Questo contributo è parte dell'approfondimento in tema di infortuni inaugurato su questa Rivista il 1° marzo 2024 (v. L'emergenza nazionale degli infortuni sul lavoro e la risposta delle istituzioni: uno sguardo di insieme di Maria Laura Paesano, Le indagini in materia antinfortunistica e la sensibilità del pubblico ministero di Giuseppe De Falco, Controlli amministrativi e sanitari. Il contrasto agli infortuni in via preventiva di Francesco Agnino).
Sommario: 1. Il sistema prevenzionistico dei garanti del rischio - 2. L’ineludibile attualità degli infortuni sul lavoro: i numeri di un’emergenza - 3. L’impresa individuale: numeri, vantaggi e rischi del “modello gestorio” statisticamente prevalente - 4. Il principio di effettività datoriale come “contromisura” al ricorso all’impresa individuale per finalità illecite - 5. Gli strumenti di ricerca della prova della posizione datoriale di fatto nell’impresa individuale: fonti dichiarative, perquisizioni e sequestri, acquisizioni documentali, intercettazioni telefoniche e tabulati
1. Il sistema prevenzionistico dei garanti del rischio
La tematica dell’individuazione delle posizioni di garanzia rappresenta da sempre non solo una della più interessanti questioni di interesse teorico del diritto penale della sicurezza sul lavoro, ma rileva anche sotto il profilo pratico, ai fini dell’applicazione concreta delle sanzioni previste dalle violazioni poste a tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro. Nella vigente normativa prevenzionistica, caratterizzata per essere orientata verso la tutela del lavoratore, interesse costituzionalmente protetto ai sensi del combinato disposto degli artt. 32, 35, 41 Cost., il datore di lavoro e più in generale il titolare della posizione di garanzia, diventa il principale debitore del sistema di sicurezza, colui che deve realizzare in concreto le condizioni volte ad eliminare, o quanto meno ridurre al minimo, il rischio lavorativo, da cui possono originarsi eventi lesivi per il lavoratore impiegato nel sistema produttivo. L’individuazione del soggetto attivo del reato proprio, quale quello produttivo di eventi infortunistici per violazioni alla disciplina prevenzionistica sul lavoro, diventa pertanto un passaggio indispensabile per la corretta applicazione delle fattispecie poste a tutela penale del lavoro, tenuto conto che queste ultime sono fondate proprio sullo specifico rapporto e legame fra il bene tutelato e il soggetto qualificato a tutelarle, appunto il titolare della posizione di garanzia. Al fine di apprestare massima estensione alla tutela dei debitori di sicurezza, la normativa vigente prevede che accanto al garante di diritto del rischio lavorativo, secondo quanto previsto dall’art. 2 del Tusl, la riferibilità soggettiva della responsabilità per danno da evento lesivo sul lavoro possa estendersi anche nei confronti di coloro che di fatto si accollano e svolgono i poteri dei garanti di diritto, ossia i garanti di fatto, in forza del disposto di cui all’art. 299 del citato testo unico. Ebbene, nonostante tali premesse, la prassi applicativa quotidiana dei procedimenti penali in materia di sicurezza sul lavoro, ed in particolare quelli più complessi per infortuni e malattie professionali, fornisce sempre più spesso occasione per riflettere sulla difficoltà concreta di cogliere la reale figura del garante del rischio, a causa da un lato, di un’elevata domanda di giustizia che continua ad interessare a tutte le latitudini del territorio nazionale i procedimenti per infortunio sul lavoro, anche mortali, così riducendo i tempi fisiologici da dedicare all’approfondimento investigativo del singolo caso e, dall’altro, per il ricorso sempre più diffuso da parte dei responsabili delle attività produttive, e nei più svariati comparti, al modello gestorio dell’impresa individuale che, più di ogni altro, mediante l’impiego illecito del prestanome, consente di realizzare una clandestinizzazione della figura del reale datore di lavoro, ossia dell’effettivo soggetto responsabile. D’altra parte, la sfida che si pone agli operatori del diritto, ed in primo luogo a pubblici ministeri e giudici chiamati a risolvere le questioni sulla riferibilità soggettiva della responsabilità per infortunio sul lavoro e malattie professionali non pare rinviabile, tenuto conto del monito specifico che sul punto è venuto dalle Sezioni unite della Suprema Corte (Cass. Pen., Sez. Un., 18 settembre 2014 n. 38343 sul noto caso Thyssenkrupp), le quali hanno ricordato che, anche nello specifico settore della sicurezza del lavoro, “…lo scopo del diritto penale, tuttavia, è proprio quello di tentare di governare tali intricati scenari, nella già indicata prospettiva di ricercare responsabilità e non capri espiatori”. Da qui la scelta di proporre stimoli e riflessioni per indirizzare in concreto l’azione degli investigatori prima, e dei giudici poi, nelle indagini e nel processo penale sul lavoro, alla ricerca del reale garante del rischio lavorativo, con particolare riferimento ai contesti lavorativi gestiti da imprese individuali le quali, come detto, più di altre si possono prestare ad occultare il garante effettivo del rischio, con l’effetto ultimo di scaricare il giudizio di responsabilità soggettiva su un mero capro espiatorio.
