ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Sommario: 1. Il caso Italgomme Pneumatici Srl c. Italia: la normativa nazionale su accessi, ispezioni e verifiche alla prova dell’art. 8 CEDU in materia di diritti fondamentali di libertà - 2. La posizione della Corte di Cassazione con riguardo ad accessi, ispezioni e verifiche - 3. L’esigenza di limitare la discrezionalità dei verificatori fiscali nella giurisprudenza della Corte EDU - 4. Gli insufficienti rimedi processuali a disposizione del contribuente destinatario di accessi e ispezioni illegittimi - 5. Gli obblighi conformativi per lo Stato italiano derivanti dalla sentenza - 6. L’inadeguata iniziativa parlamentare in itinere.
1. Il caso Italgomme Pneumatici Srl c. Italia: la normativa interna su accessi, ispezioni e verifiche alla prova dell’art. 8 CEDU in materia di diritti fondamentali di libertà
Nel recente caso Italgomme Pneumatici Srl v. Italia, del 6 febbraio 2025, n. 36617/18 ([1]), la Corte EDU ha avuto modo di occuparsi del quadro giuridico nazionale italiano in materia accessi, ispezioni e verifiche presso la sede del contribuente, onde stabilire se lo stesso sia o meno compatibile con le tutele previste dall’art. 8 della CEDU quando viene in gioco il rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza.
La Corte di Strasburgo era stata adita per una asserita violazione dell’art. 8 CEDU, in quanto le disposizioni interne sugli accessi, ispezioni e verifiche nei locali a destinazione commerciale e professionale non sarebbero in grado, anche alla luce dell’interpretazione che ne fornisce la giurisprudenza nazionale, di delimitare sufficientemente il potere discrezionale dell’autorità fiscale.
Si osservi che secondo i giudici di Strasburgo e sulla scia di una costante giurisprudenza, nel valutare la “conformità alla legge” dei poteri di indagine fiscale attribuiti all’Amministrazione finanziaria per accedere nei locali adibiti ad attività commerciali o professionali del contribuente, occorre tener conto di come la legge medesima viene applicata e interpretata dalle autorità nazionali, e in particolare dai giudici nazionali. Ciò al fine di evitare che i poteri istruttori attribuiti all’autorità fiscale, indispensabili per stabilire la veridicità delle dichiarazioni presentate dai contribuenti, assumano una estensione illimitata: è dunque necessario, affinché risulti rispettato il diritto del privato, sancito dall’art. 8 CEDU, di non subire indebite ingerenze, che la “discrezionalità” concessa agli organi di controllo non sia a sua volta illimitata.
La Corte, chiamata a esaminare il regime delle autorizzazioni necessarie per accedere in locali adibiti ad attività commerciali e professionali, ha accertato una violazione di carattere sistemico, condannando l’Italia al risarcimento del danno patito dai ricorrenti. Di tale situazione, come subito vedremo, sono responsabili non solo la normativa nazionale e la prassi dell’Amministrazione finanziaria, ma altresì gli indirizzi della giurisprudenza nazionale.
2. La posizione della Corte di Cassazione con riguardo ad accessi, ispezioni e verifiche
Per giustificare una tale affermazione si può ad esempio ricordare la posizione assunta con riguardo all’autorizzazione amministrativa all’accesso richiesta dall’art. 52 del D.p.r. n. 633 del 1972, che per la Cassazione rappresenta un “mero adempimento procedimentale, per l’opportunità che la perquisizione trovi l’avallo di autorità gerarchicamente o funzionalmente sovraordinata”, definendola anche “un semplice nulla-osta da parte di un organo superiore” ([2]).
Inoltre, nonostante il fatto che il citato art. 52 prescriva che l’autorizzazione indichi lo “scopo” dell’accesso e che l’art. 12, comma 2, L. n. 212 del 2000, preveda che il contribuente venga subito informato delle ragioni che hanno giustificato la verifica e dell’oggetto che la riguarda, i giudici di legittimità ritengono che i motivi dell’autorizzazione non abbiano il fine di circoscrivere l’ambito delle prove da raccogliere, giacché i verificatori potrebbero acquisire anche elementi idonei a dimostrare altre violazioni, ad esempio relative ad annualità diverse da quelle per cui l’autorizzazione è stata rilasciata ([3]).
È evidente che, in questo modo, la motivazione dell’autorizzazione all’accesso si trasforma in una questione di mero stile, non suscettibile di circoscrivere in concreto i poteri dell’autorità fiscale procedente né di consentire al privato di conoscere preventivamente l’ambito su cui si svolgerà la verifica. Certo, potrebbe sembrare eccessivo precludere l’acquisizione di prove dell’evasione solo perché estranee all’ambito per cui è stata concessa l’autorizzazione, ma una soluzione più equilibrata potrebbe essere quella di imporre ai verificatori di richiedere, qualora nel corso dell’ispezione emergano indizi di violazioni relative a circostanze estranee all’ordine di servizio, un’ulteriore apposita autorizzazione.
In base alla lettura della Corte di Cassazione, invece, la posizione del contribuente non rileverebbe in alcun modo, nonostante la necessità che l’accesso risponda ad effettive esigenze di indagine sul luogo sia non solo presidio di efficienza amministrativa ma anche funzionale a garantire al contribuente il diritto di subire la minor compressione possibile delle sue sfere di libertà, compatibilmente con le legittime esigenze dell’indagine fiscale ([4]).
La giurisprudenza di legittimità si è fin qui dimostrata poco sensibile con riguardo alle sfere di libertà del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, svalutando quelle disposizioni legislative che limitano i poteri di indagine dell’autorità fiscale ([5]). La Corte di Cassazione sembra in effetti attribuire all’interesse erariale una posizione sovraordinata, forse ritenendo che il fine del contrasto all’evasione giustifichi ogni mezzo di indagine, e che il rischio di un uso sproporzionato ed eccessivo dei poteri istruttori non rappresenti un reale problema di cui farsi carico.
Nel solco evidenziato, e con riguardo agli accessi operati dalla Guardia di finanza, la Cassazione ritiene così che l’autorizzazione amministrativa del comandante di zona non sia nemmeno necessaria, e ciò sulla base di un’interpretazione strettamente testuale dell’art. 35 L. n. 4 del 1929 ([6]). Il citato art. 35 deve tuttavia essere integrato con quanto prevede la legislazione successiva, non solo per quanto riguarda la necessaria autorizzazione del superiore gerarchico ma anche in relazione alle modalità di esecuzione dell’accesso. In effetti, se l’art. 35 stabilisce che gli agenti della Guardia di finanza sono autorizzati ad accedere “in qualsiasi momento” nei locali adibiti ad attività commerciali, l’art. 12 comma 1 dello Statuto prescrive invece che gli accessi e le ispezioni siano svolti durante l’orario ordinario di esercizio delle attività. Appare del resto poco ragionevole ritenere che il potere di accesso, ispezione e verifica venga regolato diversamente a seconda che a eseguirlo siano gli impiegati dell’amministrazione civile o i militari della Guardia di finanza. La legge attribuisce alla Guardia di finanza i poteri e le facoltà previsti agli artt. 51 e 52 del D.p.r. n. 633 del 1972 ([7]), ma non certo poteri più penetranti di quelli attribuiti agli Uffici finanziari.
3. L’esigenza di limitare la discrezionalità dei verificatori fiscali nella giurisprudenza della Corte EDU
Orbene, la Corte EDU ha emesso il proprio giudizio proprio tenendo conto degli arresti della giurisprudenza nazionale: secondo la Corte, infatti, le linee guida emanate dall’Amministrazione finanziaria italiana, in cui si prescrive che i contribuenti da assoggettare a controllo vengano selezionati sulla base di analisi del rischio ([8]), non garantiscono a sufficienza dall’eventualità che gli agenti fiscali esercitino un potere discrezionale illimitato dietro all’apparente rispetto dei criteri-guida; soprattutto, “alla luce della giurisprudenza della Corte di Cassazione, il rispetto di tali criteri non è una condizione per la legittimità dell’autorizzazione di tali misure, in quanto non è richiesta alcuna motivazione. Ne consegue che le disposizioni nazionali pertinenti non imponevano alle autorità di giustificare l’esercizio dei loro poteri e consentivano quindi loro di esercitare un potere discrezionale illimitato” (§. 113).
A ciò si può aggiungere che la motivazione che solitamente si rinviene nelle autorizzazioni amministrative all’accesso presso la sede dell’impresa o del professionista raramente consente al destinatario di comprendere le ragioni per cui è stata ritenuta necessaria un’indagine on-site e non invece l’esercizio di poteri istruttori “a tavolino”: la motivazione, spesso, consente al più di conoscere il motivo per cui il destinatario della verifica è stato selezionato per un controllo, ma non perché si è deciso di attivare proprio il potere di accesso e non altri mezzi istruttori meno invasivi (come invece prescrive l’art. 12 comma 1 dello Statuto, richiamando l’esigenza che l’accesso risponda ad effettive esigenze di indagine sul luogo).
L’autorizzazione, poi, nel delimitare l’oggetto del controllo dovrebbe circoscrivere la tipologia di documenti ed elementi probatori acquisibili. Si tratta naturalmente di un’indicazione di larga massima, non potendosi pretendere che l’Ufficio abbia piena contezza di quanto troverà nei locali del contribuente; tuttavia, il materiale da acquisire dev’essere pertinente all’oggetto della verifica e astrattamente coerente con le ragioni per cui è stata concessa l’autorizzazione. Il problema si pone in particolare nei casi di verifica generale, laddove, con riferimento alle annualità coperte dall'autorizzazione, i verificatori – in base all’art. 52, comma 4, D.p.r. n. 633 del 1972 - non incontrano limiti quanto alla documentazione suscettibile di ispezione.
La Corte EDU ha perciò ritenuto che il quadro giuridico nazionale sia tale da consentire accessi dal carattere meramente “esplorativo”, in contrasto con l’esigenza di delimitare la discrezionalità attribuita agli agenti dell’Amministrazione finanziaria. Secondo la Corte, infatti, “alle autorità nazionali non è stato chiesto di indicare ciò che si aspettavano di trovare in relazione agli anni oggetto dell’audit, né vi è stata alcuna indicazione che l’accesso indiscriminato dovesse essere evitato. Inoltre… non era prevista la possibilità di rimuovere o dichiarare altrimenti inammissibili i documenti e gli elementi non connessi all’oggetto delle misure impugnate… In tale contesto, la Corte non è convinta che il quadro giuridico interno abbia fornito garanzie adeguate ed efficaci contro l’Autorità fiscale e la Guardia di Finanza che esercitano un potere discrezionale illimitato, in quanto in relazione all’accesso e alle ispezioni, il loro potere di valutare l’adeguatezza, il numero, la durata e la portata di tali operazioni e delle informazioni richieste ai contribuenti e poi copiate e sequestrate non era regolamentato. In tale contesto, la Corte ritiene che le condizioni previste dalla legge appaiano troppo permissive per delimitare in modo sufficiente un siffatto potere discrezionale” (§§. 119, 120) ([9]).
4. Gli insufficienti rimedi processuali a disposizione del contribuente destinatario di accessi e ispezioni illegittimi
La Corte si è poi soffermata sulla questione dei rimedi processuali atti a proteggere i contribuenti italiani dal rischio di abusi o verifiche fiscali arbitrarie, rilevando anche sotto tale profilo un deficit nella normativa italiana. È noto infatti che non sussiste, nell’ambito della giurisdizione tributaria, una tutela immediata nei confronti degli atti istruttori illegittimi. Questi possono essere contestati soltanto unitamente all’eventuale avviso di accertamento, onde ottenerne l’annullamento laddove esso si fondi esclusivamente su prove raccolte illegittimamente e perciò inutilizzabili. Secondo la Corte EDU, tuttavia, questo non costituisce una garanzia sufficiente, sia perché la tutela viene a dipendere dall’effettiva emissione di un avviso di accertamento basato proprio sulle prove raccolte in modo illegittimo, sia perché - alla luce della giurisprudenza interna – l’autorizzazione ad accedere in locali ad uso commerciale non condiziona la legittimità dell’accesso né circoscrive l’ambito degli elementi di prova acquisibili. Inoltre, rileva sempre la Corte, atteso che un avviso di accertamento potrebbe essere emesso dopo alcuni anni dalla presentazione della dichiarazione, il rimedio giurisdizionale non potrebbe essere considerato sufficientemente tempestivo.
Si può a ciò aggiungere che la possibilità di ottenere un annullamento dell’avviso di accertamento per l’inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite non sarebbe comunque idonea a tutelare i diritti, sottesi dall’art. 8 CEDU, di inviolabilità del domicilio e della corrispondenza rispetto al rischio di indebite ingerenze dell’autorità pubblica. L’annullamento dell’avviso di accertamento opera, infatti, sul piano delle tutele “patrimoniali”, ma non è in grado di porre rimedio ai pregiudizi prodotti da un accesso indiscriminato e da un’ispezione condotta dall’autorità fiscale con modalità altamente discrezionali ([10]).
Quanto alla possibilità di ricorrere al giudice civile per far cessare gli effetti pregiudizievoli di un’ispezione illegittima, è noto che questa, secondo le Sezioni unite della Cassazione ([11]), risulta percorribile soltanto laddove l’istruttoria non sia sfociata in un avviso di accertamento, oppure quando esso non sia stato impugnato davanti al giudice tributario. Si tratta dunque di un rimedio giurisdizionale soltanto eventuale, dall’incerta accessibilità. La Corte EDU ha inoltre rilevato la dubbia efficacia di tale rimedio, atteso che gli unici esempi giurisprudenziali disponibili riguardano ipotesi di autorizzazioni del pubblico ministero ad accedere in residenze private e non in locali ad uso commerciale, e che non si vede come i giudici civili potrebbero esercitare un controllo significativo sul contenuto dell’autorizzazione prodromica agli accessi, ispezioni e verifiche in locali ad uso commerciale o professionale.
Ne deriva che, secondo la Corte EDU, il contesto giuridico interno è tale da conferire all’autorità fiscale italiana un “margine di discrezionalità illimitato” nell’esecuzione di accessi ed ispezioni nei confronti di imprese, società e professionisti, senza al contempo fornire garanzie giurisdizionali sufficienti, con conseguente violazione dell’art. 8 della CEDU (§. 139).
5. Gli obblighi conformativi per lo Stato italiano derivanti dalla sentenza
Nel caso Italgomme Pneumatici Srl c. Italia la Corte ha applicato l’art. 46 CEDU, in base al quale gli Stati contraenti sono tenuti a rispettare le sentenze definitive che li riguardano.
Nello specifico, la Corte ha ritenuto che le carenze rinvenute nella normativa italiana siano tali da originare ulteriori ricorsi giustificati, e che la violazione dell’art. 8 abbia carattere sistemico, dipendendo dalla conformazione del diritto interno e dall’interpretazione fornita dai giudici nazionali. Su tali premesse, i giudici di Strasburgo ritengono che lo Stato italiano debba adottare le misure generali idonee ad allineare la sua legislazione e prassi alle conclusioni della Corte, e in particolare attuare i principi generali delineati nello Statuto del contribuente (artt. 12 e 13) mediante norme specifiche, sottolineando altresì che la giurisprudenza nazionale dovrebbe a sua volta allinearsi a tali principi e a quelli stabiliti dalla Corte.
In particolare, secondo i giudici di Strasburgo il quadro giuridico interno, se necessario mediante pertinenti indicazioni di prassi amministrativa, “dovrebbe indicare chiaramente le circostanze e le condizioni in cui le autorità nazionali sono autorizzate ad accedere ai locali e a effettuare verifiche in loco e controlli fiscali sui locali commerciali e sui locali adibiti ad attività professionali”. Esso dovrebbe altresì “imporre alle autorità nazionali l’obbligo di fornire una motivazione e di giustificare di conseguenza la misura in questione alla luce di tali criteri”. Inoltre, “dovrebbero essere stabilite garanzie per evitare l’accesso indiscriminato o almeno la conservazione e l’uso di documenti e oggetti non connessi con l’obiettivo della misura in questione…”. Infine, il contribuente, “al più tardi al momento dell’avvio della verifica, deve avere il diritto di essere informato dei motivi che giustificano la verifica e della sua portata, del suo diritto di essere assistito da un professionista e delle conseguenze del rifiuto di autorizzare la verifica” (§. 148).
Ora, sotto alcuni degli aspetti evidenziati l’ordinamento tributario italiano sembra già allineato alle indicazioni della Corte. L’accesso nei locali del contribuente deve avvenire sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo (art. 12 comma 1 dello Statuto), che devono risultare dall’autorizzazione del capo dell’ufficio, la quale deve indicare lo scopo dell'accesso (art. 52 comma 1 D.p.r. n. 633 del 1972). Anche il diritto del contribuente di essere informato dei motivi che giustificano la verifica e della sua portata, di essere assistito da un professionista e delle conseguenze del rifiuto di autorizzare la verifica, è già sancito dall’art. 12 comma 2 dello Statuto.
Si potrebbe invece forse riaffermare meglio, se non a livello normativo quantomeno in istruzioni di prassi amministrativa, l’obbligo di motivare l’autorizzazione e così giustificare l’accesso, superando la consuetudine di motivare con riferimento alle ragioni per cui quel certo contribuente è stato selezionato per il controllo, più che a quelle che hanno indotto l’autorità fiscale ad effettuare una indagine on-site anziché adottare altri mezzi istruttori meno invasivi ([12]). Inoltre, andrebbe chiarita meglio – magari in sede di prassi amministrativa - la necessità che vi sia corrispondenza tra l’ambito e lo scopo delle ispezioni autorizzate e i documenti reperiti e utilizzabili, fatto salvo, come rileva la stessa Corte, il potere delle autorità di avviare procedimenti amministrativi separati laddove emergano nel corso dell'ispezione elementi tali da giustificare l’allargamento dell’indagine ad altri oggetti.
Del resto, la recente introduzione del principio di proporzionalità nel procedimento tributario (art. 10-ter della L. n. 212 del 2000), secondo cui occorre bilanciare la protezione dell’interesse erariale alla percezione del tributo con la tutela dei diritti fondamentali del contribuente, con la conseguenza che l’azione amministrativa deve essere necessaria per l’attuazione del tributo, non eccedente rispetto ai fini perseguiti e non limitare i diritti dei contribuenti oltre quanto strettamente necessario al raggiungimento del proprio obiettivo, può essere letta come ulteriore conferma dell’esigenza di motivare l’autorizzazione all’accesso, da cui dovrà risultare la necessità dell’accesso medesimo e la sua congruità rispetto agli scopi della particolare indagine fiscale.
L’altra questione sollevata dalla Corte EDU attiene al deficit di tutela giurisdizionale, atteso che nel processo tributario non possono trovare ingresso le questioni di legittimità concernenti gli atti dell’istruttoria, se non al termine della stessa, e subordinatamente all’emissione di un avviso di accertamento. Anche in quel caso, peraltro, la c.d. “tutela differita” involge soltanto il profilo patrimoniale della vicenda, attraverso l’inutilizzabilità delle prove raccolte con modalità illegittime, ma non è in grado di far cessare o inibire l’indagine dell’autorità fiscale, che a quel punto si è ovviamente già conclusa da tempo. D’altro canto, come già ricordato, la tutela davanti al giudice ordinario incontra dei limiti significativi giacché, secondo la Cassazione la possibilità di contestare l’atto istruttorio viziato davanti al giudice civile sussiste soltanto se l’indagine si concluda senza l’emissione di un atto impositivo, oppure qualora lo stesso non venga impugnato davanti al giudice tributario, o ancora se l’atto impositivo prescinda dall’atto istruttorio che si assume come viziato.
A tal riguardo la Corte EDU, rilevato che il quadro giuridico interno dovrebbe prevedere un controllo giurisdizionale effettivo di un atto di indagine contestato, e in particolare un controllo del rispetto, da parte delle autorità nazionali, dei criteri e delle limitazioni riguardanti le condizioni che giustificano tale atto e la sua portata, ha ritenuto che, preso atto delle diverse restrizioni alla competenza dei giudici tributari e civili, “l’esistenza e la disponibilità di tali mezzi di ricorso non debbano essere subordinate al fatto che una misura abbia portato all’emissione di un avviso di accertamento né dovrebbero essere disponibili solo una volta concluso il procedimento di accertamento. Se un contribuente ritiene che le persone che effettuano un controllo non agiscano in conformità con la legge… dovrebbe essere disponibile una qualche forma di riesame intermedio e vincolante semplificato prima che il controllo sia completato” (§. 149) ([13]).
6. L’inadeguata iniziativa parlamentare in itinere
Nel tentativo di accogliere le indicazioni contenute nella sentenza Italgomme Pneumatici Srl, è stato presentato al Senato, in data 11 febbraio 2025, il disegno di legge n. 1376, col dichiarato obiettivo di rafforzare la tutela del domicilio e del diritto di difesa del contribuente sottoposto ad accessi, ispezioni e verifiche.
