Riforma Foti amministratori pubblici esonerati, i cittadini pagano il conto.
Di fronte agli sprechi di risorse pubbliche la risposta alla domanda del cittadino “Adesso chi paga ?” è chiara: “Il cittadino stesso”.
Sommario: 1. Premessa – 2. Consistente limitazione del quantum del danno erariale risarcibile – 2.1. Limite al quantum risarcibile – 2.2. Ulteriore riduzione del limite massimo risarcibile – 2.3. Si sono salvati anche i concessionari di servizi pubblici – 3. Ma non finisce qui – 4. E ancora non finisce qui: dallo scudo alla immunità per gli amministratori pubblici: l’eldorado della componente politica – 4.1. Funzionari e/o dirigenti pubblici: Dalla “paura della firma” alla “paura degli amministratori” [1] - 4.2. Mani legate alle procure… non più tali!
1. Premessa
Prima di addentrarmi nella descrizione di quanto sta accadendo rispetto ai progetti di riforma della magistratura contabile (la Corte dei conti) che procede con iter spedito verso la sua approvazione definitiva, vorrei provare a spiegare anche a chi non è esperto del settore giuridico di cosa si sta parlando, in quanto le modifiche proposte incideranno pesantemente sulla vita quotidiana di tutti i cittadini ed anche degli stessi dirigenti e funzionari pubblici, in modo nettamente peggiorativo.
Per questo proverò a ricorrere ad una similitudine, utilizzando, il meno possibile, termini tecnici.
Tutti o quasi tutti noi cittadini viviamo la esperienza dei “condomini”, con la conseguente necessità di amministrare le parti comuni, affidando la relativa gestione ad un amministratore cui versiamo, a tal fine, una quota di denaro, il cd. onere condominiale.
Laddove l’amministratore gestisca con gravissimo disinteresse, menefreghismo ed ignoranza le risorse finanziarie che ciascun condomino mensilmente versa, sprecando le stesse senza fare eseguire correttamente gli eventuali lavori di cura e manutenzione, sarà possibile agire, da parte dei condomini, contro quell’amministratore per fare valere la sua responsabilità. È di tutta evidenza che quell’amministratore sapendo di “rischiare” anche con il proprio patrimonio personale (ove sia chiamato a risarcire un danno arrecato con negligenza al palazzo), starà attento a che ciò non accada.
Ebbene, medesimo ragionamento, sebbene con riferimento a numeri immensamente più rilevanti rispetto agli importi degli oneri condominiali, va fatto anche per la gestione della pubblica amministrazione affidata a ministeri, comuni, province, regioni, società partecipate da enti pubblici. Anche in tali casi, infatti, i cittadini, pagando le tasse, affidano ad amministratori, dirigenti e funzionari pubblici immense risorse economiche per gestire i servizi pubblici.
Anche in tale caso, allora, ci si aspetterebbe, da parte del cittadino, di potere controllare come quelle risorse finanziarie vengono gestite, di avere la possibilità di far valere la responsabilità risarcitoria dell’amministratore e/o dirigente o funzionario pubblico che, per menefreghismo, negligenza, gravissima ignoranza, spreca quelle risorse, danneggia la collettività consentendo la costruzione di opere inutili oppure di ponti pericolanti oppure non adempia correttamente ai propri doveri verso il cittadino non lavorando o lavorando male con conseguenze quali ad esempio infinite liste di attesa nella sanita, trasporti pubblici inefficienti, strade non curate e piene di buche ecc…
Fino ad oggi, la possibilità di fare valere questo tipo di responsabilità, la responsabilità, cioè, di amministratori e dipendenti pubblici per non avere gestito in modo corretto le finanze della collettività, per avere sprecato le risorse pubbliche, esiste, con la presenza di un pubblico ministero della magistratura contabile (cioè della Corte dei conti) obbligato ad avviare indagini nei confronti di chiunque sprechi le risorse pubbliche e chiamarlo a risarcire i danni arrecati. Il pubblico ministero, in pratica, sostituisce i cittadini nel controllare ed indagare l’operato degli amministratori e funzionari pubblici.
Come per l’amministratore di condominio, dunque, anche per l’amministratore pubblico, rispetto a risorse finanziarie immensamente più grandi (si pensi ai bilanci di comuni come Napoli, Milano, Roma o ministeri vari) può valere, innanzitutto, l’effetto conformativo indotto dalla paura di essere chiamato dal pubblico ministero contabile a rispondere di condotte gravemente inefficienti e disinteressate, dalla paura di rischiare, quindi, il proprio patrimonio personale, così impegnandosi a meglio operare. Laddove, poi, nonostante il pericolo della responsabilità, si operi ugualmente con menefreghismo, disinteresse e scorretta gestione delle risorse pubbliche, entra in gioco l’azione effettiva del pubblico ministero contabile, terzo ed imparziale, che ha l’obbligo, come si diceva, di intervenire a tutela dei cittadini per fare eventualmente condannare chi ha prodotto danni, sprecando le risorse pubbliche, a risarcirli alla collettività danneggiata.