2. L’ineludibile attualità degli infortuni sul lavoro: i numeri di un’emergenza
I numeri degli infortuni sul lavoro in genere, e degli eventi mortali più in particolare, dimostrano all’attualità come il tema della sicurezza sul lavoro rischi di diventare un fenomeno patologico ormai cronicizzato del sistema economico imprenditoriale nazionale, capace di coinvolgere svariati comparti produttivi. Un rapido sguardo ai numeri, ufficiali, non può che corroborare tale considerazione. Alla fine di ottobre 2023 l’Inail ha pubblicato i dati consolidati degli infortuni sul lavoro e malattie professionali relativi all’anno 2022[1]. Ebbene, i dati evidenziano in primo luogo che in detta annualità sono state effettate 703.432 “denunce di infortunio”, con un aumento del 24,6% rispetto al 2021 (+139mila casi), dovuto sostanzialmente in ugual misura sia al più elevato numero di denunce di infortunio da Covid-19 (dai circa 49mila del 2021 ai 120mila del 2022, pari a +71mila casi), sia alla crescita degli infortuni “tradizionali”. Ne consegue che l’aumento delle denunce non risulta essere stato condizionato in via assoluta dal fenomeno contingente della pandemia, anche se è vero che tale aumento si riduce, al netto dei contagi, a livello nazionale, dal +24,6% al +13,2%[2]. Laddove poi si passa ad analizzare all’interno della macroarea degli infortuni quelli che hanno prodotto un esito mortale, e come tali rappresentano un indice di massimo allarme per la valutazione delle condizioni di rischio cui sono esposti i lavoratori, emerge che con l’ultima rilevazione al 30.04.2023 le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate all’Inail nell’intero anno 2022 sono state 1.208, ossia 118 casi in più (+10,8%) rispetto alle 1.090 rilevate quattro mesi prima, al 31.12.2022[3]. Anche in tal caso, scorporando le denunce mortali connesse a casi di Covid-19, ossia le denunce con esito mortale “tradizionale”, nel 2022 risulta un aumento dello 0,8% rispetto al 2021, e più decisamente rispetto al 2020 (+14,2%), dove però il blocco di molte attività e il massiccio ricorso al lavoro agile per la pandemia aveva contenuto il numero degli infortuni sul lavoro e in itinere “tradizionali” non letali. Tra i settori di attività economica con il più elevato numero di decessi in occasione di lavoro nel 2022 si segnalano le Costruzioni (143 casi, -23,1% rispetto al 2021), il Trasporto e magazzinaggio (126, -19,2%) e il comparto Manifatturiero (114, -23,5%). Dal punto di vista dei lavoratori, sono diminuite le denunce di infortunio mortale per i lavoratori italiani (da 1.205 a 970, -19,5%), e sono invece aumentate quelle degli extracomunitari (da 164 a 178, +8,5%) e comunitari (da 56 a 60, +7,1%). A livello territoriale emerge infine un decremento diffuso in tutte le aree ma con diversa intensità: al notevole calo del 29,7% registrato nel Sud (109 denunce mortali in meno), segue, in termini percentuali, quello delle Isole (-14,0%, 16 casi in meno), del Nord-est (-11,5%, -36 casi), del Nord-ovest (-10,5%, - 38 casi) e del Centro (-6,6%, -18 casi). La sintesi appare impietosa: di lavoro si continua a morire, lo si fa ad ogni latitudine del territorio nazionale, e nei più svariati comparti produttivi. Il tema degli infortuni sul lavoro costituisce pertanto, ancora, un’attualità ineludibile, rispetto al quale il pubblico ministero e il giudice sono chiamati a svolgere nel processo penale per infortunio sul lavoro la loro parte attiva con professionalità, scrupolo e rigore, al fine della compiuta ricostruzione dell’evento lesivo e dell’accertamento delle cause che l’hanno determinato in concreto, nella prospettiva ultima anche di individuare il reale soggetto responsabile.
