di indagare quello che è il diritto vivente in materia di genitorialità di intenzione. L'adozione di questo metodo costituisce la premessa per ogni riflessione in una materia così delicata che chiama l'interprete a spogliarsi di ogni convinzione e presupposto ideologico, che inevitabilmente inquinerebbe la purezza dell'argomentazione. Allo stesso tempo l'adozione di questo metodo è la premessa per una corretta interpretazione delle ragioni poste a fondamento della decisione della Corte Costituzionale che qui si commenta.
Prima di iniziare questa indagine appare utile per il lettore indicare sia pure sinteticamente la vicenda che ha dato origine alla decisione e i principali passaggi argomentativi. Una coppia di due donne, unite civilmente, si reca all'estero per coronare il desiderio di avere un figlio. Una delle due, con il consenso dell'altra, si sottopone alla pratica di fecondazione artificiale eterologa dalla quale nasce un bambino. Il problema, come per altri casi, emerge quando la coppia ritorna in Italia e al fine di rettificare l'atto di nascita chiede all'ufficiale dello stato civile di indicare il minore come figlio di entrambe e non della sola partoriente. Giova sottolineare che la donna non partoriente che reclama lo stato di genitore del bambino non ha con lui alcun legame genetico, ma è unita civilmente alla partoriente, con la quale ha condiviso la scelta di andare all'estero per usufruire della pratica di fecondazione eterologa. Di fronte al rifiuto dell'ufficiale dello stato civile, il Tribunale di Venezia[2] solleva giudizio di legittimità costituzionale della legge n. 76 del 2016e del Regolamento sullo stato civile (D.p.R. n. 396 del 2000)[3].
Con riferimento alla presunta violazione dell'art. 2 Cost. del 'combinato disposto' delle due citate norme[4], il rimettente afferma che l'inapplicabilità delle regole sulla genitorialità di intenzione alle coppie di donne unite civilmente “non realizza il diritto fondamentale alla genitorialità dell'individuo, sia come soggetto singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”[5] . Inoltre con riferimento alla presunta violazione dell'art. 30 Cost., oltre a rilevarsi il non rispetto “del principio di tutela della filiazione” viene sottolineata l'esigenza di adottare una 'concezione progressista' che porti ad “affrancarne la realizzazione dalla tradizionale dimensione naturalistico-fattuale, tutelandola come diritto pretensivo che, ove il progresso scientifico lo consenta, non può essere escluso o limitato, se non in funzione di interessi che il legislatore consideri, legittimamente pari-ordinati”[6]. Con riferimento alla violazione dell'art. 117 Cost in relazione alla normativa europea si afferma che è “principio internazionale definitivamente acquisito quello per cui il matrimonio non costituisce più il discrimine nei rapporti tra genitori e figli, né per gli uni (i genitori) che hanno visto riconosciuto il diritto non solo a formarsi una famiglia, ma altresì a diventare genitori …. oltre i limiti imposti dalla natura, né per gli altri (i figli) che debbono godere della medesima tutela indipendentemente dalla forma di legame tra coloro che ne assumono la genitorialità “. Infine, con riferimento alla presunta violazione dell'art. 3 Cost., si ribadisce la disparità di trattamento sia con riferimento alla coppia “sulla base del sesso e del reddito”, che al nato “in considerazione delle caratteristiche della relazione tra i genitori e in particolare se questa sia omosessuale”.
La Corte costituzionale ha respinto tutte le questioni di legittimità costituzionale sollevate e ha rilevato che la delicatezza della materia richiede un intervento del legislatore[7].
Le pagine che seguono saranno dedicate ad affrontare le due principali tematiche che emergono dalla questione oggetto della decisione e che risultano tra loro strettamente collegate: 1) l'esistenza di un diritto alla genitorialità che dovrebbe essere assicurato a tutti e quindi anche alle coppie dello stesso sesso; 2) la tutela del soggetto nato e l'esigenza di assicurargli un pari trattamento.
Può anticiparsi che le argomentazioni della Corte non possono ritenersi isolate ma completano e integrano lo stato dell'arte in materia di rilevanza della genitorialità di intenzione, contribuendo a tracciare quello che ad oggi può essere considerato il diritto effettivo.
2. La rilevanza della genitorialità di intenzione nel diritto effettivo: diritto o status?
Con riferimento alla prima problematica, ovvero la presunta esistenza di un diritto alla genitorialità, occorre in primo luogo verificare se la nozione di “famiglia” implichi necessariamente la presenza dei figli. Una volta risolto questo primo problema, occorre poi verificare se nel diritto effettivo la genitorialità si iscriva nel novero dei diritti fondamentali e quindi delle pretese di cui il soggetto è titolare, indipendentemente dal sesso, dalla nascita e dal modello familiare che ha scelto. Quanto al primo problema la Corte ha risposto che “l'art. 30 Cost non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli”[8]. Quanto al secondo problema, al primo intimamente collegato, la Corte, nel negare l'esistenza di un 'diritto alla genitorialità”, attraverso la distinzione tra 'aspirazione' e 'diritto'[9], ha ribadito che “la libertà e volontarietà dell'atto che consente di diventare genitori non implica che possa esplicarsi senza limiti”[10]. Quanto alla prima affermazione in ordine alla sufficienza della famiglia senza figli, essa mi trova concorde. L'evoluzione del diritto di famiglia dell'ultimo cinquantennio ha dimostrato che al modello tradizionale fondato sul matrimonio si sono via via affiancati altri modelli, tutti a vocazione familiare, se pure con alcune differenze. Tali modelli sono stati riconosciuti in sé come “familiari” a prescindere dalla presenza di figli, in quanto l'elevazione al rango di modello familiare è stata argomentata sulla base di elementi tutti riguardanti la relazione di coppia. Per le convivenze, tale elemento è stato rinvenuto nella stabilità e durata della relazione affettiva. Per le unioni civili, la qualifica di 'famiglia' si desume dal riconoscimento normativo di un complesso di diritti e doveri, che emula lo statuto dei coniugi (v. L. n. 76 del 2016). Inoltre il diritto della filiazione, con l'ultima riforma del 2012 e 2013, attraverso il riconoscimento dei diritti in capo a tutti i figli, ha contribuito a sganciare le riflessioni in ordine alle relazioni di coppia da quelle in ordine allo status dei figli, status che si compone di un complesso di diritti fondamentali (che sono quelli elencati all'art. 315-bis del codice civile) a prescindere dall'esistenza o meno di una famiglia, dato che per esempio un figlio può nascere anche da una relazione occasionale, ma non per questo perde i suoi diritti. In questo modo si è assistito ad una divaricazione delle regole che governano il diritto di famiglia in regole riservate alla relazione di coppia e in regole riservate alla famiglia con prole. Esempio emblematico di queste ultime è dato dalla applicazione giurisprudenziale dell'assegnazione della casa familiare in caso di crisi della famiglia, soluzione che è dettata al solo fine di tutelare la famiglia con prole[11]. La presenza di figli non è quindi elemento decisivo al fine di classificare un modello come familiare.
Con riferimento all'altro problema, concordo con quanto affermato dalla Corte in ordine alla inesistenza del diritto alla genitorialità[12]. Aggiungo alle argomentazioni della Corte che il problema non è solamente quello di porre dei limiti alla volontarietà e libertà dell'atto che consente di diventare genitori, ma di verificare quale è nel diritto effettivo il ruolo della volontà e della libertà nell'instaurazione del rapporto di genitorialità[13]. In definitiva occorre chiedersi se la genitorialità e quindi la filiazione appartengono ancora al mondo degli status ovvero se essi siano passati a far parte della categoria dei diritti, dei quali il soggetto può disporre liberamente e che siano a lui garantiti. Occorre in definitiva accertare se la cd genitorialità di 'intenzione' descriva un nuovo modello di genitorialità basato su un atto di volontà, o al contrario sia esclusivamente una categoria che assegna all'intenzione un valore meramente lessicale e descrittivo di una genitorialità che è individuata in negativo quale genitorialità non biologica.
La presunta individuazione di 'un diritto alla genitorialità' annoverabile tra gli altri diritti fondamentali della persona ai sensi del dettato costituzionale (art. 2) impone poi una riflessione preliminare sul rapporto che necessariamente corre tra diritti e status in materia di filiazione, nonché sull'esatta interpretazione e applicazione delle norme vigenti.
Il tradizionale impianto normativo delle azioni di stato, che disegna il perimetro delle regole che governano l'instaurazione e la cancellazione della genitorialità, benché abbia ricevuto una significativa evoluzione a seguito della riforma della filiazione, ha nella sostanza conservato l'idea che il procedimento per diventare genitori o per perdere tale qualifica è affidato alle regole che governano gli status ed è sottratta all'arbitrio dell'autonomia negoziale e della autodeterminazione. La riforma della filiazione, nel modificare i termini di prescrizione per le azioni di stato, non ha infatti intaccato il modello dello status ma ha consentito, a certe condizioni, che la regola della primazia del sangue possa essere temperata dalla regola degli affetti e della tutela dell'affidamento del figlio in ipotesi di mancanza del formale legame di sangue con colui che ha ritenuto essere il proprio (genitore)[14]. Tale evoluzione, lungi dal modificare il fatto che la filiazione e la genitorialità siano status, ha solo modificato le regole della prescrizione al fine di far prevalere la sostanza sulla forma, a vantaggio del figlio[15]. La necessità di far prevalere la continuità delle relazioni affettive a prescindere da un formale titolo di genitorialità, risponde peraltro al diritto effettivo in quanto è stata stigmatizzata nella legge sulla continuità affettiva (L. n. 173 del 2015). Che la genitorialità sia uno status e non un diritto si evince anche dall'analisi delle disposizioni della legge n. 40 del 2004 che sembrano fondate esclusivamente sul 'consenso' di coloro che si sottopongono alla tecnica di fecondazione, sia omologa che eterologa. Non è infatti la volontà e quindi il consenso prestato ai sensi dell'art. 8 della citata legge l'elemento che costituisce l'effetto della genitorialità, in quanto il consenso è solo coelemento di una fattispecie complessa, comprensiva di altri elementi che tutti concorrono a produrre l'effetto della instaurazione della genitorialità. Tra questi, rilievo particolare assume la condizione della presenza di uno stato di infertilità assoluta ed accertata. Tale elemento rappresenta la ratio sulla quale è costruita la legge n. 40 del 2004. Già l'art. 1, 1° comma, fa emergere la finalità primaria della legge che è quella “di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana”. Il 2° comma del medesimo articolo prevede espressamente che “il ricorso alla procreazione medicalmente assistita è consentito qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità”. Anche l'art. 2, specificamente dedicato ad interventi dello Stato contro la sterilità e l'infertilità, contribuisce a definire un quadro in cui l'infertilità è il presupposto per fare ricorso alla procreazione medicalmente. Infine è proprio l'art. 4, 1° comma, che esprime in termini inequivoci che lo scopo della legge è quello di risolvere il problema della infertilità, quando afferma che “il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è circoscritto ai casi di sterilità o infertilità inspiegate o documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico”. Correttamente quindi la Corte Costituzionale ha costruito il mancato accesso alla procreazione medicalmente assistita da parte delle coppie dello stesso sesso non come un problema di discriminazione ma come mancanza di un presupposto indicato dalla legge, ovvero l'infertilità patologica[16]. Oltre a queste riflessioni, che basterebbero a risolvere il problema dell'accesso alla procreazione assistita da parte delle coppie dello stesso sesso al di fuori degli schemi della discriminazione, devono aggiungersi altri rilievi che contribuiscono a negare che la procreazione medicalmente assistita determini l'instaurazione di una filiazione basata sul solo elemento della volontà, a prescindere da ogni questione inerente il sesso delle coppie. Nel difficile caso Pertini riguardante lo scambio di embrioni, al fine di affermare la genitorialità dei gemelli in capo alla donna partoriente e al marito di lei, oltre ad applicarsi la regola codicistica che “è madre colei che partorisce” (art. 269. 3° co), si è sottolineato che non basta il consenso alla fecondazione (prestato ai sensi dell'art. 8 della legge n. 40), ma è necessario che l'embrione venga impiantato nell'utero perchè è solo da tale momento che si instaura il rapporto di genitorialità[17]. In base a questa lettura dell'art. 8 della legge n. 40 del 2004, si è quindi superata la primazia del sangue e della genetica e si è ribadita l'insufficienza del solo elemento volontaristico, che diversamente opinando, avrebbe consentito ai genitori genetici di essere considerati tali già al momento della prestazione del consenso. Alla luce delle disposizioni vigenti e di come esse sono applicate nel diritto vivente, deve quindi osservarsi che la procreazione medicalmente assistita non può essere intesa quale strumento per soddisfare la volontà di avere un figlio, ma come terapia riservata a chi sia affetto da infertilità accertata e patologica. La mancata estensione alle coppie dello stesso sesso non involge un problema di pari trattamento, in quanto il presupposto della infertilità patologica vale sia per le coppie dello stesso sesso che per le coppie di sesso diverso. In questo senso appare significativo che a tale tecnica possono accedere solo le coppie in età potenzialmente fertile (art. 5) in quanto solo per le coppie in età fertile è possibile parlare di infertilità patologica e non fisiologica, legata all'età. Rimane poi sullo sfondo la questione del divieto della maternità surrogata, in questo caso non evocata in quanto la coppia di donne unite civilmente non aveva fatto ricorso a tale pratica ma alla fecondazione eterologa. Detto divieto trova fondamento in un principio di ordine pubblico[18] che riguarda indistintamente tutte le coppie, sia eterosessuali che dello stesso sesso. Semmai deve rilevarsi che, ove si accogliesse l'idea di consentire la fecondazione eterologa alle coppie dello stesso sesso, si porrebbe inevitabilmente un problema di discriminazione all'interno delle coppie omosessuali, dato che la maternità surrogata diventa tappa obbligata per le sole coppie omosessuali maschili. Tale discriminazione potrebbe essere evitata solo attraverso l'abolizione del divieto. Il problema sarebbe tuttavia difficilmente risolvibile in quanto è la coscienza sociale che reputa illecita tale pratica in quanto lesiva della dignità della donna[19], e tale dato sociale è confermato dal fatto che la maggioranza dei Paesi dell'Europa ne prevedono il divieto[20].
Se si volge lo sguardo all'altro modello di genitorialità non biologica, l'adozione, si ha la conferma della irrilevanza della volontà e quindi la conferma della inesistenza di un preteso diritto alla genitorialità.