Orbene, si legge nella relazione di accompagnamento al citato disegno di legge che con esso si propone di introdurre “1) una supervisione indipendente e giudiziaria che permetta ex ante di avere una tempestiva protezione contro possibili ingerenze arbitrarie attraverso un effettivo controllo preliminare di legittimità o che consenta una limitazione delle discrezionalità delle autorità fiscali nell’effettuare le perquisizioni per ragioni di indagine fiscale; 2) uno specifico obbligo motivazionale in ordine ai requisiti per legittimare l’intervento lesivo del domicilio latamente inteso del contribuente, in modo da consentire un’adeguata identificazione delle condizioni in cui le autorità fiscali possono incidere sul diritto di ogni persona al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza; 3) un sistema di controllo giudiziario ex post per il contribuente, che costituisca una tutela diretta dei suoi diritti al rispetto del domicilio e del diritto di difesa in ordine alla legittimità e fondatezza della misura nonché ai requisiti di necessarietà e connessa proporzionalità allo scopo perseguito di cui all’articolo 8, paragrafo 2, della Convenzione”.
Le singole disposizioni contenute nel d.d.l., tuttavia, oltre a risultare disarmoniche rispetto a quanto si legge nella relazione accompagnatoria, non sembrano sufficienti ad adeguare il quadro giuridico interno alle prescrizioni della Corte EDU.
Si prevede infatti, attraverso una integrazione dell’art. 52 del D.p.r. n. 633 del 1972, un rafforzamento dell’obbligo di motivazione dell’autorizzazione che il procuratore della Repubblica deve rilasciare per il caso di accessi presso locali adibiti, in via esclusiva o promiscua, ad abitazione, nonché per effettuare perquisizioni personali o aprire coattivamente pieghi sigillati, borse, casseforti e così via. Tale autorizzazione dovrà infatti essere “motivata in ragione delle risultanze acquisite allo stato della verifica tributaria condotta dagli Uffici dell’imposta sul valore aggiunto”.
Ora, non è chiaro che cosa gli incisi da inserire nei diversi commi dell’art. 52 aggiungano rispetto al fatto che, anche a legislazione vigente, la motivazione dell’autorizzazione del procuratore della Repubblica non può, in linea di massima, che avvenire in ragione delle risultanze acquisite allo stato della verifica condotta dagli Uffici finanziari.
Ma soprattutto, va osservato che le modifiche normative che si vorrebbero adottare riguardano soltanto gli accessi presso il domicilio (o luoghi a esso assimilabili) inteso in senso stretto, e non invece quelli nel “domicilio latamente inteso del contribuente” (come si esprime la relazione accompagnatoria), lasciando così scoperte proprio le ipotesi di accesso in locali adibiti ad uso commerciale o professionale, cioè le fattispecie oggetto del caso Italgomme Pneumatici Srl. La Corte di Strasburgo estende infatti le tutele previste dall’art. 8 CEDU ai locali utilizzati per attività commerciali e professionali.
La stessa critica può essere rivolta alla proposta, contenuta nel citato d.d.l., di introdurre nel D.p.r. n. 633 del 1972 un nuovo art. 52-bis rubricato “Tutela giurisdizionale in materia di accessi domiciliari e acquisizioni documentali”, secondo cui “Il contribuente nei cui confronti sia stato eseguito, ai sensi dell’articolo 52, commi dal primo al terzo del presente decreto, un accesso presso locali adibiti in tutto o in parte ad abitazione ovvero che sia stato sottoposto, durante l’accesso, a perquisizioni personali o all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili o alla richiesta di esame di documenti o di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale, entro venti giorni dall’esecuzione delle suddette attività, può proporre, con istanza motivata, al presidente della Corte di giustizia tributaria di secondo grado competente per territorio in ragione della circoscrizione in cui ha sede l’Ufficio dell’ente impositore procedente, richiesta di annullamento dell’autorizzazione rilasciata dall’autorità giudiziaria competente e conseguente dichiarazione di inutilizzabilità delle risposte rese dal contribuente medesimo nonché della documentazione, delle scritture e dei libri o registri acquisiti in copia o sequestrati”.
L’inibitoria giurisdizionale che si immagina di introdurre risulta, anzitutto, indeterminata nei suoi presupposti, non essendovi indicazioni in ordine ai requisiti che devono sussistere per poter sollecitare l’annullamento dell’autorizzazione rilasciata dal procuratore della Repubblica onde accedere nell’abitazione del contribuente od ottenere l’apertura coattiva di borse, pieghi sigillati, casseforti e simili. Ci si potrebbe dunque chiedere se il presupposto fondante l’istanza di annullamento sia la totale mancanza della motivazione dell’autorizzazione, oppure la presenza di una motivazione insufficiente, contraddittoria, di mero stile, o avulsa dalle risultanze acquisite allo stato della verifica tributaria, o ancora se si possa sindacare il merito delle ragioni indicate nell’autorizzazione e contestare il fatto che quelli dedotti nell’autorizzazione non rappresentano “gravi indizi di violazioni” (per il caso di accesso in locali adibiti solo ad abitazione). Inoltre, la nuova disposizione – che sarebbe forse meglio collocare nel decreto sul processo tributario - potrebbe risultare insufficiente nel soddisfare gli elevati standards richiesti dalla Corte EDU ([14]).
Ma quel che davvero risulta incomprensibile è che la proposta normativa di cui si è detto si limita ad intervenire, come osservato, sulla disciplina degli accessi presso locali adibiti, in via esclusiva o promiscua, ad abitazione, lasciando invece privi di tutela i contribuenti titolari di locali ad uso commerciale o professionale presso cui siano state eseguite indagini on-site, cioè – paradossalmente - proprio le situazioni in relazione alle quali la Corte EDU ha sollecitato l’intervento dello Stato italiano.
[1] Per un primo commento alla sentenza cfr. A. Marcheselli, La Corte EDU e il diritto “canzonatorio” dei diritti fondamentali: le garanzie durante gli accessi e il diritto al silenzio, in Il Fisco, 2025, pp. 743 ss.; D. Stevanato, Accessi, ispezioni e verifiche violano i diritti di libertà secondo la Corte EDU, in Corr. trib., 2025, pp. 417 ss.
[2] Cass., sez. un., 21 novembre 2002, n. 16424; Cass., 18 dicembre 2014, n. 26829; Cass., 6 novembre 2019, n. 28563.
[3] Cfr. Cass., 7 agosto 2009, n. 18155; Cass., 2 marzo 1999, n. 1728.
[4] Il punto è stato evidenziato da tempo dalla dottrina: vedi in proposito R. Schiavolin, Poteri istruttori dell’amministrazione finanziaria, in Dig. disc. priv., Sez. comm., Vol. XI, pp. 205-206; A. Viotto, I poteri di indagine dell’amministrazione finanziaria nel quadro dei diritti inviolabili di libertà sanciti dalla Costituzione, Milano, 2002, p. 275.
[5] A titolo di esempio si veda Cass., n. 26829 del 2014, cit., secondo cui “in tema di verifiche tributarie, il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso. E neppure la nullità di tali atti potrebbe ricavarsi dalla ‘ratio’ delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell'Amministrazione”.
[6] Cfr. Cass., 28 giugno 2019, n. 17526; Cass., 8 luglio 2009, n. 16017; Cass., 22 gennaio 2013, n. 16661.
[7] Si vedano gli artt. 63, comma 1, del D.p.r n. 633 del 1972, e 33, comma 3, del D.p.r. n. 600 del 1973, nonché l’art. 2, comma 4, del D.Lgs. n. 68 del 2001, secondo cui i militari del Corpo, nell’espletamento dei compiti di polizia tributaria, si avvalgono delle facoltà e dei poteri previsti dagli articoli 32 e 33 del D.p.r. n. 600 del 1973 e dagli articoli 51 e 52 del D.p.r. n. 633 del 1972.
[8] Si veda ad esempio la Circolare 7 maggio 2021, n. 4/E.
[9] In termini analoghi si veda il caso Funke v. France, 25 febbraio 1993, n. 10828/84, §. 57.
[10] Sul tema, da ultimo, D. Stevanato, Le violazioni istruttorie tra interesse erariale e tutela dei diritti “non patrimoniali” dei contribuenti, in Corr. trib., 2025, pp. 99 ss.
[11] Cfr. Cass., sez. un., n. 11082 del 7 maggio 2010 e n. 8587 del 2 maggio 2016.
[12] Adeguando così la motivazione dell’autorizzazione segnalato dalla dottrina: cfr., tra gli altri, A. Viotto, Il “diritto al rispetto della vita privata e familiare” nell’ambito delle indagini tributarie, nel quadro della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in Riv. trim. dir. trib., 2019, p. 182, secondo cui “l’atto autorizzativo dovrebbe esporre le ragioni che inducono a ritenere che l’attività istruttoria non possa essere efficacemente realizzata senza l’effettuazione dell’accesso, ovverosia che l’utilizzo dei poteri di indagine ‘a tavolino’ non consentirebbe di ottenere lo stesso risultato, in termini di acquisizione di elementi probatori, rispetto all’accesso”.
[13] L’esigenza di un rimedio giurisdizionale certo, praticabile ed effettivo, da attivare tempestivamente, è stata affermata dalla Corte EDU anche in precedenti occasioni, ad es. nel caso Société Canal Plus et Autres c. France, 21 dicembre 2010, n. 29408/08, §. 40.
[14] Si può qui ricordare che nel caso Ravon e a. c. Francia, 21 febbraio 2008, n. 18497/03, la Corte EDU, pronunciatasi sulla legislazione francese (più garantista di quella italiana) disciplinante gli accessi fiscali presso l’abitazione del contribuente, ha enfatizzato tra l’altro l’esigenza che l’autorizzazione provenga da un organo giurisdizionale indipendente (tale non è il nostro procuratore della Repubblica), che la stessa venga emessa in contraddittorio con l’interessato, che nel ricorso giurisdizionale avverso l’autorizzazione possa essere chiesto anche di riesaminare la base fattuale dell’accesso domiciliare.
Si veda anche La disciplina nazionale in tema di accesso ispezioni e verifiche fiscali non è conforme all’articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo di Ginevra Iacobelli.
La partecipazione del privato all’attività vincolata della p.a.: un passo avanti verso un “giusto procedimento” (Nota a T.A.R. Puglia, Bari, 7 gennaio 2025, n. 9)
di Maria Baldari
Sommario: 1. Premessa – 2. L’ordinanza impugnata e la vicenda giudiziaria – 3. La decisione dei giudici amministrativi – 4. Il contraddittorio nel procedimento amministrativo e la rilevanza ondivaga dei vizi procedimentali– 5. La partecipazione del privato come strumento che attua il cd. “giusto procedimento”
1. Premessa
Il T.a.r. Puglia, in adesione ad un più recente orientamento favorevole al rafforzamento delle garanzie procedimentali, riconosce la necessità della comunicazione di avvio del procedimento – e, conseguentemente, della partecipazione del privato - anche nei casi di attività vincolata della pubblica amministrazione.
L’apparato motivazionale della pronuncia, oltre a ripercorrere l’orientamento giurisprudenziale maggioritario e a ribadire le finalità cui l’istituto della partecipazione nel procedimento amministrativo risulta preordinato, si sofferma altresì sulla necessità che il coinvolgimento del privato sia attuato a prescindere dalla successiva ed eventuale fase giudiziaria.
In tale ottica, la pronuncia si presta ad essere interpretata come un ulteriore passo in avanti nel processo di delineazione del cd. “giusto procedimento”, espressione coniata dalla dottrina anche per dare voce alle istanze di derivazione sovranazionale.
2. L’ordinanza impugnata e la vicenda giudiziaria
Con ricorso depositato presso la III Sez. del T.a.r. Puglia, i ricorrenti impugnano l'ordinanza-ingiunzione di demolizione delle opere e strutture edilizie per il ripristino dello stato dei luoghi adottata dalla competente area tecnica del Comune di Gravina di Puglia[1].
L’ordinanza de qua riassume la vicenda penale che ha interessato la proprietà di un complesso edilizio turistico, nel cui ambito era stata contestata non tanto l’assenza del titolo edilizio quanto, piuttosto, talune difformità costruttive, unitamente a possibili violazioni di vincoli paesaggistici e ambientali; il procedimento si era poi concluso con la dichiarazione di insussistenza di talune delle violazioni di legge contestate.
In diritto, i ricorrenti censurano, fra l’altro, l’omessa applicazione dell’art. 7 legge 7 agosto 1990, n. 241 e l’eccesso di potere per difetto di istruttoria [2]; il Comune resistente, costituitosi in giudizio, contrasta le tesi rappresentate dalla parte ricorrente, evidenziando come il proprio intervento abbia fatto seguito ad una nota della Procura della Repubblica di Bari datata 13 giugno 2023 con cui, all’esito di una sentenza emessa dalla Corte di appello di Bari, proprio al predetto ente pubblico era stato intimato di provvedere a quanto di competenza.
In particolare, la nota su cui si fonda il nuovo ordine amministrativo di demolizione e ripristino adottato dal Comune originava dalle motivazioni di una sentenza della Corte di appello di Bari, che ha dichiarato il non doversi procedere nei confronti degli imputati per intervenuta prescrizione[3]; tale provvedimento giudiziario, a sua volta, riformava la precedente sentenza del Tribunale di Bari, quest’ultima pienamente assolutoria dalle responsabilità ascritte agli imputati nel primo grado del giudizio penale[4].
Peraltro, l’ordine di confisca contenuto nella menzionata sentenza della Corte di appello è stato successivamente annullato dalla Cassazione, che ha applicato la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo[5].
Com’è notto, infatti, nella giurisprudenza della Cedu è stata ritenuta sussistente la violazione dell'art. 7 Cedu e dell'art. 1 del Prot. n. 1 nei casi in cui la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e degli immobili realizzati sugli stessi sia stata ordinata dal giudice penale con la sentenza di proscioglimento per estinzione del reato dovuta a prescrizione[6]. Inoltre, nel caso di assoluzione dal reato di lottizzazione abusiva motivata da errore di diritto inevitabile o scusabile, la confisca ex art. 44, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 dei terreni abusivamente lottizzati e degli immobili ivi abusivamente costruiti è stata ritenuta in contrasto con l'art. 7 della Cedu e l'art. 1, Prot. n. 1 in quanto trattasi di sanzione penale non chiaramente prevista dalla legge, oltre che sproporzionata rispetto allo scopo perseguito della tutela ambientale[7].
3. La decisione dei giudici amministrativi
Dopo aver fatto cenno alla sopra menzionata giurisprudenza sovranazionale, i giudici amministrativi accolgono il ricorso ritenendolo fondato nei termini che seguono.
Come anticipato, con la prima censura i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 in quanto, all’esito della complessa vicenda penale, il Comune ha rieditato l’ordine di demolizione obliterando totalmente l’inoltro dell’avviso di cui all’art. 7 della legge del 7 agosto 1990, n. 241 secondo il quale: “Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l’avvio del procedimento stesso è comunicato […] ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi […]”.
Ed in effetti, il provvedimento impugnato riepiloga le caratteristiche della costruzione, senza tuttavia dare atto né dello svolgimento di nuovi approfondimenti istruttori, eventualmente anche tecnici, né di aver garantito ai soggetti ingiunti la partecipazione al procedimento.
Sul punto, i giudici riconoscono la sussistenza di un orientamento giurisprudenziale in base al quale, nei casi in cui si tratti di contrastare abusi edilizi o rigettare c.d. condoni edilizi, tale avviso non avrebbe carattere indefettibile; tuttavia, quella stessa giurisprudenza riconosce che nei casi in cui la fattispecie concreta richieda particolare approfondimento[8], non vi siano ragioni di alcuna urgenza e la repressione dell’illecito edilizio non sia del tutto indefettibile, l’amministrazione è tenuta a dar corso alle doverose comunicazioni partecipative, al fine di assicurare i principi della fattiva collaborazione e buona fede, sanciti dall’art. 1, co. 2-bis della legge n. 241 del 1990 secondo cui “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”[9].
Non solo, secondo l’organo giudicante, un simile approccio prescinde dalla natura vincolata o discrezionale del provvedimento, in ossequio al più recente indirizzo giurisprudenziale secondo cui: “Il confronto procedimentale con l’interessato è necessario e imprescindibile, agli effetti della legittimità del provvedimento, anche nelle ipotesi di provvedimenti vincolati, allorquando l’apporto partecipativo sia utile per giungere ad un accertamento dei presupposti di fatto del provvedimento stesso che richieda un’istruttoria specifica. La natura vincolata del provvedimento amministrativo non vale ad esimere dall’osservanza delle garanzie partecipative, a partire proprio dalla comunicazione di avvio del procedimento, se si verte in situazioni peculiari e giuridicamente complesse. Pertanto, l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento opera anche nell'ipotesi di provvedimenti a contenuto totalmente vincolato, atteso che la pretesa partecipativa del privato riguarda anche l’accertamento e la valutazione dei presupposti sui quali si deve comunque fondare la determinazione amministrativa[10].
Successivamente, i giudici si soffermano sul fenomeno del c.d. “non finito architettonico”, ossia sulle varie forme di mancato completamento di costruzioni o di complessi edilizi che siano comunque dotate dei requisiti strutturali di autonomia funzionale, rispetto alle quali la più recente giurisprudenza ammnistrativa ha evidenziato come siffatte costruzioni siano suscettibili di autonoma considerazione.
Infatti, “qualora il permesso di costruire abbia previsto la realizzazione di una pluralità di costruzioni funzionalmente autonome (ad esempio villette) che siano rispondenti al permesso di costruire considerando il titolo edificatorio in modofrazionato, gli immobili edificati […] devono intendersi supportati da un titolo idoneo, anche se i manufatti realizzati non siano totalmente completati, ma – in quanto caratterizzati da tutti gli elementi costitutivi ed essenziali – necessitino solo di opere minori che non richiedono il rilascio di un nuovo permesso di costruire”. Inoltre, per quanto qui d’interesse, “qualora […] le opere incomplete, ma funzionalmente autonome, presentino difformità non qualificabili come gravi, l’Amministrazione potrà adottare la sanzione recata dall’art. 34 del T.U.”; infine “è fatta salva la possibilità per la parte interessata, ove ne sussistano tutti i presupposti, di ottenere un titolo che consenta di conservare l’esistente e di chiedere l’accertamento di conformità ex art. 36 del T.U. nel caso di opere “minori” (quanto a perimetro, volumi, altezze) rispetto a quelle assentite, in modo da dotare il manufatto – di per sé funzionale e fruibile – di un titolo idoneo, quanto alla sua regolarità urbanistica” [11].
A ciò si aggiunga inoltre che il recente decreto-legge 29 maggio 2024, n. 69[12] ha in più punti modificato il d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ampliando, in presenza di tassativi presupposti e previa domanda di parte, le fattispecie di sanatoria delle difformità edilizie, al contempo meglio specificando le c.d. tolleranze costruttive.
Ne deriva allora che, in considerazione della particolare difformità di volta in volta riscontrata, deve essere riconosciuto, in un’ottica di semplificazione dell’azione amministrativa, un adeguato spatium deliberandi al proprietario del bene immobile, al fine di consentirgli di assumere una ponderata posizione, in particolare laddove costui non risulti l’autore delle difformità, avendo conseguito il manufatto già con difformità edilizie a titolo derivativo.
In quest’ottica, allora, un importante spazio può essere assicurato proprio mediante l’istituto dell’avviso di inizio del procedimento di cui all’art. 7 della legge n. 241 del 1990, soprattutto nei casi di iniziativa ex officio.
Per giustificare tale assunto, i giudici ricordano che la finalità cui è preordinata la partecipazione al procedimento, specie nei casi di adozione di atto amministrativo sfavorevole, è quella di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, principio generale dell’azione amministrativa. In tale contesto, la ragione per cui è prevista la partecipazione al procedimento da parte del destinatario del provvedimento è duplice: da un lato, possiede una finalità difensiva, atta a consentire un proficuo contraddittorio già in sede procedimentale; dall’altro, integra una finalità collaborativa, utile anche per la stessa amministrazione, la quale può formare il provvedimento finale adattandolo al meglio al caso concreto.
Non solo, la giurisprudenza ha recentemente sottolineato la rilevanza del principio del contraddittorio nel corso di tutto il procedimento, in quanto la regola da applicare si innesta sempre su una situazione fattuale, la quale deve essere a sua volta accertata[13].
A tal fine, a nulla rileva la circostanza che in una eventuale sede giurisdizionale tale accertamento possa essere replicato o integrato: trattasi di una circostanza che non potrebbe in alcun modo giustificare una istruttoria procedimentale carente ovvero celebrata in violazione del contraddittorio, pena l’alterazione di potestà pubbliche ex lege stabilite e la funzione stessa del giudice amministrativo e del processo, ai quali verrebbe assegnato un ruolo almeno parzialmente sostitutivo, ossia succedaneo, rispetto a quello assegnato all'amministrazione e al procedimento amministrativo. In altri termini, la sede deputata a vagliare funditus la situazione allo stato esistente è proprio quella del procedimento amministrativo.
