Autotutela, affidamento e interessi sensibili: la Corte Costituzionale si pronuncia sulla legittimità del termine di dodici mesi previsto dall’art. 21 nonies L. 241/1990 (nota a Corte Costituzionale, 26 giugno 2025, n. 88).
di Silvia Casilli
Sommario: 1. I fatti di causa e la rimessione alla Corte Costituzionale. – 2. L’annullamento d’ufficio, la tutela dell’affidamento e l’importanza del fattore temporale– 3. La tutela del bene culturale e il bilanciamento tra contrapposti interessi: non esistono diritti tiranni (neppure quando espressione di interessi sensibili e costituzionalmente tutelati) – 4. La pronuncia della Corte Costituzionale.
1. I fatti di causa e la rimessione alla Corte Costituzionale.
Con la sentenza n. 88 del 2025, la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla dibattuta[1] questione dell’operatività del limite temporale “fisso” stabilito dall’art. 21 nonies L. 241/1990 per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio di provvedimenti autorizzativi o attributivi di vantaggi economici, tipologia di provvedimenti nella quale rientrava, nel caso di specie, il rilascio di un attestato di libera circolazione del bene culturale ex art. 68 D.Lgs. 42/2004[2].
In particolare, rimessa al vaglio della Consulta era la compatibilità costituzionale[3] del limite massimo, attualmente previsto in dodici mesi, per l’esercizio del potere di autotutela ex art. 21 nonies l. 241/1990 ove i provvedimenti fossero incidenti su interessi sensibili e costituzionalmente tutelati.
La Corte Costituzionale, con una pronuncia particolarmente rilevante, definisce i limiti del potere di annullamento d’ufficio, dichiarando non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 21 nonies L. 241/1990 nella parte in cui stabilisce in via generale il termine finale di un anno (dal momento di adozione dell’atto invalido) per l’esercizio da parte dell’amministrazione del potere di annullamento di ufficio di provvedimenti ampliativi illegittimi e, dunque, anche con riferimento alle autorizzazioni aventi ad oggetto beni di interesse culturale, nonostante il suo preminente rilievo costituzionale.
La fattispecie[4] che ha originato l’intervento della Corte Costituzionale riguarda l’impugnazione[5], per tardività, di un provvedimento di annullamento in autotutela (datato 15 novembre 2021) di un attestato di libera circolazione di cui all’art. 68 Codice dei beni culturali (rilasciato nel 2015) a fronte dalla descrizione del quadro da parte del richiedente come olio su tela di “scuola italiana del XVI secolo, e raffigurante una figura femminile”.
L’annullamento in autotutela era stato esercitato, sì dopo sei anni dal rilascio del provvedimento di autorizzazione, ma poco dopo la scoperta, da parte dell’amministrazione, del fatto che l’opera nel 2019, in esito al suo restauro, era stata attribuita a Giorgio Vasari da uno storico dell’arte, che aveva dimostrato la tela essere la rappresentazione della “Allegoria della pazienza”; il quadro, facente parte della collezione della moglie del richiedente, la cui famiglia era legata per parentela ad un cardinale, storico committente del Vasari, presentava inoltre, a seguito del restauro, il motto del Vasari, confermandone l’autenticità, tanto da essere poi esposta alla National Gallery di Londra.
Venuta dunque a conoscenza di tale ultima circostanza, la Direzione generale archeologia belle arti e paesaggio del Ministero della Cultura, annullava in autotutela, ai sensi dell’art. 21 nonies l. 241/1990, l’attestato di libera circolazione, ritenendolo viziato da travisamento dei fatti.
Il privato destinatario del provvedimento presentava le proprie osservazioni, in risposta delle quali l’Amministrazione confermava la propria decisione ed emetteva un provvedimento di diniego dell’attestato di libera circolazione, avviando contestualmente il procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale ex art. 14 Codice dei beni culturali, come previsto dall’art. 68 comma 6[6] del medesimo Codice.