L'adozione, sia legittimante che in casi particolari, non è affidata al mero consenso o alla 'intenzione' di diventare genitori ma ad una fattispecie complessa che prevede vari elementi, la cui presenza è verificata dal giudice[21]. Nell'adozione legittimante questi elementi sono la differenza d'età tra adottanti e adottato, l'idoneità affettiva degli adottanti e l'accertamento dello stato di abbandono materiale o morale del minore, elemento quest'ultimo che consente di derogare alla regola che il minore debba, ove possibile, crescere nella propria famiglia[22]. Nell'adozione in casi particolari, pur prescindendosi dallo stato di abbandono materiale e morale, sono richiesti altri elementi, quale l'impossibilità di affidamento preadottivo. Ma è proprio l'elemento dell'abbandono materiale e morale nell'adozione legittimante che avvalora e conferma la tesi della natura solidaristica dell'adozione[23] e che ne fa un modello a statuto speciale di filiazione non biologica. Con la procreazione medicalmente assistita si programma la nascita di un bambino[24]; con l'adozione si dona famiglia ad un bambino già nato che ne è privo[25]. Emerge quindi in tutta la sua evidenza la distinzione tra status nascente, che richiede una valutazione in astratto e status acquisito che richiede una valutazione in concreto[26]. La distinzione tra questi due piani, come dirò a breve, oltre a delineare le diverse rationes sottese ai due modelli di instaurazione della genitorialità, individua una diversa rilevanza dell'interesse del minore. Nella procreazione medicalmente assistita l'interesse del minore è valutato necessariamente in astratto in quanto il bambino non è ancora nato, ma si discute se e chi può diventarne genitore. Nell'adozione, sia legittimante che in casi particolari, al contrario, la valutazione sull'interesse del minore è necessariamente condotta in concreto, in quanto occorre valutare se rispetto a quel determinato bambino, da considerare in carne e ossa, sia adeguata quella specifica famiglia o quella singola persona. Se si accoglie la distinzione tra questi due diversi piani, deve condividersi l'dea della Corte Costituzionale che nella decisione che si commenta reputa “non arbitrario e irrazionale che una famiglia composta da due genitori di sesso diverso, entrambi viventi e in età potenzialmente fertile, rappresenti in linea di principio il luogo più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato”[27]. Si tratta infatti di una valutazione astratta che non esclude, anzi presuppone che in concreto possa valutarsi l'esistenza di una relazione affettiva che giustifichi e legittimi una scelta diversa. Tuttavia, tale valutazione non può mai essere automatica ma deve essere condotta caso per caso nell'esclusivo interesse del minore[28]. La previsione di strumenti, come la Stepchild Adoption[29], che possono consentire di soddisfare l'interesse del minore a conservare le relazioni affettive di cui ha bisogno esclude la sussistenza della discriminazione, ma al contempo sottrae la scelta della genitorialità ad un automatismo, in linea con il diritto effettivo in materia. Spesso invece il richiamo al migliore interesse del minore diventa quasi una formula di stile per legittimare ex post scelte degli adulti relative alla programmazione della nascita, che impongono un riconoscimento automatico di genitorialità intenzionali, al di fuori e in contrasto con il diritto vivente. La stagione che stiamo vivendo, che pone principalmente il problema della identità del minore nato a seguito di maternità surrogata praticata all'estero, ci ha proiettato tristemente in un mondo di vicende giudiziarie[30] che vedono il bambino sospeso in un limbo di incertezza identitaria, solo al fine di soddisfare un presunto diritto alla genitorialità degli adulti.
3. L'interesse del minore alla genitorialità di intenzione. Valutazione in astratto e in concreto
Queste ultime riflessioni aprono il tema del vulnus che si assume arrecato all'interesse del minore, nel caso oggetto della decisione. Al riguardo il giudice rimettente, rileva la presunta violazione dell'art. 3 Cost, perchè si attuerebbe una discriminazione del nato “sul piano della sua tutela sia morale che materiale in considerazione delle caratteristiche della relazione tra i genitori ed in particolare se questa sia omosessuale”[31]. Al riguardo la Corte Costituzionale, come già aveva affermato la Corte di Cassazione a sezioni unite[32], ha risposto che la previsione dell'adozione in casi particolari da parte del partner dello stesso sesso del genitore biologico del minore evita tale vulnus. L'adozione in casi particolari, se pure non legittimante, condivide con l'impianto dell'adozione il controllo in ordine all'esistenza di una valida relazione affettiva, sottraendo la cd genitorialità di intenzione ad ogni automatismo[33]. Allo stesso modo, la previsione dello strumento dell'adozione in casi particolari, come già accennato, porta ad escludere la discriminazione in base al sesso, facendo riemergere proprio quella necessaria valutazione in concreto dell'interesse del minore. Questa valutazione, oltre a trovare conferma in tutta la giurisprudenza interna, è poi confermata anche dalla giurisprudenza europea[34]. Il parere consultivo della Corte europea dei diritti dell'uomo[35], oltre a ribadire la discrezionalità degli Stati membri nella scelta degli strumenti più idonei a dare rilevanza alla genitorialità di intenzione, con il solo limite della celerità e della efficienza[36], ha confermato che il genitore di intenzione non diviene tale solo perchè partner del genitore biologico, ma in quanto sia concretamente accertata una relazione affettiva con il figlio del partner[37]. Anche nell'adozione in casi particolari prevista dall'art. 44 lett. b) della legge n. 183 del 1984, l'adozione del figlio del coniuge non si fonda sul mero status di coniuge, ma sull'accertamento in concreto di una accertata relazione affettiva[38]. La legge sulla continuità affettiva si basa sulla medesima ratio in quanto consente di accedere all'adozione se e in quanto sia accertata una relazione affettiva con il minore. Il quadro interno ed europeo mostra di aver dato una progressiva rilevanza alla famiglia degli affetti che spesso supera la famiglia di sangue, ma le modalità di instaurazione di questa nuova famiglia sono tutte rivolte ad accertare la relazione affettiva e l'interesse del minore a mantenerla. Nè sembrano al riguardo cogliere nel segno quelle riflessioni che, richiamando la recente riforma della filiazione, sottolineano una violazione del principio di uguaglianza tra i figli, adducendo che la soluzione dell'adozione in casi particolari per il genitore di intenzione pregiudicherebbe i figli, in quanto darebbe loro meno tutele[39]. Deve al riguardo sottolinearsi che si tratta di situazioni che non possono essere poste sullo stesso piano al fine di invocare una presunta violazione del principio di uguaglianza e di unicità dello stato di figlio. Nel caso della riforma della filiazione, i figli nati da parenti, se pure figli biologici e quindi di sangue non potevano essere riconosciuti da nessuno dei genitori (art. 251 vecchio testo prima della riforma della filiazione) in quanto su di loro gravava il peso della colpa, come prima della riforma del diritto di famiglia dl 1975, per i figli adulterini. Nel caso del riconoscimento del genitore di intenzione, si tratta di bambini che hanno già un genitore biologico e si tratta di aggiungerne un altro. La situazione è parallela a quella del minore orfano di padre che viene adottato dal nuovo marito della madre, situazione che non a caso integra anch'essa un'ipotesi di Stepchild adoption che trova apposita regolamentazione (v. art. 44 lett. b) della le. n. 183 del 1984). La nuova figura genitoriale non può essere acquisita automaticamente solo perchè si tratta di persona legata affettivamente al genitore, ma solo se ciò realizzi l'effettivo interesse del minore. Una diversa soluzione porterebbe al risultato di creare uno statuto speciale privilegiato del nato da fecondazione che è il rischio che autorevole dottrina aveva prospettato già prima dell'approvazione della legge n. 40 del 2004[40]. Peraltro proprio in tema di riforma della filiazione, il nuovo art. 251 del codice civile, pur avendo rimosso il previo divieto di riconoscimento dei figli nati da parenti, subordina il riconoscimento alla “previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all'interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio”[41]. Si tratta quindi di cambiare prospettiva e di partire dall'interesse del minore per poi analizzare l'interesse degli adulti. Tale cambiamento risulta dal complesso delle disposizioni vigenti in tema di filiazione e di azioni di stato[42] e non solo nel contesto interno[43]. La legittima aspirazione alla genitorialità non è quindi un diritto ma un'opportunità che tuttavia deve misurarsi con la realizzazione dell'interesse del minore[44].
A conclusione di questa indagine sul diritto effettivo in materia di genitorialità non biologica, può rilevarsi che la negazione dell'esistenza di un diritto alla genitorialità, più che fondarsi su un mero presupposto ideologico, è il risultato di un complesso di norme che, così come sono applicate dalla giurisprudenza interna ed europea, evidenziano che la genitorialità non biologica non può fondarsi sul mero elemento volontaristico, né può essere instaurata in modo automatico in mancanza di elementi che ne giustificano a priori l'esistenza. L'impostazione adultocentrica[45] che rivendica l'esistenza di un diritto alla genitorialità deve essere ridimensionata da una prospettiva che fonda ogni decisione sull'instaurazione di modelli di genitorialità non biologica solo dopo un attento controllo di quello che è in concreto l'interesse del minore.
La distinzione tra interesse in astratto e interesse in concreto del minore, insieme alla riflessione in ordine agli status, consente di riportare questa difficile e delicata problematica su un piano diverso rispetto a quello della discriminazione basata sul sesso. La complessità del diritto effettivo che ho cercato di sintetizzare in queste pagine evidenzia che i modelli di filiazione non biologica sono fattispecie complesse in cui la volontà è solo un coelemento, che non è tale autonomamente a costituire l'effetto della genitorialità. E ciò vale tanto per le coppie eterosessuali che per le coppie dello stesso sesso. In particolare la genitorialità di intenzione, quale sottospecie della genitorialità non biologica, non individua una genitorialità fondata sulla intenzione e quindi sulla volontà, ma sull'accertamento in concreto di una relazione affettiva che viene considerata rilevante per realizzare l'interesse del minore[46].
4. Il rinvio al legislatore
Quanto alla scelta della Corte Costituzionale di rinviare al legislatore, mi sembra scelta da condividere. Si tratta, come correttamente ha già indicato la Corte in più di una decisione di “temi eticamente sensibili”[47], che richiedono l'intervento del legislatore in quanto “interprete della volontà della collettività e chiamato a tradurre sul piano normativo il bilanciamento tra valori fondamentali in conflitto, tenendo conto degli orientamenti e delle istanze che apprezzi come maggiormente radicati, nel momento dato, nella coscienza sociale”[48]. Si dà in questo modo piena voce e applicazione al principio di effettività che nel pensiero di chi l'ha formulato[49] non significa confusione tra potere legislativo e potere giudiziario[50] ma realizzazione di un virtuoso cerchio di reciprocità e di competenze. In questo caso il compito del legislatore dovrebbe condurre a verificare se il diritto effettivo che ho sinteticamente descritto sia contrario alla coscienza sociale e se quindi vada interamente riscritto. Al riguardo voglio solo sottolineare che la complessità del diritto effettivo in materia richiederebbe una riforma complessa. Non si tratterebbe di singoli od autonomi interventi legislativi ma di una riforma sia delle azioni di stato che delle regole che governano la procreazione medicalmente assistita e l'adozione. Si tratterebbe in definitiva di riscrivere la disciplina che governa le azioni di stato e dei diversi modelli di filiazione non biologica, lasciando pieno spazio al principio di libertà e di autodeterminazione di decidere quando e perchè si diventi genitori, e quando e perchè si perda tale qualifica. Essendo questa una scelta che deve essere lasciata alla piena discrezionalità del legislatore, ritengo tuttavia che una così complessa problematica non possa esaurirsi nella evocazione del solo principio di non discriminazione, ma andrebbe affrontata in maniera completa e più approfondita, alla luce di quelli che sono attualmente i principi del diritto effettivo che governano la materia. Un singolo intervento legislativo che per esempio consentisse l'accesso a tutti alla fecondazione eterologa porrebbe il problema della discriminazione all'interno delle coppie dello stesso sesso, in quanto il mantenimento della surrogazione di maternità porterebbe di fatto a discriminare le coppie omosessuali maschili. Allo stesso modo l'apertura alla procreazione anche alle coppie dello stesso sesso porrebbe il problema di estendere l'accesso anche ad altre ipotesi di infertilità fisiologica, pena una discriminazione a contrario fondata sul sesso. L'insieme di queste riflessioni, oltre a confermare la lungimiranza e l'importanza dell'applicazione del principio di effettività, anche e soprattutto in tematiche eticamente sensibili come questa, dimostra come non siano possibili prospettive parziali che affrontano una tematica così delicata solo da un determinato ambito prospettico. Occorre al contrario addivenire ad una visione di insieme che, accanto al problema dell'esistenza o meno di un diritto alla genitorialità, quale diritto degli adulti, affronti e ricomprenda la necessità che ogni scelta, anche quella del legislatore, sia orientata alla realizzazione del migliore interesse del minore. Solo così e, forse, potrà riempirsi di contenuto la tanto declamata formula del best interest of the child, che altrimenti rischia di restare una formula di stile.
*Dedico questo scritto all'indelebile ricordo di mio Padre, fine giurista dalle grandi doti umane che ha illuminato le riflessioni dell'interprete sull'importanza del principio di effettività.
[1] V. al riguardo C.M. BIANCA, Il principio di effettività come fondamento della norma di diritto positivo: un problema di metodo della dottrina privatistica, pubblicato prima in Estudios de derecho civil en honor del Prof. Castan Tobeñas, Vol. II, Pamplona 1969, 61 e ss e poi in CM. BIANCA, Realtà sociale ed effettività della norma, Vol I, Milano, 2002, 35 e ss., spec. 42: “...il principio di effettività inteso non come astratto criterio di validità della norma ma come espressione dell'esigenza che l'indagine di diritto assuma la norma così come essa si presenta nella realtà dell'esperienza di un determinato tempo e di un determinato luogo”; 43-4: “Anche con riguardo all'ordinamento statale deve dunque ammettersi che il giurista positivo proceda alla ricerca della norma giuridica vigente – cioè alla conoscenza della realtà normativa del suo tempo – come primo momento della sua indagine...Per il giurista continentale l'indice concreto di questa operatività è offerto fondamentalmente dagli orientamenti giurisprudenziali ...la giurisdizione è il momento in cui l'ordinamento statale esprime la sua garanzia ultima di ricorso alla norma. E' quindi in tale momento che si presta ad essere verificata l'efficacia della regola giuridica: nel significato e nel contenuto in cui essa può essere fatta concretamente valere”. Altre riflessioni sul principio di effettività sono contenute in C.M. BIANCA, Ex facto oritur ius, in Riv dir civ 1995, I, 787 e ss. poi in Realtà sociale ed effettività della norma, Vol I, cit., 189 e ss.
[2] V. T. Venezia, 3 aprile 2019.
[3] In particolare viene sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 20 della legge 20 maggio 2016, n. 76, (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) “nella parte in cui limita la tutela … delle coppie omosessuali unite civilmente ai soli diritti e doveri nascenti dall'unione civile” e dell'art. 29, comma 2 del d. p. R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'art. 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), come modificato dall'art. 1, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219, in materia di filiazione), nella parte in cui “limita la possibilità di indicare il solo genitore 'legittimo', nonché di quelli che rendono … o hanno dato il il consenso ad essere nominati” e non anche alle donne tra loro unite civilmente e che abbiano fatto ricorso (all'estero) a procreazione medicalmente assistita. Il giudizio di legittimità di entrambe le norme viene sollevato con riferimento agli artt. 2, 3, primo e secondo comma, 30 e 117 della Costituzione, primo comma (quest'ultimo in relazione all'art. 24, paragrafo 3 della Carta fondamentale dell'Unione Europea, agli artt. 8 e 14 della CEDU e alla Convenzione sui diritti del fanciullo di New York.