Passando alla specifica materia oggetto della controversia, il principio tramandatosi in giurisprudenza secondo cui l'attività di repressione degli abusi edilizi mediante l'ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati in quanto la partecipazione al procedimento non potrebbe determinare alcun esito diverso, riceve dunque un importante correttivo nei casi di abuso per parziale difformità del titolo edilizio ovvero per variazione essenziale, laddove fosse controversa e controvertibile in punto di fatto e/o di diritto l'entità della stessa variazione e fosse pertanto necessario condurre un apposito accertamento specifico nella sede amministrativa[14].
Un simile dialogo nel procedimento è inoltre funzionale ad ottimizzare la comprensione stessa dei fatti e del diritto da applicarsi nel processo, senza debordare in inutili misure repressive nei confronti dei soggetti ingiunti e senza compromettere il canone della proporzionalità.
Ebbene, nel caso posto al vaglio dei giudici, gli elementi della fattispecie concreta[15] impongono un maggiore approfondimento istruttorio ed un apporto motivazionale da parte dell’amministrazione comunale e, soprattutto, l’inoltro del prescritto ex lege “avviso di inizio del procedimento” a tutti i soggetti legittimati, anche per come mutati nel tempo, considerata la natura personale della comunicazione di avvio del procedimento[16]. E tanto al fine, da un lato, di evitare l’emanazione di provvedimenti che non possano trovare alcuna fattiva applicazione e, dall’altro, di determinare consolidamenti di costruzioni non recuperabili e/o non abbattute e quindi di ruderi, che finiscano sì per compromettere in concreto il paesaggio o l’ambiente. Infine, la partecipazione al procedimento consente altresì ai soggetti interessati di vagliare la proficuità di far ricorso ai rimedi di sanatoria, che il t. u. edilizia ha previsto e pone a loro disposizione, laddove ne dovessero sussistere i presupposti de facto et de iure.
Da ultimo, i giudici ricordano che in materia opera il principio di cui all’art. 1, Protocollo n. 1, Cedu, sul diritto al rispetto dei beni di proprietà privata, il quale impone ai singoli Stati contraenti, le cui legislazioni prevedano sanzioni gravanti sui predetti beni, la necessità di modulare l’obbligatorietà dell’inflizione della misura punitiva, in modo proporzionato, ossia attagliato al caso concreto e tale da renderla non smisurata o eccessivamente invasiva[17].
Sulla scorta delle sopra esposte argomentazioni, i giudici accolgono dunque il ricorso limitatamente alla detta violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 e al censurato vizio di eccesso di potere per difetto d’istruttoria.
4. Il contraddittorio nel procedimento amministrativo: la rilevanza ondivaga dei vizi procedimentali nell’ordinamento
Com’è noto, la legge n. 241 del 1990 stabilisce in via generale la necessità della partecipazione al procedimento amministrativo dei soggetti portatori di interessi pubblici o privati nonché di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, ai quali possa derivare un pregiudizio dal provvedimento finale, al contempo dettandone la disciplina di riferimento.
Il punto di partenza è il riconoscimento della duplice funzione, difensiva e collaborativa, dell’istituto de quo: per quanto attiene al primo profilo, al privato è riconosciuta la facoltà di rappresentare nel procedimento amministrativo i medesimi interessi che potrebbe far valere in sede giudiziaria, così anticipando in sede procedimentale il contraddittorio che altrimenti si avrebbe solo in fase processuale e con inevitabili effetti positivi in termini di deflazione del contenzioso; per quanto attiene al secondo profilo, l’apporto fornito dal privato possiede carattere di utilità per il procedimento, nella misura in cui consente di veicolare dati ed informazioni utili per l’istruttoria amministrativa, la quale viene arricchita e resa più articolata, così consentendo una migliore ponderazione degli interessi coinvolti.
La duplice finalità, in altri termini, consente di far emergere gli interessi sia pubblici sia privati sottesi all’esercizio del potere, in modo tale da orientare le scelte dalla p.a. attraverso la ponderazione di tutti gli interessi in gioco, anche nell’ottica del principio di buon andamento ed imparzialità della p.a. sancito dall’art. 97 Cost. e di cui l’istituto rappresenta una importante manifestazione.
In questo quadro, uno strumento indispensabile per attivare la partecipazione al procedimento è rappresentato dalla comunicazione di avvio del procedimento la quale, affinché realizzi le due indicate funzioni, deve essere effettuata prima o, al più, contemporaneamente, all’inizio dell’istruttoria, e comunque entro un termine congruo che consenta al privato la partecipazione alla fase procedimentale[18].
Già all’indomani dell’introduzione della legge n. 241 del 1990, erano state tuttavia individuata talune eccezioni all’obbligo di comunicazione, tanto in via legislativa quanto in via giurisprudenziale.
Per quanto qui d’interesse, un indirizzo giurisprudenziale escludeva la necessità della comunicazione di avvio del procedimento in qui casi in cui, anche laddove fosse stata ritualmente effettuata, la comunicazione non avrebbe inciso sull’iter procedimentale. Tale situazione, all’evidenza, si verificava nei casi di atti vincolati, relativamente ai quali le informazioni e i dati sui quali l’Amministrazione è chiamata a pronunciarsi non potrebbero essere in alcun modo arricchiti ed implementati dall’apporto del privato. In questi casi, la partecipazione procedimentale del destinatario del provvedimento appariva infatti priva di qualsiasi utilità per la tutela delle situazioni giuridiche soggettive dedotte dal ricorrente[19].
Tale indirizzo giurisprudenziale, all’indomani delle modifiche introdotte dalla legge n. 15 del 2005, fu recepito a livello legislativo mediante l’introduzione dell’art. 21 octies il quale, al secondo comma, - e salvo l’aggiunta dell’ultimo periodo avvenuta per opera della successiva legge n. 120 del 2020[20] – sancisce che “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”[21].
La disposizione de qua, infatti, non solo ha consacrato l’orientamento giurisprudenziale dei cd. vizi “non invalidanti” cui si faceva prima riferimento, dando così uno statuto legislativo alle violazioni formali che non danno luogo ad annullabilità, ma ne ha anche ampliato la portata applicativa nella parte in cui, proprio con riferimento alla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, sembra escludere l’invalidità del provvedimento in tutti quei casi in cui l’amministrazione dimostri che il contenuto non avrebbe potuto essere diverso, e ciò a prescindere dalla natura vincolata o discrezionale del potere esercitato e dal carattere palese del provvedimento finale.
In quest’ottica, sembra ripercorrere l’esperienza tedesca della cd. soggettivizzazione delle garanzie procedimentale, vale a dire l’idea che queste non valgono di per sé ma solo laddove influiscano, in concreto, sulla sostanza degli interessi fatti valere dal cittadino[22].
La norma possiede profili di notevole importanza sistematica; al di là della distinzione in due periodi, emerge infatti un dato comune: il provvedimento non è annullabile perché in entrambi i casi il vizio procedimentale o formale è sato ininfluente sul contenuto sostanziale o dispositivo del provvedimento, il quale, comunque, non avrebbe potuto esser diverso, sia pure con un differente onere probatorio posto in capo alla p.a.
Trattasi, all’evidenza, di una norma che, da un lato, testimonia il passaggio dal giudizio sull’atto al giudizio sul rapporto in quanto, di fronte ad un provvedimento che è illegittimo, ne esclude l’annullabilità all’esito di un giudizio che tenga conto dell’intero rapporto tra le parti; dall’altro, testimonia la tendenza alla dequotazione del procedimento amministrativo e dell’interesse procedimentale.
Procedimento ed interesse procedimentale, infatti, hanno nel tempo attraversato alterne vicende, con un andamento quasi ondulatorio: prima della legge n. 241 del 1990, si riteneva che la carenza procedimentale fosse solo un indizio, un possibile sintomo del vizio di eccesso di potere; con la legge n. 241 del 1990, gli indizi dell’eccesso di potere vennero elevati ad autonome figure di violazione di legge (cd. fase di quotazione); da ultimo, da circa 15 anni a questa parte, la giurisprudenza ha iniziato ad ammettere sempre più di frequente varie forme di sanatorie così, di fatto, riportando a livello di indizio/sintomo di violazione di legge le carenze procedimentali (cd. fase di dequotazione).
E tanto in controtendenza rispetto a quello che accede invece a livello sovranazionale, dove si registra una riespansione del procedimento, in quanto le fonti sovranazionali impongono il recepimento, quanto meno in alcuni procedimenti dotati di rilievo sostanzialmente penale, di determinate garanzie afferenti alla fase più strettamente processuale.
5. La partecipazione del privato come strumento che attua il cd. “giusto procedimento”
Ebbene, la sentenza in commento interviene su questo stato dell’arte, inserendosi nel solco del più recente filone interpretativo volto ad implementare, nuovamente, il riconoscimento e l’effettività del contraddittorio nella fase procedimentale.
L’innovazione risiede nella rivalutazione della partecipazione del privato, che assume connotati di necessità e rilevanza anche laddove vengano in rilevo provvedimenti a carattere vincolato, e ciò in quanto, l’apporto da costui fornito consente di giungere ad una più attenta e consapevole valutazione dei presupposti di fatto e di diritto su cui il provvedimento stesso si fonda[23].
In tale prospettiva, una delle argomentazioni utilizzate dall’organo giudicane è quella secondo cui l’istruttoria procedimentale, in quanto dotata di un ruolo cruciale, possiede una autonoma identità rispetto a quella eventualmente replicabile in fase processuale la quale, dal canto suo, rischierebbe di essere snaturata della propria funzione ove fosse piegata a sopperire eventuali carenze riconducibili alla fase precedente, finendo per esercitare un ruolo succedaneo a quello assegnato all’amministrazione.
Trattasi di un passaggio motivazionale da salutare con particolare favore, nella misura in cui lascia sottendere una sorta di anticipazione, già in fase procedimentale, di garanzie afferenti alla fase più strettamente processuale. E tanto in ossequio a quell’orientamento di derivazione sovranazionale cui si faceva cenno in chiusura del precedente paragrafo e che ha trovato un autorevole avallo anche in ambito interno, tanto da aver indotto taluni a parlare di “giusto procedimento”.
L’espressione, infatti, non è nuova nel panorama giuridico nazionale, rinvenendosi delle prime enunciazioni in alcuni autori che consideravano il procedimento come il luogo in cui gli interessati dovessero essere posti «in grado di far valere le proprie ragioni e di esperire gli opportuni rimedi»[24].
Il tema però è ben più complesso, intersecando la questione di teoria generale concernente i rapporti tra procedimento e processo[25]. In questa sede, è sufficiente ricordare che, secondo i teorici generali del processo, quest’ultimo non è altro che una species del più ampio genus procedimento. Il tratto distintivo del processo sarebbe rappresentato non tanto dall’an della partecipazione quanto piuttosto dal quomodo: affinché si abbia processo non sarebbe sufficiente la partecipazione dei soggetti nella forma dell’audizione e/o della contestazione, occorrendo semmai il contraddittorio, vale a dire la struttura dialettica del procedimento nella simmetrica parità delle posizioni.
Questa concezione del contraddittorio, però, lungi dall’essere prerogativa esclusiva del processo si presta ad essere elevata a categoria generale, applicabile anche all’attività della p.a., la quale pure è chiamata a tenere conto degli interessi potenzialmente confliggenti[26]; alcuni autori hanno parlato, a tal proposito, di “diffusione del processo” a tutte le branche dell’ordinamento[27].
Nella medesima direzione, altra dottrina ha precisato che procedimento e processo, pur rappresentando le forme “tipiche” di estrinsecazione rispettivamente della funzione amministrativa e di quella giurisdizionale, non sono per ciò solo irrinunciabili. Queste ultime, infatti, rappresentano per il diritto un mero strumento, sicché nulla osta acché anche l’amministrazione attiva venga esercitata nelle forme del processo[28].
Secondo i sostenitori di questa tesi, una conferma in tal senso si ricaverebbe anche dalla Carta Costituzionale nel suo complesso, in quanto il costituente avrebbe accolto una concezione di complementarietà ed integrazione tra procedimento e processo, il cui connotato essenziale risulta rappresentato dalla conformazione dell’amministrazione «secondo fini di giustizia e metodi di giustizia», circostanza questa che implica proprio una processualizzazione dei metodi di azione della p.a.[29].
Non solo, una ratio così garantista ha imposto l’individuazione di una precisa copertura costituzionale; l’iter, tuttavia, non è stato agevole. In una prima fase, infatti, la Consulta non riconobbe la valenza costituzionale del “giusto procedimento” ritenendolo un principio dell’ordinamento giuridico dello Stato, vincolante, in quanto tale, per il solo legislatore regionale[30].
Una svolta importante è rappresentata dalla l. n. 241 del 1990, da più parti indicata come legge introduttiva del principio del giusto procedimento: tramite la codificazione di una serie di istituti che riecheggiavano i cd. substantialia processus[31], la normativa de qua ha infatti determinato l’esportazione degli elementi essenziali del processo anche all’attività amministrativa[32]. Per molto tempo, tale normativa di rango primario ha sopperito alla mancata costituzionalizzazione del principio stesso.
Un’ulteriore tappa è stata poi segnata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15 che, nell’ambito dei principi generali dell’attività amministrativa, ha rinviato ai «principi dell’ordinamento europeo» tra i quali rileva, per quanto qui d’interesse, l’art. 41 della Carta di Nizza in materia di diritto ad una buona amministrazione.
Proprio quest’ultima disposizione ha consentito alla Consulta di ricondurre il giusto procedimento al principio di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa[33]. In siffatto contesto, dunque, il giusto procedimento viene riconosciuto come principio costituzionale, posto a tutela dei cittadini e delle loro libertà, al fine assicurare equilibrio e parità tra le parti del procedimento.
In questo senso, non ci sarebbe alcuna incompatibilità tra giusto procedimento e pieno raggiungimento dell'interesse pubblico. Al contrario, quest’ultimo potrebbe trovare giovamento dall’apporto collaborativo del cittadino il quale, ben potrebbe con la propria attività, aiutare l'amministrazione a decidere.
Del resto, come acutamente osservato da parte della dottrina, posto che l’art. 6 CEDU non garantisce un risultato finale ma un giusto procedimento-processo, le garanzie procedimentali, per quanto aiutino il cittadino a difendere i propri interessi a fronte del potere, lasciano comunque inalterata la facoltà dell'amministrazione di decidere la soluzione più coerente con il pubblico interesse, seppure dialetticamente ricostruito[34].
[1] Provvedimento n. 16 registro ordinanze del 14 settembre 2023.
[2] Gli ulteriori motivi su cui si fonda il ricorso sono i seguenti: violazione/elusione giudicato di cui agli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c.; la violazione/elusione giudicato (efficacia riflessa); la nullità del provvedimento; la mancata applicazione dell’art. 654 c.p.c.; la violazione del divieto del ne bis in idem, ossia la violazione o falsa applicazione dell’art. 4, protocollo n. 7, della Cedu e dell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione; la violazione o falsa applicazione degli artt. 36, 44 e 31 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; l’eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto e per travisamento dei fatti; lo sviamento di potere e l’illogicità.
[3] CDA Bari, sez. II pen., sent. del 22 settembre 2014.
[4] Trib. Bari, sez. di Altamura, sent. del 13 luglio 2009.
[5] Cass. pen., sez. IV, 11 aprile 2018, n. 16106.
[6] Cfr. in tal senso Corte europea dei diritti dell'uomo, sez. II, 29 ottobre 2013, n. 17475.
[7] Sul punto, v. Corte europea dei diritti dell'Uomo, sez. II, 20 gennaio 2009, n. 75909.
[8] In tal senso, cfr., ex multis, Cons. St., sez. VI, 1° giugno 2023, n. 5433, Cons. St., sez. VI, 7 maggio 2018, n. 2708.
[9] In questi termini, v. Cons. St., sez. VI, 16 gennaio 2023, n. 483.
[10] Così Cons. St., sez. III, 7 novembre 2024, n. 8908; in senso conforme, v. anche Cons. St., sez. VI, 23 aprile 2024, n. 3710; sez. III, 14 settembre 2021, n. 6288; sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6235.
[11] Cons. St., Ad. plen., 30 luglio 2024, n. 14.
[12] Convertito con modifiche dalla legge 24 luglio 2024, n. 105 (c.d. decreto salva-casa).
[13] Sul punto, si rinvia a Cons. St., sez. VI, 16 gennaio 2023, n. 483.
[14] In questo senso v. Cons. St., sez. VI, 1° giugno 2023, n. 5433.
[15] Nello specifico, dai documenti depositati nel corso del processo erano emerse le seguenti circostanze: alcune demolizioni erano state operate mentre altre apparivano insufficienti; il bene non era stato confiscato; non sembra essere stata accertata la violazione di prescrizioni di tutela paesaggistica e ambientale; l’immobile versava in condizioni de facto e oggetto di proprietà di società cessate e/o “fallite” da molto tempo; apparivano residuare violazioni edilizie relative ai sotto-tetti, alla variazione dei prospetti e delle disposizioni interne e altre piccole variazioni, a suo tempo realizzate in difformità del titolo edilizio rilasciato e non già in radicale assenza dello stesso.
[16] V. artt. 7, 8 e 10 della legge n. 241 del 1990.
[17] Così Corte europea diritti dell'Uomo, Grande camera, 28 giugno 2018, n. 1828; inoltre, cfr. Corte europea diritti dell'Uomo, sez. II, sentenze 10 maggio 2012, 20 gennaio 2009 e 30 agosto 2007, Sud Fondi s.r.l. e a.
[18] M.A. Sandulli, La comunicazione di avvio del procedimento tra forma e sostanza (spunti dai recenti progetti di riforma), in Foro amm.-T.A.R., 2004, 5, 1595; S. Civitarese Matteucci, La comunicazione di avvio del procedimento dopo la l. n. 15 del 2005. Potenziata nel procedimento, dequotata nel processo, in Foro amm.-C.d.S., 2005, 6, 1969; C. pagliaroli, I destinatari della comunicazione di avvio del procedimento: la figura del proprietario di immobile confinante, in Rivista Giuridica dell'Edilizia, fasc.3, 1 Giugno 2020, pag. 229.
[19] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5271.
[20] “La disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell'articolo 10-bis”.
[21] Per un commento alla novella, si rinvia a G. Tropea - F. Saitta, L'articolo 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 approda alla Consulta: riflessioni su un (opinabile) giudizio di (non) rilevanza, in Diritto processuale amministrativo, 2010; G. Tropea, Motivazione del provvedimento e giudizio sul rapporto: derive e approdi, in Diritto Processuale Amministrativo, fasc. 4, 1 dicembre 2017; S. Vaccari, Atti vincolati, vizi procedurali e giudicato amministrativo, in Diritto Processuale Amministrativo, fasc.2, 1 giugno 2019, pag. 481; G. Mannucci, Il regime dei vizi formali-sostanziali alla prova del Diritto Europeo, in Diritto Amministrativo, fasc.2, 1 giugno 2017, pag. 259.
[22] Si tratta, peraltro, di una prospettiva oggetto di numerose critiche già in relazione al sistema tedesco a causa della sua aperta incompatibilità con la CEDU. Sul punto, cfr. M. Kunnecke, Procedural errors in the Adminstrative procedure, in Tradition and change in Administrative Law: an Anglo-German Comparison, 2007, n, 137-172.
[23] In tal senso, del resto, si era già espresso Cons. St., sez. VI, 23 aprile 2024, n. 3710 nonché Cons. Stato, sez. III, 7 novembre 2024, n. 8908, entrambe richiamate dalla pronuncia in esame. Per un commento alla seconda delle sentenze menzionate, si rinvia a I. Genuessi, Decisione vincolata e garanzie procedimentali. Riflessioni sul rapporto tra garanzie partecipative e natura vincolata del provvedimento amministrativo impugnato (nota a Cons. Stato, sez. III, 7 novembre 2024, n. 8908), in questa rivista, 14 marzo 2025.
[24] Così V. Crisafulli, Principio di legalità e giusto procedimento, in Giur. cost., 1962, 130-131.
[25] Per una disamina più approfondita della questione, si rinvia a E. Fazzalari, Note in tema di diritto e processo, Milano, 1957, p. 105 ss.; ID., Diffusione del processo e compiti della dottrina, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, p. 861 ss.; ID., Processo (Teoria generale), in Nss D.I., vol. XIII, 1966, p. 1067 ss.; ID., Istituzioni di diritto processuale, Padova, 1983, p. 57 ss.; ID., Procedimento e processo (Teoria generale), in Enc. dir., vol. XXXV, Milano, 1986, p. 819 ss.; ID., Capograssi e la realtà del processo, in AA. VV. (a cura di F. Mercadante), L’individuo, lo stato, la storia. Giuseppe Capograssi nella storia religiosa e letteraria del Novecento, Milano, 1990; ID., Valori permanenti del processo, in Riv. dir. proc., 1989, p. 1 ss.