3. L’impresa individuale: numeri, vantaggi e rischi del “modello gestorio” statisticamente prevalente
La seconda realtà statisticamente comprovata dai numeri, che potenzialmente rischia di impattare sul complesso percorso di ricerca dell’individuazione del garante del rischio lavorativo è connessa al modello gestorio. Secondo i dati di Unioncamere alla fine del 2022 in Italia risultano iscritte oltre 6 milioni di imprese nel Registro delle imprese[4]. Rispetto al dato complessivo, per la precisione 6.019.276 - che ricomprende il numero complessivo di imprese senza tener conto dello stato attivo, inattivo, sospeso, in liquidazione - sono 5.129.335 le unità di “imprese attive”, ossia le imprese che oltre ad essere iscritte al Registro delle imprese hanno effettuato la comunicazione di inizio (o ripresa di) attività alla Camera di commercio. In questo numero sono ricomprese realtà molto diverse, dalle ditte individuali, alle imprese agricole e familiari, fino alle società di persone e di capitali. Il dato delle imprese individuali è però il più alto, pari al 50,8%, ben più elevato del valore delle imprese collettive “complesse”, avuto riguardo al dato del 30,8% costituito dalle società di capitale. Se si rivolge lo sguardo alla distribuzione territoriale emerge che la maggior parte delle aziende italiane si trova nelle regioni del Nord, il 45%, di cui il 26% nel Nord-Ovest e il 19% nel Nord-Est. A seguire ci sono Sud e Isole, dove risultano registrate oltre due milioni di imprese (il 35%) e infine il Centro (20%). Quanto alla distribuzione delle imprese nei vari comparti produttivi, il primato è quello del commercio (25,7%), seguito dalle costruzioni (14,9%), agricoltura (12,8%) e la manifattura (9,4%). Significativo elemento di novità rispetto al passato è il trend di crescita delle imprese straniere, pari a 650 mila. La crescita si è verificata soprattutto negli ultimi cinque anni (+7,6%), mentre nello stesso periodo le imprese avviate da persone nate in Italia sono diminuite del 2,3%. Parlando in termini assoluti, dal 2018 al 2020 le imprese avviate da cittadini stranieri sono aumentate di 45.617 unità, mentre le realtà imprenditoriali avviate da persone nate in Italia sono diminuite di oltre 126 mila unità. Il settore più rappresentativo delle imprese avviate da cittadini stranieri è quello delle costruzioni (18,4%), seguito dai servizi alle imprese (16,8%), dal commercio (14,3%) e da alloggio e ristorazione (11,9%). La regione con la maggior concentrazione di imprese straniere è la Liguria (15,2% del totale); a seguire Toscana (15,1%) ed Emilia-Romagna (13,5%). Dunque, il modello gestorio privilegiato della nostra economica è quello dell’impresa individuale, uno schema a cui si ricorre nei più svariati settori produttivi. Le ragioni sono plurime e riconducibili ad opzioni sia perfettamente lecite, che illecite. Sotto il primo profilo si segnalano, ad esempio, quelle economiche. La costituzione di una ditta individuale, infatti, rispetto al ricorso all’impresa collettiva, consente di ottenere indubbi benefici economici sia in fase di apertura - contenendo i costi, che saranno limitati all’iscrizione alla Camera di Commercio, Industria e Artigianato, anziché notarili, richiesti per la costituzione in forma di atto pubblico necessaria per le imprese collettive (societarie) -, che nel corso della vita dell’impresa, in ragione della semplificazione generalizzata delle obbligazioni fiscali, e del ricorso al regime di contabilità semplificata. A ciò si aggiungano ragioni connesse all’opzione operativa gestionale, che nel caso di impresa individuale assicura maggiore garanzia di autonomia e rapidità delle decisioni, che prescindono dal confronto con altre persone, come avviene invece anche per le imprese societarie più semplici. Quanto, invece, alla motivazione che sottende a scelte illecite, rileva prevalentemente la motivazione economica. L’imprenditore individuale, infatti, nel caso di debiti contratti dalla sua azienda assume personalmente il rischio di dovervi fare fronte con il proprio patrimonio. Ecco allora che per evitare un simile rischio, l’imprenditore - ossia il datore di lavoro effettivo, soggetto su cui dovrebbe gravare l’obbligo di garante del rischio - può optare per intestare l’attività ad un mero prestanome, che gli potrà garantire non solo di andare esente dalla responsabilità economica connessa alla gestione dell’impresa, ma anche, più in generale, l’ impunità per i reati commessi nell’esercizio dell’attività di impresa, fra cui anche eventualmente la responsabilità penale per il caso di eventi infortunistici o malattie professionali connesse alla violazione della normativa prevenzionistica.