[4] V. al riguardo la nota 4 del testo.
[5] Così testualmente T. Venezia, 3 aprile 2019.
[6] Così testualmente T. Venezia, 3 aprile 2019.
[7] V. il § 4 del testo.
[8] Così testualmente la decisione della Corte costituzionale che qui si commenta.
[9] Così testualmente in motivazione: “...l'aspirazione della madre intenzionale ad essere genitore non assurge a diritto fondamentale della persona nei sensi di cui al citato art. 2 Cost.”. Conforme C. 22 aprile 2020, n. 8029.
[10] La Corte conferma quanto già espresso nella decisione n. 162 del 2014
[11] E' infatti orientamento costante della giurisprudenza di legittimità subordinare l'assegnazione della casa familiare alla presenza dei figli, v. solo a titolo esemplificativo, Cass. 6 agosto 2020, n. 16740; 17 giugno 2019, n. 16134; 13 dicembre 2018, n. 32231; 4 ottobre 2018, n. 24254; 6 agosto 2018, n. 16740.
[12] Sulla inesistenza del diritto alla genitorialità v. A. MORACE PINELLI, Verso una riforma delle adozioni, in Fam e dir., 2016, 719 e ss.
[13] Per questi importanti interrogativi si rinvia a P. MALAURIE – H. FULCHIRON, Droit de la famille, 7° ed., 2020, 455 e ss.
[14] V. opportunamente C.M. BIANCA, Diritto civile 2.1. La famiglia, 6° ed., Milano, 2017, 434 che richiama il principio di apparenza conosciuto in ambito contrattuale.
[15] Sulla necessità che la disciplina delle azioni di stato sia letta alla luce della realizzazione dell'interesse del minore, v. Corte Cost. n. 272 del 2017.
[16] La Corte conferma quanto aveva già affermato nella decisione n. 221 del 2019, in cui si era operata la distinzione tra infertilità patologica e infertilità fisiologica (delle coppie dello stesso sesso), escludendosi il diverso profilo della discriminazione. Su questa distinzione v. anche C. 22 aprile 2020, n. 8029.
[17] V. T. Roma, 2 Ottobre 2015. Riflessioni sempre molto interessanti sulla tutela dell'embrione anche prima dell'impianto si rinvengono in J. RAMON DE VERDA Y BEAMONTE, Persona e comunità familiare, in via di pubblicazione con la casa editrice Giuffré.
[18] V. C. S.U. 8 maggio 2019, n. 12193.
[19] La lesione della dignità della donna è stata affermata sia dalla giurisprudenza di legittmità (C. n. 24001 del 2014; C. S.U. n. 12193 del 2019; C. n. 7668 del 2020) che dalla Corte Costituzionale (decisione n. 272 del 2017). Riflessioni molto suggestive sono dedicate al tema da G. LUCCIOLI, Qualche riflessione sulla sentenza delle Sezioni Unite n. 12193 del 2019 in materia di maternità surrogata, in GenIUS, n. 1/2020: “...la surrogacy è una pratica che riduce la persona a corpo, ad incubatrice meccanica, a contenitore di una vita destinata per contratto a non appartenere mai a chi la porta in grembo, che priva la maternità del suo senso umano e la fa divenire bruta materialità biologica, mera tecnica riproduttiva”; ID., Risposte all'intervista in materia di maternità surrogata fatta da G. Russo e pubblicate sul sito della Rivista Giustiziainsieme.
[20] V. al riguardo C.S.U. n. 12193 del 2019.
[21] Solo in tale prospettiva può intendersi il significato della “lesione dell'istituto dell'adozione”, termine utilizzato dalla Corte di di Cassazione a sezioni unite nella citata decisione n. 12193 del 2019. Con tale espressione si intendeva sottolineare che la maternità surrogata determinerebbe l'instaurazione di un titolo genitorialità su semplice accordo delle parti, in violazione delle regole poste dall'adozione in ordine al controllo del giudice.
[22] V. C.M. BIANCA, Diritto civile 2.1. La famiglia, cit., 453-4: “Diritto fondamentale del minore è quello di crescere nella propria famiglia, ma quando la famiglia risulta irrimediabilmente inidonea a prendersi cura del figlio, la permanenza in essa non risponde più al suo interesse. In tal caso prevale l'esigenza del minore di ricevere in un nuovo nucleo familiare l'assistenza materiale e soprattutto l'affetto di cui egli ha essenziale bisogno per la sua crescita armoniosa”. Nel diritto vivente l'adozione viene infatti considerata come extrema ratio: C. 13 febbraio 2020, n. 3643: “L'adozione legittimante è l'extrema ratio a cui si deve pervenire quando non si ravvisa alcun interesse del minore di conservare una relazione con i genitori biologici, attesa la condizione di abbandono materiale e morale nella quale si verrebbe a trovare e a vivere”.
[23] Così mi ero espressa nel corso dell'Audizione alla Camera dei deputati sulla riforma delle adozioni tenutasi il giorno 16 maggio 2016.
[24] Proprio la distinzione tra soggetto non ancora nato e soggetto nato ha consentito alla Corte costituzionale nella recente decisione del 25 giugno 2020, n. 127 di ritenere non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 263 del codice civile nella parte in cui non esclude la legittimazione ad impugnare il riconoscimento del figlio in capo a colui che abbia compiuto tale atto nella consapevolezza della sua non veridicità e a contestare la violazione dell'art. 3 Cost con riferimento alla diversa disciplina dettata dall'art. 9 della legge n. 40 del 2004 in tema di procreazione medicalmente assistita. Significativo al riguardo un passaggio argomentativo della Corte: “...Non possono essere equiparate la volontà di generare con materiale biologico altrui e la volontà di riconoscere un figlio altrui: nel primo caso la volontà porta alla nascita di una persona che altrimenti non sarebbe nata; nel secondo caso la volontà del dichiarante si esprime rispetto ad una persona già nata”.
[25] V. Corte cost. n. 221 del 2019, cit: “Vi è infatti una differenza essenziale tra l'adozione e la PMA. L'adozione presuppone l'esistenza in vita dell'adottando; essa non serve per dare un figlio a una coppia, ma precipuamente per dare una famiglia al minore che ne è privo....La PMA, di contro, serve a dare un figlio non ancora venuto ad esistenza ad una coppia (o a un singolo) realizzandone le aspirazioni genitoriali. Il bambino quindi deve ancora nascere”.
[26] Tale distinzione tra PMA e procedimento di adozione si pone nella stessa direttiva della distinzione tra status nascente e status acquisito all'estero, v. al riguardo T.Roma, 11 febbraio 2020 n. 3017 e 11 febbraio 2020, n. 2991 e C. 3 aprile 2020, n. 7668. Sul problema del riconoscimento in Italia di un titolo di genitorialità conseguito attraverso un procedimento di adozione all'estero, v. C. 11 novembre 2019, n. 29071, che ha rimesso la questione alle Sezioni Unite.
[27] La Corte conferma quanto aveva già affermato nella decisione n. 221 del 2019.
[28] Come detto, tale valutazione è alla base di tutti i procedimenti di adozione in casi particolari e di adozione legittimante.
[29] Tale termine anglosassone viene da noi tradotto come “l'adozione del figlio biologico del coniuge o del partner” (Enciclopedia Treccani) o “l'adozione del configlio” (termine preferito dal Sabatini). Nella nostra legge sull'adozione tale istituto è stato previsto solo per il 'coniuge' (ai sensi dell'art. 44 lett. b) della legge n. 183 del 1984.) La mancanza di una analoga previsione per il 'convivente' o per l'unito civile ha portato la nostra giurisprudenza a prevederlo in applicazione dell'art. 44 lett.d) della legge sull'adozione, presupponendo che l'impedimento dell'affidamento preadottivo debba essere inteso non solo in senso materiale ma anche in senso giuridico.
[30] Basti far riferimento alla lunga vicenda del caso Paradiso e Campanelli c. Italia che si è concluso dopo tanti anni con la decisione della Grande Camera della Cedu, 24 gennaio 2017.
[31] V. T. Venezia, 3 aprile 2019, cit.
[32] V. la già citata C. S.U. n. 12193 del 2019.
[33] Per queste considerazioni si rinvia a M. BIANCA, La tanto attesa decisione delle Sezioni unite. Ordine pubblico versus superiore interesse del minore?, in Familia, 2019, 371 e ss.
[34] Significativamente al riguardo una recente decisione della Corte di Cassazione francese (del 24 giugno 2020, n. 365) che ha escluso il riconoscimento del diritto di visita dell'anziana compagna della madre in quanto ritenuto pregiudizievole per l'interesse superiore del minore che deve avere “considération primordiale”.
[35] V. Cedu, sezione Grande Camera, 10 aprile 2019, n.16.
[36] V. al riguardo la mia nota critica all'ordinanza interlocutoria n. 8325 del 2020: Il Revirement della Cassazione dopo la decisione a Sezioni Unite. Conflitto o dialogo con la Corte di Strasburgo? Alcune notazioni sul diritto vivente delle azioni di stato, pubblicato sulla Rivista Giudicedonna.it n. 2 del 2020.
[37] All'interesse concreto del minore all'accertamento del rapporto genitoriale è fatto riferimento in tutte le decisioni in tema di Stepchild Adoption, V. a titolo esemplificativo v. Cass. 26 giugno 2019, n. 1700: “L'art. 44 lett d) della legge n. 184 del 1983 integra una clausola di chiusura del sistema, intesa a consentire l'adozione tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità affettiva ed educativa della relazione tra adottante ed adottando (e non certo tra quest'ultimo ed i genitori naturali), come elemento caratterizzante del concreto interesse del minore a vedere riconosciuti i legami sviluppatisi con altri soggetti che se ne prendono cura”.
[38] V. a solo titolo esemplificativo C. 19 ottobre 2011, n. 21651.
[39] V. al riguardo S. STEFANELLI, Risposte all'intervista in materia di maternità surrogata fatta da G. Russo e pubblicate sul sito della Rivista Giustiziainsieme; G. SPADARO – M. TUDISCO, Il destino dei figli della coppia omogenitoriale: quali diritti? In Giustiziacivile.com del 1° Ottobre 2020.
[40] V. C.M. BIANCA, Nuove tecniche genetiche, regole giuridiche e tutela dell'essere umano, in Dir fam. 1987, e ripubblicato in Suo ricordo in Nomos n. 2 del 2020.
[41] V. C.M. BIANCA, Diritto civile 2.1. La famiglia, cit., 408: “La disposizione che rende ora riconoscibili anche i figli nati da parenti, previo accertamento del tribunale che nessun pregiudio ne derivi loro, è improntata all'idea che il riconoscimento dev'essere precluso quando contrasta con l'interesse del figlio e che pertanto la preclusione non ha ragione d'essere quando sia accertato che il riconoscimento è per lui favorevole”
[42] Oltre alla già menzionata evoluzione della disciplina delle azioni di stato nel senso di privilegiare l'interesse del figlio, v. la giurisprudenza di legittimità che per esempio spiega l'impedimento ad esercitare l'azione di disconoscimento della paternità in caso di fecondazione eterologa proprio in ragione della realizzazione dell'interesse del minore: C. 18 dicembre 2017, n. 30294.
[43] V. la recente decisione della Cedu del 13 ottobre 2020, Affaire Koychev c. Bulgarie che, affrontando il caso della contestazione della paternità da parte del genitore biologico, rileva l'esigenza di valutazione di tutti gli interessi, con particolare riferimento al superiore interesse del minore.
[44] V. Corte cost. n. 221 del 2019: “Si tratta di stabilire se il desiderio di avere un figlio tramite l'uso delle tecnologie meriti si essere soddisfatto sempre e comunque sia, o se sia invece giustificabile la previsione di specifiche condizioni di accesso alle pratiche considerate: e ciò particolarmente in una prospettiva di salvaguardia dei diritti del concepito e del futuro nato “. (il carattere sottolineato è da me inserito per evidenziare l'attenzione posta dalla Corte all'interesse del minore).
[45] Critico nei confronti di questa impostazione con riflessioni tutte condivisibili, v. G. RECINTO, La Consulta e la legittimità del divieto per coppie dello stesso sesso di ricorrere alla PMA: non sussiste “un diritto assoluto alla genitorialità”, in Giustiziacivile.com del 6 novembre 2019.
[46] Per questo motivo ho rilevato che la cd genitorialità di intenzione è irrilevante per il diritto se non si traduce anche in genitorialità sociale: M. BIANCA, La tanto attesa decisione delle Sezioni unite. Ordine pubblico versus superiore interesse del minore?, cit., 384.
[47] V. Corte cost. n. 162 del 2014 e n. 221 del 2019.
[48] V. già Corte cost. n. 84 del 2016, principio poi riprodotto nella decisione che si commenta e nella citata decisione n. 221 del 2019.
[49] V. C.M. BIANCA, le opere sul principio di effettività citate alla nota 2 del testo.
[50] V. C.M. BIANCA, Ex facto oritur ius, cit, 203 e ss., il quale così obiettava a chi contestava il principio di effettività asserendo che tale principio porterebbe ad attribuire autorità normativa ai giudici: “Prendere atto del principio di effettività non vuol dire tuttavia conferire né riconoscere un potere normativo ai giudici né dare ingresso alla 'consuetudine giurisprudenziale' come fonte del diritto....Il diritto effettivo non può dunque essere ricercato nella vincolatività delle sentenze o nell'autorità normativa del giudice. Esso deve essere piuttosto colto nel fatto obiettivo che la norma viene socialmente accettata come norma giuridica secondo determinati significati e contenuti, cioè nel fatto della sua reale operatività. L'accettazione sociale della norma è il fatto dal quale scaturisce il diritto”.
Le misure di allerta interna ed esterna nel nuovo codice della crisi di impresa*
di Lucia De Bernardin
Sommario: 1. Le misure di allerta – 2. La c.d. allerta interna: gli indici della crisi – 3. (segue): il ruolo degli amministratori – 4. (segue): il ruolo degli organi di controllo – 5. La c.d. allerta esterna – 6. Allerta e legislazione di emergenza.
1. Le misure di allerta
Uno dei principali obiettivi che si prefigge il d.lgs.14 del 2019 (di seguito: Codice) è dichiaratamente quello di dare attuazione in Italia alle indicazioni rinvenienti dalla raccomandazione n. 2014/135/UE, ossia consentire alle imprese sane in difficoltà finanziaria di ristrutturarsi in una fase precoce, per evitare l’insolvenza e proseguire l’attività[1].
Si legge nella relazione illustrativa che: “l’importanza di questo obiettivo è molto evidente poiché le possibilità di salvaguardare i valori di un’impresa in difficoltà sono direttamente proporzionali alla tempestività dell’intervento risanatore, mentre il ritardo nel percepire i segnali di una crisi fa sì che, nella maggior parte dei casi, questa degeneri in vera e propria insolvenza sino a divenire irreversibile”.
