I magistrati hanno le loro “giornate della memoria”.
Sono purtroppo tante queste giornate perché sono tanti i magistrati caduti per mano del terrorismo e della criminalità mafiosa.
Anzi sono decisamente troppe, ed è nostro dovere coltivare la memoria, capire il senso profondo di quello che è successo e trarre gli insegnamenti necessari per l’attualità, per il nostro futuro, per il nostro modo di essere magistrati.
Senz’altro anche trarre profondi motivi di orgoglio[1].
Da ultimo coltivare la memoria delle nostre vittime ci impone la difesa intransigente della Costituzione, come ho avuto già modo di scrivere altrove.
La storia della magistratura dentro la storia del paese, la storia dei magistrati vittime per mano del terrorismo e della mafia, la storia dell’impegno della magistratura nell’interesse del Paese, tutto questo è semplicemente il frutto pregiato della nostra Costituzione[2].
La progettata riforma della Costituzione va in una direzione diversa, gioca a fare il conto finale[3] con la Magistratura perché la si vuole programmaticamente diversa da quello che è stata; non più disturbante; non più “controllore”, ma controllata.
Sul punto è bene esercitare il dovere della chiarezza.
La prospettiva della riforma costituzionale è questa, non altra, come del resto viene chiaramente detto - assolutamente senza cautele, nemmeno lessicali - dai sostenitori/proponenti ogniqualvolta un provvedimento di un giudice o l’iniziativa di un pubblico ministero vengono valutati come “antigovernativi” o “contrari all’interesse del paese” o “del popolo”.
Ebbene, a fronte di quel singolo provvedimento e di quel singolo giudice, persino se si tratta di Tribunali civili, come è ampiamente successo e succede quotidianamente in tema di immigrazione, viene subito attaccato personalmente il giudice, in uno con la magistratura, con tanto di ricerca di misfatti individuali e/o familiari, e fatta l’affermazione ormai quasi di rito: “basta con questi giudici e questi pubblici ministeri”, “andremo avanti con la riforma della giustizia”.
Da ultimo arrivano gli insulti persino nei confronti delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, che amano troppo i migranti e li “accogliessero a casa loro”.
E poi ancora, incredibilmente, ma è vero: “se di fronte alla Cassazione allestissero un bel campo rom qualcuno cambierebbe idea”.
Non si tratta qui di leoncini da tastiera, ma di esponenti di primo piano del Governo che prendono posizione, usando questo linguaggio e questi concetti, rispetto al normale esercizio della giurisdizione in uno Stato di diritto; rispetto quindi al principio fondamentale dello stato di diritto, la separazione dei poteri e l’autonomia del potere giudiziario dalla politica.
I leoni da tastiera seguono necessariamente, tutti contenti, con tanto di offese e minacce.
Da ultimo che esista il problema di tutela dei magistrati, della magistratura e del suo ruolo, nel quadro dei principi di fondo dello stato di diritto, se ne sono resi conto, in modo forte e drammatico, gli avvocati dell’American Bar Association (A.B.A.).
Se ne sono resi conto rispetto a quel che si muove nell’ordinamento Nord-americano, spesso invocato a modello dai novelli Costituenti della giustizia: “Se un tribunale emette una decisione che l’amministrazione non condivide, il giudice viene preso di mira. Se un avvocato rappresenta parti in causa con l’amministrazione, o se un avvocato rappresenta parti che l’amministrazione non gradisce, gli avvocati vengono presi di mira..”.
E poi ancora, in un crescendo: “Possiamo essere in disaccordo con l’interpretazione della giurisprudenza, ma è inaccettabile prendere di mira personalmente i giudici solo perché non siamo d’accordo con le loro decisioni. Non possiamo avere un sistema giudiziario in cui il governo cerca di rimuovere i giudici semplicemente perché non decidono come il governo desidera” [4].