[26] In questo senso v. L. P. Comoglio, Contraddittorio (Principio del) – I) Diritto processuale civile, in Enc. giur., vol. VIII, Roma, 1988, p. 12.
[27] In questi termini si esprimeva ad es. E. Fazzalari, Diffusione del processo e compiti della dottrina, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, pp. 866-7.
[28] Così F. Benvenuti, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl. 1952, p. 137 ss.; M. S. Giannini, L’attività amministrativa, Roma, 1962, p. 112.
[29] Il riferimento in questo caso non può che essere a M. Nigro, Procedimento amministrativo e tutela giurisdizionale contro la pubblica Amministrazione (Il problema di una legge generale sul procedimento amministrativo), in Riv. proc. civ., 1980, p. 252 ss., il quale aveva realizzato un’opera di sistematizzazione dei rapporti intercorsi nelle varie epoche storiche tra procedimento e processo.
[30] Cfr. ad es. Corte Cost., sent. 23 febbraio 1962, n. 13; ID., sent. 6 luglio 1965, n. 59. In argomento, cfr. A.M. Sandulli, Il procedimento, in AA.VV., Trattato di diritto amministrativo (a cura di S. Cassese), p. gen., tomo II, Milano, 2003, 1035 ss.; M.C. Cavallaro, Il giusto procedimento come principio costituzionale, in Foro amm., 2001, 1829 ss.; M. Cocconi, Il giusto procedimento fra i livelli essenziali delle prestazioni, in Le regioni, 2010, 1023.
[31] Sui substantialia processus v. A. Panzarola, Alla ricerca dei substantialia processus, in Rivista di diritto processuale, 2015, vol. 70, fasc. 3, 680-696.
[32] Si pensi agli istituti della motivazione, del termine del procedimento, della comunicazione di avvio, della partecipazione mediante audizione e presentazione di documenti e memorie; ancora, sempre in quest’ottica, particolarmente significativo è il preavviso di rigetto ex art. 10 bis che sembrerebbe trasporre nel procedimento amministrativo l’istituto dell’informazione di garanzia tipica del procedimento penale, così finendo per codificare il diritto di difesa tra le garanzie del procedimento amministrativo. Per un maggiore approfondimento sulle tematiche indicate, si rinvia a G. Berti, Le trasformazioni del procedimento amministrativo, in Dir. e soc., 1996; F. Fracchia, Manifestazioni di interesse del privato e procedimento amministrativo, in Dir. amm., 1996; F. Trimarchi, Considerazioni in tema di partecipazione al procedimento amministrativo, in Dir. proc. amm., 2000, pag. 627; R. Ferrara, Procedimento amministrativo e partecipazione: appunti preliminari, in Foro it., 2000, III, 28; ID., La partecipazione al procedimento amministrativo: un profilo critico, in Diritto Amministrativo, fasc.2, 1 giugno 2017; M.R. Spasiano, La partecipazione al procedimento amministrativo quale fonte di legittimazione dell’esercizio del potere: un’ipotesi ricostruttiva, in Dir. amm., 2002, pag. 283; M. Clarich, Garanzia del contraddittorio nel procedimento, in Dir. amm, n. 1/2004, pp. 70 ss.; ID, Un'applicazione delle norme sul procedimento nel segno di maggiori garanzie per il cittadino, in Guida al diritto, n. 7; M.A. Sandulli, La comunicazione di avvio del procedimento tra forma e sostanza, in Foro amm., fasc.5, 2004, pag. 1595; G. Morbidelli- A. Clarizia, La riforma della legge 241 del 1990 (editoriale), in www.giustamm.it; E. Frediani, Partecipazione procedimentale, contraddittorio e comunicazione: dal deposito di memorie scritte e documenti al «preavviso di rigetto», in Dir. amm., fasc. 4, 2005, pag. 1003; F. Satta, Contraddittorio e partecipazione nel procedimento amministrativo, in Dir. amm., 2010; per una ricostruzione più aggiornata, si rinvia a M.A. Sandulli, Principi e regole dell’azione amministrativa, Giuffrè, 2023.
[33] Si allude a Corte Cost., sent. 23 marzo 2007 n. 103, afferente ad una controversia in materia di spoil system in cui la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittime le disposizioni che prevedevano la decadenza automatica degli incarichi di direzione generale alla scadenza del mandato dell’organo politico, evento estraneo alle vicende del rapporto stesso. Secondo la Consulta, tale prassi generava una duplice violazione dell’art. 97 Cost.: da un lato, sotto l’aspetto dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione amministrativa, atteso che la rimozione del dirigente non si fondava sulla valutazione oggettiva delle qualità e delle capacità professionali dimostrate; dall’altro, sotto il profilo della violazione del principio del giusto procedimento, in quanto al destinatario non venivano garantiti il contraddittorio con l’ente e la possibilità di conoscere la motivazione del provvedimento. Sulla tematica, si rinvia a P. Lombardi, Il provvedimento di nomina del direttore generale di azienda sanitaria tra interesse a ricorrere delle associazioni di categoria, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, in Sanità pubb. e priv.,2010, 75 ss.; F. Castiello, Il principio del giusto procedimento. Dalla sentenza n. 13/1962 alla sentenza n. 104/2007 della Corte costituzionale, in Foro amm.-CdS, 2008, 278; L. Buffoni, Il rango costituzionale del giusto procedimento e l’archetipo del processo, in Quad. cost., 2009, 281 ss.
[34] Così M. Allena, La rilevanza dell'art. 6, par. 1, CEDU per il procedimento e il processo amministrativo, in Dir. proc. amm., fasc.2, 2012, pag. 569.
Giacomo Matteotti, un faro per lo stato di diritto. Scritti nei cento anni dal suo omicidio per ordine di Benito Mussolini, è il titolo del Primo Fascicolo del 2025 di Giustizia Insieme, a disposizione delle lettrici e dei lettori. La cura è di Riccardo Ionta, con contributi di Giovanni Canzio, Floriana Colao, Costantino De Robbio, Licia Fierro, Enrico Manzon, Margherita Occhilupo, Simone Pitto, Giuliano Scarselli e Francesco Tundo. Con questa pubblicazione la nostra Rivista continua a promuovere lo studio del pensiero e degli scritti di Giacomo Matteotti, a ricordare la sua figura essenziale nella storia del Novecento europeo, e il suo sacrificio.
Introduzione di Enrico Manzon
Nell’anno del centenario dal brutale assassinio, Giustizia Insieme ha aperto i suoi spazi telematici al ricordo di Giacomo Matteotti. È stato triste, ma doveroso. È stato facile: Matteotti era una grande persona, che con il suo sacrificio ha segnato il ‘900 italiano e non solo. La sua è una testimonianza indelebile di quanto valga la libertà. Allora, oggi, sempre.
È un ricordo particolarmente significativo in un tempo, quale quello in cui viviamo, nel quale fosche nubi si addensano sulla Costituzione repubblicana. Un patto di convivenza che è costato molte altre vite dopo quella di Giacomo Matteotti e siglato tra costituenti che, in vario modo, avevano condiviso la lotta per liberare l’Italia dall’oppressione nazifascista ossia da quel
male contro il quale si era battuto, a costo della vita, Matteotti medesimo.
Partendo dal suo martirio, i contributi degli Autori generosamente impegnatisi in questa iniziativa editoriale – che ancora
ringraziamo – ne hanno messo in evidenza il contesto, i presupposti diretti, le conseguenze politiche e giudiziarie. Peraltro, oltre la memoria dell’evento, si è cercato di fare luce sul grande spessore dell’intellettuale e del giurista, nella sua poliedricità, indagando anche gli aspetti meno noti. Ne è uscito un ritratto a tutto tondo, una narrazione non ritualmente encomiastica, ma viva, espressione di una profonda riconoscenza ed allo stesso tempo di un apprezzamento altrettanto intenso per il valore politico di Giacomo Matteotti. Un valore difficilmente riscontrabile nei tempi moderni, se non del tutto scomparso.
Questa pubblicazione riassuntiva è dunque anzitutto un ulteriore, sentito, tributo alla persona tragicamente scomparsa 101 anni fa. Ma è anche uno strumento di analisi del presente che, come detto, proietta ombre cupe sul futuro della Nazione. Quasi un vichiano ricorso storico, declinato nella “modernità”.
Si è detto che la Storia è una maestra che ha pochi e disattenti allievi. La strada sulla quale si vuole incamminare il Paese non pare più essere quella di Bruxelles – quella della democrazia, dei diritti, delle libertà – ma quella di Budapest ossia della compressione di tutto quello che è l’essenza dello Stato costituzionale di diritto, quale fondato dopo il Secondo conflitto mondiale. È verso est che le riforme costituzionali in itinere porteranno, qualora malauguratamente dovessero essere approvate e referendariamente confermate. Ma questo non è ancora detto, non è ancora fatto. Le coscienze autenticamente democratiche devono mantenersi sveglie e vigili. Non devono dimenticare quanto sangue, quanta fatica, sono costati il nostro equilibrio costituzionale e la costruzione europea. In questo senso, l’esempio di Giacomo Matteotti è un faro sempre acceso, che Giustizia Insieme, anche con questa pubblicazione, vuole preservare e ravvivare.
Sommario: 1. AI Act e settore amministrativo: molti interrogativi, poche risposte – 2. Frammenti di disciplina, vuoti di regolazione ed il pericolo di un tracollo delle garanzie: il caso della riserva di umanità e della trasparenza algoritmica – 3. Il problema dell’ammissibilità di un intervento regolatorio nazionale in tema di automazione decisionale amministrativa a mezzo di intelligenza artificiale – 4. Un (possibile) tracciato per aprire la via “italiana” per l’intelligenza artificiale nel procedimento amministrativo.
1. AI Act e settore amministrativo: molti interrogativi, poche risposte
Nel giugno scorso si è finalmente giunti all’approvazione del Regolamento Europeo sull’intelligenza artificiale[1].
La comunità dei giuristi ha atteso con trepidazione un momento che è stato vissuto come un traguardo storico che ha posto l’Unione europea all’avanguardia mondiale[2].
Ciò è valso anche per gli amministrativisti[3] travolti, ormai da più di un lustro[4], da una nouvelle vague di studi sul tema.
Le speranze di trovare nel legislatore europeo le risposte ai tanti interrogativi che si agitano attorno al tema sono state, tuttavia, largamente disattese. Tanto che forse, oggi, ci troviamo dinanzi ad un framework regolatorio complessivamente più incerto rispetto a quello sinora offerto dalla giurisprudenza e dalla normativa speciale[5].
Non si può, infatti, mettere seriamente in dubbio che l’AI Act si rivolga (anche) alle pubbliche amministrazioni. In questo senso è schierata la quasi totalità dei primi commentatori[6]. Questi fanno condivisibilmente leva, in particolare, sulle nozioni di “fornitore” e “deployer” ex art. 3, par. nr. 3) e 4) che menzionano espressamente anche l’“autorità pubblica”[7].
Ma, se la platea soggettiva del Regolamento ricomprende certamente, seppur in una veste specifica, gli operatori pubblici, appare chiaro che la sua disciplina non è stata concepita né elaborata tenendo a mente le peculiarità del settore amministrativo[8].
Ciò discende, a ben vedere, dalla criticità che affligge, al fondo, la scelta regolatoria unionale: coltivare l’ambizione di disciplinare in maniera “orizzontale” il fenomeno e farlo, tuttavia, con lo strumento del regolamento.
E, infatti, è quasi superfluo osservare che l’intelligenza artificiale, come tecnologia di base dal potenzialmente sterminato campo di applicazione costituisce un oggetto sfuggevole che può essere imbrigliato solo a mezzo di una normazione minima per principi che deve necessariamente trascendere i tratti distintivi dei diversi settori ordinamentali[9].
Ne è, così, uscita fuori, almeno nella specifica prospettiva dell’amministrativista, una disciplina che soffre di evidenti vuoti di regolazione.
Il che emerge con chiarezza se ci si sofferma sulle concrete ricadute della stessa meditando su cosa accadrebbe ove, all’indomani dell’entrata in vigore del Regolamento[10], ci si trovasse ad applicare quest’ultimo, in ragione dell’efficacia diretta di molte delle sue disposizioni, alla vita dell’amministrazione.
2. Frammenti di disciplina, vuoti di regolazione ed il pericolo di un tracollo delle garanzie: il caso della riserva di umanità e della trasparenza algoritmica
Per saggiare l’impatto che la nuda disciplina del Regolamento avrebbe nel settore amministrativo, prima di approfondire due aspetti puntuali, giova rammentare succintamente quali sono i suoi capisaldi.
Lo scheletro dell’AI Act poggia, in particolare, sulla categorizzazione dei sistemi di intelligenza artificiale che segue un risk based approach[11] e che ha lo scopo di tracciarne il diverso regime giuridico.
Questi, fatte salve alcune categorie peculiari[12], sono suddivisi in quattro tipologie: i sistemi “vietati” ex art. 5 del Regolamento; i sistemi “ad alto rischio” ex art. 6 del Regolamento; i sistemi ex art. 50 “a rischio limitato” rispetto alle esigenze di trasparenza; tutti gli altri sistemi considerati “a rischio minimo”[13].
Le prime due sono costruite secondo una logica di stretta tassatività e trovano una disciplina specifica. la terza opera de residuo rispetto alla precedenza e non trova, ad opera del Regolamento, un regime giuridico ad hoc.
Nella prospettiva che qui interessa, l’art. 6 del Regolamento rappresenta il vero perno di questa categorizzazione perché individua, in un certo senso, il suo cuore precettivo[14].
La disposizione in parola individua i sistemi di intelligenza artificiale “ad alto rischio” a mezzo del rinvio esterno all’Allegato III[15]. Quest’ultimo, a sua volta, reca un’elencazione, dal tenore certamente tassativo, di sistemi di IA che “sono considerati ad alto rischio”[16].
Ebbene, non può sfuggire, come pure notato da taluno in dottrina, che in detta elencazione un po’ farraginosa rientrano certamente alcuni campi propri dell’azione amministrativa[17]. Ne è un esempio, tra gli altri, l’all. III par. 5 lett. a) il quale contempla “sistemi di IA destinati a essere utilizzati dalle autorità pubbliche o per conto di autorità pubbliche per valutare l'ammissibilità delle persone fisiche alle prestazioni e ai servizi di assistenza pubblica essenziali, compresi i servizi di assistenza sanitaria, nonché per concedere, ridurre, revocare o recuperare tali prestazioni e servizi”[18].
Manca, per contro, una previsione di portata generale che consideri “ad alto rischio” ogni sistema di intelligenza artificiale impiegato a supporto dello svolgimento di funzioni pubblici e nell’esercizio di poteri autoritativi. Ciò emerge con nettezza se si opera un raffronto con il settore “giustizia” in relazione al quale è rintracciabile, invece, una disposizione di tale tenore[19]. Inoltre, non può obliterarsi, nel corso del travagliato iter che ha condotto all’adozione dell’AI Act, è stato pure proposto (ma non approvato) un emendamento con il quale inserire, su modello di quanto previsto per l’attività giudiziaria, anche i sistemi di IA serventi l’attività amministrativa tra quelli ad alto rischio[20].
L’intenzione del legislatore europeo recepita nella versione finale del Regolamento pare, dunque, sia stata quella di non qualificare, in generale, l’impiego dell’IA a sostegno dell’azione amministrativa come “ad alto rischio” salvo che per quei specifici casi tassativamente indicati all’allegato III (tra cui, ad esempio, il sopra citato all. III par. 5 lett. a)[21].
Facilmente intuibili sono le non trascurabili conseguenze di questa scelta.
Il primo e più evidente riflesso è dato dalla frammentazione del regime giuridico[22]. Infatti, solo per i sistemi di IA impiegati nello svolgimento delle funzioni amministrative che siano espressamente inquadrabili tra quelli “ad alto rischio” troverà applicazione la disciplina prevista all’uopo dal Regolamento.
Ciò si traduce, all’evidenza, in mancanza di una qualificazione in termini generali, in un’elevata incertezza applicativa che potrebbe, specie in un primo momento, frenare il ricorso allo strumento dell’intelligenza artificiale. E, infatti, occorrerà di volta in volta chiedersi se un dato impiego dell’IA nel settore pubblico ricada in una delle fattispecie, talvolta, sfumate, dell’allegato III[23].
E, se si pone mente alla circostanza che buona parte delle disposizioni che compongono lo statuto dei sistemi “ad alto rischio” risulta dotato di efficacia diretta, è facile immaginare che queste incognite applicative possano alimentare anche il contenzioso attorno all’attività amministrativa automatizzata.
Ma la ripercussione più delicata della scelta regolatoria del legislatore europeo attiene al livello di guarentigie che l’AI Act finirebbe con l’accordare. Seguendo la logica al fondo della quadripartizione su cui si fonda il Regolamento, i sistemi di IA impiegati nello svolgimento delle funzioni amministrative che non siano qualificabili come “vietati” ex art. 5 né “ad alto rischio” ex art. 6 sono destinati a rientrare nella categoria di quelli “a rischio limitato” ovvero, de residuo, in quella dei sistemi “a rischio minimo” per cui non è opera una disciplina ad hoc, salva la possibilità di un’estensione su base volontaria del regime legale dei sistemi “ad alto rischio” attraverso lo strumento dei codici di condotta di cui all’art. 95, par. 1, del Regolamento[24]. Il che importa l’inoperatività della safeguards previste dal Regolamento.
Eppure, non v’è dubbio che vi siano moltissime possibili applicazioni dell’IA nel settore pubblico non rientranti nell’elencazione di cui all’allegato III ma destinate ad incidere ugualmente in maniera significativa su diritti e libertà fondamentali dell’individuo[25].
Queste, nonostante la loro delicatezza, soffrirebbero così il depotenziamento (o forse più propriamente l’azzeramento) delle garanzie già costruite a livello nazionale dapprima da dottrina e giurisprudenza e poi recepite nella normativa speciale dal legislatore[26].
Sono due i profili più eclatanti.
La garanzia della “supervisione umana” ex art. 14 del Regolamento[27] opererebbe solo per gli impieghi da parte della pubblica amministrazione – che costituiscono invero una netta minoranza - inquadrabili tra quelli dell’allegato III. Fuori di tale limitato campo non opererebbe, pertanto, il principio di non esclusività algoritmica[28] e sarebbe tradita la “riserva di umanità”[29].
Non opererebbero neppure, e questo è l’altro aspetto critico, le garanzie in materia di trasparenza algoritmica poste dall’art. 13[30] ma, al più, solo quelle (assai più lasche ed eventuali, per i soli sistemi “a rischio limitato”) di cui all’art. 50 in tema di “Obblighi di trasparenza per i fornitori e i deployers di determinati sistemi di IA”.
È chiaro che una simile ricostruzione, specie ove non si dovesse lasciare spazio di correzione al legislatore nazionale, innescherebbe profonde tensioni anche con principi supremi di rango costituzionale. Ciò vale sia con riguardo alla “riserva di umanità”, che gode di copertura costituzionale agli artt. 2, 54, 97 e 98 Cost. e sovranazionale all’art. 1 della Carta di Nizza[31], che alla trasparenza algoritmica[32].
Uno scenario, questo, che potrebbe addirittura condurre all’attivazione dei contro-limiti[33] ovvero spingere la giurisprudenza interna a battere, rispetto al Regolamento, la strada del rinvio pregiudiziale di validità dinanzi alla Corte di giustizia facendo leva, come parametro di diritto unionale primario, sulla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e sulla[34].
3. Il problema dell’ammissibilità di un intervento regolatorio nazionale in tema di automazione decisionale amministrativa a mezzo di intelligenza artificiale
Il rischio di un generalizzato abbattimento delle garanzie rende massimamente opportuno (e forse addirittura impone) un intervento regolatorio nazionale a corredo dell’AI Act.
Queste considerazioni non esonerano certo il giurista dall’interrogarsi se siffatto intervento regolatorio sia, però, anche ammissibile nel quadro dei rapporti tra diritto nazionale e diritto unionale. Trattasi, invero, di questione che involge anzitutto la struttura del sistema delle fonti di un ordinamento che, anche nel campo amministrativo, è oramai multilivello.
L’esistenza o meno di un margine regolatorio in favore del nostro legislatore interno è, peraltro, tema, come segnalato dalla dottrina più attenta[35], di stringente attualità.