Nel perseguire questo proposito viene operata una precisa scelta ideologica, quella secondo cui è necessario rilevare precocemente l’eventuale stato di crisi dell’impresa per poter procedere con tempestività alla sua eliminazione e consentire la prosecuzione dell’attività d’impresa. Scelta che si contrappone ad altra impostazione dogmatica, secondo cui l’ordinamento deve limitarsi a garantire che l’impresa insolvente esca dal mercato e non, invece, positivamente adoperarsi per il superamento della crisi[2].
La scelta del legislatore italiano è in linea con quella del legislatore europeo che da anni si propone l’obiettivo di una rilevazione tempestiva della crisi, nella prospettiva del mantenimento della continuità aziendale per il perseguimento del triplice fine: consentire all’imprenditore di superare lo stato di crisi e di proseguire l’attività imprenditoriale; garantire ai creditori l’ottenimento di un (seppur spesso parziale) soddisfacimento del proprio credito; evitare alla collettività le esternalità negative connesse alla fuoriuscita dal mercato di un’impresa, segnatamente in termini di perdita di posti di lavoro.
Nel codice si trova quindi, innanzitutto, per la prima volta la definizione di: “crisi”, ossia quello: “stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”[3].
L’ambizioso fine di consentire all’imprenditore di individuare tempestivamente l’insorgere di uno stato di crisi per enucleare una soluzione che gli consenta di superarla è stato, poi, attuato tramite un’articolata serie di strumenti che vanno: dall’individuazione di indici rivelatori della crisi, all’imposizione di precisi obblighi in capo all’organo amministrativo e all’organo di controllo di rilevare suddetti indici, alla delineazione di un modello operativo che conduce –in caso di rilevazione degli indici della crisi- o all’individuazione di una soluzione adeguata alla ragione della crisi nell’ambito delle dinamiche interne all’impresa ovvero all’attivazione di un procedimento innanzi a soggetto esterno all’impresa (OCRI) che dovrebbe favorire l’individuazione di tale soluzione[4]. Obblighi di rilevamento e di segnalazione (cd. allerta esterna) sono stati poi posti a carico anche di soggetti pubblici cd. qualificati (Agenzia delle entrate, Inps e Agente per la riscossione).
In attuazione del principio fissato dall’art.14 co.1 lett.a) della legge delega n.155/2017, il sistema dell’allerta trova applicazione a tutti gli imprenditori commerciali costituiti in forma societaria, con l’esclusione di categorie di soggetti che svolgono particolari attività in relazione a cui già esistono specifici regimi di vigilanza[5].
2. La c.d. allerta interna: gli indici della crisi
Per perseguire il proposito di indurre il sistema economico a rilevare tempestivamente la crisi dell’impresa, il legislatore ha dovuto cimentarsi con l’individuazione degli indicatori della crisi, compito non semplice tenuto conto della difficoltà di fissare con definizioni normative -per vocazione destinate all’applicazione nei confronti di tutti i consociati in maniera indiscriminata- caratteristiche per loro natura mutevoli e articolate –quali sono le peculiarità dell’attività d’impresa[6].
Proprio nella prospettiva del mantenimento dell’impresa sul mercato, il legislatore individua gli indici della crisi in quei dati che –in via prospettica- precludono la continuità aziendale[7], ossia quell’attitudine: “dell’impresa a generare flussi economico-finanziari idonei a dare compimento al ciclo produttivo e, dunque, a far fronte regolarmente alle obbligazioni aziendali in un arco temporale di almeno dodici mesi dalla chiusura dell’esercizio”[8].
La non facile missione del legislatore delegato sul punto è stata accompagnata da diverse riflessioni degli aziendalisti che, nel corso dell’iter legis, non hanno mancato di rimarcare le criticità connesse ai diversi criteri di volta in volta individuati, partendo dall’indicazione della legge delega (in cui si venivano in rilievo quali indici: il rapporto fra i mezzi propri e mezzi di terzi, l’indice di rotazione dei crediti, l’indice di rotazione del magazzino e l’indice di liquidità, art.4 lett. h l.155/2017)[9], passando dallo schema di decreto legislativo presentato dal Governo (rapporto fra flusso di cassa e attivo, tra patrimonio netto e passivo, tra oneri finanziari e ricavi, art.13)[10], sino all’attuale formulazione che recepisce le osservazioni della commissione giustizia della Camera volte a: “sostituire il riferimento esplicito ad indicatori specifici con l’indicazione di aree di verifica più rilevanti, alle quali possono ascriversi i rapporti indicati” [11].
Attualmente, quindi, il primo comma dell’articolo sugli indicatori della crisi impone una valutazione circa la possibilità dell’impresa di onorare regolarmente i propri debiti su un termine di medio-breve periodo di sei mesi e nella prospettiva della continuità aziendale, tenuto anche conto: da un lato, dalla sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare; dall’altro dall’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi[12].
Pur a fronte dello sforzo profuso nell’enucleare in via normativa degli indici della crisi aziendale, il legislatore delegato ha, tuttavia, previsto che sia il Consiglio dell’ordine dei dottori commercialisti a individuare -con cadenza triennale- in ragione delle peculiarità delle diverse tipologia di attività imprenditoriale, quali siano gli indici –fra quelli di cui al comma 1- che in concreto consentano di presumere lo stato di crisi[13].
La scelta è stata, quindi, quella di affidare a soggetto diverso dall’organo legislativo -sebbene istituzionale- il compito di individuare gli indici che siano atti a disvelare lo stato di crisi e ciò sulla scorta della comprensibile preoccupazione degli operatori circa la difficoltà di individuare in maniera: “standardizzata” indici effettivamente sintomatici dello stato di crisi, considerate le (anche rilevanti) differenze che possono caratterizzare l’attività d’impresa, vuoi per le sue dimensioni, vuoi per il settore merceologico, vuoi ancora per la zona geografica ove l’attività è sita[14].
La medesima preoccupazione ha, poi, condotto alla formulazione del terzo comma dell’art.13 cci, ossia la possibilità per l’imprenditore di stimare l’inadeguatezza degli indici come sopra individuati in relazione alle caratteristica della propria attività e di indicare quelli che –di contro- considera adeguati, dandone conto nella nota integrativa e previa attestazione da parte di professionista qualificato[15].
Accanto a questo meccanismo di rilevazione degli indici della crisi di carattere più prettamente aziendalistico, sono poi fissati come indicatori della crisi i ritardi reiterati e significativi nei pagamenti, anche sulla base dell’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno sessanta giorni per un ammontare pari ad oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni e dell’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno centoventi giorni, per un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti.
Come già osservato, sarà importante verificare come –in concreto- si atteggeranno gli operatori del diritto nell’interpretazione del rapporto fra queste due tipologie di indici di allerta di natura, all’evidenza, non omogenea[16].
3. (segue): il ruolo degli amministratori
Lo strumento dell’allerta interna -ossia l’individuazione dei segnali della crisi all’interno dell’assetto organizzativo dell’impresa- è stato attuato dal legislatore della riforma tramite un duplice canale: da un lato, con la previsione dell’obbligo –in capo all’organo amministrativo- di approntare strutture organizzative in grado di rilevare tempestivamente gli indici della crisi, attivandosi –in caso di rilevazione di tali indici- per il loro superamento[17]; dall’altro, con l’introduzione di obblighi –in capo agli organi di controllo e di revisione delle società- di monitoraggio e di attivazione di un procedimento in prima battuta interno, volto al superamento della situazione di crisi eventualmente rilevata.
Raccogliendo anche spunti di carattere sovranazionale[18], il primo dei citati propositi è stato realizzato con l’introduzione di obblighi organizzativi a carico dell'imprenditore[19].
È stato quindi formulato il secondo comma all'art.2086 cc ai termini del quale: “L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”[20].
Il medesimo obbligo è stato espressamente esteso alle società di persone (modifica dell’art.2257 cc), alle s.p.a. (modifica degli artt.2380 bis c.c. e 2409 novies cc) e alle s.r.l. (modifica dell’art. 2475 c.c.)[21]. Stante il rimando generale di cui all’art.2519 cc, deve considerarsi sussistente anche in capo alle società cooperative.
L’organo amministrativo dovrà quindi dotare la struttura imprenditoriale di strumenti atti a rilevare l’esistenza di indici della crisi[22] e, ovviamente, la tipologia e le modalità operative di tali strumenti varieranno a seconda della minore o maggiore complessità dell’organizzazione aziendale[23].
Una volta intercettati sintomi di crisi, l’imprenditore deve –inoltre- attivarsi tempestivamente per la sua rimozione con l’adozione di: “uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”, immaginandosi che –a seconda della gravità della crisi rilevata- venga alternativamente adottato un rimedio di carattere interno –nelle ipotesi meno gravi- ovvero l’attivazione del procedimento innanzi all’OCRI ai sensi degli artt.18 e ss. cci[24].
Il codice della crisi estende poi agli amministratori di s.r.l. –nei limiti della compatibilità- gli obblighi già previsti dall’art.2381 cc nell’ambito delle società per azioni e, segnatamente, l’obbligo di curare l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile in relazione alla natura e alle dimensioni dell'impresa e quello di relazionare con periodicità almeno semestrale sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione[25].
In altre parole, le società di capitali debbono ora dotarsi di strutture la cui adeguatezza non sarà più valutabile in relazione a parametri quantitativi o qualitativi, bensì (anche) in ragione del dato finalistico costituito dalla loro capacità di rilevare i sintomi della crisi e di attivare meccanismi per il recupero della continuità[26].
Pur con quelle che saranno le invitabili diversità dovute alle caratteristiche dimensionali, strutturali e dell’attività espletata da ciascun imprenditore, le modifiche del codice civile appaiono inesorabilmente destinate a incidere sul modo in cui –tradizionalmente- è stato considerato il cd. “merito imprenditoriale”[27].
Le scelte della strategia d’impresa sono, infatti, tendenzialmente considerate sottratte a censure (anche) in sede giurisdizionale e ciò in estrinsecazione della dedotta insindacabilità del business judgement rule[28]. La responsabilità dell’amministratore per i danni cagionati nell’ambito dell’attività d’impresa viene, infatti, usualmente individuata in condotte di mala gestio consistenti non in scelte imprenditoriali, bensì in violazioni di disposizioni di legge ovvero nell’adozione di scelte palesemente e conclamatamente irragionevoli. Viene ora introdotto un nuovo obbligo che apre un potenziale fronte sconosciuto di sindacato delle scelte operate dall’imprenditore in relazione all’adeguatezza dell’assetto organizzativo approntato[29].
Se alla superiore constatazione si aggiunge che il codice della crisi ha anche introdotto: tanto l’obbligo per l’imprenditore di assumere tempestivamente le iniziative idonee alla rapida definizione della procedura anche al fine di non pregiudicare i diritti dei creditori, oltre che di gestire il patrimonio o l’impresa durante la procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza nell’interesse prioritario dei creditori[30]; quanto un’espressa previsione di responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale[31], non appare più dubitabile il recepimento nel nostro ordinamento di quelle che sono le riflessioni della dottrina aziendalistica anglosassone secondo cui, in coincidenza con la twilight zone (ossia coll’insorgenza di sintomi della crisi), la libertà che connota l’attività d’impresa usualmente orientata al perseguimento del massimo profitto nell’interesse dell’imprenditore, deve essere –invece- improntata al diverso fine di tutela dell’aspettativa dei creditori di ottenere il soddisfacimento dei propri crediti[32].
La conseguenza che si intravede è che mentre sinora nell’ambito delle azioni di responsabilità è stata prestata scarsa attenzione all’operato dell’imprenditore (o del suo organo gestorio) quanto al comportamento tenuto nella twilight zone ravvisandosi sul tema scarna riflessione dogmatica e altrettanto rara giurisprudenza appuntandosi gli addebiti al più sull’esecuzione di comportamenti pregiudizievoli di carattere commissivo (quali ad esempio rimborso finanziamenti in violazione dell’art.2467 cc ovvero prosecuzione dell’attività d’impresa in situazioni di liquidazione di fatto che imporrebbero la ricapitalizzazione ovvero una gestione conservativa), d’ora innanzi suddetto operato sarà soggetto a vaglio critico a posteriori e ciò, si ritiene, non soltanto con riferimento all’an dell’attivarsi dell’imprenditore quanto (soprattutto) al quomodo e, quindi, all’adeguatezza della scelta in concreto operata e delle attività compiute[33].
Quasi a contrappeso delle accresciute responsabilità, il legislatore delegante aveva dettato fra i criteri direttivi quello relativo alla previsione di misure premiali per i soggetti che attivano tempestivamente i meccanismi di allerta innanzi illustrati[34].
Ne è conseguita l’introduzione di misure premiali di natura civile che attengono –in via generale- alla riduzione di interessi e sanzioni su tributi nel corso dell’espletamento della procedura innanzi all’OCRI ovvero di agevolazioni in caso di opzione per lo strumento del concordato preventivo quale modalità di superamento della crisi[35].
Sempre in favore dell’imprenditore in caso di accesso alla procedura innanzi all’OCRI sono poi previste cause di non punibilità per le ipotesi in cui i reati connessi all’esercizio dell’attività d’impresa abbiano cagionato un danno di particolare tenuità ovvero attenuanti ad effetto speciale, con riduzione della pena sino alla metà[36].
4. (segue): il ruolo degli organi di controllo
Come accennato, il secondo dei menzionati propositi è stato realizzato introducendo nuovi oneri di vigilanza in capo agli organi di controllo societari, al revisore contabile e alla società di revisione, già nella fase fisiologica dell’attività d’impresa[37], a integrazione di quelli esistenti[38].
Un siffatto controllo deve immaginarsi possibile anche grazie allo scambio di informazioni ex art.2409 septies cc ed è agevolato dall’introduzione di un obbligo di segnalazione anche all’organo di controllo societario delle eventuali variazioni di variazioni, revisioni o revoche di affidamenti da parte degli istituti di credito[39].
Ancor prima che nell’ambito di un eventuale contezioso civile, l’adeguatezza delle scelte imprenditoriali volte alla rilevazione degli indici della crisi sarà quindi oggetto di vaglio da parte dell’organo di controllo, con quella che è stata stigmatizzata come una profonda innovazione del ruolo di quest’ultimo che -sinora tendenzialmente confinato in un ruolo di verifica di legittimità formale a posteriori dell’operato dell’organo amministrativo- ne diventa un necessario interlocutore nella fase di definizione degli accorgimenti volti all’individuazione dei segnali di crisi[40].
La verifica dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo durante tutto il corso dell’attività d’impresa si accompagna poi all’introduzione di un preciso obbligo di attivazione a carico dei medesimi soggetti nell’ipotesi di rilevazione di: “fondati indizi di crisi”.
Anche a prescindere da approfondimenti in questa sede circa l’esatta portata di questa locuzione, ciò nondimeno non può non rilevarsi come, anche in questa ipotesi, il ruolo degli organi di controllo si atteggia quale vero e proprio complemento dell’agire dell’amministratore, sopperendo alla sua eventuale inerzia e attivando il procedimento introdotto dall’art.14 co.2 cci che prevede in prima battuta la sollecitazione all’organo amministrativo di adozione di soluzioni adeguate al superamento della crisi, contempla poi un potere di valutazione dell’adeguatezza delle misure adottate e, in caso di insuccesso, ne disciplina la segnalazione della situazione all’OCRI[41].
