1. Premessa
Mi è stato chiesto di scrivere quest’articolo (per la rivista giustiziainsieme.it) non nella mia veste professionale di magistrato o, più in generale, di studioso del diritto, ma in relazione alle pubblicazioni relative a raccolte di mie poesie.
Infatti, nel corso del 2021 ho pubblicato due raccolte: Oblio (edizioni La Bussola, Roma), che include anche poesie scritte in gioventù, e Lenzuola bianche (edizioni La Bussola, Roma), raccolte che sono state presentate in un pubblico incontro il 6 ottobre 2022 presso la Biblioteca del Comune di Caserta.
Da ultimo, nel 2023, ho pubblicato una terza raccolta di poesie dal titolo Sogni brevi (edita da Pendragon, Bologna) presentata a Capua il 19 maggio 2023 su invito del prof. Domenico Proietti dell'Università della Campania "Luigi Vanvitelli"[i] nell’ambito della diciottesima edizione di Capua il luogo della lingua Festival[ii].
Già il termine “poesia” riferito a queste pubblicazioni richiede una doverosa precisazione. È evidente che attribuire o riconoscere, a determinati scritti, la qualificazione di essi come “poesie” è un’operazione che sfugge all’autore: solo alla critica letteraria e al pubblico, cui tali versi sono destinati (grazie alle aspettative dell’editore), compete infatti il giudizio circa la natura o meglio lo spessore “poetico” di essi. E questa precisazione vale tanto più nel mio caso di scrittore che invade un campo non proprio, diverso essendo il mio mestiere di magistrato.
Insomma, sentire parlare di me come “poeta” è qualcosa che (senza falsa modestia) in fondo mi imbarazza, nel dovuto rispetto cioè di coloro che, appartenendo al mondo letterario, hanno dedicato la propria esistenza alla letteratura e, segnatamente, alla poesia.
Ma proprio la mia estraneità al mondo letterario e in particolare la mia professione di magistrato sono gli elementi che hanno incuriosito, fin dal primo incontro del 6 ottobre 2022, il prof. Proietti, che ha posto il tema delle possibili connessioni tra l’attività del magistrato e l’attività del “poeta”.
In effetti nel primo incontro del 6 ottobre 2022, alla domanda del prof. Proietti al riguardo, ho quasi negato che vi fosse un legame tra i due mondi (quello professionale e quello della mia poesia), basandomi sulla mera constatazione del fatto che ho cominciato a scrivere versi quando ero adolescente, e quindi prima degli studi di legge e, poi, dell’ingresso in magistratura.
E tuttavia in vista del successivo incontro del 19 maggio 2023 ho riflettuto sul tema, arrivando a dare una risposta più articolata sulle possibili connessioni tra attività di magistrato e attività di scrittore di versi.
2. Il piano linguistico
La funzione del magistrato è quella di interprete della legge, da applicare al caso concreto. L’interpretazione della legge, o anche di un negozio giuridico, è quindi attività propria del magistrato, la quale necessariamente gli impone di analizzare il significato proprio delle parole (interpretazione testuale) al fine di definire un istituto giuridico o una fattispecie ovvero per distinguere un caso da un altro (interpretazione logica).
È dunque evidente come un’attività professionale di questo tipo, svolta in concreto per lunghi anni, possa acuire l’abitudine alla precisione del linguaggio da usare, diventare un habitus mentale (o più genericamente culturale) che, evidentemente, non può non influenzare ambiti diversi da quelli prettamente giuridici o professionali. Invero in una decisione non si può usare un termine per un altro (non sono equivalenti “proprietà” e “possesso”, “furto” e “rapina”, e così via).
Se dunque l’esercizio della professione di magistrato può aver affinato l’attenzione alla parola usata e quindi la precisione logica e linguistica, nella ricerca cioè del termine che meglio rappresenti una fattispecie sottoposta al suo esame, è difficile pensare che ciò, specie in una poesia che vuole essere evocativa, non abbia influito sull’esattezza della parola o dell’aggettivo che meglio esprima in versi un’emozione o anche una situazione, che sia o no metafora di un sentimento provato e da comunicare.
3. Il piano dell’espressione
La letteratura (prosa o poesia) esprime “storie” o comunque “momenti” (emozioni) di vita vissuta o immaginata come reale.