Avverso tali provvedimenti venivano proposti dinanzi al TAR due distinti ricorsi, uno da parte del privato destinatario dei provvedimenti e l’altro da parte dell’attuale proprietario della tela, entrambi respinti: il TAR[7] aveva infatti ritenuto non tardivo l’annullamento d’ufficio sia per l’operare dell’eccezione del comma 2 bis dell’art. 21 nonies l. 241/1990, sia perché aveva ritenuto – seppur in contrasto con la portata letterale della stessa previsione normativa[8] – che il termine non potesse che “decorrere da quando si provi che l’amministrazione è venuta a conoscenza degli elementi che le erano stati sottratti, o offerti malamente”.
Diversamente, in appello, il Consiglio di Stato[9] concludeva per l’applicabilità del limite temporale di cui al comma 1 dell’art 21 nonies, in conseguenza dell’esclusione – diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado – della ravvisabilità della “prova piena” della “falsa rappresentazione dei fatti” e dunque dell’eccezione al limite temporale rigido di cui al comma 2 bis.
Ciò nonostante, il giudice rimettente individuava dei punti d’ombra nella vicenda e motivava sui presupposti per sollevare la questioni di legittimità costituzionale dell’art 21 nonies comma 1 l. 241/1990.
Veniva, infatti, ravvisato, già al momento della presentazione dell’istanza, un atteggiamento poco collaborativo, ed anzi omissivo, del privato, in violazione del dovere di correttezza nei rapporti tra privato e pubblica Amministrazione sancito dall’art. 1 comma 2 bis l. 241/1990: pur non potendosi ritenere raggiunta una piena prova della falsa rappresentazione dei fatti, venivano in rilievo quantomeno delle omissioni in quella che avrebbe dovuto essere la descrizione analitica del soggetto del quadro e l’indicazione della sua provenienza da parte del proprietario, con particolare riguardo al dibattito sull’individuazione dell’originale della “Allegoria della pazienza” del Vasari tra gli esemplari in circolazione e alla parziale illeggibilità della tela proprio in corrispondenza del motto del committente.
Il Consiglio di Stato, pertanto, nell’ordinanza di rimessione, rappresentava la potenziale irragionevolezza, della previsione normativa del termine di dodici mesi per l’esercizio del potere di annullamento in autotutela, senza che questo possa mutare ove i provvedimenti autorizzativi siano incidenti su un interesse sensibile costituzionalmente tutelato.
In punto di non manifesta infondatezza poi il Consiglio di Stato ritiene che la norma censurata sarebbe irragionevole[10], oltre che violativa degli artt. 9 commi 1 e 2[11] e 97 comma 2 Cost[12].
I parametri costituzionali non sarebbero rispettati per diverse ragioni.
Anzitutto, sottoponendo al limite rigido tutti gli atti organizzatori, compresi quelli riguardanti “interessi di rango super primario”, si darebbe automatica prevalenza all’affidamento del privato quando invece tale ultimo principio, anche quando valorizzato in sede eurounitaria, viene predicato dalla giurisprudenza[13] attraverso un’applicazione elastica, scevra da qualunque automatismo e parametrata su un giudizio di ragionevolezza, senza contare che, sempre secondo il giudice, al più sarebbero proprio gli interessi di rango super primario (tra cui rientra quello, costituzionalmente tutelato tra i principi fondamentali, dell’integrità del patrimonio storico artistico come elemento costitutivo della memoria collettiva e fattore di identità comunitaria) ad essere tendenzialmente prevalenti rispetto alla posizione di affidamento del privato che, pur solida in punto di tutela, vanta la sola matrice individuale.
In secondo luogo, attraverso la previsione di una barriera temporale rigida non si potrebbero valutare le peculiarità del caso concreto; in particolare, l’attestato di libera circolazione di un bene culturale richiede l’apprezzamento di profili complessi di natura tecnica, essendo necessario il ricorso a conoscenze di settore non solo soggette ad evoluzione, ma riconducibili a scienze non esatte che possono condurre a risultati opinabili. Nell’ottica del giudice rimettente, solo un termine flessibile in questo senso consentirebbe all’Amministrazione di tener conto dei vizi dell’atto originario manifestatisi solo successivamente alla luce del mutato quadro tecnico.