La portata innovativa di queste disposizioni è amplificata da ulteriori modifiche al codice civile volte ad ampliare il novero delle società tenute a dotarsi di collegio sindacale[42]. Si tratta di disposizioni le cui ricadute concrete non sono ancora state vagliate stante il differimento al bilancio di esercizio 2021 dell’obbligo di nomina e adeguamento degli statuti societari[43], con la particolarità che la legge ha espressamente indicato nel Conservatore del registro delle imprese quale soggetto tenuto alla segnalazione al Tribunale dell’omesso adeguamento da parte delle società[44].
Proiezioni sulla scorta dei dati disponibili hanno già denunciato un aumento importante del numero di società a responsabilità limitata che saranno tenute a dotarsi collegio sindacale che dovrebbero passare dall’attuale 3% circa a una percentuale variabile fra il 28,5% al 35%[45], e ciò segnatamente in ragione dell’introduzione del (nuovo) parametro relativo al numero dei dipendenti, dato che –secondo i primi interpreti che si sono occupati del tema- potrebbe comportare ripercussioni sul versante occupazionale per l’assunto anelito delle società a rimanere sottratte all’obbligo di dotarsi di collegio sindacale[46].
Così come per l’organo amministrativo, anche per l’organo di controllo le modifiche apportate al codice civile dal codice della crisi paiono in grado di impattare in maniera significativa e sistematica sul ruolo tradizionalmente riconosciutogli dal diritto societario, non solo durante l’eventuale fase dell’insorgenza e della gestione della crisi, ma –più in radice- sull’ordinario assetto dei rapporti fra soggetti che partecipano alla realtà dell’impresa.
In primo luogo, infatti, la circostanza che gli organi di controllo siano chiamati a verificare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo approntato dall’organo gestorio ai fini della rilevazione tempestiva dei segnali di crisi comporterà inevitabilmente –a monte- un confronto fra i due organi che sarà necessario mantenere tale e non trasformarlo in un’opera di supplenza dei primi rispetto all’eventuale inerzia o incapacità del secondo[47].
In secondo luogo, già da più parti è stato palesato il timore che questo nuovo ruolo degli organi di controllo possa condurre a situazioni di tensione, vuoi con la proprietà vuoi con l’organo gestorio, tensione per il rischio che i primi indulgano in un eccesso di cautela nelle segnalazioni all’OCRI per beneficiare delle esenzioni da responsabilità connesse alle misure premiali[48], rivelando in via eccessivamente anticipata i profili di crisi aziendale.
Per garantire che –pur con gli inevitabili assestamenti dovuti alla nuova disciplina- gli assetti societari mantengano il loro equilibrio, le segnalazioni degli organi di controllo dovranno quindi essere gestite con estrema cautela e professionalità, tenuto anche conto che –in sede di segnalazione all’OCRI- la legge li esonera espressamente dal dovere di segretezza ex art.2407 cc sui fatti conosciuti per le ragioni del loro ufficio[49].
5. La c.d. allerta esterna
Un fronte del tutto originale aperto dal codice della crisi e dell’insolvenza è poi quello della cd. allerta esterna.
Sempre al deliberato fine di sollecitare l’imprenditore a prendere consapevolezza del proprio stato di crisi il legislatore italiano ha previsto che determinati enti pubblici qualificati (Agenzia delle entrate, INPS e Agente per la riscossione) segnalino al debitore il superamento di determinate soglie di indebitamento[50], diversamente individuate in ragione del soggetto segnalante[51].
La disposizione appare solo parzialmente ispirata alle prescrizioni della direttiva (UE) 2019/1023 (cd. direttiva Insolvency) che immagina –quale strumento di allerta- la rilevazione dell’indebitamento da parte di soggetti qualificati, ma ciò nella prospettiva della sola segnalazione di tale circostanza all’imprenditore[52]. Nello scenario previsto dal legislatore italiano, invece, l’eventuale mancato riscontro da parte del debitore –nella forma di prova: vuoi dell’estinzione del debito, vuoi della presentazione di istanza di composizione assistita della crisi o di domanda per l’accesso ad una procedura di regolazione della crisi e dell’insolvenza- comporta l’onere per i soggetti pubblici qualificati di procedere con la segnalazione all’OCRI perché venga attivato il procedimento di cui agli artt.17 e ss. cci[53].
Su altro versante, verosimilmente consapevole dell’usuale inerzia o comunque ritardo con cui i creditori pubblici qualificati tutelano in sede giurisdizionale il proprio credito -come attestato: da un lato, dagli importi milionari dei crediti per i quali questi si insinuano nei passivi dei fallimenti; dall’altro, dalla (quasi) assenza di istanze di fallimento proposte da tali soggetti che pur hanno tutti gli strumenti per rilevare il crescere del debito e l’avviarsi verso lo stato di crisi dell’imprenditore- il legislatore ha introdotto misure sanzionatorie ove i suddetti enti non si attivino nei termini imposti dalla legge, consistenti per gli enti impositori nella perdita del privilegio e per l’agente per la riscossione nella perdita dei diritti per l’attività di riscossione[54].
La previsione appare un sicuro deterrente per il protrarsi di simili comportamenti da parte dei creditori qualificati, stante la notoria tendenziale incapienza degli attivi fallimentari rispetto ai crediti chirografari.
6. Allerta e legislazione di emergenza
A causa del dilagare della pandemia del COVID19, l’entrata in vigore dell’intero codice della crisi è stata posticipata al 21 settembre 2021[55].
Pur nella consapevolezza della quantità di profili problematici che la legislazione dell’emergenza pone contemporaneamente su una pluralità di fronti (dal diritto societario al diritto fallimentare, passando da questioni di natura contabile e aziendalistica, con ineludibili problematiche di natura civilistica) ci si permette di chiudere la presente riflessione sull’allerta societaria con due considerazioni su come l’allerta sia non solo non accantonabile, ma anche –forse- possa essere uno strumento per traghettare le imprese in crisi (non solo) da COVID19 verso un rinnovato recupero della continuità aziendale.
In primo luogo, deve rimarcarsi che se è vero che gli obblighi di segnalazione all’OCCRI di cui agli artt.14 e 15 cci e il conseguente procedimento (ossia la parte più innovativa del codice per via del coinvolgimento di un soggetto esterno all’impresa nell’individuazione di una soluzione alla crisi) saranno legge a partire dal prossimo autunno, comunque è rimasta e rimane vigente la disposizione che impone all’imprenditore collettivo l’adozione di assetti organizzativi adeguati e di attivarsi senza indugio per l’adozione degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e per il recupero della continuità aziendale.
Non pare potersi affermare che tali obblighi siano venuti meno per via delle disposizioni della legislazione emergenziale che ha –fra le altre cose- sospeso gli obblighi di ricapitalizzazione[56] e fissato una presunzione di continuità aziendale nella redazione del bilancio di esercizio 2020[57] trattandosi di disposizioni volte a sospendere con una fictio iuris l’automaticità di alcune previsioni di legge a fronte di situazioni sintomatiche ed emblematiche di una situazione di crisi[58], che non sembrano –tuttavia- esonerare l’imprenditore dal potere (se non dovere) di attivarsi per ricercare una soluzione alla crisi insorgente[59], disvelata dalla perdita di continuità aziendale: “di fatto”.
In altri termini, pur a fronte della difficoltà di individuare una scelta strategica atta a consentire il superamento della crisi stante l’aleatorietà dei dati economici che rendono difficoltosa l’elaborazione di un piano industriale di ampio respiro, non pare che sia venuto meno l’obbligo per l’amministratore di individuare e monitorare tutti gli elementi che –a valle della causa di tutta la legislazione emergenziale, ossia la diffusione della pandemia da COVID19- costituiscono de facto la ragione della crisi (es. arresto dei flussi di cassa per via dell’obbligo di tenere chiuso l’esercizio commerciale ovvero per via del mancato pagamento da parte dei debitori, arresto della produzione per via della mancata ricezione delle forniture dall’estero, ecc…).
Così come non pare che la sospensione degli obblighi civilistici indicati esoneri dall’obbligo di ricerca di una soluzione della crisi, pur a fronte dell’assenza di strumenti ad hoc che tengano conto delle peculiarità delle ragioni della crisi, segnatamente con riferimento alla problematica relativa alla difficoltà di effettuare previsioni economiche di medio respiro, con le conseguenti ripercussioni in ordine alla difficoltà di immaginare e attestare piani di risanamento o di ristrutturazione aziendali.
La seconda riflessione –strettamente legata a quella che precede, ma non a questa perfettamente sovrapponibile- attiene all’attività degli amministratori durante il periodo della sospensione degli obblighi civilistici indicati, se si considera la mancata introduzione di un’esenzione dalle azioni revocatorie o da responsabilità penali in capo all’amministratore[60].
Questo significa che –a maggior ragione- può essere importante per l’imprenditore disporre di un assetto organizzativo che gli consenta di operare scelte razionali e consapevoli che –anche in mancanza di un piano di ristrutturazione- possa fornire una giustificazione e una spiegazione alle scelte operate sia in termini civilisti, che penalistici.
*Relazione di sintesi dell’intervento svolto al corso “Doveri e responsabilità dell’imprenditore nella gestione dell’impresa in forma collettiva, alla lice dell’art. 2086 c.c. riformato”, organizzato, da remoto, dal 11 al 13 novembre 2020, dalla Scuola Superiore della Magistratura, in collaborazione con la formazione decentrata di Perugia
[1] La relazione illustrativa al codice osserva peraltro che: “la necessità dell'ingresso anticipato in procedura dell'imprenditore in crisi è principio riconosciuto da tutti gli ordinamenti e fa parte dei principi elaborati dall'UNCITRAL e dalla Banca Mondiale per la corretta gestione della crisi d'impresa”, Parte prima. Titolo II. Capi I, II, III e IV
[2] Si tratta della medesima scelta ideologica che si pone alla base della normativa comunitaria, segnatamente della Raccomandazione della Commissione europea del 12 marzo 2014 (2014/135/UE) e della Proposta di direttiva del parlamento europeo e del consiglio, Strasburgo, 22.11.2016, COM (2016) 723 Final in cui viene dato grande risalto anche agli effetti positivi che la continuità aziendale garantisce al sistema bancario (cui viene consentito il recupero di, almeno parte, dei crediti –altrimenti- deteriorati) e alla libera circolazione delle imprese (che non saranno impedite dall’avvio di rapporti economici con imprese di altri paesi né si asterranno dall’avviare attività economiche negli altri paesi in ragione del timore di non poter ottenere utili certi).
[3] Art.2, co.1 lett.a Codice della crisi e dell’insolvenza. Secondo la scienza aziendalistica la crisi dell’impresa si articola, usualmente, su cinque fasi: Fase 1 - Incubazione della crisi e allerta interna “informale”; Fase 2 - Maturazione della crisi e allerta interna “formale”; Fase 3 - Crisi conclamata reversibile, allerta interna “verso l’esterno” e allerta esterna; Fase 4 - Insolvenza reversibile e ricorso alle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza; Fase 5 - Insolvenza conclamata e istanza di liquidazione giudiziaria (cfr. sul punto: A. Danovi, P. Riva, Le cinque fasi della crisi e dell’allerta, in www.ilfallimentarista.it). Gli Autori rilevano anche come: “Nel suo normale ciclo di vita, l’impresa può incorrere in periodi di crisi. Individuare per tempo quelli che possono esserne i segnali è una necessità: se la crisi è monitorata tempestivamente e con gli opportuni provvedimenti può essere risolta e, a volte, rappresentare anche una opportunità di crescita. Il concetto di crisi, per gli imprenditori, è complesso da affrontare; molti di essi mostrano un atteggiamento di rigetto nei confronti di questa eventualità e hanno una sostanziale difficoltà ad ammettere il declino, almeno fintanto che non assuma una rilevanza tale che la crisi non può più essere occultata. Le crisi, infatti, sono in genere precedute da fasi di declino che, se tempestivamente diagnosticate ed affrontate, consentono di fermare il processo degenerativo ed innescare una inversione di rotta (turnaround). Spesso le crisi si manifestano non perché siano inevitabili, ma perché le imprese non riescono a cogliere i segnali di allarme, non sono in grado di limitare gli effetti dannosi e soprattutto di monitorare le minacce per prevenirle”.
[4] L’art.12 cci co.1: “costituiscono strumenti di allerta gli obblighi di segnalazione posti a carico dei soggetti di cui agli articoli 14 e 15, finalizzati, unitamente agli obblighi organizzativi posti a carico dell’imprenditore dal codice civile, alla tempestiva rilevazione degli indizi di crisi dell’impresa ed alla sollecita adozione delle misure più idonee alla sua composizione”.
[5] Art.12 co.4 e 5: “4. Gli strumenti di allerta si applicano ai debitori che svolgono attività imprenditoriale, esclusi le grandi imprese, i gruppi di imprese di rilevante dimensione, le società con azioni quotate in mercati regolamentati, o diffuse fra il pubblico in misura rilevante secondo i criteri stabiliti dal Regolamento della Commissione Nazionale per le società e la borsa - CONSOB concernente la disciplina degli emittenti. 5. Sono altresì escluse dall’applicazione degli strumenti di allerta: a) le banche, le società capogruppo di banche e le società componenti il gruppo bancario; b) gli intermediari finanziari iscritti nell’albo di cui all’articolo 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n.385; c) gli istituti di moneta elettronica e gli istituti di pagamento; d) le società di intermediazione mobiliare, le società di gestione del risparmio, le società di investimento a capitale variabile e fisso, le società capogruppo di società di intermediazione mobiliare e le società componenti il gruppo; e) i fondi comuni di investimento, le succursali di imprese di investimento e di gestori esteri di fondi di investimento alternativi; i depositari centrali; f) le fondazioni bancarie di cui al decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153; g) la Cassa depositi e prestiti di cui al decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n.326; h) i fondi pensione; i) le imprese di assicurazione e riassicurazione di cui al codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209. l) le società fiduciarie di cui all’articolo 199 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58; le società fiduciarie, le società fiduciarie e di revisione e gli enti di gestione fiduciaria disciplinati dalla legge 23 novembre 1939, n. 1966; le società di cui all’articolo 2 del decreto legge 5 giugno 1986, n. 233, convertito, con modificazioni, dalla legge 1 agosto 1986, n. 430; le società fiduciarie di cui all’articolo 60, comma 4, del decreto legislativo 23 luglio 1996, n. 412”.