Con la riforma “Foti” che si sta portando avanti, ove definitivamente approvata, non ci sarà più alcuno strumento per tutelare il cittadino dalla gestione negligente e disinteressata delle risorse pubbliche, dallo spreco delle stesse, con un esonero pressoché totale dei “politici” da ogni responsabilità e la conseguente possibilità per gli stessi di gestire a proprio piacimento funzionari e dirigenti pubblici, in violazione del principio della separazione tra indirizzo e gestione.
Come spiegherò meglio più avanti, la riforma in atto mira semplicemente a lasciare mani libere alla componente politica, prevedendo per gli amministratori una “scudo” rinforzato dalla presunzione che agiscano sempre e comunque bene (presunzione della buona fede).
2. Consistente limitazione del quantum del danno erariale risarcibile
Una prima incisiva modifica, come si diceva, è la fortissima riduzione del danno risarcibile da parte di politici, funzionari e dirigenti pubblici, anche nelle ipotesi nelle quali il danno sia il frutto di condotte gravemente negligenti, viziate da gravissima ignoranza, disinteresse e menefreghismo.
Come noto, la pubblica amministrazione è chiamata a gestire risorse finanziare elevate, rappresentate, nella quasi totalità, dalle tasse pagate dai cittadini e, da ultimo, dai finanziamenti straordinari provenienti dalla Unione Europea (il cd PNRR).
Senza dubbio si tratta di una gestione complessa che richiede da un lato, professionalità, preparazione, attenzione e dedizione al lavoro, ma che, dall’altro, induce anche un “timore” in chi opera, proprio in ragione delle elevatissime somme di denaro gestite e delle possibili altrettanto elevate conseguenze in termini di responsabilità che rischia.
Per questo motivo il legislatore, come indicato anche dalla Corte costituzionale, deve individuare un giusto punto di “equilibrio” che riduca la quantità di rischio dell’attività che grava sull’agente pubblico, in modo che il regime della responsabilità, nel suo complesso, non funga da disincentivo all’azione.
Più banalmente, occorre individuare fino a che punto può ritenersi che l’errore ed il conseguente spreco delle risorse pubbliche da parte dei politici e dei funzionari e dirigenti pubblici possa essere “giustificato” e, dunque, non risarcito rimanendo a carico della collettività. Si tratta, cioè, di individuare il punto fino al quale i danni e gli sprechi (somme spese male ed inutilmente) derivanti da negligenza ed errore, ad esempio, nel costruire un ‘opera oppure nel gestire un ospedale o nell’erogare un servizio sanitario inefficiente con ritardi e liste di attesa infinite, possano non essere risarcite dai responsabili rimanendo a carico dei cittadini.
Ebbene, fino ad oggi, il limite oltre il quale si è ritenuto che non sia più scusabile l’errore e che, quindi, chi rompe deve pagare, deve, cioè, restituire ai cittadini le somme pagate inutilmente, le somme sprecate, è stato individuato nel caso in cui il danno sia conseguenza di un errore che sia gravissimo, frutto di disinteresse, grave ignoranza, grave negligenza, menefreghismo.
Pertanto, l’errore che non sia grave, ma che sia giustificato dalla indubbia complessità della gestione e che non derivi da disinteresse, menefreghismo, assenza sul lavoro, ma da oggettiva difficoltà della materia gestita, non comporta la responsabilità del politico o pubblico funzionario ed il danno che ne sarà derivato sarà pagato dai cittadini.
Viceversa, Il politico e/o pubblico funzionario o dirigente che, per gravissimo errore, disinteresse e menefreghismo, utilizza male le risorse che la collettività gli ha affidato per gestire un ospedale e/o un ufficio pubblico e/o un servizio pubblico (raccolta rifiuti, pulizia delle strade ecc..), dovrà risarcire il danno che ne sarà derivato, restituendo ai cittadini le risorse sprecate.
Il punto di equilibrio così definito ha retto per anni, fin dalla sentenza della Corte costituzionale n. 371/1998.
Con la riforma in corso di approvazione, si mira a rompere questo equilibrio in funzione di una ricomposizione dello stesso in differente formulazione, con spiccata tendenza alla deresponsabilizzazione.
2.1. Limite al quantum risarcibile
Innanzitutto, si introduce una drastica limitazione alla risarcibilità del danno derivante da condotte gravemente negligenti e frutto di disinteresse e menefreghismo nella gestione dei servizi e funzioni pubbliche.
L’autore del danno non potrà risarcire, infatti, più del 30% del danno accertato ed i cittadini dovranno pagare il restante 70%.