Molto preoccupante - quasi drammatico come sopra detto - l’appello finale: “La nostra professione si trova di fronte a scelte chiare. Possiamo scegliere di rimanere in silenzio e permettere che questi atti continuino, oppure possiamo difendere lo stato di diritto ed i valori che ci sono cari. Invitiamo l’intera professione, compresi gli avvocati che ricoprono cariche elettive, a parlare contro le intimidazioni. Riconosciamo che l’alzarsi in piedi ed affrontare queste importanti questioni comporta dei rischi. Ma se l’A.B.A. e gli avvocati non parlano, chi parlerà a nome dell’avvocatura organizzata? Chi parlerà a nome della magistratura? Chi proteggerà il nostro sistema giudiziario? Se non parliamo ora, quando parleremo?
L’American Bar Association ha scelto di alzarsi e parlare. È giunto il momento di parlare con una sola voce”.
Queste le riflessioni degli avvocati dell’American Bar Association, fondata ed operativa sin dal 1878, la più grande e rappresentativa associazione di avvocati al mondo.
Spiace davvero molto che l’avvocatura italiana, che ha un ruolo insostituibile - che deve essere riaffermato tutti i giorni - nella tutela dei diritti delle persone, sembri non rendersi conto della deriva in corso, ed arrivi ad accusare la magistratura che esercita la giurisdizione di “tratti eversivi”, aderendo così addirittura all’inqualificabile modello di linguaggio di una parte del mondo della politica (e, ancora una volta, degli annessi leoni da tastiera, che non mancano mai e si sentono ovviamente legittimati a scatenarsi: dare dell’eversore al giudice è cosa troppo bella, un’occasione che non si può perdere)[5].
A proposito di memoria, ricordo che non moltissimi anni fa venne ancora una volta rivolta ai magistrati l’accusa di essere terroristi (qui oggi eversori, lì terroristi brigatisti: la sostanza non cambia).
Nel mese di aprile del 2011, infatti, comparvero in numerose strade della città di Milano grandi manifesti, su sfondo rosso e con caratteri bianchi molto vistosi, che intimavano: “via le BR dalle Procure”.
Si trattava del solito attacco alla Procura di Milano del tempo, ed al suo ruolo istituzionale, con in più l’accusa ai magistrati di essere “brigatisti”.
Incredibile, ma vero anche in quel caso.
In quell’occasione la famiglia del Giudice Guido Galli - ucciso dai brigatisti il 19.3.1980 - ritenne di intervenire pubblicamente e lo fece efficacemente.
Giuseppe Galli, figlio del Magistrato, scrisse infatti al Corriere della Sera una lunga lettera che venne pubblicata il 18 aprile 2011.
Riporto di seguito alcuni passi che colpiscono ancora oggi e che meritano di essere ricordati:
«19 marzo 1980: un bambino di 12 anni piange disperato il padre ucciso.
Aprile 2011: un uomo di oltre quarant'anni è costretto a leggere manifesti infamanti contro “quelle Procure” che guidarono il Paese oltre la devastazione del terrorismo. Gli attacchi che da mesi si susseguono contro i magistrati, e soprattutto contro la Procura di Milano, toccano il culmine con un’accusa verso quei giudici il cui solo torto è di far rispettare le leggi e applicare la giustizia...
C'è amarezza in chi, tanti anni fa, ha visto il proprio padre assassinato dai terroristi e oggi, nella città in cui vive, legge certe parole.
Ma c'è anche la consapevolezza che, così come allora Guido Galli cadde con il Codice in mano, oggi tanti altri magistrati, tenaci e coraggiosi, con quello stesso Codice applicano le leggi. Quel bambino oggi sa che le sue sorelle maggiori, tutti i giorni, sono lì, nel Tribunale di Milano, nella Procura delle Br”, per permettere a lui, e a tutti noi, di poter vivere in un Paese giusto, libero e democratico» [6].
Forse negli ultimissimi giorni qualcosa si sta muovendo anche nel mondo dell’avvocatura italiana.
Forse si è effettivamente arrivati ad un livello di attacco alle regole basiche del sistema costituzionale che non si può più fare finta di niente, da parte di nessuno[7].