Il termine decadenziale precluderebbe, poi, la “spendita di altri profili di capacità speciale autoritativa dell’amministrazione” di fatto consumandone il potere: l’annullamento si pone infatti come presupposto logico giuridico sia per il riesercizio dell’originario potere, che di altri poteri a questo connessi che verrebbero in tal modo indirettamente preclusi[14].
Sotto il profilo dell’applicabilità del termine fisso dei dodici mesi anche in relazione a interessi cd. super primari, vi sarebbe manifesta irragionevolezza dell’art 21 nonies in ragione del raffronto con altri istituti in cui la sussistenza di interessi sensibili viene valorizzata attraverso previsioni eccezionali e derogatorie[15] che prevedono la dilatazione dei tempi di valutazione riservati all’Amministrazione proprio in ragione della delicatezza dell’interesse coinvolto e della complessità degli accertamenti richiesti.
Il Consiglio di Stato esclude, inoltre che il comma 2 bis dell’art 21 nonies sia da solo sufficiente a garantire la ragionevolezza della disciplina, non coprendo tutti quei casi caratterizzati, non dalle false rappresentazioni, ma dalla sola incertezza.
Il giudice a quo lamenta poi il contrasto con l’art. 117 comma 1 Cost. in relazione agli artt. 1 lett b) e d) e 5 lett. a) e c) della Convenzione di Faro che sancisce “nell’ottica della garanzia del diritto fondamentale all’accesso all’eredità culturale, una responsabilità non solo individuale ma anche collettiva per la sua tutela la quale passa per l’obbligo dello Stato aderente a riconoscere l’interesse pubblico associato agli elementi dell’eredità culturale, in conformità con la loro importanza per la società e, di riflesso, a promuovere la protezione dell’eredità culturale anche predisponendo soluzioni normative che non siano di ostacolo alla realizzazione di tale scopo”.
Infine, viene esclusa la praticabilità di un’interpretazione costituzionalmente conforme, giustificando così la rimessione della questione alla Corte Costituzionale, visto il tenore inequivoco dell’art 21 nonies nello stabilire il termine massimo inderogabile e la sua decorrenza dal solo momento dell’adozione del provvedimento di primo grado, senza che residuino spiragli per posticiparlo in relazione alle manifestazioni sopravvenute dell’illegittimità originaria.
Stanti le richiamate argomentazioni della sentenza non definitiva della Sesta Sezione del Consiglio di Stato, l’oggetto della pronuncia della Corte Costituzionale si muove lungo due linee direttrici: da una parte, il potere di autotutela, e nella specie quello di annullamento d’ufficio, e l’erosione del principio ottocentesco di inesauribilità del potere della pubblica Amministrazione; dall’altra, il bilanciamento dei contrapposti interessi, sia privati che pubblici, all’interno dei quali si contrappongono l’esigenza di certezza del diritto – e la conseguente tenuta dell’intero sistema – e la tutela del bene culturale.
2. L’annullamento d’ufficio, la tutela dell’affidamento e l’importanza del fattore temporale.
La disposizione censurata dinanzi alla Consulta prevede che il potere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi illegittimi[16], adottabile laddove sussistano “le ragioni di interesse pubblico” e “tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati”, possa essere esercitato “entro un termine ragionevole”[17]; termine che, nel caso di “provvedimenti di autorizzazione[18] o di attribuzione di vantaggi economici”, non può superare i “dodici mesi dal momento dell’adozione”.
Il comma 2 bis dell’art. 21 nonies stabilisce la sola deroga espressamente prevista al termine enunciato dal comma 1, affermando che il predetto tempus ad quem non opera nel caso di “provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”.
Perché si possa comprendere a pieno il decisum dei giudici costituzionali è opportuno definire brevemente la ratio dell’annullamento d’ufficio[19] in quanto espressione del potere di autotutela e, più nello specifico, di un potere di riesame della pubblica Amministrazione.