Per meglio comprendere, se un amministratore pubblico (sindaco, assessore, presidente, consigliere) e/o funzionario o dirigente pubblico, per gravissimo ed inescusabile errore, dovuto, cioè, a gravissima ignoranza, disattenzione e menefreghismo, decide, ad esempio, di pagare milioni di euro non dovuti oppure costruisce un’opera inutile oppure si “disinteressa” di riscuotere i canoni della locazione degli immobili di proprietà dell’ente pubblico (e quindi di tutti noi cittadini), risponderà, nonostante la gravissima e colpevole negligenza, di non più del 30% di quel danno arrecato. Immaginando, pertanto, uno spreco, di 500.000 euro (ad es, si “regala” la gestione di una bellissima abitazione di proprietà dell’ente pubblico a soggetti “amici” impedendo alla collettività di guadagnare il prezzo di una vendita nel libero mercato), l’amministratore e dirigente e/o funzionario colpevole potrà essere condannato a restituire una somma non superiore a 150.000 euro.
Si badi, il 30% è la quantificazione massima, potendo, pertanto, essere condannati a restituire anche una somma inferiore al predetto limite massimo del 30%, ponendo la restante parte del danno (nel nostro caso euro 350 mila ove si giunga a condannare a risarcire la misura piena del 30% del danno) a carico di noi cittadini che in buona fede abbiamo affidato nelle mani di quell’amministratore e/o funzionario pubblico la gestione delle risorse pubbliche versate attraverso il pagamento delle tasse.
2.2. Ulteriore riduzione del limite massimo risarcibile
Il risarcimento potrebbe, poi, essere anche ulteriormente ridotto, laddove quel famoso 30% dovesse essere, comunque, superiore, al doppio della retribuzione di un anno del funzionario o dirigente colpevole oppure superiore al doppio della indennità fruita dall’amministratore pubblico colpevole della spesa.
In tal ultimo caso, infatti, il massimo risarcibile sarà parametrato all’importo della retribuzione lorda annuale (goduta al momento dell’illecito) e non oltre![2]
Nel nostro esempio, dunque, laddove il funzionario o amministratore colpevole fruiscano, rispettivamente, al momento dell’illecito di una retribuzione lorda annuale oppure di una indennità annuale, pari a 100.00 euro, inferiore quindi ad euro 150.000, pari al limite massimo del 30% del danno di cui all’esempio, saranno condannati a pagare un risarcimento non superiore ad euro 100.000/00 (centomila) a fronte id un danno causato pari a complessivi euro 350.000/00!
Con l’ulteriore seguente beffa per il cittadino: la norma proposta fa riferimento “alla retribuzione lorda conseguita nell'anno di inizio della condotta lesiva causa dell'evento o nell'anno immediatamente precedente o successivo”.
Ciò significa che, se quel funzionario o amministratore che ha sprecato soldi pubblici con disinteresse, successivamente alla data in cui ha commesso gli sprechi, ottiene anche un aumento della retribuzione annuale e/o della indennità, il limite al risarcimento non verrà proporzionalmente aggiornato allo stipendio o indennità più alti successivamente conseguiti! Rimarrà fermo, infatti, come parametro del limite del risarcimento massimo imputabile all’autore del danno, l’importo inferiore della retribuzione goduta al momento della commissione dell’illecito.
Dunque, non solo godrà del limite posto in linea generale al quantum del danno risarcibile, ma, nello specifico caso appena sopra descritto, sarà anche parametrato ad una retribuzione inferiore rispetto a quella effettivamente goduta al momento della condanna![3]
2.3. Si sono salvati anche i concessionari di servizi pubblici
La cosa è resa, poi, ancora più grave dal fatto che il grave limite al quantum di danno risarcibile non riguarda solo i politici ed i funzionari e dirigenti pubblici, ma potrebbe intendersi esteso a ricomprendere anche i concessionari e/o controparti contrattuali della pubblica amministrazione.
La norma proposta, infatti, nel quantificare il limite risarcitorio in questione precisa che non può comunque superare il “il doppio della retribuzione lorda conseguita nell'anno di inizio della condotta lesiva causa dell'evento o nell'anno immediatamente precedente o successivo, ovvero non superiore al doppio del corrispettivo o dell'indennità percepiti per il servizio reso all'amministrazione o per la funzione o l'ufficio svolti, che hanno causato il pregiudizio”.
Il riferimento al “corrispettivo” per il servizio, funzione o ufficio svolti, consente di comprendere tra i destinatari del limite in questione anche i concessionari di servizi pubblici della pubblica amministrazione, anch’essi, infatti, soggetti alla possibile azione del pubblico ministero contabile ove sprechino le risorse pubbliche di cui sono, appunto, affidatari (cioè, concessionari).
Si pensi ai concessionari del servizio di gestione del patrimonio immobiliare di un ente pubblico o del servizio di raccolta dei rifiuti.
Ebbene, anche in questo caso, quel concessionario, pur essendo un privato che fruisce di beni e risorse pubbliche, non potrà essere condannato a risarcire un danno che sia superiore al doppio del corrispettivo contrattuale che fruisce per erogare quel servizio pubblico, anche se il danno arrecato alla collettività sarà molto più alto!