E ciò non solo per la prossima entrata in vigore della parte del Regolamento che si occupa dei sistemi di IA “ad alto rischio” ma perché, nel maggio 2024, in concomitanza con l’organizzazione del G7 a presidenza italiana, è stato presentato un disegno di legge di iniziativa governativa avente ad oggetto “Disposizioni e delega al Governo in materia di intelligenza artificiale”[36]. In esso campeggia, peraltro, all’art.13, una disciplina relativa all’“Uso dell'intelligenza artificiale nella pubblica amministrazione” che recepisce l’idea dell’esistenza di una riserva di umanità a portata generale nell’ambito delle funzioni amministrative automatizzate e che ribadisce la centralità delle garanzie in tema di trasparenza algoritmica[37].
Il pericolo di una sovrapposizione con l’AI Act (nel frattempo adottato) è stato, invero, avvertito sin da subito dal legislatore nazionale il quale, non solo ha escluso espressamente tela evenienza in sede di analisi tecnico normativa ma ha anche inserito un riserva espressa di prevalenza del diritto unionale[38].
A ciò ha fatto seguito, nell’ottica della leale cooperazione, l’apertura di un carteggio con la Commissione su alcuni profili del disegno di legge.
Gli esiti del confronto sono ancora provvisori e riservati ma non condurranno, con ogni probabilità, a risposte nette specie con riguardo, per quanto qui più interessa, l’aspetto dell’uso dell’intelligenza artificiale da parte della pubblica amministrazione in quanto quest’ultimo non sembra aver formato direttamente oggetto dell’interlocuzione.
In un quadro in evidente evoluzione non sembra, tuttavia, possa tacersi l’esistenza di una serie di dati che potrebbero spingere ad escludere l’ammissibilità di un intervento regolatorio nazionale in tema di automazione decisionale amministrativa a mezzo di intelligenza artificiale.
In primo luogo, è quasi superfluo rammentare che il legislatore europeo ha optato per l’utilizzo di un regolamento adottato attraverso una procedura di tipo legislativo.
Ci si confronta, pertanto, con una fonte di diritto derivato del diritto dell’Unione Europea che presenta le note caratteristiche di cui all’art. 288 T.F.U.E..
Il Regolamento è, in particolare, atto a portata generale, vincolante in tutti i suoi elementi e, soprattutto “direttamente applicabile” negli Stati membri.
La sua diretta applicabilità importa che esso non necessita, almeno di regola, di attuazione a livello nazionale[39].
Deve, tuttavia, aggiungersi che la base giuridica specifica per l’adozione dell’AI Act è stata rappresentata dall’art. 114 T.F.U.E. inserito nel Capo 3 del Titolo VII della Parte Terza del Trattato, il quale disciplina gli strumenti di “Ravvicinamento delle legislazioni” volti alla realizzazione degli obiettivi di cui all’art. 26 (cioè “l'instaurazione” e il “funzionamento del mercato interno”)[40].
Pur se in questa specifica ottica sembra, come detto, che il Regolamento sia nato con l’ambizione di offrire una regolazione di portata generale ed orizzontale del fenomeno dell’intelligenza artificiale[41]. Ciò è desumibile, in particolare, oltre che dai Considerando[42], dalle disposizioni relative al suo campo oggettivo di applicazione e, segnatamente, dall’art. 2, par. 3, secondo periodo, del regolamento che esclude dallo stesso il solo settore militare[43].
È lo stesso Regolamento, peraltro, a disciplinare, in taluni casi, i rapporti con il legislatore nazionale. Vi sono, infatti, sparse per l’AI Act disposizioni puntuali che consentono ovvero autorizzano l’intervento nazionale anche in deroga alla disciplina regolamentare. Ne è un esempio l’art. 5, par. 5 in tema di l’uso di sistemi di identificazione biometrica remota “in tempo reale”[44]. Valorizzando siffatte disposizioni si potrebbe, quindi, sostenere, seppur in maniera formalistica, che ubi lex voluit dixit ubi non voluit tacuit con la conseguenza di escludere ogni margine di regolazione nazionale fuori dei casi espressamente individuati dalla fonte unionale.
Infine, nell’ammettere la possibilità di intervento del legislatore dello Stato membro ci si deve confrontare con il concreto rischio di sovra-regolamentazione della materia anche nelle forme del cd. “gold plating”. Un fenomeno, questo, da scongiurare perché reca con sé incertezze applicative e mette in pericolo la stessa primazia del diritto dell’Unione[45].
4. Un (possibile) tracciato per aprire la via “italiana” per l’intelligenza artificiale nel procedimento amministrativo
Nonostante i possibili indizi di segno contrario indicati al paragrafo precedente, sembrano nettamente prevalere gli elementi che depongono nel senso dell’ammissibilità di un intervento del legislatore nazionale in subiecta materia.
Anzitutto, non può trascurarsi che, come già evidenziato, la base giuridica di adozione dell’AI Act è rappresentata dall’art. 114 T.F.U.E. e che, quindi, in disparte dal tipo di strumento normativo prescelto, la prospettiva resta pur sempre quella di “ravvicinamento” (e non di una radicale uniformazione) delle discipline nazionali[46].
Peraltro, come pure accennato, lo scopo del Regolamento, reso esplicito anche dal suo art. 1, par. 1, è “migliorare il funzionamento del mercato interno e promuovere la diffusione di un'intelligenza artificiale (IA) antropocentrica e affidabile, garantendo nel contempo un livello elevato di protezione della salute, della sicurezza e dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, compresi la democrazia, lo Stato di diritto e la protezione dell'ambiente, contro gli effetti nocivi dei sistemi di IA nell'Unione, e promuovendo l'innovazione”[47].
Se ne può trarre che l’IA è vista dal legislatore europeo essenzialmente come res[48] e, specificatamente, come prodotto del mercato in particolare nell’ottica di assicurare la libera circolazione[49]. In tale ottica, statica e non dinamica, è posta la disciplina unionale che guarda quale oggetto della sua regolazione lo strumento[50] e non anche, salvo alcuni specifiche applicazioni più delicate[51], l’uso dello stesso. È chiaro come il confine tra questi due piani non sia sempre netto e che, talvolta, disciplinare lo strumento in sé equivale anche a regolarne in qualche misura anche l’uso[52]. Ne è riprova la circostanza che l’art. 1, par. 2 del Regolamento si propone di stabilire, tra l’altro, con un approccio che sembrerebbe onnicomprensivo, “regole armonizzate per l'immissione sul mercato, la messa in servizio e l'uso dei sistemi di IA nell'Unione”.
Ma per quanto qui più interessa, sembra si debba necessariamente prendere atto che, come pure osservato in dottrina, la disciplina posta dall’AI Act, specie con riguardo al piano dei possibili usi dello strumento, non è esaustiva[53] ma necessita di attuazione dando vita ad una armonizzazione non massima[54].
Di ciò sembra in qualche misura consapevole lo stesso legislatore dell’AI Act tanto da prevedere al Considerando 153 che “Gli Stati membri svolgono un ruolo chiave nell'applicare ed eseguire il presente regolamento. A tale riguardo, è opportuno che ciascuno Stato membro designi almeno una autorità di notifica e almeno una autorità di vigilanza del mercato come autorità nazionali competenti al fine di controllare l'applicazione e l'attuazione del presente regolamento”[55].
Su altro versante va, altresì, preso atto che la disciplina dettata dal Regolamento esplica la sua forza, in ragione dell’assetto complessivo dei rapporti tra livello nazionale e unionale, in un campo naturalmente limitato.
In primo luogo, non è superfluo rammentare che il criterio fondamentale di riparto delle competenze normative tra Unione e Stati membri previsto dall’art. 5 T.U.E. è rappresentato dal principio di attribuzione e che, a fronte di quest’ultimo, non è rinvenibile una base giuridica generale in materia di disciplina dell’attività amministrativa[56].
Se è vero che il legislatore europeo spesso pone frammenti di disciplina procedimentale lo fa, tuttavia, nell’esercizio di specifici titoli competenziali e con un approccio che deve essere di self restraint ispirato al rispetto del principio di autonomia procedurale[57]. Nel caso di specie, sembra, peraltro, difficile sostenere che una base giuridica, come quella prima rammentata, di mera armonizzazione e che guarda al funzionamento comune possa essere “stirata” fino a tal punto da consentire di occupare trasversalmente l’ambito materiale del procedimento amministrativo ogni qual volta venga in rilievo in esso l’impiego dello strumento dell’intelligenza artificiale.
In secondo luogo, occorre fare i conti con l’art. 2, par. 3, dello stesso AI Act. Secondo tale disposizione “Il presente regolamento non si applica a settori che non rientrano nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione e, in ogni caso, non pregiudica le competenze degli Stati membri in materia di sicurezza nazionale, indipendentemente dal tipo di entità incaricata dagli Stati membri di svolgere compiti in relazione a tali competenze”. Ne consegue che la forza vincolante del regolamento risulta in ogni caso limitata ai casi in cui la P.A. agisce in settori disciplinati dal diritto dell’Unione e, quindi, solo nei casi di “amministrazione indiretta” ovvero “congiunta”[58] in cui le autorità amministrative nazionali fanno diretta applicazione del diritto unionale. Fuori tale campo non v’è alcun problema, neppure astratto, di compatibilità tra un’eventuale disciplina nazionale e l’AI Act.
Infine, non deve dimenticarsi che, come emerge anche dai primi Considerando al Regolamento, la tutela dei diritti umani, pur non costituendo la base giuridica dell’intervento normativo europeo, rappresenta uno dei suoi principali orizzonti. Sicché l’ammissibilità di un intervento regolatorio nazionale a corredo dell’AI Act deve essere necessariamente valutata anche in ragione della capacità di implementare ed innalzare, in un’ottica multilivello, la soglia di tutela offerta dall’ordinamento rispetto a tali posizioni subiettive fondamentali[59].
In altri termini, pare che vadano apprezzate favorevolmente iniziative legislative in grado di correggere quello che è stato definito, in maniera severa ma efficace, con una metafora che strizza l’occhio al mondo dell’architettura, il “brutalismo” della nascente disciplina europea in materia di tecnologie digitali[60].
In un quadro così frastagliato e complesso, sembra peraltro che l’individuazione di un margine di regolazione dell’impiego dell’IA nel settore amministrativo in favore degli Stati membri possa passare per il crinale che corre tra i fenomeni, vicini ma differenti, della c.d. “armonizzazione spontanea” e del c.d. “gold plating”.
Come ha avuto occasione di osservare la dottrina più attenta[61], il c.d. gold plating concerne tipicamente il momento attuativo del diritto dell’Unione europea ed è caratterizzato dall’imposizione, da parte del legislatore nazionale, di oneri normativi, amministrativi e burocratici ulteriori rispetto a quelli espressamente richiesti dall’atto unionale[62]; sicché esso è un concetto che può essere inquadrato entro un più generale discorso di better regulation.
Il fenomeno dell’armonizzazione spontanea, invece, non concerne il momento attuativo del diritto dell’Unione, consistendo piuttosto in un allineamento della disciplina interna a quella di derivazione “eurounitaria” anche nei casi in cui quest’ultima non opera. La differenza con il gold-plating è, pertanto, evidente atteso che nel caso dell’armonizzazione spontanea il legislatore non ha alcun dovere di recepimento o di attuazione ma sceglie di “ispirarsi” alla normativa europea nel disciplinare una fattispecie interna a cui non si applicherebbe il diritto dell’Unione, con ciò ponendo in essere un vero e proprio processo di “spontaneous europeanisation” o uno “spill-over effect” del diritto europeo[63].
Nell’ottica propria dell’“armonizzazione spontanea” può, in particolare, essere letto un intervento del legislatore dello Stato membro che si sostanzi nell’estensione delle safeguards previste per i sistemi ad alto rischio anche fuori del campo di naturale applicazione dell’AI Act e, quindi, più segnatamente, non solo oltre lo steccato del già ricordato art. 2, par. 3 (id est anche ove la pubblica amministrazione nazionale non faccia applicazione in sede di amministrazione indiretta del diritto unionale), ma anche al di là delle ipotesi di attività amministrative tipizzate come ad “alto rischio” dall’Allegato III al Regolamento medesimo[64]. Una logica, quella del volontario innalzamento delle guarentigie, che fa capolino anche nel testo del Regolamento col meccanismo dei codici di condotta ex art. 95, par. 1[65].
Si potrebbe, tuttavia, obiettare che, attraverso una simile estensione, si finisca in qualche modo con il superare la scelta politica compiuta dal legislatore europeo[66]. Una scelta che potrebbe essere stata espressa anche “in negativo” e cioè nel senso che, qualificando come ad “alto rischio” solo taluni sistemi tassativamente individuati, questi ha voluto, al contempo, escludere che lo siano (e che lo possano essere) quelli non inseriti in tale elencazione. Il che equivarrebbe a dire che al fondo del Regolamento vi è l’intenzione che i sistemi di IA non qualificati espressamente come ad alto rischio debbano restare, sempre e comunque, assoggettati ad una disciplina più lasca (o meglio di sostanziale libertà).
Posta in questi termini la questione, il vero punto su cui riflettere diviene quello della individuazione dello scopo finale del Regolamento.
In particolare, v’è da chiedersi se il suo fine ultimo sia la promozione del ricorso allo strumento dell’IA (anche per evitare che la sua regolazione sia da freno allo sviluppo del settore) oppure, anzitutto, quello di costruire una disciplina minima comune a garanzia di diritti fondamentali e libertà anche esportabile fuori dei confini del continente europeo[67].
La risposta, ancora una volta, non è scontata perché si ammanta di valutazioni politiche tanto più che, come detto, sia nei considerando che nel corpo della disciplina del Regolamento fanno capolino entrambi i suddetti scopi.
E, allora, l’aspetto su cui meditare attiene più precipuamente è la ricerca di un punto di equilibrio tra questi due opposti poli.
Con ogni probabilità questo difficile compito sarà affidato, come accaduto per altri delicati snodi del tortuoso processo di integrazione unionale, al dialogo tra Corti nazionali (costituzionale e di ultima istanza) e Corte di giustizia[68].
In attesa di tali risposte è, però, tempo di cominciare ad immaginare concretamente una “via italiana” all’impiego dell’intelligenza artificiale nel settore pubblico[69]. E farlo velocemente, prima della completa entrata in vigore dell’AI Act, sotto la irrinunciabile guida dei principi costituzionali ed europei mettendo saldamente al centro riserva di umanità e trasparenza algoritmica.
Quanto al modo, la delicatezza, nell’attuale frangente storico, dei rapporti tra Unione e Stati membri suggeriscono un approccio forse più dimesso rispetto a quello finora seguito in cui ci si concentri, non tanto (e non solo) sulla costruzione di una disciplina di portata generale ed orizzontale che rischia di “doppiare” quella europea[70], ma su interventi più puntuali e circoscritti, quasi chirurgici, sul testo della l. n. 241 del 1990[71].
Il cantiere può dirsi aperto.
Lo scritto è stato redatto nell’ambito del progetto di ricerca «Algorithmic tools for citizens and public administrations», finanziato dallo spagnolo Ministerio de Ciencia e Innovación (PID2021-126881OB-I00).
[1] Regolamento (UE) 2024/1689 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 giugno 2024che stabilisce regole armonizzate sull'intelligenza artificiale e modifica i regolamenti (CE) n, 300/2008, (UE) n, 167/2013, (UE) n, 168/2013, (UE) 2018/858, (UE) 2018/1139 e (UE) 2019/2144 e le direttive 2014/90/UE, (UE) 2016/797 e (UE) 2020/1828 (regolamento sull'intelligenza artificiale), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea Serie L del 12 luglio 2024.
[2] Facendo dell’Unione un “gigante” della regolazione che però resta un “nano” sul piano della tecnologia a cospetto di Stati Uniti e Cina, le quali seguono approcci profondamente differenti (come ricordato da ultimo da L. Torchia, Pubblica amministrazione e transizione digitale, in Giorn. dir. amm., 6, 2024, 729). Il quadro è, peraltro, in continua evoluzione e si lega al complessivo scenario geopolitico (su questa dimensione di confronto tra “potenze” si veda il volume di Limes, L’intelligenza non è artificiale, 12, 2022). Si pensi, ad esempio, al brusco cambio di rotta impresso dalla presidenza Trump che, all’indomani dell’elezione ha ritirato l’executive order “on the Safe, Secure, and Trustworthy Development and Use of Artificial Intelligence” emanato di dal suo predecessore il 30 ottobre 2023. Quanto all’impatto che la regolazione della tecnologia può avere sulla distribuzione della ricchezza e sulla necessità di una visione inclusiva del digitale che non alimenti ulteriormente le diseguaglianze si veda il fondamentale lavoro di D. Acemoglu e S. Johnson, Potere e progresso. La lotta millenaria per la tecnologia e la prosperità, Milano, 2023.
[3] Tra i numerosi studi in tema si segnalano, senza pretesa di esaustività, B. Marchetti, Intelligenza artificiale, poteri pubblici e rule of law, in Riv. it. dir. pub. com., 1, 2024, 49 e ss.; G. Lo Sapio, L’Artificial Intelligence Act e la prova di resistenza per la legalità algoritmica, in Federalismi, 16, 2024; S. Francario, La decisione amministrativa automatizzata secondo il Regolamento UE 2024/1689, in questa Rivista, 31 ottobre 2024; A. Cerrillo i Martínez, El impacto del Reglamento de Inteligencia Artificial en las Administraciones públicas, in Revista Jurídica de les Illes Balears, 26, 2024; I. Hasquenoph, Commande publique : quels enjeux au lendemain du règlement européen sur l'intelligence artificielle?, in AJ Collectivités Territoriales, 2025, 147; A. G. Orofino, Tra obiettivi perseguiti e problemi irrisolti: l’impatto dell’IA Act sull’assetto regolatorio dell’informatica pubblica, in corso di pubblicazione su Contratto e impresa.
[4] Invero, in Italia le prime riflessioni risalgono a oltre trenta anni fa (A. Predieri, Gli elaboratori elettronici nell’amministrazione dello Stato, Bologna, 1971, p. 52; G. Duni, L’utilizzabilità delle tecniche elettroniche nell’emanazione degli atti e nei procedimenti amministrativi. Spunto per una teoria dell’atto emanato nella forma elettronica, in Riv.amm.,1978, 407 ss.; B. Selleri, Gli atti amministrativi «in forma elettronica», in Dir. Soc., 1982, 133; G. Caridi, Informatica giuridica e procedimenti amministrativi, Milano, 1983, p. 145; V. Frosini, L’informatica e la p.a., in Riv.trim.dir.pubbl., 1983, p. 48; A. Usai, Le prospettive di automazione delle decisioni amministrative in un sistema di teleamministrazione, in Dir.inf., 1993, 17 ss.; tra gli studi monografici A. Masucci, L’atto amministrativo informatico. Primi lineamenti di una ricostruzione, Napoli, 1993 e U. Fantigrossi, Automazione e pubblica amministrazione, Bologna, 1993) e quella attuale è solo l’ultima stagione di un dibattito molto più articolato. Di “stagioni” di studio ve ne sono state, invero, almeno due dopo i lavori dei pionieri della materia. La prima ha avuto luogo agli inizi degli anni 2000 su stimolo della giurisprudenza amministrativa (A.G. Orofino, La patologia dell’atto amministrativo elettronico: sindacato giurisdizionale e strumenti di tutela, in Foro amm. C.d.S., 2002, 2276; F. Saitta, Le patologie dell’atto amministrativo elettronico e il sindacato del giudice amministrativo, in Dir.ec., 2003, 615; D. Marongiu, L’attività amministrativa automatizzata, Santarcangelo di Romagna, 2005; A.G. Orofino, R.G. Orofino, L’automazione amministrativa: imputazione e responsabilità, in Giorn. dir. amm., 12, 2005, p. 1300 ss.). La seconda, più recente ed ancora in corso, figlia dell’impetuoso sviluppo tecnologico degli ultimi anni, ha preso abbrivio a partire dalla seconda metà degli anni ’10 di questo secolo, è certamente più ricca dal punto di vista quantitativo ma si muove, in massima parte, ancora nel solco tracciato dai lavori precedenti. Tra questi, sempre senza pretesa di esaustività, il riferimento è, per rimanere a livello monografico a G. Avanzini, Decisioni amministrative e algoritmi informatici. Predeterminazione, analisi predittiva e nuove forme di intellegibilità, Napoli, 2019; V. Brigante, Evolving pathways of administrative decisions. Cognitive activity and data, measures and algorithms in the changing administration, Napoli, 2019; A. Di Martino, Tecnica e potere nell’amministrazione per algoritmi, Napoli, 2023; E. M. Menéndez Sebastián, From Bureaucracy to Artificial Intelligence: The Tension between Effectiveness and Guarantees, Padova, 2023.