Il potere di riesame, inteso in senso tecnico[20], è dunque una species dell’autotutela[21], e, in particolare, dell’autotutela decisoria, definita come il potere della pubblica amministrazione di “farsi ragione da sé”[22], rimuovendo gli ostacoli al perseguimento del pubblico interesse, nonché come la capacità dell’Amministrazione di dipanare, al di fuori dell’intervento dell’autorità giurisdizionale, i conflitti, potenziali o attuali, tra i propri atti e i destinatari dell’esercizio del potere; tale potere è stato concepito con un’accezione marcatamente “anticonflittuale”, persino paragiurisdizionale e, dunque, indice e parametro della massima estensione della competenza attribuita all’amministrazione in quanto autorità[23].
Caratteristica fondamentale del potere di autotutela, e in particolare del potere di annullamento d’ufficio, risiede nel fatto che gli atti emanati sono provvedimenti di secondo grado, che presuppongono che il potere dell’amministrazione non si sia ancora consumato. L’annullamento d’ufficio, in particolare, presuppone che al controllo sulla legittimità del precedente provvedimento di primo grado, si affianchi un controllo sull’opportunità dell’atto, che può essere ritirato solo se, in presenza di vizi di legittimità, comunque sussista un interesse pubblico concreto[24] – da non identificarsi nel mero ripristino della legalità violata – alla sua eliminazione. Già da una tale descrizione emerge come inevitabilmente, nella fase del riesame, si accresca il numero di interessi oggetto della valutazione dell’annullamento d’ufficio, rispetto a quelli cui è preordinata la funzione di primo grado; interessi tra i quali spiccano la tutela dell’affidamento del privato, nonché quello preordinato alla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico.
Il riesame del provvedimento – afferma la Corte Costituzionale nella sentenza in commento[25] – pur mosso da ragioni di legittimità, non costituisce tanto espressione di quel potere già esercitato, quanto del potere generale di annullamento d’ufficio riconosciuto all’amministrazione dall’art. 21 nonies l. 241/1990; potere che, proprio in quanto diverso da quello già esercitato e su cui va ad incidere, è assoggettato a specifiche regole, sia in punto di discrezionalità, che di disciplina procedimentale.
Proprio sotto il profilo della disciplina procedimentale, fondamentale rilievo assume il “tempo” dell’annullamento in autotutela, tanto che la Consulta esprime la necessità, al fine di esaminare le questioni nel merito, di operare una dettagliata ricostruzione[26] del relativo quadro normativo e giurisprudenziale. L’ispirazione della citata novella del 2015 valorizza particolarmente i diversi interessi che vengono in gioco nell’ambito dell’esercizio del potere di riesame, rispondendo ad una finalità, oltre che semplificatoria, di tutela del privato dall’irragionevolezza del tempo dell’agereamministrativo[27]. Più in generale, la fissazione di un termine rigido decadenziale per l’esercizio del potere segna una posizione antitetica rispetto alla concezione, tradizionalmente posta alla base dell’autotutela, del carattere immanente ed inesauribile del potere della pubblica Amministrazione, ridisegnando il potere di riesame come eccezionale e necessariamente previsto e delimitato dalla previsione di legge.
L’espressa apposizione di termini perentori all’azione amministrativa[28] per effetto della modifica dell’art. 21 nonies e più in generale l’esigenza della precisazione ad opera del legislatore di presupposti e limiti per l’esercizio del potere di autotutela dimostra efficacemente perché si sia fatto riferimento ad “un nuovo paradigma” nei rapporti tra cittadini e pubbliche amministrazioni[29]. La legge n. 124/2015, con la novella all’art. 21 nonies l. 241/1990, ha introdotto “una nuova ‘regola generale’ che sottende al rapporto tra il potere pubblico e i privati una regola di certezza dei rapporti, che rende immodificabile l’assetto (provvedimentale-documentale-fattuale) che si è consolidato nel tempo, che fa prevalere l’affidamento”[30]. Quel che è avvenuto è stata una rivalutazione del privato, non più suddito, ma titolare di situazioni giuridiche soggettive che si sostanziano nella partecipazione attiva all’esercizio del potere, con l’effetto, almeno indiretto, di una responsabilizzazione della pubblica Amministrazione.