3. Ma non finisce qui
Responsabilità a geometria variabile: casi di esonero totale da responsabilità, nei quali il funzionario e/o il politico non è proprio chiamato a risarcire il danno pur se commesso con gravissima negligenza… (caso della ADER -agenzia entrate riscossione;
- del funzionario che conclude accertamenti con adesione, di accordi di mediazione, di conciliazioni giudiziali e di transazioni fiscali in materia tributaria;
- della Rai;
- dell’esonero dal danno per mancata copertura dei servizi minimi;
- dell’esonero da responsabilità per dissesto degli enti locali)
Vi sono casi, introdotti con la riforma in corso, nei quali il funzionario non può essere chiamato a risarcire il danno derivante da spreco inutile di risorse pubbliche, anche se lo ha commesso con una condotta inammissibilmente negligente e menefreghista del pubblico interesse.
Insomma, una responsabilità per danno all’erario a “geometria variabile” con spiccata tendenza all’esonero.
Tra i casi in questione, acquisisce notevole interesse per il cittadino, innanzitutto quello, contenuto nella riforma in esame, relativo alla ipotesi in cui il funzionario e/o dirigente pubblico concluda “procedimenti di accertamento con adesione, di accordi di mediazione, di conciliazioni giudiziali e di transazioni fiscali in materia tributaria” che si rivelino dannosi per la collettività. Si tratta della materia relativa alla gestione delle “tasse” e, più in particolare, dei casi nei quali il funzionario pubblico sbagli, per gravissimo errore, nella gestione del tributo o imposta o tassa a carico di un contribuente, ad es. avvantaggiando indebitamente il contribuente destinatario di quei provvedimenti (si pensi ad una transazione fiscale dannosa per la collettività ma indebitamente vantaggiosa per i contribuente con cui è conclusa), con disparità di trattamento rispetto a tutti gli altri cittadini-contribuenti!
Già esistono, poi, norme, ad oggi in vigore, che prevedono ulteriori casi di vantaggi e forme di irresponsabilità in favore di alcune categorie di dipendenti pubblici: si pensi alla agenzia entrate riscossione (ADER): sono ben noti ai contribuenti i fastidi e le conseguenze in termini di danni patrimoniali che possono derivare da una esecuzione coattiva per cartelle esattoriali illegittime o comunque indebite. Ebbene, con il d.lgs. 110/24 recante “Disposizioni in materia di riordino del sistema nazionale della riscossione”, disciplinante, nello specifico, l’attività della sola agenzia entrate riscossione, si è escluso che si possa agire dinanzi alla magistratura contabile per far condannare ADER 8 ed i relativi funzionari) al risarcimento per i danni arrecati alle casse pubbliche (e quindi alle tasche dei cittadini) a seguito di omissioni, irregolarità e i vizi verificatisi nello svolgimento dell'attività di riscossione, salvo limitate ipotesi elencate tassativamente dalla norma[4]. In pratica se la ADER, agenzia entrate riscossione, pone in essere una esecuzione forzata indebita a danno di un cittadino/contribuente arrecandogli, oltre a gravi fastidi, anche danni patrimoniali, nessun dirigente o funzionario della ADER medesima risponderà davanti alla corte dei conti per quella condotta, anche se gravemente negligente e disinteressata.
Laddove, infatti, il cittadino/contribuente vessato riuscirà ad ottenere il risarcimento del danno che ha patito per quelle esecuzioni fiscali illegittime, quel danno sarà pagato con soldi pubblici e quindi a carico dei cittadini che pagano le tasse, senza che il pubblico ministero contabile possa chiamare in giudizio il funzionario ADER autore della condotta illecita e gravemente negligente per ottenere che restituisca ai cittadini quelle somme!
Si pensi alla Rai: Ai sensi dell’art 64 del d.lgs. 208/2021[5] L'amministratore delegato e i componenti degli organi di amministrazione e controllo della Rai-Radiotelevisione italiana S.p.a non possono rispondere del danno erariale, cioè non possono essere chiamati dal pubblico ministero contabile per essere condannati a risarcire i danni derivanti dallo spreco dele risorse pubbliche che i cittadini versano mediante pagamento del canone Rai! Eventuali spese “pazze”, di ogni genere, sostenute dalla RAI, saranno a carico esclusivo dei cittadini e delle stesse non risponderanno i vertici della RAI.