[6] Secondo gli aziendalisti: “la crisi rappresenta una fase di squilibrio economico – finanziario, che è in grado, se non affrontata, di mettere a repentaglio la continuità aziendale. Le tre condizioni di equilibrio aziendale: i) economica, ii) finanziaria e iii) patrimoniale, vanno tenute nella massima considerazione da parte degli organi di governance e di controllo, i quali dovranno considerare l’unitarietà delle oscillazioni, come se fossero aggregate in un unico contenitore. La perdita di marginalità che origina il disequilibrio economico nel tempo, falcidia il capitale netto ed intacca la solidità patrimoniale dell’azienda. Inizia in tal modo a disgregarsi l’equilibrio patrimoniale, con un conseguente incremento dell’indebitamento. Il disequilibrio finanziario e patrimoniale, originato solitamente dal disequilibrio economico, provoca indirettamente un ulteriore aggravamento del conto economico, mediante l’incremento degli oneri finanziari. La patologia è rappresentata dai seguenti valori apicali negativi: i) il patrimonio netto azzerato ii) il cash flow azzerato. Insomma per definirla semplicemente, per i giuristi, è l’insolvenza prospettica o futura” (A. Ferri, La procedura di allerta tra il D.L. n. 83/2015, la legge delega di riforma e le bozze di decreti attuativi, in www.ilfallimentarista.it).
[7] Sul nuovo ruolo del concetto di continuità aziendale nell’ambito della sfera gestoria dell’impresa e non più meramente contabile cfr., da ultimo: F. Foglietta, La continuità aziendale nel nuovo CCII tra scansione temporale e obblighi degli amministratori, in Le società, 8-9/2020, 821 e ss.
[8] L. GAMBI, Continuità aziendale e responsabilità degli amministratori, www.ilfallimentarista.it.
[9] Cfr. per un commento alle criticità insite in questi indici: R. Ranalli, Le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi: insidie ed opportunità, in www.ilfallimentarista.it.
[10] R. Ranallli, Il codice della crisi gli “indicatori significativi”: la pericolosa conseguenza di un equivoco al quale occorre porre rimedio, in www.ilcaso.it in cui si stigmatizza il rischio che tali indici comporti il verificarsi di: “falsi positivi”.
[11] Cfr. commento all’art.13 della relazione illustrativa. Per alcune di queste riflessioni: Cfr. R. Ranallli, Le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi: insidie e opportunità, in www.ilfallimentarista; P. Bastia, Soluzioni per l’accertamento precoce della crisi, in www.osservatorio-oci.org.
[12] Art.13: “1. Costituiscono indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività, rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi. A questi fini, sono indici significativi quelli che misurano la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi. Costituiscono altresì indicatori di crisi ritardi nei pagamenti reiterati e significativi, anche sulla base di quanto previsto nell’articolo 24”.
[13] Art.13: “2. Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, tenuto conto delle migliori prassi nazionali ed internazionali, elabora con cadenza almeno triennale, in riferimento ad ogni tipologia di attività economica secondo le classificazioni I.S.T.A.T., gli indici di cui al comma 1 che, valutati unitariamente, fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell’impresa. Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili elabora indici specifici con riferimento alle start-up innovative di cui al decreto-legge 18 ottobre 2012, n.179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n.221, alle PMI innovative di cui al decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, alle società in liquidazione, alle imprese costituite da meno di due anni. Gli indici elaborati sono approvati con decreto del Ministero dello Sviluppo economico”. La prima elaborazione di: “Crisi d’impresa. Gli indici dell’allerta” è stato pubblicato il 20 ottobre 2019 ed è reperibile su: https://commercialisti.it/documents/20182/1236821/codice+crisi_definizioni+indici+(ott+2019).pdf/2072f95c-22a2-41e1-bd2f-7e7c7153ed84.
[14] Cfr. per uno dei primi commenti alla disposizione: C. Sottoriva – A. Cerri, Sulle modalità di conteggio del requisito dimensionale dei dieci dipendenti: Le modifiche alla disciplina civilistica in tema di governance nel nuovo Codice della crisi, in www.ilsocietario.it.
[15] Art.13: “3. L’impresa che non ritenga adeguati, in considerazione delle proprie caratteristiche, gli indici elaborati a norma del comma 2 ne specifica le ragioni nella nota integrativa al bilancio di esercizio e indica, nella medesima nota, gli indici idonei a far ragionevolmente presumere la sussistenza del suo stato di crisi. Un professionista indipendente attesta l’adeguatezza di tali indici in rapporto alla specificità dell’impresa. L’attestazione è allegata alla nota integrativa al bilancio di esercizio e ne costituisce parte integrante. La dichiarazione, attestata in conformità al secondo periodo, produce effetti per l’esercizio successivo”. Il Decreto legislativo del 26 ottobre 2020, n. 147: “Disposizioni integrative e correttive a norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 8 marzo 2019, n. 20, al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, recante codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155” (di seguito: decreto correttivo) chiarisce che gli effetti si producono: “a partire dall’esercizio successivo” e non: “per l’esercizio successivo”.
[16] Stigmatizza il rischio che si venga così a creare: “uno scenario in cui la crisi diviene definita come tale al verificarsi almeno di una delle tre condizioni per godere delle misure premiali e quindi l’imprenditore non misura più tanto la propria crisi con la costante rilevazione della inadeguatezza dei flussi di cassa, quanto invece con l’osservazione dei tre indici di tempestività”, di F. Diomeda, Continuità aziendale: capitale di funzionamento e procedure di allerta, in www.ilsocietario.it.
[17] Art.14 lett.b della legge delega n.155/2017 aveva disposto che venisse introdotto sia a carico dell’imprenditore che degli organi amministrativi l’obbligo di: a) di istituire assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale; b) di attivarsi per l’adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale
[18] Considerando 16 della proposta di direttiva: "Tra i possibili meccanismi di allerta dovrebbero figurare obblighi di contabilità e monitoraggio in capo al debitore o ai dirigenti del debitore e obblighi di segnalazione nell’ambito dei contratti di prestito".
[19] La relazione di accompagnamento ai decreti legislativi presentati dalla cd. Commissione Rordorf indica gli obblighi organizzativi quali misure di allerta, così come l’art.12 del Codice chiarisce che: “Costituiscono strumenti di allerta gli obblighi di segnalazione posti a carico dei soggetti di cui agli artt.14 e 15, finalizzati, unitamente agli obblighi organizzativi posti a carico dell’imprenditore dal codice civile, alla tempestiva rilevazione degli indizi di crisi dell’impresa ed alla sollecita adozione delle misure più idonee alla sua composizione”.
[20] Art.375 cci, disposizione entrata in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione del d.lgs.14/2019 in Gazzetta ufficiale (art.389 co.2 cci), avvenuta il 14 febbraio 2019.
[21] Art.377 co.1-4 cci.
[22] A riguardo, vale la pena segnalare che al fine di fugare i dubbi sollevati in relazione all’apparente contraddizione tra le disposizioni del codice civile che consentono di affidare ai soci competenza gestorie (es. art.2479 cc) ovvero particolari diritti riguardanti l’amministrazione delle società (es. art.2468 co.3 cc) il decreto correttivo è nuovamente intervenuto sul codice civile precisando che –ferme restando le regole generali sulle competenze gestorie- l’istituzione degli assetti organizzativi spetta in via esclusiva agli amministratori (cfr. art.40 decreto correttivo cit. e relativa relazione illustrativa).
[23] Stigmatizza le difficoltà di immaginare modelli unitari di rilevazione dello stato di crisi in ragione delle crescenti dimensioni dell’organizzazione imprenditoriale: P. Bastia, Soluzioni, cit.
[24] Per un’illustrazione dei diversi strumenti cui può ricorrere l’amministratore per fronteggiare l’insorgenza della crisi: A. Nigro – D. Vattermoli, Disciplina delle crisi dell’impresa societaria, doveri degli amministratori e strumenti di pianificazione: l’esperienza italiana, in www.ilcaso.it.
[25] Art.377 co.5 cci: “5. All’articolo 2475 del codice civile, dopo il quinto comma è aggiunto il seguente: “Si applica, in quanto compatibile, l’articolo 2381.”
[26] Cfr. in tema: V. De Sensi, Adeguati assetti organizzativi e continuità aziendale: profili di responsabilità gestoria, in Rivista delle società, 2017, 311 e ss.
[27] Sottolinea la necessità di tenere distinti la responsabilità per difetto di istituzione di adeguati assetti organizzativi e la responsabilità per mancata tempestiva reazione a fronte del manifestarsi della crisi: R. Rordorf, Doveri e responsabilità degli organi di società alla luce del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Riv. società, 2019, 929 e ss.
[28] Sul tema si segnala la ricostruzione sistematica che si legge in: Business judgement rule e mercati finanziari, S. Alvaro, E. Cappariello, V. Gentile, E.R. Iannaccone, G. Mollo, S. Nocella, M. Ventoruzzo; con prefazione a cura di P. Marchetti, Quaderni CONSOB, 11 novembre 2016.
[29] Cfr. sul tema: L. A. Bottai, “Le modifiche al codice civile dettate dalla L. n. 155/2017 e l’affermazione del diritto concorsuale societario”, in www.ilfallimentarista.it che rileva come: “le scelte imprenditoriali degli amministratori non siano più insindacabili (secondo la business judgement rule) ogni qualvolta le conseguenze negative siano riconducibili, almeno in parte, al difetto di organizzazione dell’impresa stessa; pregiudizio per la società e i creditori in termini di aggravamento del dissesto o di peggioramento delle condizioni patrimoniali, si configurerà piena responsabilità di entrambi gli organi”.
[30] Art.4 co.1 lett. b e c.
[31] Cfr. art.378 co.1 cci che aggiunge il comma 5 all’art.2476 cc del seguente tenore: “Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinunzia all’azione da parte della società non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l’azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi.”
[32] Significativo di questo nuovo modo di intendere il ruolo degli imprenditori (amministratori) è il Considerando 70 della Direttiva (Ue) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull'insolvenza): "Per promuovere ulteriormente la ristrutturazione preventiva è importante garantire che i dirigenti non siano dissuasi dal prendere decisioni commerciali ragionevoli o dal correre rischi commerciali ragionevoli, in particolare ove potrebbero migliorare le probabilità di successo della ristrutturazione di un'impresa potenzialmente economicamente sostenibile. Qualora l’impresa versi in difficoltà finanziarie, i dirigenti dovrebbero prendere le misure opportune, quali: richiedere consulenza professionale, anche sulla ristrutturazione e sull'insolvenza, ad esempio facendo ricorso a strumenti di allerta, se del caso; proteggere gli attivi della società in modo da massimizzarne il valore ed evitare perdite di attivi fondamentali; esaminare la struttura e le funzioni dell'impresa per valutarne la sostenibilità economica e ridurre le spese; non impegnare l'impresa in tipi di operazioni che potrebbero essere oggetto di azioni revocatorie, a meno che sussista un’adeguata giustificazione commerciale; proseguire gli scambi commerciali nelle circostanze in cui è opportuno per massimizzare il valore della continuità aziendale e avviare trattative con i creditori e procedure di ristrutturazione preventiva”.
Nella stessa prospettiva di tutela del ceto creditorio è il Considerando 71 della direttiva secondo cui: “Se il debitore è prossimo all'insolvenza, è inoltre importante proteggere i legittimi interessi dei creditori da decisioni di gestione che potrebbero ripercuotersi sulla costituzione della massa fallimentare, in particolare se tali decisioni possono avere l'effetto di diminuire ulteriormente il valore della massa disponibile per la ristrutturazione o la distribuzione ai creditori. È pertanto necessario assicurarsi che, in tali circostanze, i dirigenti evitino condotte che, deliberatamente o per grave negligenza, determinino l'arricchimento personale a spese dei portatori di interessi, evitare che accettino operazioni sotto il valore di mercato o intraprendano azioni che possano portare a ingiusta preferenza di uno o più portatori di interessi. Gli Stati membri dovrebbero poter attuare le corrispondenti disposizioni della presente direttiva provvedendo affinché l'autorità giudiziaria o amministrativa, nel valutare se un dirigente debba esser ritenuto colpevole di violazioni del dovere di diligenza, tenga conto delle norme in materia di obblighi dei dirigenti di cui alla presente direttiva. La presente direttiva non intende stabilire alcuna gerarchia tra le varie parti i cui interessi devono essere tenuti in debita considerazione. Ciononostante, gli Stati membri dovrebbero poter decidere sulla definizione di una tale gerarchia. La presente direttiva dovrebbe lasciare impregiudicate le norme nazionali degli Stati membri relative ai processi decisionali all'interno di una società".
Nell’ordinamento interno, si segnala che il tema del comportamento dell’amministratore nella fase: “crepuscolare” dell’impresa è stato recentemente oggetto di riflessione in relazione ai pagamenti dei creditori: Cassazione civ., sez. III, 15 gennaio 2020, n.521, annotata da M. Fabiani, in Il Fallimento, 2020, 333 e ss: “La regola della par condicio creditorum all’esterno della procedura di concorso”.
[33] Nell’ordinamento interno, si segnala che il tema del comportamento dell’amministratore nella fase: “crepuscolare” dell’impresa è stato recentemente oggetto di riflessione in relazione ai pagamenti dei crediti che dovrebbero –anche in questa fase- seguire l’ordine delle cause legittime di prelazione (Cassazione civ., sez. III, 15 gennaio 2020, n.521, annotata da M. Fabiani, in Il Fallimento, 2020, 333 e ss: “La regola della par condicio creditorum all’esterno della procedura di concorso”).
[34] Cfr. art.4 lett h legge delega n.155/2017 che prevedeva l’introduzione di: “misure premiali, sia di natura patrimoniale sia in termini di responsabilità personale in favore dell’imprenditore che ha tempestivamente proposto istanza di cui alla lettera b”, ossia il ricorso all’OCRI.
[35] Art.25: “1. All’imprenditore che ha presentato all’OCRI istanza tempestiva a norma dell’articolo 24 e che ne ha seguito in buona fede le indicazioni, ovvero ha proposto tempestivamente ai sensi del medesimo articolo domanda di accesso a una delle procedure regolatrici della crisi o dell’insolvenza di cui al presente codice che non sia stata in seguito dichiarata inammissibile, sono riconosciuti i seguenti benefici, cumulabili tra loro: a) durante la procedura di composizione assistita della crisi e sino alla sua conclusione gli interessi che maturano sui debiti tributari dell’impresa sono ridotti alla misura legale; b) le sanzioni tributarie per le quali è prevista l’applicazione in misura ridotta in caso di pagamento entro un determinato termine dalla comunicazione dell’ufficio che le irroga sono ridotte alla misura minima se il termine per il pagamento scade dopo la presentazione dell’istanza di cui all’articolo19, comma 1, o della domanda di accesso ad una procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza; c) le sanzioni e gli interessi sui debiti tributari oggetto della procedura di composizione assistita della crisi sono ridotti della metà nella eventuale procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza successivamente aperta; d) la proroga del termine fissato dal giudice ai sensi dell’articolo 44 per il deposito della proposta di concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti è pari al doppio di quella che ordinariamente il giudice può concedere, se l’organismo di composizione della crisi non ha dato notizia di insolvenza al pubblico ministero ai sensi dell’articolo 22; e) la proposta di concordato preventivo in continuità aziendale concorrente con quella da lui presentata non è ammissibile se il professionista incaricato attesta che la proposta del debitore assicura il soddisfacimento dei creditori chirografari in misura non inferiore al 20% dell’ammontare complessivo dei crediti”.