In oltre quarant’anni di esercizio delle funzioni di magistrato, nel settore penale e nel settore civile, ho conosciuto migliaia di vicende umane, sia pure nella loro patologia (tanto da richiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria) o comunque nella loro (spesso contrastante) rappresentazione o ricostruzione (essendo come giudice chiamato a decidere sulle stesse, nella ricerca della verità o comunque della soluzione più “giusta”). Si trattava di vicende, come ho detto, spesso traumatiche, di sofferenza o di morte.
Come negare una qualche influenza di tali vicende nelle poesie che ho scritto, le più dolenti o drammatiche?
Penso agli incidenti sul lavoro, alle perizie psicologiche o di psichiatria infantile in tema di affidamento di minori, alle interdizioni o inabilitazioni, a sofferte separazioni o divorzio di coniugi, alla valutazione dei danni alla persona nelle cause di accertamento delle responsabilità (civile o penale), alle autopsie (nei casi di omicidio o di decesso per malattie professionali o più in generale per colpa) … e così via.
Ecco, quindi, un secondo punto di contatto (quello che si esprime sul piano dell’espressione o dei contenuti, cioè delle “storie” o dei “momenti” evocati nelle poesie) tra l’essere magistrato e l’essere “poeta”.
4. Il ruolo sociale
Può esservi infine un terzo punto di contatto, più profondo o di non immediata percezione, tra l’attività giudiziaria e la letteratura, e quindi la poesia.
In tutte le funzioni da me svolte come magistrato, nell’applicazione della legge ho sempre cercato di interpretare la singola norma alla luce dei principi affermati nella Costituzione, e quindi nell’ambito dei valori che tali principi esprimono: eguaglianza, tutela dei diritti e dei legami familiari, protezione del cittadino dall’arroganza del potere, ecc.
Quanto all’attività di poeta, chi ha approfondito il tema del ruolo svolto dalla letteratura (e quindi, in essa, dalla poesia) nel contesto sociale in un determinato momento storico, dall’antica Grecia fino ai giorni nostri, è giunto ad affermare, con riferimento ovviamente ai grandi Autori, come la letteratura abbia assunto il ruolo di indicare alla società del loro tempo valori da affermare e perseguire.[iii]
Come ho scritto nella mia introduzione a Sogni brevi e come ha notato il prof. Tiozzo nella prefazione (intitolata Una riapertura alla vita), in quest’ultima opera (Sogni brevi) è più chiara in me, sia pure con il senno di poi, la percezione che i miei versi non siano solo come una fotografia di un momento della mia esistenza, ma che essi possano essere letti come la riaffermazione o anche la mera indicazione di valori da difendere o da portare avanti.
In effetti, l’ispirazione di alcuni versi, in modo più esplicito rispetto alle precedenti raccolte, mi ha spinto a toccare temi sociali, problematici se non tragici, così facendo, anche solo rilevando che c’è un problema, la mia poesia in tal caso ha, in fondo, finito con l’indicare al lettore quei nobili valori di eguaglianza, di rispetto degli altri e della natura e dell’ambiente. Anche i versi più semplici, relativi ad emozioni nei rapporti familiari, non sono forse l’affermazione dell’importanza di tali legami? Oppure, il rispetto dell’altro non si esprime anche con il semplice saluto (si vedano i versi sotto il titolo “Il saluto”)? Un semplice saluto non indica un valore apposto all’arroganza, alla supponenza cui spesso veniamo in contatto?
Ed allora ecco il legame (profondo) che ha unito o unisce l’attività di magistrato, da me svolta nel corso di tanti anni nell’affermazione dei valori e dei principi costituzionali, a quella del “poeta”, là dove essa – non importa se in modo consapevole o meno da parte dell’autore - esprima i più alti valori che dovrebbero guidare la società civile nel rispetto di ciascuno e della vita umana.
[i] Domenico Proietti, professore associato di Linguistica italiana, Dipartimento di lettere e beni culturali dell'Università della Campania "Luigi Vanvitelli".
[ii] All’incontro ha partecipato anche Daniela Carmosino, Ricercatrice T.D.A. e docente di Critica letteraria e letterature comparate presso il Dipartimento di lettere e beni culturali (DiLBeC)), Università della Campania "Luigi Vanvitelli", Santa Maria Capua Vetere (CE), nonché l’attore Bernardo Casertano, che ha letto e interpretato alcune poesie tratte dalla raccolta Sogni brevi.
[iii] Si veda l’illuminante saggio di Umberto Apice, Una musa per temi. Diritto e processi in letteratura, edito da Lastoria, 2022, Vignate – MI.