[5] Il riferimento è, rispettivamente, alla giurisprudenza amministrativa e, segnatamente, del Consiglio di Stato (Cons. St., sez. VI, 8 aprile 2019, n. 2270; Cons. St., sez. VI, 13 dicembre 2019, n. 8474; Cons. St., Sez. VI, 4 febbraio 2020, n. 881, con commento di A.G. Orofino, G. Gallone, L’intelligenza artificiale al servizio delle funzioni amministrative: profili problematici e spunti di riflessione, in Giur. it., 2020, 1738; per una descrizione del contesto in cui nascono queste pronunce si veda L. Carbone, L’algoritmo e il suo giudice, in www.giustizia-amministrativa.it, 2023) e all’art. 30 del d.lgs. n. 36 del 2023 (per la cui analisi si rinvia alle osservazioni svolte in G. Gallone, Digitalizzazione, amministrazione e persona: per una “riserva di umanità” tra spunti codicistici di teoria giuridica dell’automazione, in P.A. Persona e Amministrazione, 1, 2023, 329 e ss.; D. U. Galetta, Digitalizzazione, Intelligenza artificiale e Pubbliche amministrazioni: il nuovo Codice dei contratti pubblici e le sfide che ci attendono, in Federalismi, 12, 2023, 4 e ss.; M. Barberio, L’uso dell’intelligenza artificiale nell’art. 30 del d.lgs. 36/2023 alla prova dell’AI Act dell’Unione europea, in Riv. it. inf. dir., 2, 2023).
[6] In termini B. Marchetti, Intelligenza artificiale, poteri pubblici e rule of law, cit., 49; G. Lo Sapio, L’Artificial Intelligence Act e la prova di resistenza algoritmica, cit., 269 S. Francario, La decisione amministrativa automatizzata secondo il Regolamento UE 2024/1689, cit.; V. Neri, AI Act e diritto amministrativo, in Lavoro, diritti, Europa, n. 1, 2025; I. Hasquenoph, Commande publique : quels enjeux au lendemain du règlement européen sur l'intelligence artificielle?, cit.; A. G. Orofino, Tra obiettivi perseguiti e problemi irrisolti: l’impatto dell’IA Act sull’assetto regolatorio dell’informatica pubblica, cit..
[7] Non mancano altre disposizioni del Regolamento come, in particolare, gli artt. 27 e 86 i quali pongono a carico dei soli deployer pubblici (nonché agli incaricati di un pubblico servizio), l’obbligo, rispettivamente, di effettuare una valutazione di impatto sui diritti fondamentali e di garantire la spiegazione dei singoli processi decisionali. Osserva, peraltro, I. Hasquenoph, Commande publique : quels enjeux au lendemain du règlement européen sur l'intelligence artificielle?, cit., che “Notons qu'il ne paraît pas impossible que cette qualification de fournisseur s'applique à l'administration lorsqu'elle développe une solution d'IA en interne : le règlement y inclut en effet les « autorités publiques ». Dans ce cas, le droit de la commande publique est neutralisé”.
[8] Così G. Lo Sapio, L’Artificial Intelligence Act e la prova di resistenza algoritmica, cit., 270. In termini ancor più netti A. Cerrillo i Martínez, El impacto del Reglamento de Inteligencia Artificial en las Administraciones públicas, cit., 104, secondo cui “No obstante, a pesar del protagonismo de las Administraciones públicas en la aplicación del RIA y el impacto que la norma europea puede tener en su funcionamiento o en la toma de decisiones públicas y la prestación de servicios públicos, no podemos desconocer que el RIA no es una norma pensada para las Administraciones públicas”.
[9] A. G. Orofino, Tra obiettivi perseguiti e problemi irrisolti: l’impatto dell’IA Act sull’assetto regolatorio dell’informatica pubblica, cit., secondo cui “La poca incisività dell’IA Act è […] anche conseguenza fisiologica della difficoltà di regolazione delle materie caratterizzate da elevato tasso di tecnicismo”.
[10] Entrata in vigore che, come noto, è stata scaglionata. Al momento della pubblicazione del presente saggio risulta già (a partire dal 2 febbraio 2025) entrata in vigore la disciplina di cui all’art. 5 del Regolamento. Per la disciplina relativa ai sistemi di IA ad alto rischio l’entrata in vigore è stata invece posticipata, pur operando ulteriori differenziazioni, al 2 agosto 2026.
[11] È la più recente frontiera del “diritto del rischio” per il quale il riferimento è, tra tutti, ad A. Barone, Il diritto del rischio, Milano, 2006. Per un’analisi critica analisi dei rischi che sottende l’AI Act, in particolare rispetto alla predeterminazione dei vari livelli su base eminentemente assiologica, alla sua staticità (con conseguente aumento della probabilità che le categorie siano o “sovra” o “sotto-inclusive”, si veda C. Novelli, L’Artificial Intelligence Act Europeo: alcune questioni di implementazione, in Federalismi, 2, 2024, 95 e ss..
[12] Il riferimento è, essenzialmente, ai modelli di IA “per finalità generali” di cui agli artt. 51 e ss. del Regolamento. La nozione di “modello di IA per finalità generali” è offerta al n. 63) dell’art. 3 del Regolamento medesimo.
[13] Su questa quadripartizione si veda G. Lo Sapio, L’Artificial Intelligence Act e la prova di resistenza algoritmica, cit., 282.
[14] Per una dettagliata disamina della disposizione e, più in generale, delle tecniche di classificazione dei sistemi ad alto rischio A. Huergo Lora, Classification of ai systems as high-risk, in The EU regulation on artificial intelligence: a commentary a cura di A. Huergo Lora, Milano, 2025, 79 e ss..
[15] Invero l’art. 6 del Regolamento contempla, al par. 1 una specifica ipotesi di sistemi di IA “ad altro rischio”, dai confini alquanto sfumati e problematici. È tale, in particolare, ogni sistema che soddisfa congiuntamente le seguenti condizioni: a) deve essere “destinato a essere utilizzato come componente di sicurezza di un prodotto” ovvero essere “esso stesso un prodotto” che sia “disciplinato dalla normativa di armonizzazione dell'Unione elencata nell'allegato I”; b) deve esser, come tale, “soggetto a una valutazione della conformità da parte di terzi ai fini dell'immissione sul mercato o della messa in servizio di tale prodotto ai sensi della normativa di armonizzazione dell'Unione elencata nell'allegato I”. Il richiamato Allegato I contiene un’elencazione tassativa della “normativa di armonizzazione dell'Unione” di riferimento la quale, pur spaziando tra campi diversi (dalla “sicurezza dei giocattoli”, agli “ascensori e ai componenti di sicurezza per ascensori” fino ai “dispositivi medico-diagnostici in vitro” che non sembra in alcun modo intercettare, almeno direttamente, il campo dia zione dei poteri pubblici.
[16] Il carattere tassativo dell’elencazione discende dalla formulazione dell’Allegato III il quale pur facendo riferimento ad interi “settori” non contiene formule di riserva o di salvezza che valgano ad attribuire allo stesso valenza meramente esemplificativa (cfr. A. Huergo Lora, Classification of ai systems as high-risk, cit., 84). Giova rammentare che lo stesso Regolamento, all’art. 7, prevede la possibilità per la Commissione di apportare modifiche all’Allegato III attraverso atto delegati (e, quindi, attraverso la procedura disegnata dal successivo art. 97) “aggiungendo o modificando i casi d'uso dei sistemi di IA ad alto rischio” al ricorrere di due condizioni cumulative e, segnatamente, che “i sistemi di IA sono destinati a essere usati in uno dei settori elencati nell'allegato III” (lett. a) e che “i sistemi di IA presentano un rischio di danno per la salute e la sicurezza, o di impatto negativo sui diritti fondamentali, e tale rischio è equivalente o superiore al rischio di danno o di impatto negativo presentato dai sistemi di IA ad alto rischio di cui all'allegato III” (lett. b). Per un’analisi di questo meccanismo normativo di riferimento che non è da escludere possa essere impiegato dalla Commissione per inserire altri impieghi in campo amministrativo dei sistemi di intelligenza artificiale nel novero di quelle ad “altro rischio”, si veda, anche nei suoi rapporti con la diversa fattispecie dell’art. 6, par. 3 del Regolamento, A. Huergo Lora, Classification of ai systems as high-risk, cit., 125 e ss..
[17] G. Lo Sapio, L’Artificial Intelligence Act e la prova di resistenza algoritmica, cit., 282.
[18] Ma anche, come osserva B. Marchetti, Intelligenza artificiale, poteri pubblici e rule of law, cit., la “gestione e il funzionamento di infrastrutture critiche” ovvero per determinare l’accesso o l’ammissione agli istituti di istruzione di tutti i livelli.
[19] All. III, par. 5, lett. a) secondo cui sono considerati ad alto rischio i “sistemi di IA destinati a essere utilizzati dalle autorità pubbliche o per conto di autorità pubbliche per valutare l'ammissibilità delle persone fisiche alle prestazioni e ai servizi di assistenza pubblica essenziali, compresi i servizi di assistenza sanitaria, nonché per concedere, ridurre, revocare o recuperare tali prestazioni e servizi”. Sulle implicazioni di questa qualificazione sia consentito rinviare a G. Gallone, Riserva di umanità, intelligenza artificiale e funzione giurisdizionale alla luce dell’IA Act. Considerazioni (e qualche proposta) attorno al processo amministrativo che verrà, in Judicium, 2024.
[20] Il riferimento è all’ Emendamento 738 alla Proposta di regolamento il quale era volto a modificare il testo dell’allegato III, par. 8, lett. a) qualificando come ad alto rischio tutti “i sistemi di IA destinati a essere utilizzati da un'autorità giudiziaria o da un organo amministrativo, o per loro conto, per assistere un'autorità giudiziaria o un organo amministrativo nella ricerca e nell'interpretazione dei fatti e del diritto e nell'applicazione della legge a una serie concreta di fatti o utilizzati in modo analogo nella risoluzione alternativa delle controversie”.
[21] Per una riflessione sull’impatto dell’elencazione di cui all’allegato III nel campo della pubblica amministrazione si veda G. Barrachina Navarro, Andrés Boix Palop, The applicability of the Artificial Intelligence Act to the field of public administration and public services and special features regarding compliance: special attention to Annex III and administrative action and particularities of compliance, in The European Union Artificial Intelligence Act. A Systematic Commentary, a cura di L. Cotino Hueo, D.U. Galetta, Napoli, 2025, 383 e ss..
[22] In termini A. G. Orofino, Tra obiettivi perseguiti e problemi irrisolti: l’impatto dell’IA Act sull’assetto regolatorio dell’informatica pubblica, cit..
[23] Il Regolamento tenta di operare una qualificazione per rischiosità ex ante che però mal si concilia con la natura dinamica dei sistemi di IA (specie di machine learning) che evolvono e mutano nel tempo (così G. Lo Sapio, L’Artificial Intelligence Act e la prova di resistenza algoritmica, cit., 283). Per questa ragione lo stesso legislatore europeo ha pensato di introdurre un apposito correttivo che, però, a ben vedere, finisce con il costituire un ulteriore fattore di incertezza. In particolare, l’art. 6, par. 2 del Regolamento prevede che, a talune condizioni, anche un sistema di IA di cui all’allegato III possa non essere considerato come ad alto rischio “se non presenta un rischio significativo di danno per la salute, la sicurezza o i diritti fondamentali delle persone fisiche, anche nel senso di non influenzare materialmente il risultato del processo decisionale”. Un esempio, significativo per importanza, di incerta qualificazione è quello delle procedure di aggiudicazione dei contatti pubblici in relazione alla quale si vedano le considerazioni di M. Barberio, L’uso dell’intelligenza artificiale nell’art. 30 del d.lgs. 36/2023 alla prova dell’AI Act dell’Unione europea, cit., 6.
[24] L’art. 95, par. 1, del Regolamento stabilisce, in particolare, che “L'ufficio per l'IA e gli Stati membri incoraggiano e agevolano l'elaborazione di codici di condotta, compresi i relativi meccanismi di governance, intesi a promuovere l'applicazione volontaria ai sistemi di IA, diversi dai sistemi di IA ad alto rischio, di alcuni o di tutti i requisiti di cui al capo III, sezione 2, tenendo conto delle soluzioni tecniche disponibili e delle migliori pratiche del settore che consentono l'applicazione di tali requisiti”. Come notato da A. Nicolás Lucas, Codes of conduct and guidelines, in in The EU regulation on artificial intelligence: a commentary a cura di A. Huergo Lora, Milano, 2025, 540, i codici di condotta sono espressione della self regulation che accompagna la globalizzazione. Essi sono “set of principles, guidelines, and ethical standards designed to guide the development, deployment, and responsible use of Artificial Intelligence systems”.Una parte della dottrina (G. Barrachina Navarro, Andrés Boix Palop, The applicability of the Artificial Intelligence Act to the field of public administration and public services, cit., 385) ha sostenuto la possibilità di praticare una simile soluzione anche nel campo amministrativo, di estendere volontariamente, in tutto o in parte, ai sistemi di intelligenza artificiale qualificati come a basso rischio le guarentigie previste per quelli ad alto rischio “through codes of conduct”. Tuttavia, pare che il ricorso a strumenti regolatori atipici e dall’incerta natura giuridica, oltre ad accentuare la frammentazione dello statuto dell’azione amministrativa (rimentendo l’adozione delle guarentigie di cui al capo III, sezione 2, alla scelta dei singoli deployer- amministrazioni) possa entrare in tensione con il principio di legalità in senso “sostanziale” (abbracciata anche dalla giurisprudenza costituzionale nel noto arresto Corte cost., 4 aprile 2011, n. 115) che deve presiedere allo svolgimento dell’azione amministrativa. Il travagliato rapporto tra principio di legalità e digitalizzazione delle funzioni amministrative è stato indagato, con particolare riferimento al rapporto con le regole tecniche da F. Cardarelli, Amministrazione digitale, trasparenza e principio di legalità, in Dir. inf. e inf., 2015, 238 ss.. Il rapporto tra legalità ed automazione amministrative rappresenta, invece, il nucleo delle riflessioni di S. Civitarese Matteucci, «Umano troppo umano». Decisioni amministrative automatizzate e principio di legalità, in Dir. pubbl., 1, 2019, 5 ss..
[25] Impatto di cui è consapevole lo stesso legislatore europeo atteso che all’art. 27 del Regolamento stabilisce, solo per taluni sistemi di IA ad alto rischio, l’obbligo del deployer pubblico (e del privato incaricato di un servizio pubblico) di effettuare una valutazione di impatto sui diritti fondamentali.
[26] Preoccupazioni condivise da I. Hasquenoph, Commande publique: quels enjeux au lendemain du règlement européen sur l'intelligence artificielle?, cit., che prospetta il pericolo di una “under regulation” osservando che “Surtout, le règlement édicte des obligations spécifiques à l'égard des SIA à haut risque, mais les exigences qu'il pose à l'égard des autres SIA sont finalement assez limitées. Par ailleurs, il prévoit des dérogations: un SIA figurant sur la liste de l'annexe III ne sera pas considéré comme étant à haut risque «lorsqu'il ne présente pas de risque important de préjudice pour la santé, la sécurité ou les droits fondamentaux des personnes physiques, y compris en n'ayant pas d'incidence significative sur le résultat de la prise de décision»”.
[27] Sul punto si rinvia a G. Lazcoz Moratinos, Human oversight (article 14), in The EU regulation on artificial intelligence: a commentary a cura di A. Huergo Lora, Milano, 2025, 243 e ss..
[28] Concetto impiegato per la prima volta da A. Simoncini, L’algoritmo incostituzionale: intelligenza artificiale e il futuro delle libertà, in BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, 1, 2019, 69 e successivamente richiamato dalla fondamentale pronuncia del Cons. St., sez. IV, 8 aprile 2019, n. 2270, cit..
[29] Il conio dell’espressione “riserva di umanità” (in spagnolo “reserva de humanidad”) la si deve a J. Ponce Solè, Inteligencia artificial, Derecho administrativo y reserva de humanidad algoritmos y procedimiento administrativo debido tecnológico, in Revista General de Derecho Administrativo, 50, 2019. Essa, nel suo significato minimo, coincide con il divieto di esercizio delle potestà amministrative in forma totalmente automatizzata senza alcun apporto da parte della persona fisica ed esprime, di riflesso, l’idea dell’esistenza a livello costituzionale e sovranazionale di una sfera minima ed incomprimibile di appannaggio dell’individuo (sul punto sia consentito rinviare a G. Gallone, Riserva di umanità e funzioni amministrative. Indagini sui limiti dell’automazione decisionale tra procedimento e processo, Milano, Cedam, 2023). Su cosa intenda il diritto europeo per decisione completamente automatizzata si veda, seppur con riguardo al disposto dell’art. 22 G.D.P.R. e all’applicazione fattane dalla giurisprudenza unionale C. Silvano, La nozione di “decisione completamente automatizzata” sotto la lente della Corte di Giustizia: il caso Schufa, in CERIDAP 4, 2024, 270 e ss.
[30] Nonché l’ancor più pregnante “Diritto alla spiegazione dei singoli processi decisionali” e, segnatamente, ad ottenere “spiegazioni chiare e significative sul ruolo del sistema di IA nella procedura decisionale e sui principali elementi della decisione adottata”, sancito dall’art. 86 del Regolamento solo in favore della persona che sia interessata da “una decisione adottata dal deployer sulla base dell'output di un sistema di IA ad alto rischio elencato nell'allegato III, ad eccezione dei sistemi elencati al punto 2 dello stesso, e che produca effetti giuridici o in modo analogo incida significativamente su tale persona in un modo che essa ritenga avere un impatto negativo sulla sua salute, sulla sua sicurezza o sui suoi diritti fondamentali”. Sulle garanzie di trasparenza previste dall’AI Act si rinvia a A. Palma Ortigosa, Transparency and proivisions of informatiuon to deployers (article 13), in The EU regulation on artificial intelligence: a commentary a cura di A. Huergo Lora, Milano, 2025, 79 e ss..
[31] Il fondamento costituzionale e sovranazionale della “riserva di umanità” è stato approfondito in G. Gallone, Riserva di umanità e funzioni amministrative, cit., 41 e ss..
[32] Per un’ampia analisi della dimensione costituzionale ed europea del principio di trasparenza tra Trattati, Carta di Nizza e C.E.D.U. si veda A. G. Orofino, La trasparenza oltre la crisi. Accesso, informatizzazione e controllo civico, II ed., Bari, 2020, 47 e ss. e 193 e ss.. In giurisprudenza queste radici sono state analiticamente in Cons. St., Ad. plen. 4 aprile 2020, n. 10, par. 22.3 e ss.. Sul ruolo della trasparenza come bilanciamento dell’automazione cfr. anche A. Corrado, La trasparenza necessaria per infondere fiducia in una amministrazione algoritmica e antropocentrica, in Federalismi, 22 febbraio 2023.
[33] Un istituto, quello dei “contro-limiti”, nato nella riflessione dottrinaria (P. Barile, Rapporti tra norme primarie comunitarie e norme costituzionali e primarie italiane, in Comunità int., 1966, 14) e che ha vissuto nella giurisprudenza, soprattutto in epoca recente, specie dopo le novità introdotte dal Trattato di Lisbona, una vita alquanto travagliata, divenendo terreno di confronto tra Corte costituzionale e Corte di giustizia (cfr. per un quadro di insieme A. Lo Calzo, Dagli approdi giurisprudenziali della Corte costituzionale in tema di controlimiti alle recenti tendenze nel dialogo con le Corti nel contesto europeo, in Federalismi, 13 gennaio 2021).
[34] La dignità è assunta a pietra angolare anche dei cataloghi sovranazionali di diritti umani essendo posta in apertura tanto della Dichiarazione universale dei Diritti Umani del 1948 quanto della Carta di Nizza. Stabilisce, infatti, l’art. 1 di quest’ultima (intitolato “Dignità umana”) che “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”. Sul ruolo e valore della Carta alla luce del nuovo art. 6 del Trattato sull’Unione Europea si veda C. Salazar, A Lisbon story: la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea da un tormentato passato... a un incerto presente?, in Gruppo di Pisa, 3, 2011; P. Gianniti (a cura di), I diritti fondamentali nell’Unione Europea. La Carta di Nizza dopo il Trattato di Lisbona, Bologna, 2013; L.S. Rossi, Stesso valore giuridico dei Trattati? Rango, primato ed effetti diretti della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in Dir. Un. eu., 2016, 329 ss.. Per un’articolata disamina del ruolo del principio della dignità umana nella giurisprudenza della Corte di Giustizia si veda P. Mengozzi, Il principio del rispetto della dignità umana, la Carta dei diritti fondamentali dell’UE e la giurisprudenza della Corte di giustizia, in Annali A.I.S.D.U.E., II, Napoli, 2021, 536 ss..