Si pensi ai politici per i quali:
1) Dl 543/96 art 3 comma 2 ter prevede l’esonero degli amministratori dal danno derivante dalla mancata copertura dei servizi minimi: L'azione di responsabilità per danno erariale non si esercita nei confronti degli amministratori locali per la mancata copertura minima del costo dei servizi[6];
2) Dl 25/2025, nel modificare l’art 248 dlgs 267/00[7], con riferimento alla responsabilità per dissesto dell’ente locale ed alla conseguente ineleggibilità ed incandidabilità decennale comminata ai politici che abbiano causato quel dissesto, ha introdotto una drastica limitazione di siffatta responsabilità, precisando che, ove anche risulti avere causato o concausato il dissesto dell’ente locale, con colpa grave e cioè per condotte gravemente negligenti e disinteressate, con evidente spreco delle risorse dei propri cittadini, non potrà essere condannato alla ineleggibilità ed incandidabilità e, dunque, non risponderà del dissesto, se avrà adottato un piano di riequilibrio finanziario pluriennale approvato dalla Corte dei conti, ai sensi dell'articolo 243-bis, entro due anni dall'insediamento del primo mandato e a seguito di delibera della Corte dei conti ai sensi dell'articolo 148-bis, comma 3, di accertamento di gravi irregolarità o criticità relative agli esercizi precedenti l'elezione. In definitiva, ove anche gli amministratori pongano in essere azioni gravemente negligenti e buttino letteralmente i soldi dei contribuenti dalla finestra causando il dissesto dell’ente locale, potranno comunque andare esenti da ogni responsabilità erariale semplicemente adottando e facendo approvare dalla corte dei conti un piano di riequilibrio, nel rispetto dei tempi normativamente previsti.
Piano di riequilibrio, con il quale, tra l’altro, le tasse, a carico dei cittadini, vengono alzate fino alle aliquote massime.
In questo modo i cittadini sono beffati due volte: non solo l’amministratore in questione avrà sprecato le risorse del bilancio dell’ente provocandone il dissesto (fallimento), senza rispondere di alcunché, ma le tasse, a causa di questa condotta che rimarrà impunita, verranno portate alla aliquota massima, aumentando il peso fiscale sui cittadini medesimi.
A testimoniare quanto la predetta norma sia “parziale” e finalizzata a consolidare la irresponsabilità della sola componente politica, rileva il fatto che analogo esonero da responsabilità non è stato, invece, previsto per i revisori dei conti, per i quali, ove concorrenti al dissesto, permangono, invece, le sanzioni già previste con la norma di cui al comma 5 bis del medesimo art. 248 d.lgs. 267/00.[8]
In un simile contesto normativo, la generale limitazione del quantum del danno risarcibile, unitamente ad ulteriori situazioni particolari nelle quali, viceversa, i funzionari e dirigenti sono totalmente esentati da ogni responsabilità, non vi sarà più alcun incentivo ad agire con diligenza, non vi sarà più il deterrente, rappresentato dalla possibile responsabilità patrimoniale personale, utile ad indurre, chi gestisce le ingenti risorse provenienti dalle tasse pagate dai cittadini, ad agire in modo diligente, in quanto ormai a pagare tutte le conseguenze delle condotte illecite sarà solo “Pantalone”, cioè i cittadini medesimi!
4. E ancora non finisce qui: dallo scudo alla immunità per gli amministratori pubblici: l’eldorado della componente politica
Con recente emendamento il progetto di legge Foti ha anche rafforzato la esenzione della componente politica da ogni responsabilità per lo spreco delle risorse pubbliche, prevedendo in loro favore una presunzione normativa di buona fede.
Si prevede, infatti, che nel caso di deliberazioni di organi collegiali aventi ad oggetto atti che rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi, la responsabilità non si estende ai titolari degli organi politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne abbiano autorizzato o consentito l'esecuzione: a tal proposito si precisa che la buona fede è presunta per legge!
Viene in tal modo “scudata” la posizione della sola componente politica, rispetto a quella di funzionari e dirigenti pubblici, ritenendoli esenti da ogni responsabilità, in quanto si presume la relativa buona fede!
Con una inversione dell’onere della prova normativamente imposto, sarà eventualmente compito del pubblico ministero dimostrare che, nella realtà dei fatti, quella buona fede non esisteva. Ove non si riesca a fornire in giudizio siffatta prova, quel politico non risponderà dello spreco di risorse pubbliche causato! Ne risponderà il solo dirigente o funzionario che ha dato parere favorevole, ma con il limite risarcitorio sopra richiamato, anche se la condotta dello stesso è stata viziata da gravissima negligenza, disinteresse, ignoranza e menefreghismo verso la corretta gestione delle risorse dei cittadini!
Ove, poi, si riesca comunque a provare, da parte del PM contabile, la assenza della buona fede, l’eventuale condanna dell’amministratore pubblico al risarcimento del danno sconterà i limiti quantitativi più volte richiamati e che, nello specifico caso degli amministratori, corrispondono al 30% del danno accertato o, comunque, non superiore al doppio della “indennità” percepita per la funzione svolta.
Ove, infine, dalle condotte dissennate e di spreco ne scaturisca anche il dissesto, ad esempio, del comune, gli amministratori non sconteranno alcuna responsabilità se, prima della formale dichiarazione del dissesto stesso, avranno ottenuto la approvazione di un piano di riequilibrio con il quale, tra l’altro, le tasse verranno portate alle massime aliquote, con conseguente gravissimo aumento del peso fiscale a carico dei cittadini!
4.1. Funzionari e/o dirigenti pubblici: Dalla “paura della firma” alla “paura degli amministratori” [9]
L’ordito normativo, se da un lato tesse uno “scudo” ben attrezzato per la componente politica, dall’altro colloca i dirigenti e funzionari pubblici in uno stato di evidente prostrazione.