Tale valorizzazione della dimensione temporale e la particolare rilevanza accordata all’affidamento del privato testimonia il passaggio dalla logica della preminenza a quella del servizio: “la norma che attribuisce il potere per la realizzazione di uno specifico interesse pubblico fa di questo non solo il fine, ma la causa stessa del potere; proprio in quanto il potere è strumentale, va esercitato nella misura in cui serve al soddisfacimento dell’interesse pubblico ed è proporzionatamente occorrente a tal fine, quindi con il minimo sacrificio dell’interesse del privato, ma anche degli altri interessi pubblici ”[31]. L’interesse pubblico conserva un ruolo centrale, ma sempre di più, in un contesto in cui le relazioni giuridiche tra amministrazioni e privati sono improntate ai principi di leale collaborazione e buona fede, viene affiancato da quello privato alla tutela dell’affidamento[32].
Tutela, questa, che si affievolisce, come previsto dall’art. 21 nonies comma 2 bis l. 241/1990, ove a mancare sia la buona fede. Più precisamente, per il caso di provvedimenti ottenuti in funzione di una falsa rappresentazione dei fatti ovvero di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, è prevista una dequotazione del termine, che perde l’attitudine ad arginare l’intervento in autotutela della pubblica amministrazione, difettando un affidamento legittimo in capo al privato da preservare. La giurisprudenza, ha tuttavia, dato una lettura più ampia di tale casistica, interpretando la norma nel senso che è consentito trascendere il termine per l’annullamento d’ufficio, oltre che nell’ipotesi in cui la falsa attestazione in ordine ai presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo sia discesa da una condotta di falsificazione penalmente rilevante (nel qual caso soltanto si renderà necessario l’accertamento definitivo in sede penale), anche laddove l’erroneità dei predetti presupposti sia addebitabile, a titolo di dolo, alla parte[33]; in questi casi allora solo il canone della ragionevolezza sembrerebbe realmente adeguato.
Tali differenti casistiche sono state ricavate sulla base di duplici indizi: da un parte, il dato testuale costituito dalla disgiunzione “o”[34]; dall’altra, l’argomento teleologico in forza del quale il termine finale non debba operare tutte le volte in cui si riscontri che il contrasto tra la fattispecie rappresentata e la fattispecie reale sia rimproverabile all’interessato, tanto se determinato da dichiarazioni false o mendaci (la cui difformità dovrà essere accertata in sede penale ove sia frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante), quanto se determinato da una falsa rappresentazione della realtà di fatto (che dovrà essere accertata inequivocabilmente dall’Amministrazione con i propri mezzi)[35].
3. La tutela del bene culturale e il bilanciamento tra contrapposti interessi: non esistono diritti tiranni (neppure quando espressione di interessi sensibili e costituzionalmente tutelati).
I beni culturali trovano, nel nostro ordinamento, particolare tutela sotto distinti profili, cui corrispondono diverse fonti normative.
In primo luogo, è la Carta Costituzionale a sancire, nel novero dei diritti fondamentali, la tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione nonché la promozione della cultura.
Nell’ambito della l. 241/1990, numerose sono poi le disposizioni poste a garanzia dei cosiddetti interessi sensibili, tra i quali rientra anche quello culturale: basti guardare a tutte quelle norme – rispetto alle quali il Consiglio di Stato rimettente lamentava un mancato coordinamento con l’art. 21 nonies l. 241/1990 – che dettano particolari regole parzialmente derogatorie della disciplina del silenzio assenso (art. 20 comma 4[36]), della SCIA (art. 19 comma 1)[37], della conferenza di servizi semplificata (art. 14 bis comma 2 lett. c)[38], della conferenza di servizi simultanea (art. 14 ter comma 2)[39] e della determinazione conclusiva della conferenza di servizi (art. 14 quinquies comma 1)[40].
Un regime di speciale e puntuale protezione trova, infine, compiuta disciplina nel Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 42/2004) che, in attuazione dell’art. 9 Cost, tutela il patrimonio culturale[41], al fine di promuovere lo sviluppo della cultura e di preservare la memoria[42] della comunità nazionale e del suo territorio.