Fatte queste brevi riflessioni sul nostro impegno per la memoria, e sulla memoria come fattore di consapevolezza e di orgoglio, la Giornata della memoria del 21 marzo è qualcosa di parzialmente diverso, di ancora più vasto ed ancora più profondo.
Nella visione forte di Don Luigi Ciotti, c’è infatti un diritto troppo spesso misconosciuto o del tutto escluso, che viene ancora prima dell’impegno per la legalità che il 21 marzo esprime e rappresenta per tutti: il diritto delle vittime innocenti[8] delle mafie, dei loro familiari e di tutte le persone a loro legate, al ricordo di ogni singola identità attraverso il ricordo di ogni singolo nome[9].
Non alcune vittime, nomi e ricordi, ma tutte le vittime, tutti i nomi ed i ricordi.
Da qui il forte valore simbolico e culturale, già dal lontano 1996, e poi ogni anno, della Giornata della Memoria e della collegata lettura dei nomi delle vittime innocenti delle mafie.
Non è un fatto retorico e non lo deve diventare.
È semmai una “provocazione”, nel senso forte e positivo del termine: pensate solo per un momento al lungo elenco di nomi, letto dai ragazzi delle scuole, in una terra di mafia, in un luogo di mafia, magari “a cento passi” dall’abitazione del boss di turno.
È ovvio però che c’era di più, già allora così come oggi.
C’è infatti un piano forte di valori di chi ricorda e partecipa al ricordo; basta pensare al monito di Don Ciotti: “quelle persone non sono morte per essere ricordate con lapidi, targhe e discorsi di occasione.
Ma per un sogno di democrazia che sta a tutti noi realizzare”.
La visione forte di Don Ciotti ricorda un altro straordinario impegno, che va in una direzione che mi sembra simile.
L’impegno - di tanti[10] - per dare identità ai migranti affogati senza nome nel Mare Mediterraneo.
Impegno che ebbe una svolta dopo la strage terribile di Lampedusa del 3 ottobre 2013 con l’imbarcazione che si rovesciò al largo dell’Isola dei Conigli, 366 cadaveri recuperati, e poi con la più terribile delle stragi di migranti all’interno della storia terribile delle stragi di migranti nel Mediterraneo: il naufragio della notte del 18 aprile 2015, nel canale di Sicilia, con quasi 1.000 morti affogati[11].
Diritti diversi, ma la loro tutela ha presupposti e valori comuni.
Nel caso dei migranti affogati: morti innocenti ai quali riconoscere il diritto all’ identità e la possibilità stessa del ricordo.
Nel caso delle vittime di mafia: morti innocenti ai quali riconoscere il valore effettivo del ricordo, come singoli, ma per tutti, in una giornata di ricordo condiviso e di impegno rinnovato per tutti.
Sullo sfondo, ma da portare in primo piano, i valori costituzionali di sempre e sempre più attuali: umanità, dignità di tutte le persone, uguaglianza tra tutte le persone, diritto d’asilo, tutela delle vittime.
C’è un ulteriore piano di valori che spesso spiega il perché degli omicidi mafiosi (e del terrorismo), si tratti di magistrati, avvocati, uomini delle forze dell’ordine, giornalisti, sacerdoti, professionisti, imprenditori.
Ci sono infatti molti modi per fare il proprio mestiere, i propri mestieri, e ci sono scelte professionali, o comunque vicende professionali anche non scelte, ma capitate per caso, che implicano necessariamente l’assunzione di rischi.
Mi riferisco di seguito con poche riflessioni alla categoria dei magistrati, perché è argomento che mi sta ovviamente a cuore, ma vale per tutti come da sempre rivendica e sottolinea con forza don Luigi Ciotti.
I rischi che possono essere corsi dai magistrati sono i più vari ed oggi sempre più frequenti: dalle difficoltà rispetto alla propria “carriera”, al disciplinare in agguato, e sarà ancora peggio con la nuova ed “occhiuta” Alta Corte; dalle pressioni difficilmente sostenibili all’esposizione organizzata al pubblico ludibrio per vicende personali e familiari, risalendo o scendendo nelle parentele fino a quando non si trova qualcosa di utile alla causa.