[36] Art.25: “2. Quando, nei reati di cui agli articoli 322, 323, 325, 328, 329, 330, 331, 333 e 341, comma 2, lettere a) e b), limitatamente alle condotte poste in essere prima dell’apertura della procedura, il danno cagionato è di speciale tenuità, non è punibile chi ha tempestivamente presentato l’istanza all’organismo di composizione assistita della crisi d’impresa ovvero la domanda di accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza di cui al presente codice se, a seguito delle stesse, viene aperta una procedura di liquidazione giudiziale o di concordato preventivo ovvero viene omologato un accordo di ristrutturazione dei debiti. Fuori dai casi in cui risulta un danno di speciale tenuità, per chi ha presentato l’istanza o la domanda la pena è ridotta fino alla metà quando, alla data di apertura della procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza, il valore dell’attivo inventariato o offerto ai creditori assicura il soddisfacimento di almeno un quinto dell’ammontare dei debiti chirografari e, comunque, il danno complessivo cagionato non supera l’importo di 2.000.000 euro”.
[37] Art. 14 (Obbligo di segnalazione degli organi di controllo societari): “1.Gli organi di controllo societari, il revisore contabile e la società di revisione, ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni, hanno l’obbligo di verificare che l’organo amministrativo valuti costantemente, assumendo le conseguenti idonee iniziative, se l’assetto organizzativo dell’impresa è adeguato, se sussiste l’equilibrio economico finanziario e quale è il prevedibile andamento della gestione, nonché di segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l’esistenza di fondati indizi della crisi”.
[38] Cfr. sul punto, da ultimo: C. Cengia, Collegio sindacale di s.p.a.: poteri, doveri e responsabilità, in www.ilsocietario.it.
[39] Art.14 co.4: “4. Le banche e gli altri intermediari finanziari di cui all’articolo 106 del testo unico bancario, nel momento in cui comunicano al cliente variazioni o revisioni o revoche degli affidamenti, ne danno notizia anche agli organi di controllo societari, se esistenti.”
[40] Cfr. sul tema: A. Luciano, Le “procedure di allerta” previste dalla c.d. riforma Rordorf: un nuovo ruolo per amministratori e sindaci?, in www.ilsocietario.it che osserva come: “la Riforma delinei un “nuovo” ruolo per l’organo di controllo (e, per gli aspetti di sua competenza, per il revisore dei conti), il quale – per mezzo delle valutazioni di cui sopra e nei limiti delle stesse – diviene “parte attiva” nel processo non solo di rilevazione, ma anche di gestione della crisi dell’impresa societaria. Resta inteso che anche qualora le previsioni disposte dalla “Riforma” entrino in vigore, la funzione gestoria continuerà formalmente a spettare in via esclusiva agli amministratori (cfr., con riguardo alle s.p.a., il disposto dell’art. 2380-bis c.c.). Può facilmente immaginarsi, però, come le regole esposte in precedenza siano idonee perlomeno a generare una dialettica tra l’organo amministrativo e i sindaci, funzionale a individuare le decisioni maggiormente “adeguate” e “necessarie” in rapporto alla crisi”.
[41] Art.14: “2.La segnalazione deve essere motivata, fatta per iscritto, a mezzo posta elettronica certificata o comunque con mezzi che assicurino la prova dell’avvenuta ricezione, e deve contenere la fissazione di un congruo termine, non superiore a trenta giorni, entro il quale l’organo amministrativo deve riferire in ordine alle soluzioni individuate e alle iniziative intraprese. In caso di omessa o inadeguata risposta, ovvero di mancata adozione nei successivi sessanta giorni delle misure ritenute necessarie per superare lo stato di crisi, i soggetti di cui al comma 1 informano senza indugio l’OCRI, fornendo ogni elemento utile per le relative determinazioni, anche in deroga al disposto dell’articolo 2407, primo comma, del codice civile quanto all’obbligo di segretezza”.
Pare utile ricordare che l’art.11 del d.l. 2 marzo 2020 n.9 ha previsto –in via generale- che l’obbligo di segnalazione di cui agli artt.14 co.2 e 15 del cci decorra a partire dal 15 febbraio 2021. L’art.42 del Decreto correttivo pospone –tuttavia- l’entrata in vigore di tutte le disposizioni (all’eccezione di quelle che riguardano l’iscrizione all’albo) all’entrata in vigore del Codice della crisi, attualmente fissata al 01 settembre 2021 dall’art.5 del d.l. 23 del 2020.
[42] Art.379: “1.All’articolo 2477 del codice civile il terzo e il quarto comma sono sostituiti dai seguenti: “La nomina dell’organo di controllo o del revisore è obbligatoria se la società: a) è tenuta alla redazione del bilancio consolidato; b) controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti; c) ha superato per due esercizi consecutivi almeno uno dei seguenti limiti: 1) totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 2 milioni di euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 2 milioni di euro; 3) dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 10 unità. L’obbligo di nomina dell’organo di controllo o del revisore di cui alla lettera c) del terzo comma cessa quando, per tre esercizi consecutivi, non è superato alcuno dei predetti limiti.”
[43] Art.379: “3. Le società a responsabilità limitata e le società cooperative costituite alla data di entrata in vigore del presente articolo, quando ricorrono i requisiti di cui al comma 1, devono provvedere a nominare gli organi di controllo o il revisore e, se necessario, ad uniformare l'atto costitutivo e lo statuto alle disposizioni di cui al predetto comma entro la data di approvazione dei bilanci relativi all'esercizio 2021, stabilita ai sensi dell'articolo 2364, secondo comma, del codice civile. Fino alla scadenza del termine, le previgenti disposizioni dell'atto costitutivo e dello statuto conservano la loro efficacia anche se non sono conformi alle inderogabili disposizioni di cui al comma 1. Ai fini della prima applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 2477 del codice civile, commi secondo e terzo, come sostituiti dal comma 1, si ha riguardo ai due esercizi antecedenti la scadenza indicata nel primo periodo” (comma modificato dall'articolo 8, comma 6-sexies, del D.L. 30 dicembre 2019, n. 162, convertito, con modificazioni dalla Legge 28 febbraio 2020, n. 8 e successivamente dall'articolo 51-bis, comma 1, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla Legge 17 luglio 2020, n. 77).
[44] Art.379: “2. All’articolo 2477, sesto comma, del codice civile, dopo le parole “qualsiasi soggetto interessato” sono aggiunte le seguenti: “o su segnalazione del conservatore del registro delle imprese”.
[45] Nella memoria della Banca d’Italia sullo Schema di decreto legislativo recante Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155 presentata al Senato della Repubblica il 26 novembre 2018 si legge sul punto: “l’universo delle imprese potenzialmente interessate dall’applicazione delle procedure è costituito dalle società obbligate alla costituzione dell’organo di controllo (per le s.r.l. debbono essere considerati i nuovi parametri di cui all’art. 2477, comma 3, lett. c) c.c.), ad esclusione delle “grandi imprese”. Sulla base dei dati di bilancio relativi agli anni 2015 e 2016 forniti da Cerved – associati ai dati INPS sugli addetti – si stima che il numero di società assoggettabili alla procedura sia pari a circa 180.000, corrispondenti a circa il 35 per cento delle società di capitali del campione considerato (cfr. allegato 1). Peraltro, in ragione dei dati disponibili, si tratta di valori sottostimati”.
[46] E. Brodi -T. Orlando, Nomina dell’organo di controllo nelle s.r.l.: un esercizio di quantificazione alla luce dei nuovi parametri dimensionali, in www.ilcaso.it.
[47] Cfr. con riferimento al rapporto fra i due organi: V. De Sensi, Adeguati assetti, cit.
[48] Art.14: “3. La tempestiva segnalazione all’organo amministrativo ai sensi del comma 1 costituisce causa di esonero dalla responsabilità solidale per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o azioni successivamente poste in essere dal predetto organo, che non siano conseguenza diretta di decisioni assunte prima della segnalazione, a condizione che, nei casi previsti dal secondo periodo del comma 2, sia stata effettuata tempestiva segnalazione all’OCRI. Non costituisce giusta causa di revoca dall’incarico la segnalazione effettuata a norma del presente articolo”.
[49] Art.14 co.2 cci. Deve segnalarsi che in sede di correttivo analoga esenzione dall’obbligo di riservatezza è stata introdotta per l’organo di revisione di cui all’art.9 bis co.1 e 2 del dl.gs.27 gennaio 2010 n.39.
[50] V. Zanichelli, La segnalazione dei creditori pubblici qualificati: quod sine die debetur numquam debetur?, in www.ilcaso.it, 26 marzo 2019, osserva come: “Se il legislatore ha puntato innanzitutto sulla collaborazione degli organi di controllo per l’emersione della crisi, non ha tuttavia rinunciato a ricercare anche fuori dell’impresa soggetti de-tentori di dati che, se non necessariamente univoci, fossero probabili indici di crisi”.
[51] La disposizione dell’art.14 co.2 cci che fissa i suddetti limiti è stata oggetto di intervento da parte dell’art.3 co.4 del decreto correttivo cit., con riferimento alla segnalazione dell’Agenzia delle entrate tanto in relazione alla soglia di indebitamento, tanto con riferimento al termine a quo da cui comincia a decorrere il termine per la segnalazione.
[52] Art.3 Allerta precoce e accesso alle informazioni: “1.Gli Stati membri provvedono affinché i debitori abbiano accesso a uno o più strumenti di allerta precoce chiari e trasparenti in grado di individuare situazioni che potrebbero comportare la probabilità di insolvenza e di segnalare al debitore la necessità di agire senza indugio. Ai fini di cui al primo comma, gli Stati membri possono avvalersi di tecnologie informatiche aggiornate per le notifiche e per le comunicazioni online. 2. Gli strumenti di allerta precoce possono includere quanto segue: a) meccanismi di allerta nel momento in cui il debitore non abbia effettuato determinati tipi di pagamento; b) servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche o private; c) incentivi a norma del diritto nazionale rivolti a terzi in possesso di informazioni rilevanti sul debitore, come i contabili e le autorità fiscali e di sicurezza sociale, affinché segnalino al debitore gli andamenti negativi”.
[53] In relazione all’entrata in vigore delle disposizioni relative agli obblighi di segnalazione si vedano le considerazioni svolte in relazione agli obblighi di segnalazione gravano sugli organi di controllo.
[54] Art. 15 cci: “1. L’Agenzia delle entrate, l’Istituto nazionale della previdenza sociale e l’agente della riscossione hanno l’obbligo, per i primi due soggetti a pena di inefficacia del titolo di prelazione spettante sui crediti dei quali sono titolari, per il terzo a pena di inopponibilità del credito per spese ed oneri di riscossione, di dare avviso al debitore, all’indirizzo di posta elettronica certificata di cui siano in possesso, o, in mancanza, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento inviata all’indirizzo risultante dall’anagrafe tributaria, che la sua esposizione debitoria ha superato l’importo rilevante di cui al comma 2 e che, se entro novanta giorni dalla ricezione dell’avviso egli non avrà estinto o altrimenti regolarizzato per intero il proprio debito con le modalità previste dalla legge o se, per l’Agenzia delle entrate, non risulterà in regola con il pagamento rateale del debito previsto dall’articolo 3-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n.462 o non avrà presentato istanza di composizione assistita della crisi o domanda per l’accesso ad una procedura di regolazione della crisi e dell’insolvenza, essi ne faranno segnalazione all’OCRI, anche per la segnalazione agli organi di controllo della società”.
[55] Art.5 Decreto Legge del 08/04/2020 - N. 23 (come modificato dall'articolo 1, comma 1, della Legge 5 giugno 2020, n. 40, in sede di conversione) che ha modificato il termine indicato nell’art.389 cci.
[56] Art. 6 d.l. 23/2020 convertito dalle legge n.40/2020: “1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2020 per le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quattro, quinto e sesto, e 2482-ter del codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodecies del codice civile.
[57] Art.7 d.l.23/2020 come modificato in sede di conversione dalla legge n.40/2020: “1. Nella redazione del bilancio di esercizio in corso al 31 dicembre 2020, la valutazione delle voci nella prospettiva della continuazione dell'attività di cui all'articolo 2423-bis, comma primo, n. 1), del codice civile può comunque essere operata se risulta sussistente nell'ultimo bilancio di esercizio chiuso in data anteriore al 23 febbraio 2020, fatta salva la previsione di cui all'articolo 106 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, di seguito citato anche come "decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18". Il criterio di valutazione è specificamente illustrato nella nota informativa anche mediante il richiamo delle risultanze del bilancio precedente”. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai bilanci chiusi entro il 23 febbraio 2020 e non ancora approvati. 2-bis. All'articolo 106, comma 1, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "E' facoltà delle società cooperative che applicano l'articolo 2540 del codice civile di convocare l'assemblea generale dei soci delegati entro il 30 settembre 2020". Da evidenziarsi anche il più recente: Decreto Legge del 19/05/2020 - N. 34 Art. 38 quater: “Disposizioni transitorie in materia di principi di redazione del bilancio” che recita: “1. Nella predisposizione dei bilanci il cui esercizio è stato chiuso entro il 23 febbraio 2020 e non ancora approvati, la valutazione delle voci e della prospettiva della continuazione dell'attività di cui all'articolo 2423-bis, primo comma, numero 1), del codice civile è effettuata non tenendo conto delle incertezze e degli effetti derivanti dai fatti successivi alla data di chiusura del bilancio. Le informazioni relative al presupposto della continuità aziendale sono fornite nelle politiche contabili di cui all'articolo 2427, primo comma, numero 1), del codice civile. Restano ferme tutte le altre disposizioni relative alle informazioni da fornire nella nota integrativa e alla relazione sulla gestione, comprese quelle relative ai rischi e alle incertezze concernenti gli eventi successivi, nonchè alla capacità dell'azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito. 2. Nella predisposizione del bilancio di esercizio in corso al 31 dicembre 2020, la valutazione delle voci e della prospettiva della continuazione dell'attività di cui all'articolo 2423-bis, primo comma, numero 1), del codice civile può comunque essere effettuata sulla base delle risultanze dell'ultimo bilancio di esercizio chiuso entro il 23 febbraio 2020. Le informazioni relative al presupposto della continuità aziendale sono fornite nelle politiche contabili di cui all'articolo 2427, primo comma, numero 1), del codice civile anche mediante il richiamo delle risultanze del bilancio precedente. Restano ferme tutte le altre disposizioni relative alle informazioni da fornire nella nota integrativa e alla relazione sulla gestione, comprese quelle relative ai rischi e alle incertezze derivanti dagli eventi successivi, nonchè alla capacità dell'azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito. 3. L'efficacia delle disposizioni del presente articolo è limitata ai soli fini civilistici” (Articolo inserito dall'articolo 1, comma 1, della Legge 17 luglio 2020, n. 77, in sede di conversione).
[58] Cfr.: “Crisi d’impresa. Gli indici dell’allerta”, cit. punto 3.1.1. in cui il patrimonio netto negativo è stimato indice di crisi in tutte le imprese
[59] Valorizza tale preciso dovere dell’amministratore: Tribunale di Catania, Sez. fall., 28 maggio 2020, in Le società, 8-9/2020, 845 e ss.