4. Il principio di effettività datoriale come “contromisura” al ricorso all’impresa individuale per finalità illecite
Svolte le predette considerazioni sui potenziali rischi che in punto di individuazione del reale garante del rischio lavorativo possono derivare, da un lato, dai numeri emergenziali complessivi degli infortuni sul lavoro e, dall’altro, dalla scelta sorretta da finalità illecite di ricorrere al modello gestorio dell’impresa individuale, rileva riflettere sulle possibili contromisure che il sistema normativo prevenzionistico, anche per come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, offre al pubblico ministero e al giudice chiamati a risolvere la questione della riferibilità soggettiva della responsabilità penale nei casi di infortunio sul lavoro e malattie professionali. In via di principio, si può osservare come nei casi di impresa esercitata in forma individuale dovrebbe essere pacifica la soluzione offerta alla questione dell’individuazione del garante del rischio datoriale, tenuto conto del fatto che il datore di lavoro in senso penalistico coincide con quello avente rilievo giuslavoristico. Nell’impresa individuale, infatti, vi è identità soggettiva fra chi esercita il ruolo e l’attività di impresa. L’imprenditore individuale è pertanto necessariamente anche il datore di lavoro, e come tale il principale debitore di sicurezza, in quanto soggetto che proprio in ragione della qualifica ricoperta ha il compito di organizzatore del sistema produttivo, essendo chiamato ad assicurare tutela a quei beni che potrebbero essere potenzialmente lesi in conseguenza dello svolgimento del processo produttivo di impresa. Laddove invece il datore di lavoro di diritto, ossia quello individuato in base al criterio formale di cui all’articolo 2 lettera b) del Tusl, non risulti minimamente coinvolto nella gestione, ossia proprio nel caso patologico di attività intestata ad un mero “prestanome”, può soccorrere il principio di effettività. Il vigente sistema prevenzionistico, infatti, disciplina, accanto alle posizioni di garanzia originarie legali, fra cui in primis quella datoriale (art. 2 d.lgs. 81/2008), anche le corrispondenti figure che di fatto, ossia coloro che nell’ambito dell’organizzazione di lavoro, esercitano il ruolo, i poteri e la funzione, che la legge prevede normativamente per le posizioni di garanzia di diritto (datore di lavoro, nonché dirigente e preposto). Il disposto normativo che in tal caso viene in rilievo è l’articolo 299 del Tusl, significativamente rubricato “Esercizio di fatto dei poteri direttivi”. Tale norma prevede che “…le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e) [rispettivamente, appunto, il datore di lavoro, il dirigente e il preposto, N.d.A.] gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti”. Dunque, l’articolo 299 del Tusl fissa in via normativa l’equiparazione tra l’esercizio di fatto dei poteri giuridici riferiti alla qualifica datoriale e l’acquisto della corrispondente posizione di garanzia penalmente rilevante. In altre parole, al pari di una valida ed efficace investitura civilistica, può essere altresì rilevante lo svolgimento, in concreto, delle funzioni o mansioni tipiche del datore di lavoro. In definitiva, volendo delineare un quadro di sintesi dei rapporti tra l’art. 2 e art. 299 Tusl si può osservare che mentre la nozione legislativa di datore di lavoro (art. 2 lett. b) ha come referente operativo un contesto di lavoro “fisiologico”, ossia quello in cui, in particolare proprio per l’impresa individuale alla qualifica formale segue l’effettivo esercizio dei poteri gestori, la clausola di equiparazione espressa (art. 299), ha la funzione di estendere la responsabilità a carico della posizione di garanzia originaria che opera in una realtà imprenditoriale caratterizzata da profili “patologici”, nella quale non vi è coincidenza tra il soggetto ritualmente investito della qualifica, e il soggetto in concreto impegnato nella gestione dell’impresa, come nel caso di imprese individuali intestate dal reale imprenditore ad un prestanome, con l’obiettivo ultimo di garantirsi l’impunità dalle responsabilità connesse agli obblighi discendenti dalla normativa prevenzionistica. Ecco allora che, proprio per superare lo schermo del prestanome nelle imprese individuali, riferendo la responsabilità soggettiva al reale imprenditore, il principio di effettività che opera come “clausola di equivalenza” nella estensione della posizione di garanzia datoriale, rappresenta lo strumento normativo cui ancorare il procedimento probatorio di riferibilità soggettiva, al fine di colpire il garante effettivo del rischio, assicurando lo scopo ultimo del diritto penale, ossia la ricerca delle reali responsabilità e non meri “capri espiatori”.