Sino a rischi veri e propri per l’incolumità e per la vita.
Ebbene in tutti questi casi di “rischi” si deve continuare semplicemente a fare il proprio lavoro, in “direzione ostinata e contraria” rispetto all’idea di magistrato che sembra affermarsi oggi, o comunque molto gettonato e trendy nelle prospettive di riforma e nelle spiegazioni della riforma.
Piace molto, e viene richiesto, il magistrato timido e “difensivo”, conformista (“chi me lo fa fare”), rispettoso “a prescindere” dell’Autorità e dei desideri del popolo valutati ed espressi dal Governo; e poi molto attento ai carichi di lavoro ed alla pulizia dei ruoli, senza distinzione di qualità e di impegno tra “gli affari”; che magari lavora anche tanto, ma sempre e solo in questa prospettiva, senza mai disturbare con il proprio impegno ed i propri provvedimenti (sul presupposto - stupefacente da qualunque parte lo si riguardi - che chi “disturba” con il proprio provvedimento sgradito fa politica, ed è quindi un cattivo magistrato, mentre chi “non disturba” è il modello virtuoso di magistrato).
La Giornata della Memoria, con il ricordo delle vittime delle mafie, ci impone di ricordare altri modelli ed altri impegni.
Guardiamoci dentro e cerchiamo di continuare a garantire questo impegno.
[1] Per chi fosse interessato a brevi riflessioni sul tema v. Carla Galli e Maurizio Romanelli, Un motivo di orgoglio per la magistratura: la memoria dei magistrati vittime del terrorismo, Sistema Penale, 7 agosto 2024.
[2] Maurizio Romanelli, La separazione delle carriere, tra ragioni apparenti e ragioni reali. I perché di un no, Sistema Penale, 20 febbraio 2025.
[3] Come è noto l’espressione “riforma finale” è stata utilizzata dal Ministro Nordio nella “Informativa urgente” al Senato del 5.2.2025 avente ad oggetto la liberazione e trasbordo in Libia del cittadino libico Almasri inseguito dal mandato di arresto della CPI per gravissimi crimini di guerra e contro l’umanità (v. pagina 8 del relativo resoconto stenografico), ed a commento degli atti adottati dalla Procura di Roma nell’esercizio delle proprie attribuzioni e responsabilità; quindi nulla a che vedere con le ragioni dichiarate della riforma.
[4] V. il relativo documento dell’A.B.A. pubblicato in Sistema Penale, 5.3.2025, Stati Uniti: la posizione degli avvocati contro i tentativi del governo di indebolire la magistratura e la professione legale. Il titolo del documento è: “The ABA rejects efforts to undermine the courts and the legal profession”.
[5] Faccio riferimento al comunicato ufficiale dell’Unione delle Camere Penali del 21 dicembre del 2024 che – subito dopo le sentenze pronunciate dai Giudici nei confronti dei Senatori Matteo Renzi e Matteo Salvini (di proscioglimento e di non luogo a procedere) – ha affermato che vi era stato “uso politico dello strumento giudiziario da parte della Magistratura”, e che tale uso aveva avuto “tratti eversivi”, con l’auspicio di “mettere fine a questa deriva attraverso una organica riforma costituzionale dell’assetto della magistratura”.
Di “eversione” ha parlato più volte il Senatore Maurizio Gasparri, arrivando a rivendicare con forza l’impiego del termine: “ho definito nei giorni scorsi eversivo l’atteggiamento della Magistratura. Ero stato ottimista: siamo ben oltre”, Il Foglio 28.1.2025, ancora una volta a commento dell’atto adottato dalla Procura di Roma, nell’esercizio delle proprie attribuzioni, rispetto alla vicenda del rimpatrio del cittadino libico Almasri.
Pochi giorni prima il Senatore Maurizio Gasparri aveva infatti espresso un concetto chiaro; dopo avere definito “condotte eversive degne di un centro sociale di quelli più inquietanti” quelle dei magistrati che scioperavano, aveva dichiarato: “avanti con le riforme perché la giustizia batta l’eversione” (Agenzia Nova, 25.1.2025).