Pur prevedendo la più volte menzionata limitazione quantitativa del risarcimento del danno cui possono andare incontro, nel contempo prevede, però, per i soli funzionari e dirigenti pubblici e non anche per i politici che concorrano nello spreco delle risorse pubbliche, la possibilità che gli venga irrogata, per i soli casi più gravi, anche una sanzione interdittiva consistente nella sospensione dalla gestione di risorse pubbliche per un periodo compreso tra sei mesi e tre anni, con conseguente destinazione a funzioni di studio e ricerca ed avvio di un procedimento disciplinare ai sensi dell’art. 21 d.lgs. 165/01[10].
Ne deriva, dal quadro normativo oggetto di proposta, che la posizione di dirigenti e funzionari, al cospetto della componente politica ben scudata da ogni possibile responsabilità risarcitoria e(o sanzionatoria per gli sprechi causati, sarà di evidente debolezza, con la conseguente disapplicazione del principio di separazione tra potere di indirizzo e gestione di cui al d.lgs. 165/01.
La ratio di fondo, dunque, della riforma in commento non è certo quella dichiarata del maggiore efficientamento della corte dei conti, bensì quella di un mal celato obiettivo di deresponsabilizzazione, in primis della componente politica, in favore della quale, non solo si è previsto un sistema ben strutturato di esonero e/o drastica limitazione della responsabilità erariale, senza previsione, nei loro confronti, di eventuali sanzioni interdittive previste, invece, nei confronti di funzionari e dirigenti pubblici autori di ingenti danni erariali, ma sono state, nel contempo, anche gravemente ridotte le conseguenze sanzionatorie originariamente previste per le condotte di spreco causative del dissesto degli enti locali!
V’è da dire, a tal ultimo proposito, che la previsione delle sanzioni interdittive, consistenti, in pratica, nella temporanea sospensione dalla gestione di un certo settore di coloro per i quali sia stata accertata con sentenza una condotta gravemente negligente, rappresenta una misura che, a mio modo di vedere, può giustamente compensare la previsione di un tetto massimo alla risarcibilità, da parte dei dipendenti medesimi, del danno patrimoniale accertato.
Rappresenta, infatti, misura ragionevole il destinare ad altro incarico coloro che diano prova di inefficienza e grave negligenza in un determinato settore di gestione. Si tratta, peraltro, di misura che, se da un lato non incide in modo devastatane sul patrimonio personale, come nel caso di condanne a risarcire danni milionari, dall’altro consente, comunque, di sanzionare chi opera con gravissima negligenza, così da mantenere inalterata la funzione deterrente della responsabilità per danno all’erario, prospettandosi, in caso di condanna per gravissima negligenza, sia il risarcimento di una quota minima del danno (come ampiamente illustrato sopra), ma anche l’eventuale spostamento ad altro incarico, con il rischio di perdere parte del trattamento retributivo accessorio.
Peraltro, la declinazione di siffatta misura interdittiva ben si inquadrerebbe nell’attuale sistema della responsabilità, connotato da un evidente spostamento della attenzione del legislatore dalla posizione del danneggiato, cui va prioritariamente assicurato l’integrale risarcimento del danno patito, alla posizione del danneggiante, rispetto al quale va tenuto in debita considerazione, sotto lo specifico profilo del limite delle conseguenze patrimonialmente rilevanti della responsabilità, il rapporto proporzionale tra l’assunzione delle responsabilità e l’ammontare della retribuzione erogatagli per l’assunzione di quelle medesime responsabilità.
Tuttavia, che la richiamata previsione sanzionatoria accessoria, di cui al DDL Foti, sia relativa ai soli dirigenti e funzionari pubblici e non sia estesa anche ai “politici”, adattandola ovviamente allo specifico ruolo dagli stessi ricoperto, rende il tutto estremamente asimmetrico, costruendo un sistema di immunità per la sola componente politica finalizzato a ricondurre il pallino, non solo dell’indirizzo ma anche della gestione delle risorse pubbliche nelle loro mani.
Il problema principale, però, è che, ormai, rarissimamente si discuterà di risarcimenti di danni erariali, peraltro molto contenuti nel quantum o di sanzioni accessorie interdittive comminate, in quanto, la riforma in commento si spinge fino alla definitiva riduzione al silenzio delle procure contabili!
4.2. Mani legate alle procure… non più tali!
La riforma, infatti, va molto oltre, incuneandosi nel DNA della magistratura contabile per mutarlo definitivamente in qualcosa di diverso, contrario alla nostra stessa amata Costituzione!
Fermi restando tutti i paletti, limiti e scudi previsti alla possibile responsabilità per danno all’erario, si è prevista, mediante un progetto di legge delega, sempre integrato nel Foti, la riorganizzazione della magistratura contabile, con l’evidente fine ultimo di limitare drasticamente, fino alla eliminazione sostanziale, la possibilità di azioni giurisdizionali per responsabilità derivante da sprechi di risorse pubbliche.