5. Gli strumenti di ricerca della prova della posizione datoriale di fatto nell’impresa individuale: fonti dichiarative, perquisizioni e sequestri, acquisizioni documentali, intercettazioni telefoniche e tabulati
Le considerazioni svolte sulla funzione assegnata dal legislatore al principio di effettività costituiscono la premessa indispensabile per comprendere gli spunti di riflessione, e i suggerimenti pratici, volti ad operare in concreto, nel procedimento penale per infortunio sul lavoro, maturato in un contesto di impresa individuale, alla ricerca di elementi di prova in grado di sostanziare la riferibilità soggettiva al garante di fatto, ossia all’imprenditore occulto, che per scelta mirata, quella di perseguire un’impunità generalizzata dalle conseguenze del rischio lavorativo non adeguatamente gestito, si è clandestinizzato dietro lo schermo del titolare formale prestanome dell’impresa individuale. In primo luogo, un contributo essenziale a tal fine può venire dalle fonti di natura dichiarativa. Il ruolo dei possibili testimoni nelle indagini per infortuni sul lavoro, infatti, può assumere rilevanza decisiva non solo per ricostruire l’evento lesivo, riferendo elementi relativi alla materialità del fatto, ma anche in punto di organizzazione del lavoro, e quindi di individuazione del soggetto responsabile. L’ascolto dei dichiaranti, però, impone di distinguere da un lato, le fonti di prova dichiarative interne all’organizzazione di lavoro investigata e, dall’altro, quelle esterne ad essa. Le fonti dichiarative interne sono rappresentate da coloro che con diverso ruolo, compito e funzione, operano stabilmente nel contesto lavorativo in cui ha avuto luogo l’infortunio. Esse, pertanto, proprio perché intranee all’organizzazione imprenditoriale - e quindi a conoscenza delle dinamiche operative del processo produttivo e degli indirizzi decisionali sulla vita di impresa -, rappresentano un sicuro bacino di conoscenza della posizione soggettiva datoriale, e dunque il loro ascolto può rivelarsi essenziale per l’individuazione del soggetto responsabile, anche laddove lo stesso assuma la veste del garante di fatto. Con riferimento al tempo dell’audizione delle fonti dichiarative interne, la prassi dimostra l’importanza di un’acquisizione “a caldo” di informazioni rispetto all’evento infortunio, per evitare di condizionarne la genuinità dell’apporto dichiarativo, in conseguenza dei rischi di inquinamento connessi al contesto di lavoro, soprattutto quando detti possibili testimoni sono rappresentati dai lavoratori subordinati, al contempo colleghi dell’infortunato e dipendenti del potenziale responsabile dell’infortunio. Quanto invece all’oggetto specifico dell’esame, sarà importante concentrare l’ascolto della fonte dichiarativa su tutto quanto risulta funzionale ad individuare la figura che di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro di diritto - secondo il costante insegnamento della giurisprudenza della Suprema Corte, per affermare la responsabilità del garante di fatto (vedasi da ultimo anche Cass. Sez. 4, 6.2.2018, n. 12643, Sez. 4., 10.10.2017, n. 50037, Sez. 4, 4.4.2017, n. 22606) -, con l’obiettivo di verificare, se accanto o anche oltre alla figura formale, vi sia qualcuno che “…ha la responsabilità dell’organizzazione…in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”, in quanto in grado di decidere, ad esempio, l’assunzione dei lavoratori, o come ripartire le mansioni agli stessi, o come corresponsione gli stipendi, sulle modalità con cui relazionarsi sempre a fini di spesa con i fornitori, i manutentori, e la rete commerciale di rivendita. Altrettanto utili possono poi essere le informazioni acquisibili da soggetti terzi estraneiall’attività di lavoro. Per essi, innanzitutto, risulta generalmente minore le difficoltà connesse all’assunzione, in quanto l’estraneità al contesto lavorativo li preserva da rischi di condizionamento ed inquinamento. Tendenzialmente l’assunzione come fonti dichiarative ne disvelerà genuinità quanto alla ricostruzione del fatto conosciuto ed ai soggetti