[35] B. Marchetti, Intelligenza artificiale, poteri pubblici e rule of law, cit.. In senso favorevole all’ammissibilità di un intervento normativo degli Stati membri sono, nella dottrina interna, C. Burelli, Prime brevi considerazioni sul “ddl intelligenza artificiale”: incompatibilità o inopportunità?, in Rivista Quaderni AISDUE - L’Unione europea e la nuova disciplina sull’intelligenza artificiale: questioni e prospettive, a cura di F. Ferri, Napoli, 2024; a livello europeo O. Mir Puigpelat, The impact of the AI Act o public authorities and on administrative procedures, in CERIDAP, 4, 2023, 247 e ss.; A. Cerrillo i Martínez, El impacto del Reglamento de Inteligencia Artificial en las Administraciones públicas, cit., 104, secondo cui “será necesario que las Administraciones públicas dispongan de unas normas ajustadas a los principios que guían su funcionamiento y que garanticen de manera adecuada los derechos de las personas cuando se relacionan con ellas”.
[36] È il disegno di legge Atto Senato n. 1146 presentato in data 20 maggio 2024 e annunciato nella seduta n. 191 del 21 maggio 2024 reperibile su ww.senato.it. Il 20 marzo 2025 il d.d.l. è stato approvato dal Senato della Repubblica ed è passato all’esame della Camera dei deputati.
[37] In particolare, il citato art. 13 del disegno di legge stabilisce, al suo comma 1, che “Le pubbliche amministrazioni utilizzano l'intelligenza artificiale allo scopo di incrementare l'efficienza della propria attività, di ridurre i tempi di definizione dei procedimenti e di aumentare la qualità e la quantità dei servizi erogati ai cittadini e alle imprese, assicurando agli interessati la conoscibilità del suo funzionamento e la tracciabilità del suo utilizzo”. Il comma 2, invece, afferma, sempre, in via generale, che “L'utilizzo dell'intelligenza artificiale avviene in funzione strumentale e di supporto all'attività provvedimentale, nel rispetto dell'autonomia e del potere decisionale della persona che resta l'unica responsabile dei provvedimenti e dei procedimenti in cui sia stata utilizzata l'intelligenza artificiale”.
[38] Così a pag. 35 degli atti relativi al disegno di legge in parola laddove si afferma che “L’intervento è compatibile con l’ordinamento europeo” e che esso “Non si sovrappone all’emanando regolamento europeo sull’intelligenza artificiale («AI Act»), approvato lo scorso 13 marzo dal Parlamento europeo), ma ne accompagna il quadro regolatorio in quegli spazi propri del diritto interno”. Il d.d.l. prevede, poi, all’art. 1, comma 2, che “Le disposizioni della presente legge si interpretano e si applicano conformemente al diritto dell’Unione europea”.
[39] Sui caratteri dei regolamenti come fonte di diritto derivato dell’Unione Europea cfr. R. Adam – A. Tizzano, Manuale di diritto dell’Unione Europea, Torino, 2017, 170 e ss.. Come osserva C. Burelli Prime brevi considerazioni sul “ddl intelligenza artificiale”: incompatibilità o inopportunità?, cit., 240, ricordando che le disposizioni del regolamento producono effetti immediati negli ordinamenti giuridici degli Stati membri senza che le autorità nazionali siano tenute ad adottare alcuna misura di attuazione. Il che non esclude, tuttavia, che talune disposizioni possano richiedere, per la loro piena e corretta attuazione, l’adozione di misure di esecuzione a livello nazionale; ma sempre se dette misure “non ostacolano la sua applicabilità diretta, se non dissimulano la sua natura di atto di diritto dell’Unione e se precisano l’esercizio del margine discrezionale ad essi conferito dal regolamento rimanendo nei limiti delle sue disposizioni” (Corte giust. UE, 12 aprile 2018, C-541/16, Commissione c. Danimarca, punti 27 e 28).
[40] Oltre che, per la parte che concerne il trattamento e la tutela dei dati personali l’art. 16 T.F.U.E. (così B. Marchetti, Intelligenza artificiale, poteri pubblici e rule of law, cit.). Più approfonditamente sul tema M. Inglese, Il regolamento sull’intelligenza artificiale come atto per il completamento e il buon funzionamento del mercato interno?, in Rivista Quaderni AISDUE - L’Unione europea e la nuova disciplina sull’intelligenza artificiale: questioni e prospettive, a cura di F. Ferri, Napoli, 2024, 71 e ss..
[41] Lo definisce “trasversale” G. Lo Sapio, L’Artificial Intelligence Act e la prova di resistenza algoritmica, cit., 269.
[42] Consapevolezza che emerge, ad esempio, nel Considerando 3, laddove si afferma che “I sistemi di IA possono essere facilmente impiegati in un'ampia gamma di settori dell'economia e in molte parti della società, anche a livello transfrontaliero”. Analogamente il Considerando 8 esprime l’aspirazione di creare “un quadro giuridico dell'Unione che istituisca regole armonizzate in materia di IA per promuovere lo sviluppo, l'uso e l'adozione dell'IA nel mercato interno, garantendo nel contempo un elevato livello di protezione degli interessi pubblici, quali la salute e la sicurezza e la protezione dei diritti fondamentali, compresi la democrazia, lo Stato di diritto e la protezione dell'ambiente, come riconosciuti e tutelati dal diritto dell'Unione”.
[43] La menzionata disposizione stabilisce, infatti, che “Il presente regolamento non si applica ai sistemi di IA se e nella misura in cui sono immessi sul mercato, messi in servizio o utilizzati con o senza modifiche esclusivamente per scopi militari, di difesa o di sicurezza nazionale, indipendentemente dal tipo di entità che svolge tali attività”.
[44] Vi si prevede, in particolare, che “Uno Stato membro può decidere di prevedere la possibilità di autorizzare in tutto o in parte l'uso di sistemi di identificazione biometrica remota «in tempo reale» in spazi accessibili al pubblico a fini di attività di contrasto, entro i limiti e alle condizioni di cui al paragrafo 1, primo comma, lettera h), e ai paragrafi 2 e 3. Gli Stati membri interessati stabiliscono nel proprio diritto nazionale le necessarie regole dettagliate per la richiesta, il rilascio, l'esercizio delle autorizzazioni di cui al paragrafo 3, nonché per le attività di controllo e comunicazione ad esse relative”.
[45] È il pericolo prospettato da C. Burelli Prime brevi considerazioni sul “ddl intelligenza artificiale”: incompatibilità o inopportunità?, cit., 260, secondo cui “qualora venga imposta un’armonizzazione massima, non potendo gli Stati membri discostarsi da quanto previsto dall’atto UE, ogni eventuale sovraregolamentazione è verosimilmente fonte di una violazione del diritto dell’Unione, in quanto tale suscettibile di essere contestata con una procedura di infrazione”.
[46] In questo senso si vedano le osservazioni svolte da B. Cappiello, The EU and the AI ACT. Was it worthwhile to be the first?, in CERIDAP, 4, 2024, 235 e ss., che riflette sull’appropriatezza della scelta del legislatore unionale di impiegare la base giuridica più ampia tra quelle disponibili nei Trattati, su una materia di competenza concorrente (quale il mercato interno ai sensi dell’art. 4, par. 2, lett a) T.F.U.E.) e nella prospettiva della protezione dei diritti fondamentali (che non costituirebbe da sé una base giuridica autonoma) attraverso lo strumento del regolamento (nel mentre, di solito, si predilige, in relazione all’art. 114 T.F.U.E., l’impiego della direttiva, se del caso dettagliata).
[47] Sul ruolo dei diritti fondamentali nell’AI Act si veda E. Cirone, L’AI Act e l’obiettivo (mancato?) di promuovere uno standard globale per la tutela dei diritti fondamentali, in Quaderni AISDUE, 1, 2025, 12 e ss.. L’Autore evidenzia che nell’AI Act, i diritti fondamentali sono indicati come “interessi pubblici” (così al Considerando n. 7), “da proteggere assieme alla salute e alla sicurezza, all’interno del più ampio e generale contesto della tutela della sicurezza dei prodotti”. Ciò discende invero dalla circostanza che, in generale, il legislatore europeo è tenuto al rispetto dei diritti fondamentali nell’esercizio delle competenze che gli sono conferite dai Trattati. La caratteristica che contraddistingue il Regolamento in questione rispetto ad altri interventi normativi eurounitari è data dal fatto che “la tutela dei diritti fondamentali costituisce, assieme alla previsione di standard tecnici, lo scheletro dell’intero impianto normativo e non, invece, uno dei vari requisiti da rispettare. Il rischio per i diritti fondamentali diventa, infatti, il principale criterio per la previsione di obblighi più stringenti” (così sempre E. Cirone, L’AI Act e l’obiettivo (mancato?) di promuovere uno standard globale per la tutela dei diritti fondamentali, cit., 12). Tanto che, come accennato, l’impatto negativo di un sistema di intelligenza artificiale sui diritti fondamentali garantiti dalla Carta costituisce un co-criterio per la classificazione di una applicazione come di rischio elevato (vd. art. 6, par. 3). L’impatto sui diritti fondamentali è, peraltro, criterio da seguire nella valutazione preventiva all’impiego dei sistemi di IA ad alto rischio di cui all'articolo 6, par. 2 cui sono chiamati proprio i “deployer che sono organismi di diritto pubblico” (così l’art. 27 del Regolamento).
[48] È la prospettiva indicata anche da C. Iurilli, Il diritto naturale come limite e contenuto dell’intelligenza artificiale. Prime riflessioni sul nuovo Regolamento Europeo “AI Act”, in Judicium, 24 giugno 2024, della intelligenza artificiale come “res tecnologica” e “prodotto o bene di consumo”. In termini anche M. Inglese, Il regolamento sull’intelligenza artificiale come atto per il completamento e il buon funzionamento del mercato interno?, cit., 86. Così anche G. Barrachina Navarro, Andrés Boix Palop, The applicability of the Artificial Intelligence Act to the field of public administration and public services, cit., 365, secondo cui l’AI Act “is a regulation that, applying the lessons learned from decades of public control over safety and control requirements with regard to the placing on the market of products (or, although less frequently, the provision of services that may also entail environmental or safety problems), establishes a series of protocols and requirements typical of this field”.
[49] Così, segnatamente, la seconda parte del Considerando 1 ad avviso del quale “Il presente regolamento garantisce la libera circolazione transfrontaliera di beni e servizi basati sull'IA, impedendo così agli Stati membri di imporre restrizioni allo sviluppo, alla commercializzazione e all'uso di sistemi di IA, salvo espressa autorizzazione del presente regolamento”. Come è stato, tuttavia, condivisibilmente osservato da O. Mir Puigpelat, The impact of the AI Act o public authorities and on administrative procedures, cit., 248, “this does not seem to be aimed at preventing Member States from conditioning the use of AI systems by national public authorities, but rather at preventing them from imposing additional restrictions on the development and use of such systems in the private sector. The free movement of goods and services is conceived for citizens and businesses, not for public authorities, which cannot oppose to their national legislator that a European Regulation entitles them to develop and use a certain software system without additional limitations”.
[50] Osserva G. Lo Sapio, L’Artificial Intelligence Act e la prova di resistenza algoritmica, cit., 281, che “se il focus è il mercato dell’era digitale, si spiega perché il Regolamento abbia preso in considerazione i sistemi di IA secondo un approccio risk-based, analogo a quello seguito per la sicurezza dei prodotti pericolosi”.
[51] Non si può, infatti, negare che in taluni casi, da ritenersi eccezionali, la disciplina del Regolamento si estenda anche a particolari usi dell’intelligenza artificiale. L’ipotesi emblematica è quella dell’identificazione biometrica rispetto alla quale le intenzioni del legislatore europeo sono rese esplicite nel Considerando 39 (“È opportuno subordinare ogni uso di un sistema di identificazione biometrica remota «in tempo reale» in spazi accessibili al pubblico a fini di attività di contrasto a un'autorizzazione esplicita e specifica da parte di un'autorità giudiziaria o di un'autorità amministrativa indipendente di uno Stato membro la cui decisione sia vincolante”).
[52] Di questa opinione è B. Marchetti, Intelligenza artificiale, poteri pubblici e rule of law, cit., la quale osserva che l’effetto del Regolamento “non è solo quello di regolare il mercato comune stabilendo le condizioni in presenza delle quali i sistemi di IA, come prodotti, possono circolare ma anche l’uso che ne fanno le amministrazioni, individuando scopi proibiti e consentiti, settori di impiego e garanzie degli interessati. Così facendo l’Unione disciplina, dunque, il modo in cui il potere pubblico usa l’IA definendo diritti e garanzie dei privati di fronte ad esso”.
[53]A. G. Orofino, Tra obiettivi perseguiti e problemi irrisolti: l’impatto dell’IA Act sull’assetto regolatorio dell’informatica pubblica, cit.; La sua non esaustività emerge, peraltro, dalla circostanza che, come nota C. Burelli Prime brevi considerazioni sul “ddl intelligenza artificiale”: incompatibilità o inopportunità?, cit., 245, l’AI Act “affida ampiamente alle future misure di attuazione della Commissione europea, che è incaricata, da un lato, di dettagliare e specificare alcuni aspetti della disciplina e, dall’altro lato e soprattutto, di aggiornarla e rinnovarla sulla base della fisiologica evoluzione tecnologica” attraverso sia “l’adozione di atti delegati (ad esempio, per aggiungere criteri di classificazione dei modelli di IA per finalità generali come modelli che presentano rischi sistemici, come disposto dall’art. 51)” che “di atti esecutivi (ad esempio, secondo l’art. 50, per approvare o specificare eventuali codici di buone pratiche a livello UE per facilitare l’efficace attuazione degli obblighi relativi alla rilevazione e all’etichettatura dei contenuti generati o manipolati artificialmente) da adottarsi ex artt. 290 e 291 TFUE”.
[54] Così C. Burelli Prime brevi considerazioni sul “ddl intelligenza artificiale”: incompatibilità o inopportunità?, cit., 260, laddove si osserva che “l’uso del regolamento da parte del legislatore UE indurrebbe a ritenere che il grado di armonizzazione richiesto dall’AIA sia, a ben vedere, massimo […] Eppure, come si è visto, il tenore del regolamento non è eccessivamente prescrittivo e svariati spazi d’azione sono lasciati agli Stati membri, con ciò potendosi affermare che il grado di armonizzazione, se non propriamente minimo, non sia in senso stretto nemmeno massimo”. La stessa Autrice (C. Burelli, Prime brevi considerazioni sul “ddl intelligenza artificiale”: incompatibilità o inopportunità?, cit., 250), soggiunge come l’AI Act, “lasci, su più di un fronte, un indiscusso potere discrezionale a favore degli Stati membri, che, da questo punto di vista, hanno dinnanzi a sé un atto che, per certi versi, somiglia più a una direttiva che non a un regolamento in senso stesso, per sua natura idoneo a regolare direttamente
e immediatamente (tutti) i rapporti giudici ad esso sottoposti” sicché “La sensazione è che, lungi dall’essere autosufficienti, alcune di queste norme si avvicinino, talvolta, più che altro a dei «programmi di legislazione» e, in fondo, il largo affidamento agli atti delegati e di esecuzione della Commissione, così come all’ulteriore intervento legislativo o amministrativo da parte degli Stati membri, sembra dimostrarlo”. Perviene ad analoghe conclusioni M. Inglese, Il regolamento sull’intelligenza artificiale come atto per il completamento e il buon funzionamento del mercato interno?, cit., 85, rilevando che “complessivamente inteso, l’approccio del legislatore [...] pare voler superare la rigida distinzione tra armonizzazione minima e massima in favore di un approccio maggiormente pragmatico, probabilmente dettato dall’ambito specifico oggetto di intervento normativo”.
[55] In termini C. Burelli, Prime brevi considerazioni sul “ddl intelligenza artificiale”: incompatibilità o inopportunità?, cit., 246, che aggiunge, in proposito, che “Anche nella relazione di accompagnamento della proposta di regolamento presentata dalla Commissione, era scritto che «le disposizioni del regolamento non sono eccessivamente prescrittive e lasciano spazio a diversi livelli di azione da parte degli Stati membri in relazione ad aspetti che non pregiudicano il conseguimento degli obiettivi dell’iniziativa»” (relazione di accompagnamento alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale e modifica alcuni atti legislativi dell’Unione, Bruxelles, 21 aprile 2021, COM (2021) 206final, spec. punto 2.4).
[56] A. G. Orofino, Tra obiettivi perseguiti e problemi irrisolti: l’impatto dell’IA Act sull’assetto regolatorio dell’informatica pubblica, cit..
[57] Come osservato da O. Mir Puigpelat, The impact of the AI Act o public authorities and on administrative procedures, cit., 249, When the debate on the suitability of adopting a European codification of administrative procedure to be observed by all national administrations when implementing Union law has arisen, significant doubts have been raised about EU competence, arguing that this would infringe the so-called institutional and procedural autonomy of the Member States, and it has been considered more prudent to limit such a codification to the procedures of the Union administration, which has the solid legal basis provided by Art. 298 TFEU. In the same vein, Art. 41 of the Charter only applies directly to the EU administration, even though the CJEU has extended the principle of good administration that emerges from it to national administrations as well. It would not make much sense that, against this background, the EU legislator would and could deprive the Member States of their competence to shape the administrative procedure to be observed by their public authorities by means of a piece of legislation such as the AI Act, which is limited to regulating a certain type of
Software”. Del resto, come notato da D.U. Galetta, L’autonomia procedurale degli Stati membri dell’Unione europea: Paradise Lost? Studio sulla cd. autonomia procedurale ovvero sulla competenza procedurale funzionalizzata, Torino, 2009, 2, e passim, “la nozione comunitaria di diritto procedurale è assai più ampia di quello che noi siamo tradizionalmente abituato a considerare come tale. Poiché essa include anche previsioni che, nel nostro schema mentale «di diritto nazionale», noi identificheremmo come di diritto sostanziale: ma che in una prospettiva comunitaria, rientrano, invece, nella nozione ampia di «diritto procedurale», nella misura in cui si riferiscono a strumenti giuridici idonei a sanzionare il rispetto del diritto comunitario”.
[58] Sul fenomeno, in generale, della “integrazione amministrativa” a livello unionale si vedano, a livello manualistico, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, M. P. Chiti, La pubblica amministrazione, in Diritto amministrativo europeo, 2018, 197, a cura di M. P. Chiti; H. Caroli Casavola, L’amministrazione nazionale in funzione dell’Unione Europea, in Manuale di diritto amministrativo europeo, Torino, 2024, 117 e ss., a cura di S. Del Gatto – G. Vesperini,
[59] Così espressamente il Considerando n. 2 al Regolamento secondo cui “Il presente regolamento dovrebbe essere applicato conformemente ai valori dell'Unione sanciti dalla Carta agevolando la protezione delle persone fisiche, delle imprese, della democrazia e dello Stato di diritto e la protezione dell'ambiente, promuovendo nel contempo l'innovazione e l'occupazione e rendendo l'Unione un leader nell'adozione di un'IA affidabile”. In questo senso O. Mir Puigpelat, The impact of the AI Act o public authorities and on administrative procedures, cit., 247, secondo cui “AI Act establishes minimum guarantees concerning the use of AI systems by public authorities that cannot be reduced, but which can be increased by national legislators”.
[60] La “brutalità” (“brutality”) di cui parlano V. Papakonstantinou e P. de Hert, The Regulation of Digital Technologies in the EU Actification, GDPR Mimesis and EU Law Brutality at Play, in Technology and Regulation Journal , 2022.
[61] Cfr. C. Burelli, Il gold plating e l’armonizzazione “spontanea”, due tecniche a confronto, in Riv. It. dir.pubbl. com., 5-6, 2022, 621 e ss..
[62] C. Burelli, Prime brevi considerazioni sul “ddl intelligenza artificiale”: incompatibilità o inopportunità?, cit., 248, osserva che il Regolamento “fa financo salve due ipotesi di gold-plating «autorizzato» (autorizza espressamente, cioè, l’adottabilità di misure più stringenti rispetto a quelle di derivazione “comunitaria” e, quindi, per tale ragione, non è gold-plating in senso stretto): l’art. 5, par. 5, infatti, prevede che gli Stati membri possano introdurre, in conformità con il diritto UE, disposizioni più restrittive sull’uso dei sistemi di identificazione biometrica remota a posteriori; e anche l’art. 2, par. 11, non osta «a che gli Stati mantengano o introducano disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori in termini di tutela dei loro diritti in relazione all’uso dei sistemi di IA da parte dei datori di lavoro, o incoraggino o consentano l’applicazione di contratti collettivi più favorevoli ai lavoratori»”.