Se da un lato, infatti, si ampliano le funzioni di controllo e consultive, definite espressamente prioritarie in sede di delega legislativa, con la conseguenza che gli atti sui quali si interviene in tale specifica funzione saranno totalmente scudati da responsabilità per danno all’erario; dall’altro si verticalizzano le procure erariali, con poteri di accentramento e di avocazione dei fascicoli, di accesso agli atti e addirittura di “cofirma” degli atti di chiamata in giudizio da parte del procuratore generale!
Viene letteralmente stracciata con un semplice tratto di penna la caratteristica fondante di una magistratura che sia davvero tale, la indipendenza, cioè, l’autonomia e terzietà dei magistrati medesimi, subordinando i pubblici ministeri ad un vero e proprio potere di ingerenza dell’unico procuratore generale.
Ove anche i cittadini dovessero denunciare imbrogli e sprechi delle risorse pubbliche da parte di amministratori, dirigenti e funzionari, il pubblico ministero sarà pur sempre soggetto al parere, al controllo, alla valutazione e decisione di un unico soggetto, il procuratore generale, con gravissime ricadute sotto il profilo della assenza di autonomia, terzietà ed indipendenza!
Si giunge, in questo modo, ad impedire la libera ed autonoma azione tipica di una magistratura e del suo potere inquirente, in pratica si trasforma la magistratura contabile in qualcosa che non è più una “Magistratura”, sottraendo alla Repubblica un baluardo, previsto in Costituzione, a difesa del corretto uso delle risorse pubbliche, sostituendolo con una sorta di “amministrazione” e violando di netto gli art. 25 e 107 Cost. Il tutto con una semplice legge ordinaria!
Per ironia della sorte, nel progetto di legge in esame, nel trattare della riforma delle procure, si fa ricorso al termine “procura della Repubblica presso la Corte dei conti”, nonostante si stia trasformando le stesse in qualcosa d’altro, di certo non più “procura della Repubblica”!
Si tratta, forse, di un errore freudiano di chi ha compilato questo incredibile “pastrocchio” a danno di tutti i cittadini della Repubblica, quasi a testimoniare un intimo sussulto della coscienza rispetto alla consapevolezza di avviarsi, in questo modo, ad eliminare il vero baluardo contro gli sprechi delle risorse pubbliche in una nazione, come la nostra, divorata dal debito pubblico!!!
C’è da domandarsi se, una volta ben compreso in cosa effettivamente consista questa riforma della Corte dei conti e le conseguenze concrete cui dà luogo in termini di drastica limitazione della responsabilità per lo spreco delle risorse della collettività, sia ciò che davvero vuole il popolo italiano!
Senza dubbio, al momento, una riforma siffatta fornisce una risposta chiara e netta alla domanda e adesso chi pagherà? che il cittadino si pone, sgomento, di fronte ad intollerabili sprechi di denaro pubblico: Pantalone, cioè gli stessi cittadini, cioè tutti noi!
[1] Si consenta il rinvio a: FERRUCCIO CAPALBO, “Riforma della Corte dei conti: che paghi la collettività i danni causati dai funzionari incapaci - dalla "paura della firma" alla paura che i dirigenti firmino” in LEXITALIA – ottobre 2024.
[2] La proposta normativa è la seguente: 1-octies. Salvi i casi di danno cagionato con dolo o di illecito arricchimento, la Corte dei conti esercita il potere di riduzione ponendo a carico del responsabile, in quanto conseguenza immediata e diretta della sua condotta, : il danno o il valore perduto per un importo non superiore al 30 per cento del pregiudizio accertato e, comunque, non superiore al doppio della retribuzione lorda conseguita nell'anno di inizio della condotta lesiva causa dell'evento o nell'anno immediatamente precedente o successivo, ovvero non superiore al doppio del corrispettivo o dell'indennità percepiti per il servizio reso all'amministrazione o per la funzione o l'ufficio svolti, che hanno causato il pregiudizio.