coinvolti, potendosi in contrario evidenziare un difetto di specificità nella rappresentazione dell’organizzazione del lavoro. Per questa ragione appare opportuno che il pubblico ministero riesca ad operare a monte una corretta selezione delle fonti dichiarative esterne, in modo da procedere in concreto all’esame soltanto di quelle che possano essere potenzialmente in grado di fornire un contributo utile alle indagini. La soluzione al problema dell’individuazione delle fonti dichiarative esterne al contesto di lavoro investigato utili può venire dal ricorso anche ad altri mezzi di ricerca della prova, fra cui in primo luogo le perquisizioni, i sequestri, gli ordini di esibizione, strumenti tutti connotati dall’invasività come un minimo comune denominatore, poiché consentono di entrare nella vita dell’organizzazione di impresa prescindendo da una disponibilità e collaborazione spontanea offerta dai responsabili della stessa. Il pubblico ministero nel decidere cosa ricercare all’interno del luogo di lavoro in cui si è verificato l’infortunio non può dimenticare che l’attività di impresa, in qualunque forma essa venga esercitata, si caratterizza per essere “…un’attività economica professionalmente organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi” (art. 2082 c.c.). Se dunque “fare impresa” significa organizzare in modo professionale il lavoro con lo scopo di produrre beni e servizi da destinare a terzi, esterni all’impresa, al fine di conseguimento di profitto, il pubblico ministero potrà individuare potenziali fonti di prova dichiarative utili per ricostruire l’organizzazione del processo produttivo ed il gestore reale di esso, attraverso il confronto con: coloro che hanno rapporti di fornitura della materia prima lavorata nel processo produttivo oggetto di accertamento; coloro che forniscono periodicamente supporto tecnico esterno al processo produttivo; coloro che svolgono attività ausiliarie, come quelle connesse alla rappresentanza funzionale alla commercializzazione dei prodotti realizzati; coloro che costituiscono il vasto e variegato mondo della clientela dei beni prodotti dall’impresa, quali i soggetti intermedi (si pensi ai grossisti), o i rivenditori al dettaglio (ultimo segmento della commercializzazione). Tutti questi soggetti possono rappresentare una “potenziale fonte dichiarativa” - che seppur esterna al contesto lavorativo - sia in grado di riferire circostanze utili per addivenire ad una compiuta ricostruzione dell’organizzazione del lavoro e, attraverso di essa, per l’individuazione del reale soggetto responsabile, il garante di fatto. É evidente che nel fare ricorso ai predetti strumenti di ricerca della prova, la perquisizione ed il sequestro, sarà necessario per il pubblico ministero abbia cura di rispettare i limiti imposti dalla disciplina processualpenalistica, per come interpretata ormai dalla giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, in particolare facendo attenzione a motivare sul vincolo di pertinenzialità esistente fra l’ipotesi criminosa per cui procede - l’infortunio sul lavoro - e il bene che viene dapprima ricercato, e poi assoggettato a vincolo. In tal senso, si osserva, tutto ciò che risulta espressione dell’organizzazione del processo lavorativo in cui si ipotizza essere maturata la violazione in materia di sicurezza, risulta ragionevolmente rientrare nel concetto di pertinenzialità. Così sarà, ad esempio, adeguatamente motivabile il vincolo su una pluralità di documenti quali: i documenti di trasporto (che potranno consentire di acquisire informazioni su soggetti che hanno trasportato beni da o verso l’impresa, sui destinatari o sui fornitori); gli atti di contabilità (che potranno consentite di risalire al fornitore della merce o al destinatario della stessa); i documenti relativi alle manutenzioni periodiche cui sono sottoposte solitamente le macchine utilizzate nei sistemi produttivi (per facilitare l’individuazione dei referenti della manutenzione stessa). In terzo luogo, oltre alle fonti dichiarative e ai mezzi di ricerca della prova invasivi, ulteriori