[63] Così sempre C. Burelli, Il gold plating e l’armonizzazione “spontanea”, due tecniche a confronto, cit., 623, che vede il legislatore nazionale che procede sulla strada della armonizzazione spontanea un legislatore “più realista del re” che mostra a una fedeltà maggiore di quella che gli è richiesta al diritto unionale. Ne è un esempio il settore del diritto della concorrenza
[64] Così O. Mir Puigpelat, The impact of the AI Act o public authorities and on administrative procedures, cit., 247, ad aviso del quale “The free movement of AI systems that meet the requirements of the AI Act does not prevent a national (or even regional) legislator […] To extend the requirements imposed by the AI Act on high-risk systems to other types of systems used by public authorities that do not merit such a classification according to Annex III” o anche “To add further requirements to the use of AI systems by public authorities”.
[65] Meccanismo che, tuttavia, come osservato supra sub nota 24, non si attaglia alle caratteristiche proprie del settore amministrativo e che, pertanto, non può costituire la soluzione alle lacune disciplinatorie poc’anzi segnalate.
[66] Si profila, inoltre, come segnalato da A. G. Orofino, Tra obiettivi perseguiti e problemi irrisolti: l’impatto dell’IA Act sull’assetto regolatorio dell’informatica pubblica, cit., il pericolo di un “recepimento frammentario” in grado di compromettere “l’efficacia del regolamento europeo”.
[67] Scettico sulla capacità che l’Ai Act sia in grado di innescare un nuovo “Brussels effect” nel campo della tutela dei diritti fondamentali è E. Cirone, L’AI Act e l’obiettivo (mancato?) di promuovere uno standard globale per la tutela dei diritti fondamentali, cit., 18, secondo cui “l’AI Act non sembra che rifletta le caratteristiche essenziali per essere considerato uno standard globale, proprio in virtù del (solo formalmente centrale) ruolo della protezione dei diritti fondamentali nell’intera struttura del regolamento”.
[68] In questa prospettiva assume primaria importanza il dibattito attorno alla cd. “doppia pregiudizialità” rinvigorito da ultimo con la presa di posizione espressa dalla Corte costituzionale con la nota sentenza n. 181 del 2024 sul cui impatto si veda R. Mastroianni, La sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2024 in tema di rapporti tra ordinamenti, ovvero la scomparsa dell’articolo 11 della Costituzione, in Quaderni AISDUE, 1, 2025) e sul circuito della nomofilachia unionale, specie nel riflesso che lo stesso ha sulle funzioni interne (la co-giurisdizione che accompagna e guida la co-amministrazione secondo la riflessione di A. Barone, Giustizia comunitaria e funzioni interne, Bari, 2008, 19 e ss.).
[69] La potenza dell’immaginazione (anche per il giurista) è stata decantata da G. B. Vico, uno dei più grandi pensatori italiani, lungo tutta la sua opera per giungere a La scienza nuova, costituendo punto di contatto tra razionalismo e radici classiche.
[70] Specie se si tratta, come nel caso dell’art. 13 de d.d.l. di iniziativa governativa del 20 maggio 2024, di una disciplina di principio che, come tale necessita di una specificazione.
[71] In particolare mettendo, anzitutto, mano al suo art. 1 in materia di principi (inserendo tra questi anche quello di “non esclusività algoritmica” ovvero di “riserva di umanità”) nonché al successivo art. 3-bis (prevedendo un espresso riferimento all’intelligenza artificiale quale “strumento” dell’azione amministrativa della P.A.). Un altro intervento potrebbe riguardare gli artt. 6 e 10-bis prevedendo la necessità di un intervento umano (e, segnatamente, da parte del responsabile del procedimento, nella fase predecisoria di valutazione del materiale istruttorio - e, quindi, anche del risultato computazionale offerto dall’algoritmo - ovvero, nei procedimenti ad istanza di parte, di esame delle eventuali osservazioni presentate a seguito di preavviso di diniego). In ultimo sarebbe opportuno l’aggiornamento della disciplina in tema di accesso di cui agli artt. 22 e ss. allineandola, per quanto possibile ai principi già posti dall’art. 30 del nuovo Codice dei Contratti. Suggerisce un intervento normativo a novella della legislazione interna in tema di procedimento amministrativo anche A. Cerrillo i Martínez, El impacto del Reglamento de Inteligencia Artificial en las Administraciones públicas, cit., 104, ad avviso del quale “será necesario incorporar en la legislación de régimen jurídico y de procedimiento administrativo las normas en que se concreten los requisitos, las obligaciones y los procedimientos de las Administraciones públicas en tanto que proveedoras y responsables del despliegue de sistemas de IA”.
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Capita una sera di giugno, per caso, di ascoltare un concerto fuori dall’ordinario.
Di norma non è facile scrivere la recensione di un concerto, ma questo fa eccezione. Per chi non lo conoscesse - come me prima di oggi - Nano Stern è un cantautore quarantenne cileno della tradizione folk-jazz, dotato di una voce straordinaria, una capacità strumentale alla chitarra fuori dal comune e di una grande creatività e profondità nei testi. La grande Joan Baez (con la quale Nano ha duettato in diverse occasioni, tra le quali il concerto per il suo 75° compleanno) lo ha definito il miglior cantautore cileno della sua generazione.
Trovandosi a Roma in visita da amici, Nano ha tenuto il 20 giugno un concerto, ma invece di teatri affollati come quelli che troverà ad Amburgo, Stoccolma, Boston, in Spagna, in Cile e in molte altre sedi che toccherà con il suo prossimo tour, lo ha fatto nel piccolo circolo di Santa Libbirata, La Carretteria, al Pigneto, di fronte a un pubblico di una quarantina di persone - alcuni dei quali suoi amici - tra cui, per puro caso, ho avuto la fortuna di esserci anche io.
L'artista sale sul palco canticchiando scherzosamente senza microfono "lasciatemi cantare …" (il ritornello de L'Italiano vero di Toto Cotugno), per richiamare l’attenzione del pubblico. Ma è solo un attimo e la serata prende poi subito dopo tutt’altra direzione. In effetti, il concerto è subito coinvolgente grazie alla capacità dell’artista di mixare i suoi ritmi latini con la narrazione dei brani, spiegandone in lingua italiana la genesi ed il contenuto dei testi ed insegnando al pubblico prima dell’esecuzione i ritornelli da cantare poi insieme.
Durante una performance di più di due ore il cantautore ha interpretato molti suoi brani originali, ma anche canzoni popolari della nueva canciòn chilena resi popolari in Italia a partire dagli anni ’70 soprattutto per opera dal complesso degli Inti Illimani. Molti di questi brani sono del grande cantautore cileno Victor Jara, torturato ed assassinato durante la feroce dittatura di Pinochet, ma anche brani popolari cileni e del Perù andino in lingua quechua.
I testi, ancorché cantati in spagnolo, arrivano subito al cuore. Lo scaldano.
Ascoltiamo così una serie di brani di Victor Jara come il famoso “Te recuerdo Amanda” (Ti ricordo Amanda), conosciuta in italia grazie agli Inti Illimani ed eseguita anche da Francesco Guccini in una traduzione in italiano molto fedele al testo originale. È una composizione romantica e, al tempo stesso, un inno politico che racconta di due operai i quali devono sfruttare la breve pausa di cinque minuti durante il lavoro per potersi vedere. Di questo brano lo stesso Victor Jara nel suo ultimo concerto prima di essere assassinato disse: «parla dell’amore di due operai, di quelli che voi stessi vedete per strada, e a volte non vi rendete conto di ciò che esiste dentro la loro anima». Nano Stern ne dà una rilettura struggente e intensa, restituendo tutta la delicatezza e la dignità del sentimento raccontato. La sua interpretazione, profondamente rispettosa e vibrante, riesce a far rivivere non solo la melodia, ma lo spirito stesso di Victor Jara, un canto che è insieme denuncia e carezza, memoria e speranza.
Sempre di Jara esegue poi la canzone "El derecho de vivir en paz" (Il diritto di vivere in pace), uno dei brani maggiormente emblematici della Nueva Canción Chilena, un inno potente contro l'oppressione e a favore della dignità umana e della pace. Scritta a suo tempo come atto di solidarietà con il popolo vietnamita durante la guerra, è diventata nel tempo un simbolo di pace che Nano rende attualissimo nel momento che stiamo vivendo. E ancora altri brani di Jara come “El pimiento” (il peperone), “Luchín” (dal nome del piccolo Luchino, simbolo della tenerezza nascosta nella povertà e della necessità di una società più giusta) per concludere con “La partida” (La partenza) brano solo musicale, ma così potentemente struggente e malinconico da riuscire a trasmettere senza bisogno delle parole un senso di lontananza e di esilio: un inno poetico a una resistenza silenziosa.
Nano vuole dare anche un tributo alla canzone italiana e così, pur dichiarando il suo amore per Fabrizio De Andrè, nel corso della sua performance ci fa ascoltare un brano della tradizione seicentesca veneziana cantato in italiano, trasformato e reso attualissimo attraverso la sua chitarra e la sua possente voce.
Ma sono alcuni dei brani originali del cantautore che forse regalano le emozioni più grandi, che coinvolgono e commuovono maggiormente chi ascolta. Il messaggio arriva chiaro, anche se cantato in spagnolo. Tra questi “Inventemos un pais” (Inventiamo un paese), brano fusion tra folk, rock e ritmi latinoamericani, una sorta di Lennoniana “Imagine” in salsa latino-americana, ma forse meno utopica.
Segue il brano che il cantautore scrisse per la fine di un grande amore. Nano spiega che le canzoni d’amore si riconducono, di norma, a due paradigmi Beatlesiani: She loves you (l’amore felice) e Yesterday (l’amore infelice). Questo brano si pone invece in una posizione diversa: si può anche “festeggiare” con serenità la fine di un amore che non c’è più.
Ascoltiamo poi “Lagrimas de oro y plata” (Lacrime di oro e argento) un brano basato su una mitologia andina che narra del continuo inseguimento tra il sole e la luna che porta i due astri prima a lottare tra di loro, poi a pentirsi della loro violenza e quindi a piangere facendo piovere sulla terra argento (la luna) e oro (il sole). Il brano ricorda che dietro alle ricchezze c’è sempre la violenza e conclude che oro è argento non ripagano mai il dolore che li ha prodotti.
C’è anche lo spazio per un brano un brano dedicato al tema dell’immigrazione: “Festejo de color” (Festa di colori) che racconta la forza della memoria e la dignità del migrante: «Sei arrivato da un’altra terra, lasciando indietro una vita, partendo senza un addio, in fuga da una guerra… ti do il benvenuto con affetto e fervore. Che le nostre voci si uniscano per dare vita a una canzone».
Con “Aùn creo en la beleza” (Ancora credo nella bellezza) - che richiama la delectatio victrix di Agostiniana memoria - Stern dichiara la sua fede ottimistica nella bellezza, intesa non solo come estetica, ma anche come etica, speranza e forza rigeneratrice, e nell’importanza dei piccoli gesti: «credo nelle cose sacre: il sole, la natura e tra tanta bruttezza, credo ancora nella bellezza!». “Un gran regalo”, infine, è di nuovo un ottimistico piccolo-grande inno alla resilienza emotiva, alla forza della connessione umana e alla gratitudine: «Molte volte mi sento triste, non trovo più il senso per andare avanti quando tutto spinge indietro. E guardo verso il cielo e non vedo la luce, e tocco la terra e non sento il calore, e arriva un amico e mi fa ricordare che la vita è un grande regalo». Il pubblico canta il ritornello dapprima senza pensarci troppo sù, poi con più entusiasmo la seconda volta, poi sempre con più convinzione tutte le volte successive nella quali l’artista invita a ripeterlo. Le parole toccano dentro. Ripeterle invita a riflettere su sè stessi. Qualcuno ha gli occhi lucidi e, con discrezione, asciuga una lacrima di commozione.
Il concerto si avvia così alla fine, ma il pubblico, trascinato dall’entusiasmo e dalla magia ancora viva nell’aria, a gran voce richiede il bis. Il primo è un virtuosismo alla chitarra e al flauto andino. Per il secondo Nano richiama sul palco la support band che aveva aperto il concerto (il gruppo di virtuosi strumentisti Latin Tram Quartet) ed esegue una rilettura in ritmo bossa-nova del brano “Todo cambia” dell’attivista e cantautrice argentina Mercedes Sosa.
Si chiude con Nano che si commiata dal pubblico riassumendo in tre punti la sua filosofia: cantare rende felici, cantare insieme ad altri rende ancora più felici, ma cantare le cose vere della vita è ancora meglio.
Si esce e il bicchiere di birra consumata scambiando due chiacchiere con Nano sembra avere un sapore diverso. Si torna a casa con un senso di leggerezza e di ottimismo, e anche di gratitudine, come se si fosse respirata un’aria più limpida nonostante la canicola romana.
Restano impresse e tornano alla mente le parole più belle, quelle che spesso dimentichiamo, ma che almeno una volta abbiamo sperimentato come vere: «La vita è un dono grande».
Reseña del concierto de Nano Stern, Roma, 20 de junio de 2025 (traduzione in spagnolo di Federico Bonadonna)
A veces, una noche de junio, por casualidad, se tiene la suerte de escuchar un concierto fuera de lo común.
Normalmente no es fácil escribir la reseña de un concierto, pero este es una excepción. Para quien no lo conociera —como yo antes de hoy— Nano Stern es un cantautor chileno de unos cuarenta años, proveniente de la tradición folk-jazz, dotado de una voz extraordinaria, una capacidad instrumental a la guitarra fuera de lo común y una gran creatividad y profundidad en sus letras. La gran Joan Baez (con quien Nano ha cantado en varias ocasiones, incluyendo el concierto por su 75º cumpleaños) lo ha definido como el mejor cantautor chileno de su generación.
De paso por Roma para visitar a unos amigos, Nano ofreció un concierto el 20 de junio. Pero en lugar de presentarse en teatros abarrotados como los que encontrará en Hamburgo, Estocolmo, Boston, España, Chile y muchas otras ciudades que recorrerá en su próxima gira, lo hizo en el pequeño centro cultural Santa Libbirata, La Carretteria, en el barrio de Pigneto, frente a un público de unas cuarenta personas —algunos de ellos amigos suyos— entre los cuales, por pura casualidad, tuve la fortuna de estar.
El artista sube al escenario tarareando en broma, sin micrófono, “Lasciatemi cantare…” de Toto Cutugno, para llamar la atención del público. Pero es solo un momento: enseguida la velada toma otro rumbo. De hecho, el concierto resulta envolvente desde el principio, gracias a la capacidad del artista de mezclar ritmos latinoamericanos con la narración de las canciones, explicando en italiano el origen y el contenido de las letras, e incluso enseñando los estribillos al público antes de interpretarlas, para que se cantaran juntos.
Durante más de dos horas de actuación, el cantautor interpretó muchas de sus composiciones originales, pero también canciones populares de la Nueva Canción Chilena, popularizadas en Italia desde los años 70 especialmente gracias al grupo Inti Illimani. Muchas de esas canciones son del gran cantautor chileno Víctor Jara, torturado y asesinado durante la feroz dictadura de Pinochet, así como también canciones populares de Chile y del Perú andino en lengua quechua.
Las letras, aunque cantadas en español, llegan directo al corazón. Lo calientan.
Así escuchamos una serie de temas de Víctor Jara como la célebre “Te recuerdo Amanda”, conocida en Italia gracias a los Inti Illimani y también interpretada por Francesco Guccini en una traducción italiana muy fiel al texto original. Es una composición romántica y, al mismo tiempo, un himno político que cuenta la historia de dos trabajadores que deben aprovechar una pausa de cinco minutos para poder verse. De esta canción, el propio Víctor Jara dijo en su último concierto antes de ser asesinado: “Habla del amor entre dos trabajadores, de esos que ustedes mismos ven por la calle, y a veces no se dan cuenta de lo que hay en sus almas”.
Nano Stern ofrece una versión intensa y conmovedora, que transmite toda la delicadeza y dignidad del sentimiento expresado. Su interpretación, profundamente respetuosa y vibrante, logra revivir no solo la melodía, sino el propio espíritu de Víctor Jara: un canto que es a la vez denuncia y caricia, memoria y esperanza.
Del mismo Jara interpreta luego la canción “El derecho de vivir en paz”, una de las más emblemáticas de la Nueva Canción Chilena, un himno poderoso contra la opresión y a favor de la dignidad humana y la paz. Escrita en su momento como un acto de solidaridad con el pueblo vietnamita durante la guerra, con el tiempo se ha convertido en símbolo de paz, y Nano la hace sonar muy actual, a la luz del momento que estamos viviendo.
Y aún más canciones de Jara como “El pimiento”, “Luchín” (inspirada en el pequeño Luchito, símbolo de la ternura escondida en la pobreza y de la necesidad de una sociedad más justa), hasta llegar a “La partida”, pieza puramente instrumental, pero tan profundamente conmovedora y melancólica que consigue transmitir, sin necesidad de palabras, una sensación de lejanía y exilio: un himno poético a la resistencia silenciosa.
Nano quiso rendir también un homenaje a la canción italiana y así, aunque declaró su amor por Fabrizio De André, durante su actuación interpretó una canción de la tradición veneciana del siglo XVII, cantada en italiano, transformada y llevada a la actualidad gracias a su guitarra y su poderosa voz.
Pero son algunas de las composiciones originales del cantautor las que quizás regalan las emociones más intensas, que más conmueven y envuelven al público. El mensaje llega claro, aunque esté cantado en español.
Entre ellas, “Inventemos un país”, tema fusión entre folk, rock y ritmos latinoamericanos, una especie de Imagine de Lennon en clave latinoamericana, aunque quizás menos utópica. Le sigue una canción que Nano escribió tras el fin de un gran amor. El cantautor explica que las canciones de amor suelen encajar en dos paradigmas beatlemaníacos: She loves you (el amor feliz) y Yesterday (el amor infeliz). Esta canción, en cambio, se sitúa en un punto intermedio: también se puede “celebrar” con serenidad el fin de un amor que ya no está.
Escuchamos luego “Lágrimas de oro y plata”, canción basada en una mitología andina que narra la persecución continua entre el sol y la luna, quienes primero luchan entre sí, luego se arrepienten de su violencia y finalmente lloran, haciendo llover sobre la tierra plata (la luna) y oro (el sol). La canción recuerda que detrás de la riqueza siempre hay violencia y concluye que ni el oro ni la plata compensan el dolor que los generó.
Hay también espacio para un tema dedicado a la inmigración: “Festejo de color”, que narra la fuerza de la memoria y la dignidad del migrante:
“Llegaste desde otra tierra, dejando atrás una vida, partiendo sin despedida, huyendo de una guerra… Te doy la bienvenida con afecto y fervor. Que nuestras voces se unan para dar vida a una canción”.
Con “Aún creo en la belleza” —que recuerda a la delectatio victrix agustiniana— Stern declara su fe optimista en la belleza, entendida no solo como estética, sino también como ética, esperanza y fuerza regeneradora, y en la importancia de los pequeños gestos:
“Creo en las cosas sagradas: el sol, la naturaleza, y entre tanta fealdad, ¡aún creo en la belleza!”
“Un gran regalo”, por último, es nuevamente un pequeño-gran himno optimista a la resiliencia emocional, a la fuerza del vínculo humano y a la gratitud:
“Muchas veces me siento triste, ya no encuentro el sentido para seguir cuando todo empuja hacia atrás. Y miro al cielo y no veo la luz, y toco la tierra y no siento el calor, y llega un amigo y me hace recordar que la vida es un gran regalo”.
El público canta el estribillo al principio sin pensar demasiado, luego con más entusiasmo la segunda vez, y después con creciente convicción cada vez que el artista invita a repetirlo. Las palabras tocan el alma. Repetirlas lleva a la reflexión. Alguien tiene los ojos húmedos y, discretamente, se seca una lágrima de emoción.
Así se acerca el final del concierto, pero el público, contagiado por el entusiasmo y la magia aún viva en el aire, pide a gritos un bis. El primero es un despliegue de virtuosismo a la guitarra y a la flauta andina. Para el segundo, Nano invita nuevamente al escenario a la banda de apoyo que había abierto el concierto (el grupo de virtuosos instrumentistas Latin Tram Quartet) e interpreta una versión en ritmo bossa-nova de la canción “Todo cambia” de la activista y cantautora argentina Mercedes Sosa.
Nano se despide del público resumiendo su filosofía en tres puntos:
cantar hace feliz, cantar con otros hace aún más feliz, pero cantar las cosas verdaderas de la vida es aún mejor.
Uno sale del lugar y la cerveza compartida conversando con Nano tiene un sabor distinto. Se vuelve a casa con una sensación de ligereza, de optimismo, y también de gratitud, como si se hubiera respirado un aire más limpio a pesar del calor romano.
Quedan grabadas y regresan a la mente las palabras más bellas, esas que a menudo olvidamos, pero que al menos una vez hemos experimentado como verdaderas:
“La vida es un gran regalo.”
* La foto è stata scattata da Federico Bonadonna, scrittore e antropologo, autore, tra gli altri, del libro Sulle corde del tempo. Una storia degli Inti Illimanni (Jorge Coulon).
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