[3] Vi è, inoltre, una evidente asimmetria con altri settori dell’ordinamento, come quello delle società commerciali. In tale ultimo ambito, infatti, con la recente legge 35/2025, nel modificare l’art 2407 cc, ha posto un tetto al danno dai medesimi risarcibile ove commesso con negligenza. Tuttavia, in questo specifico caso si è fatto ricorso ad un multiplo della indennità percepita molto più alto di quello previsto per i politici ed i funzionari e dirigenti pubblici dal ddl FOTI (pari al doppio della retribuzione o indennità annuale) in quanto va DA UNA MISURA PARI DA QUINDI A DIECI VOLTE IL COMPENSO“…i sindaci che violano i propri doveri sono responsabili per i danni cagionati alla società che ha conferito l'incarico, ai suoi soci, ai creditori e ai terzi nei limiti di un multiplo del compenso annuo percepito, secondo i seguenti scaglioni: per i compensi fino a 10.000 euro, quindici volte il compenso; per i compensi da 10.000 a 50.000 euro, dodici volte il compenso; per i compensi maggiori di 50.000 euro, dieci volte il compenso”
[4] La norma di cui all’art. 6 comma 10 e 11 reca:
Le omissioni, le irregolarità e i vizi verificatisi nello svolgimento dell'attività di riscossione non comportano l'avvio di giudizi di responsabilità previsti dal codice della giustizia contabile, di cui all'allegato 1 al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, salvo che in presenza di dolo e con l'eccezione, altresì, dei casi in cui dal mancato rispetto, per colpa grave, delle previsioni:
a) dell'articolo 2, comma 1, lettere a) e b), sia derivata la decadenza o la prescrizione del diritto di credito, per le quote affidate a decorrere dal 1° gennaio 2025;
b) dell'articolo 2, comma 1, lettera b), sia derivata, relativamente agli adempimenti posti in essere a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la prescrizione del diritto di credito, per le quote affidate fino al 31 dicembre 2024.
11. Le disposizioni del comma 10 si applicano anche nei casi di riaffidamento ai sensi dell'articolo 5, commi 1, lettera c), e 5.
[5] Art. 64. Responsabilità dei componenti degli organi della RAI-Radiotelevisione italiana S.p.a.
In vigore dal 25 dicembre 2021
1. L'amministratore delegato e i componenti degli organi di amministrazione e controllo della RAI-Radiotelevisione italiana S.p.a. sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali
[6] Dl 543/96 art 3 comma 2 ter prevede l’esonero degli amministratori dal danno derivante dalla mancata copertura dei servizi minimi: L'azione di responsabilità per danno erariale non si esercita nei confronti degli amministratori locali per la mancata copertura minima del costo dei servizi
[7] Art 248, dlgs 267/00 come modificato dall’art. 8, comma 7, D.L. 14 marzo 2025, n. 25: Fermo restando quanto previsto dall'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, gli amministratori che la Corte dei conti ha riconosciuto, anche in primo grado, responsabili di aver contribuito con condotte, dolose o gravemente colpose, sia omissive che commissive, al verificarsi del dissesto finanziario, non possono ricoprire, per un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati. I sindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili ai sensi del periodo precedente, inoltre, non sono candidabili, per un periodo di dieci anni, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo. Non possono altresì ricoprire per un periodo di tempo di dieci anni la carica di assessore comunale, provinciale o regionale nè alcuna carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. Ai medesimi soggetti, ove riconosciuti responsabili, le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti irrogano una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte la retribuzione mensile lorda dovuta al momento di commissione della violazione .Le disposizioni di cui al primo, secondo e terzo periodo del presente comma non si applicano agli amministratori che, nei soli casi in cui la responsabilità sia attribuita per colpa grave, abbiano adottato un piano di riequilibrio finanziario pluriennale approvato dalla Corte dei conti, ai sensi dell'articolo 243-bis, entro due anni dall'insediamento del loro primo mandato e a seguito di delibera della Corte dei conti ai sensi dell'articolo 148-bis, comma 3, di accertamento di gravi irregolarità o criticità relative agli esercizi precedenti l'elezione.
[8] 5-bis. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, qualora, a seguito della dichiarazione di dissesto, la Corte dei conti accerti gravi responsabilità nello svolgimento dell'attività del collegio dei revisori, o ritardata o mancata comunicazione, secondo le normative vigenti, delle informazioni, i componenti del collegio riconosciuti responsabili in sede di giudizio della predetta Corte non possono essere nominati nel collegio dei revisori degli enti locali e degli enti ed organismi agli stessi riconducibili fino a dieci anni, in funzione della gravità accertata. La Corte dei conti trasmette l'esito dell'accertamento anche all'ordine professionale di appartenenza dei revisori per valutazioni inerenti all'eventuale avvio di procedimenti disciplinari, nonché al Ministero dell'interno per la conseguente sospensione dall'elenco di cui all'articolo 16, comma 25, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. Ai medesimi soggetti, ove ritenuti responsabili, le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti irrogano una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte la retribuzione mensile lorda dovuta al momento di commissione delle violazioni.
[9] Si consenta il rinvio a: FERRUCCIO CAPALBO, “Riforma della Corte dei conti: che paghi la collettività i danni causati dai funzionari incapaci - dalla "paura della firma" alla paura che i dirigenti firmino” in LEXITALIA – ottobre 2024.
[10] 1-decies Nella sentenza di condanna la Corte dei conti può, nei casi più gravi, disporre a carico del dirigente o del funzionario condannato la sospensione dalla gestione di risorse pubbliche per un periodo compreso tra sei mesi e tre anni. L'amministrazione, conseguentemente, avvia immediatamente un procedimento ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, da concludere improrogabilmente entro il termine della sospensione disposta con il passaggio in giudicato della sentenza, e assegna il dirigente o il funzionario sospeso a funzioni di studio e ricerca.»