informazioni utili nel percorso di ricerca del reale garante del rischio lavorativo, celatosi dietro lo schermo del prestanome, potranno venire dalle acquisizioni documentali, le quali oltre che all’interno dell’impresa, possono essere ricercate attraverso una mirata analisi delle banche dati, cui hanno solitamente accesso le forze di polizia giudiziaria. All’attualità, infatti, esistono una pluralità di enti pubblici, o di enti privati di diritto pubblico, che possono costituire una potenziale fonte di conoscenza per le indagini penali interessate ad acquisire informazioni, o anche soltanto meri spunti investigativi, utili per individuare il reale titolare della posizione di garanzia all’interno dell’organizzazione di lavoro. Si pensi a quanto accade per le banche dati gestite dall’Inps, l’Inail, l’Agenzia delle Entrate o le Camere di Commercio, tutte caratterizzate da un minimo comune denominatore, ossia l’essere alimentate da informazioni che vengono trasmesse da soggetti terzi, solitamente per via telematica. I dati trasmessi, una volta acquisiti dall’ente destinatario, vengono elaborati e catalogati secondo le specifiche finalità dell’ente stesso. Ebbene, proprio l’acquisizione di informazioni in merito al soggetto che ha trasmesso il dato di interesse per l’ente può diventare il primo passaggio per risalire al reale titolare dell’informazione che è stata comunicata. Le informazioni sono quelle che attengono alla vita d’impresa, e riguardano diversi contenuti a seconda dell’ente cui l’informazione viene comunicata[5]. É proprio dall’acquisizione delle informazioni sul “soggetto trasmittente il dato”, che solitamente potrà avvenire, ad esempio, attraverso l’emissione da parte del PM di un ordine di esibizione ex art. 256 c.p.p., che sarà possibile o individuare il soggetto che direttamente è titolare di quelle informazioni - e come tale inevitabilmente soggetto o personalmente coinvolto nella gestione dell’impresa, o a conoscenza diretta di dati fondamentali della vita di impresa e del soggetto che la dirige, anche sotto il profilo dell’organizzazione del lavoro - oppure, in alternativa, risalire ad un soggetto “intermedio” rispetto al reale titolare del dato comunicato, tenuto conto che nella prassi sovente si verifica che siano i professionisti (commercialisti, consulenti contabili, consulenti del lavoro…) a curare, per conto dei loro clienti, le fasi della trasmissione delle comunicazioni aventi ad oggetto la vita dell’attività d’impresa; anche in tale ultima ipotesi si sarà comunque raggiunto l’obiettivo di acquisire informazioni di interesse investigativo su colui che, nel quotidiano svolgersi della vita di impresa, si incarica di curarne i rapporti e di perseguirne gli interessi, nella delicata fase della relazione con i propri professionisti, siano essi commercialisti, consulenti del lavoro o studi di elaborazione dati, e pertanto sarà possibile verificare se accanto al rappresentante legale dell’attività di impresa si muova un soggetto che in forma occulta agisce e decide per l’organizzazione di impresa che, come tale, potrà assumere la veste di datore di lavoro di fatto. In via conclusiva, un breve riferimento ai mezzi di ricerca della prova di natura tecnica, quali le intercettazioni e i tabulati telefonici. Le prime, in ragione dei limiti di ammissibilità disciplinati dall’art. 266 c.p.p., che ne limitano il ricorso ai delitti dolosi, risultano generalmente precluse nelle investigazioni in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro, tenuto conto che la maggior parte degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali sono collegate ad ipotesi di colpevolezza colposa. Residua però la possibilità di fare ricorso all’utilizzo delle captazioni telefoniche, telematiche ed ambientali, nel caso in cui si proceda per il delitto di all’art. 437 c.p., in forma aggravata, che, come noto per la giurisprudenza di legittimità, può essere integrato anche nel caso di un “singolo infortunio”, sia esso con esito mortale che di mera lesione per il lavoratore subordinato, e che ben può concorrere