Un pensiero molto semplice e molto netto: la riforma della giustizia per sconfiggere l’atteggiamento eversivo della magistratura. Questa la ragione della riforma costituzionale della magistratura.
[6] Segnalo, solo per chi fosse interessato all’approfondimento, che ho ricordato questa vicenda in un lavoro dal titolo: Il valore della memoria. Riflessione a margine di un corso della S.S.M. sul terrorismo dedicato a Guido Galli, Sistema Penale, 8 Settembre 2021.
[7] Faccio riferimento alla nota della Giunta dell’Unione delle Camere Penali del 9 marzo 2025: “L’autonomia e l'indipendenza della funzione giudiziaria vanno garantite, tutelate e difese non solo in quanto principi costituzionali ma anche nell'esercizio quotidiano della giurisdizione. La critica e il dissenso rappresentano il fondamento di ogni confronto democratico, ma incontinenti aggressioni verbali che esulano del tutto dal merito tecnico delle decisioni giudiziarie, costituiscono una grave lesione all'immagine stessa della giurisdizione”.
[8] È noto che l’aggettivo “innocenti” non compare nel titolo della legge n. 20 dell’8 marzo 2017, ma compare nell’art. 3 del testo rispetto al favore espresso dalla legge per l’organizzazione di iniziative, a tutti i livelli, per la costruzione di una memoria storica condivisa in difesa delle istituzioni e di una memoria delle vittime innocenti delle mafie.
[9] Molto in tema le riflessioni svolte da Carla Galli nel contributo sopra citato in nota 1.
La collega Carla Galli interveniva nel corso di formazione della Scuola Superiore della magistratura del 5.6.2024 dedicato al padre Guido Galli e ad Emilio Alessandrini, entrambe vittime - come è noto - dell’organizzazione terroristica Prima Linea.
Ebbene ha osservato Carla Galli: “…questo è il grande valore che io attribuisco all’iniziativa di ricordare ai più giovani colleghi – che inevitabilmente, oggi, non hanno una memoria personale e diretta di quei fatti e di quel periodo e dei loro protagonisti – la esistenza e la storia di giudici che tanto hanno dato. Farlo anche soltanto con il loro nome di fianco alla sigla alfanumerica del corso è importante. Perché se viviamo liberi lo dobbiamo anche a loro, e questa è cosa che ogni cittadino dovrebbe ricordare. Ma per un magistrato il valore della memoria delle vittime del terrorismo e dei magistrati caduti è anche motivo di orgoglio. Le storie dei magistrati che si sono spesi in quella lotta sono in grado di evocare contemporaneamente i rischi che il paese ha corso, i pericoli che costantemente corre la nostra fragile e recente democrazia”.
Già solo il nome di fianco alla sigla alfanumerica del corso della Scuola Superiore della Magistratura è importante per le vittime ed al tempo stesso in prospettiva di formazione per tutti i magistrati; ce lo ricorda Carla Galli, figlia del Giudice Guido Galli, ucciso dai terroristi.
[10] Prima fra tutte, per l’impegno, e per il profondo piano di valori espresso, la Prof.ssa Cristina Cattaneo, nota anatomopatologa dell’Università di Milano.
[11] Le vicende delle identificazioni dei migranti morti in mare sono narrate in modo coinvolgente nel volume di Cristina Cattaneo, Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo, Raffaello Cortina Editore, 2018, con riflessioni significative sul valore profondo del dare identità ai morti senza nome, e sul valore altrettanto profondo di procedure di identificazione che valessero anche per i “loro” morti, i migranti, e non solo per i “nostri”: non ci sono “i loro” e non ci sono “i nostri”.
Già prima il tema è affrontato in Cristina Cattaneo e Marilisa D’Amico, I diritti annegati. I morti senza nome del Mediterraneo, Franco Angeli, 2016.
Dal volume Naufraghi senza volto è stata tratta l’omonima e drammatica lettura teatrale di Renato Sarti.