[60] Cfr. in tema: G. Strampelli: La preservazione (?) della continuità aziendale nella crisi da Covid-19: capitale sociale e bilanci nei decreti “Liquidità” e “Rilancio”, in Rivista delle Societa', fasc.2, 2020, secondo cui le citate previsioni: “delineano un safe harbour dall'incerta portata. Pur trattandosi di una scelta particolarmente delicata, il legislatore potrebbe valutare l'opportunità di introdurre un esonero da responsabilità, eventualmente escludendo la responsabilità per colpa grave, per il compimento di eventuali atti, non conformi ad una condotta conservativa, pregiudizievoli per i creditori. Una simile misura, analoga a quella adottata nel Regno Unito ed in altri Paesi, sebbene possa aprire il varco ad eventuali abusi, non parrebbe del tutto ingiustificata in considerazione del fatto che per molte imprese il superamento della crisi impone l'effettuazione di investimenti e di scelte gestionali di natura non conservative per adottare i necessari presidi di sicurezza per il contenimento e la prevenzione del contagio o, in molti, casi per un più radicale adattamento del modello di business al contesto economico e sociale determinatosi a seguito della pandemia. In conclusione, indipendentemente dalla misure che a tal fine si ritengano più opportune, è prioritario evitare che le misure di emergenza volte a ritardare o nascondere l'emersione della crisi come quelle degli articoli 6 e 7 del Decreto Liquidità, pur necessarie per fronteggiare gli effetti immediati della crisi dovuti all'inattività durante il periodo di lockdown, non si tramutino, nel medio termine, nello strumento per coprire l'inefficacia — ovvero la mancata adozione — di provvedimenti diretti a favorire l'afflusso di risorse finanziarie alle numerosissime imprese in crisi sì da porle in condizione di superare gli effetti, prevedibilmente di non breve durata, della pandemia”; nonché: N. Abriani - P. Rinaldi, Emergenza sanitaria e tutela proporzionata delle imprese: oltre la domanda “tricolore”, 2020, in www.ilcaso.it, 5. Invoca un’esenzione di responsabilità in capo a coloro che si: “trovano ad assumere decisioni in scenari oggettivamente imprevedibili” anche: L. Stanghellini, La legislazione d’emergenza in materia di crisi d’impresa, in Rivista delle societàfasc.2, 2020, 353 3 e ss.
I diritti illustrati. Intervista a Fabio Magnasciutti
di Maria Cristina Amoroso
“Non mi sono mai occupato di diritto”, mi ha detto quando gli ho proposto di rilasciare un intervista per la nostra Rivista, “proprio per questo sarà divertente”, ho risposto.
Difficile dire in poche righe chi è Fabio Magnasciutti.
Potrei definirlo un illustratore di successo ed elencare le testate famose che hanno ospitato i suoi disegni: l’Unità, la Repubblica, il Manifesto, Left, i programmi per i quali ha curato sigle o animazioni quali “Anno Zero” e “Che tempo che fa”, i numerosi progetti editoriali realizzati, tra cui le illustrazioni del testo “il vecchio e il bambino” di Francesco Guccini, ricordandovi che insegna illustrazione editoriale presso lo IED di Roma (Istituto Europeo di design).
Ma non renderebbe giustizia alla sua autopresentazione in cui, nell’enfatizzare la sua identità sostanziale, ha omesso tutto ciò che di “gloria pubblica e nomenclatura” avrebbe potuto sciorinarmi definendosi prima di ogni altra cosa il fondatore di Officina B5, scuola di illustrazione senza esami - come giusto che sia in una novella e prolifica “bottega rinascimentale” popolata da giovani appassionati dalle facce piene di futuro - e membro della band musicale “Her Pillow”, unitamente a suo fratello che, come traspare dai suoi racconti, ha svolto nella sua vita il ruolo di guida e mentore.
Perché lui? Perché il suo lungo viaggio di disegnatore, iniziato da bambino in un infanzia essenziale vissuta in una casa popolare paradossalmente ubicata nel ricco quartiere di Prati, l’ha trasformato negli ultimi anni in un “giurialchimista inconsapevole”, che, pur immaginandosi lontano da tutto ciò che si potrebbe ritenere “alloggiare” in una rivista giuridica, nei suoi disegni ne ha condiviso convintamente le tematiche.
La matita di Fabio dà forma all’universo della diversità, alla mal praticata accoglienza dei migranti, ai neo rigurgiti fascisti, al duello tra amore e violenza, alla difesa della libertà di espressione.
Gustate nel loro insieme le sue opere divengono pagine insolite di un manuale di diritto colorato di cui l’amore dell’uomo per l’uomo è il primo imperdibile capitolo.
Nelle sue creazioni aleggia un sottinteso sapiente: l’etica della sintonia con il proprio sé e l’empatia con l’altro sono ingredienti irrinunciabili per l’affermazione di qualsiasi regola scritta e, quindi, per una società migliore.
“Come si cambia il mondo? prendendolo per mano”, così in una romantica vignetta in cui un anziano ed un bambino di spalle camminano verso il futuro.
E affinché davvero quel mondo possa essere cambiato la sostanza deve prevalere sulla forma, l’essere sull’apparire, senza troppi girasoli che si rivolgono acriticamente verso soli veri o lampadine.
Un cuore in primo piano dice a frecce che non riescono a scalfirlo “c’è cuore e cuore e freccia e freccia”, Non tutto è vero, non tutto fa davvero breccia.
Drammatica e pertanto meravigliosamente ironica è la confessione del mitico struzzo BIP BIP al suo psicanalista: “ho un solo follower”, troppo poco per una società in cui l’esibizionismo ha stravinto.
Cercate i suoi piccoli capolavori su internet, sui social, guardateli, mangiateli e capirete perché ho voluto catturarlo e farlo nostro prigioniero, le sue vignette sull’emergenza Covid e sul proliferare dei DPCM vi lasceranno entusiasti.
Dare la forma dell’intervista a tre ore di chiacchierata onirica in cui le parole di Fabio sono esattamente in grado di definire plasticamente ricordi, sensazioni e stati d’animo è una impresa ardua e quindi di sicuro sbaglierò, perderò frammenti e frasi che avrei dovuto registrare ed appuntare per condividerle come meritavano.
Dal ricordo di una sua frequentazione che ignorava sistematicamente le piccole richieste d’aiuto dei mendicanti in strada alla sua attenzione per il fenomeno migratorio il passo è stato breve.
D. Nelle tue illustrazioni si affronta spessissimo il tema dell’accoglienza mancata ferita e bistrattata, le tue sono barche che non arrivano mai a terra, che rimangono sempre lontane dalla riva, sospese…
R. Ancora in questi giorni è rimasta sommersa dalle notizie sul Covid il tragico racconto dell’ennesimo naufragio in mare. Ed è inquietante osservare la costante ciclicità dell’attenzione e della disattenzione che avvolge un fenomeno che c’è sempre stato e che sempre ci sarà. Dovrebbe balzare agli occhi, ma ciò non accade, quanto sia impossibile ignorare le necessità umane. E l‘incompletezza dell’arrivo delle barche e dei barconi rispecchia la mia volontà di accendere un faro su ciò che continua a essere ogni giorno, ogni ora, l’ignoranza di un semplice e basilare bisogno umano, rinunciando al contempo a offrire risposte sulla modalità più adatta a soddisfare gli ineludibili bisogni di chi, per esigenze dolorose e non, semplicemente decide o è costretto a spostarsi dall’ora e dal qui.
D. In nessuna delle tue vignette si trovano risposte, infatti.
R. Il “ma” e il “forse” sono le categorie di riferimento di ogni mia creazione, non ho nessuna velleità di offrire certezze, non disegno per divulgare asserzioni immutabili. Il dubbio è sotteso a ogni illustrazione perché la mia espressione nasce dall’esigenza egoistica di tirare fuori qualcosa, di liberarmi in maniera catartica di un pensiero e di un’idea che chiede di fuggire fuori. E così per quel che riguarda l’umanità che lascia un luogo per arrivare a un altro, perché di tale si tratta e non di semplici migranti, semino un dubbio, sperando che raggiunga almeno uno dei fruitori dei miei disegni e che sblocchi l’attenzione su un tema totalmente collegato ai bisogni elementari. La sensazione cocente dell’umiliazione altrui, anche quando non è percepita dagli stessi soggetti che anelano a un luogo sicuro, a una casa o al cibo, è la molla che ancora non sia attiva, l’anello empatico in mancanza del quale non diventa urgente dare soluzioni al problema e la richiesta diventa invisibile e naufraga nel silenzio.
D. Straordinaria, secondo me, è la vignetta del coltello insanguinato che perde la sua forza a fronte di una matita che disegna un cuore. Quanto è difficile rappresentare la violenza con toni lievi?
R. La mia illustrazione è il frutto di un lavoro conscio e inconscio molto potente. Ogni espressione grafica deve tenere conto della forma e della sostanza del messaggio. Disegnare, ad esempio, per un fumetto o per una sceneggiatura richiede l’utilizzo di tecniche diverse. Il tratto esteriore non è evidentemente scindibile dal contenuto del messaggio, il significante e il significato sono intrinsecamente legati tra loro e quindi la forma si fonde e diventa sostanza. Il verso “si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” è un verso rapido, precario perché tale è il suo contenuto, le foglie attaccate a malapena come la vita dei soldati sul fronte. Di tale inscindibile relazione tra forma e sostanza parla Raymond Queneau in “esercizi di stile”, un testo in cui un banale episodio di vita quotidiana è narrato con novantanove stili diversi assumendo altrettanti significati. Placo, quindi, la mia urgenza di comunicare i miei messaggi di non violenza scegliendo un tratto, un linguaggio, volutamente delicato, posto che sarebbe inutile e controproducente veicolare la non violenza con la violenza. La mia utile strada è quindi quella di un messaggio “positivamente subdolo”, capace di insinuarsi nelle piccole crepe che si aprono nei pensieri precostituiti e granitici, se poi le mie opere sembrano svolgere un’apparente funzione etica è solo perché questo è semplicemente il modo per liberarmi di qualcosa di tossico.
D. Nei tuoi disegni ci sono temi ricorrenti che diventano veri e propri personaggi di cui seguire le gesta, la tua passione per le foglie, ad esempio, da dove nasce?
R. La mia passione per le foglie deriva dalla mia parte contadina. Quando si raccoglieva, m’incantavo spesso nell’osservare le loro traiettorie, che fossero mosse dal vento o dalle nostre presenze, immaginavo giochi, poi venivo richiamato all’ordine. Le foglie sono collegate anche a un sogno nitido, luminoso dai contorni brillanti fatto da piccolo. Sognai di disegnare Tarzan che si spostava da una liana all’altra nella giungla. Nella mia immagine notturna disegnavo ogni linea alla perfezione realizzando un prodotto finale sbalorditivo. Risvegliatomi e messomi all’opera, in maniera inaspettata, la mia cura si rivolse più che alla figura umana agli alberi della foresta, e in particolare alle loro foglie: volli minuziosamente concentrarmi sui dettagli e realizzarne di diverse per ogni albero. Questo evento ebbe per me un valore iniziatico perché spostò la mia attenzione sul metodo, che è alla base della maestria di questo lavoro. Il metodo, unito alla devastante influenza del surrealismo di Magritte e alla magia delle parole di Gianni Rodari, ha per sempre caratterizzato il mio stile.
D. L’antifascismo tradotto in vignette…
R. Non mi piace parlare espressamente nei miei disegni di fascismo e antifascismo, la valenza evocativa di questi termini impone di doverli esplicitare con enorme cautela. Non condivido la tendenza a etichettare persone o idee nell’una o nell’altra categoria, su questi argomenti s’impone una grande riflessione. Per questo nelle mie creazioni la rappresentazione risulta scevra da simboli chiari o da elementi distintivi, prospetto l’attualità d’ideologie collegate a periodi drammatici senza però mai riferirmi a quel tempo per nome. Conosco il fascismo e le sue espressioni, soprattutto per ciò che è stata la mia vita familiare, ne ho comprese le sfumature declinate nella quotidianità, ed è proprio grazie e a causa di questa consapevolezza che maneggio sempre il tema con cautela.
D. Apparenza e social, che mi dici?
R. Uso i social per lavoro, li considero anche uno straordinario laboratorio da un punto di vista sociale, ma non ne sono amante e non ne sono dipendente; scrivo post alla necessità, non inflaziono la mia presenza. La sensazione permanente è che ci sia ormai una difficoltà diffusa a percepirsi umani anche se schermati. L’esposizione ossessiva sui social mi rimanda a profonde ansie esistenziali, a bolle distanti dal mondo reale in cui si trasferiscono frammenti, a volte francamente privi d’interesse, della vita vissuta. Il social sostitutivo del concreto è inquietante, ma il virtuale che diviene oggetto della realtà lo è ancora di più. Ho assistito sgomento a discussioni dal vivo aventi a oggetto i post pubblicati, in un’irreversibile confusione di piani. Inoltre m’inquieta la superficialità di pensiero originato da queste forme alternative di comunicazione: il cinquantesimo sterile post che dice esattamente quanto già detto dai precedenti, al quale sarebbe auspicabile rinunciare fosse solo per preservare l’unicità delle proprie affermazioni, diventa mero numero, mero intervento aggiuntivo di un dibattito che per questa ragione, sebbene apparente, diventa paradossalmente autorevole per i numerosi post di cui si è arricchito. Queste e altre considerazioni, che sarebbero lunghe da elencare, fanno capire che ci troviamo di fronte ad un fenomeno molto giovane di cui si conoscono troppo poco gli sviluppi.
D. Infine un OT: come fai a descrivere l’amore con tanto amore?
R. Lo descrivo per come lo percepisco, nei miei disegni cerco di restituire un amore che non abbia mai a che fare con un duello, con uno scontro. L’amore come unità che si afferma in quel momento, come unità esclusiva racchiusa in un perimetro invalicabile, sicuramente perfettibile, modificabile, ma mai conflittuale. In un incontro così esclusivo non c’è spazio per dispute, nell’amore l’area dell’altro non è ostile ma è ulteriore respiro che definisce un nuovo e comune contorno. Del resto la rappresentazione grafica del cuoricino semplifica la complessità organica e chimica dell’organo simbolo dell’amore che è invece formato di una parte che aspira e di un’altra che espira. E a quest’unicità ci si arriva facendo un percorso d’incanto: consumando quotidianamente la distanza che ci separa dall’altro, un cammino emotivo coinvolgente e totalizzante fatto di attese, di parole, di profumi, d’idee e di vibrazioni che fanno sentire la similitudine di due anime, un pezzo di strada che a molti non interessa più fare ma che è invece il presupposto imprescindibile perché il raggiungimento di quella unità finale non sia effimera e irreale.
Chiudo l’intervista a fatica, ringrazio, saluto. Per ore mi risulta difficile staccare la mente e il cuore da tutti questi racconti fatti di parole disegnate. E, visibilmente in astinenza, cerco di prolungare questo scambio di pensieri andando ad acquistare il libro di Queneau.
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