anche con ipotesi di responsabilità colposa per lesioni o morte del lavoratore. In termini di utilità investigativa, invece, deve sottolinearsi il potenziale contributo utile che potrebbe venire dall’acquisizione (ed analisi) delle risultanze dei tabulati telefonici; soltanto a titolo esemplificativo, infatti, si pensi che da una mirata analisi delle celle telefoniche relative all’utenza in uso al soggetto che si ipotizza svolgere una funzione di datore di lavoro di fatto nel contesto di lavoro in cui è maturato l’infortunio, potrebbero emergere importanti elementi di prova a suo carico, quale la dimostrazione della sua costante presenza sul luogo di lavoro nel tempo, anche prima del verificarsi dell’evento illecito, così di fatto ancorandolo ad un contesto produttivo rispetto al quale, invece, almeno formalmente, dovrebbe apparire del tutto estraneo. Da ultimo, un contributo che può venire dalle annotazioni di polizia giudiziaria ex art. 357 c.p.p. redatte in sede di primo sopralluogo, e diverse dal verbale di accertamenti e rilievi ex art. 354 c.p.p., che deve svolgere la funzione essenziale di “fotografare” il luogo in cui si è verificato materialmente l’evento lesivo dell’infortunio. La prassi investigativa consente di affermare che sin dal “primo accesso” sul luogo di lavoro possono talvolta emergere elementi sintomatici di una non corrispondenza fra la titolarità formale della posizione di garanzia di datore di lavoro, e l’esercizio in concreto dei poteri di organizzazione del lavoro. Una simile situazione si verifica solitamente proprio in contesti lavorativi non complessi, come quelli delle imprese individuali. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui a fronte di tale accesso il datore di lavoro formale non sia immediatamente presente e non sia rintracciabile, oppure se presente non appaia ictu oculi il gestore dell’attività, per le modalità con cui si relaziona con il personale di polizia giudiziaria specializzata. Ebbene, in tal caso risulta importante che il pubblico ministero sensibilizzi la polizia giudiziaria del primo sopralluogo a redigere un’apposita annotazione in cui venga dato conto proprio dell’anomalia fra quanto emerso in concreto, e quanto invece ci si sarebbe potuti attendere in astratto, avuto riguardo alla titolarità formale dell’impresa controllata, così acquisendo al procedimento, seppur in fase embrionale, uno spunto utile per approfondire nel corso della successiva investigazione se sussiste o meno una posizione datoriale di fatto.
[1] Per un’analisi di dettaglio vedasi i contenuti della pubblicazione Inail, ottobre 2023 dal titolo: “Andamento degli infortuni sul lavoro e malattie professionali”, dati consolidati 2022.
[2] L’analisi disaggregata dell’aumento delle denunce tra il 2021 e 2022 è legato sia alla componente femminile che sale del 40,5% (da 206mila a 289mila) sia a quella maschile con +15,6% (da 359mila a 415mila), ed ha interessato sia i lavoratori italiani (+25,8%) che quelli extracomunitari (+20,6%) e comunitari (+15,6%). A livello di distribuzione territoriale oltre il 60% dei casi del 2022 sono stati denunciati al Nord, circa il 20% sia al Centro, che al Meridione.
[3] La rilevazione più aggiornata ha consentito di conteggiare anche i casi di infortunio mortale denunciati tardivamente rispetto al 31.12.2022 e di registrare come mortali quei casi di infortunio che pur avvenuti entro il 2022 ma non immediatamente letali, hanno visto sopraggiungere il decesso successivamente alla rilevazione di fine anno.
[4] Vedasi per informazioni di dettagli il sito https://www.unioncamere.gov.it.
[5] Ad esempio: all’INPS e all’INAIL vengono comunicati i dati relativi all’assunzione dei lavoratori, al loro inquadramento, ai tempi di lavoro e alla retribuzione dovuta; all’Agenzia dell’Entrate le dichiarazioni rese in adempimento degli obblighi fiscali; alle Camere di Commercio le comunicazioni relative ai momenti fondamentali della vita dell’impresa, quali l’inizio e la cessazione dell’attività, la tipologia dell’attività, la forma giuridica di gestione della stessa.