La qualifica di un bene ai sensi dell’art. 9 del Codice comporta una serie di vincoli conformativi di diversa natura, ma anche l’operatività di particolari istituti preposti alla tutela dello stesso, istituti tra i quali viene in rilievo, per quanto interessa la pronuncia in esame, la disciplina[43] della circolazione dei beni culturali in ambito internazionale[44].
Tale disciplina gioca un ruolo essenziale nella tutela dei beni costituenti il patrimonio culturale che, come stabilito dall’art. 64 bis comma 3 del Codice, non sono assimilabili a merci poiché assicurarne la fuoriuscita dai confini nazionali potrebbe compromettere la stessa integrità del patrimonio culturale. Solo per i beni per i quali il d.lgs. 42/2024 non stabilisce un divieto in tal senso, è possibile l’uscita definitiva dal territorio italiano, previo ottenimento di un attestato di libera circolazione, le cui modalità, unitamente ai tempi per la presentazione dell’istanza, sono disciplinate dall’art 68 del Codice[45].
L’attestato di libera circolazione, in quanto rientrante nella nozione di autorizzazione, deve ritenersi assoggettato al limite temporale di dodici mesi ai fini dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio. È tuttavia, frequente, esattamente come avvenuto nel caso di specie, che solo successivamente al rilascio di tale attestato, un bene ritenuto idoneo alla circolazione internazionale, poiché non rientrante nelle ipotesi di “divieto di uscita” ai sensi dell’art. 65 del d.lgs. 42/2004, si scopra, invece, meritevole di appartenere a questa categoria. Non di rado, infatti, ulteriori studi condotti sull’opera, o semplicemente nuove conoscenze tecniche, consentono di attribuire talune opere a determinati autori di fama internazionale[46] con la conseguente esigenza di una più stringente ed efficace tutela dello specifico bene culturale in ragione di un notevole incremento del valore dell’opera.
Nonostante la casistica non irrilevante, e pur in presenza di talune spinte volte a superare il termine rigido dell’annullamento d’ufficio in ragione dell’estrema rilevanza dell’interesse culturale, la tendenza della giurisprudenza del Consiglio di Stato, confermata dalla pronuncia della Corte Costituzionale in esame, è quella di negare per le Amministrazioni la possibilità di annullare in autotutela, oltre il termine di dodici mesi, gli attestati di libera circolazione emessi al di fuori dei casi integranti i requisiti di cui all’art. 21 nonies comma 2 bis l. 241/1990 (pur sempre previa dimostrazione di un quadro indiziario da cui emerga un comportamento fraudolento del richiedente[47]).
Sebbene, infatti, la tutela del bene culturale sia afferente ad un interesse cd. super primario, sensibile e annoverato tra i principi fondamentali (ma non per ciò solo necessariamente preminenti) della Carta Costituzionale, non può questo, solo per tale ragione, prevalere sull’esigenza di certezza del diritto e sull’interesse del privato che vanti un legittimo affidamento.
L’art 21 nonies l. 241/1990, come descritto, si pone a salvaguardia, su un duplice piano, dell’interesse privato, garantendo la tutela dell’affidamento, e di quello pubblico, assicurando la certezza del diritto e la stabilità dell’intero sistema e dell’operato dell’Amministrazione.
Ciò che il giudice è chiamato a fare, in casi come quello in esame, è operare un bilanciamento, ragionevole e ponderato, tra i diversi interessi, pubblici e privati, che vengono in gioco, senza che nessuno di questi possa prevalere per un mero automatismo.
È, infatti, nella sede del procedimento amministrativo che “l’interesse pubblico primario, che giustifica il potere, si confronta con altri interessi pubblici coinvolti e con gli interessi dei privati, i quali non solo possono avere consistenza oppositiva rispetto al potere che ne invade la sfera soggettiva, ma spesse volte hanno consistenza di pretesa al suo esercizio, volto ad ampliare la sfera soggettiva, pretesa che in molti casi ha fondamento nelle previsioni costituzionali”[48]: è il corretto confronto di questi interessi, secondo la conformazione datane dalla legge, a costituire garanzia di legittimità della decisione amministrativa, così formatasi, con la quale si esaurisce quel potere.
Nell’annullamento d’ufficio, dunque, il punto di equilibrio della dialettica tra gli interessi in gioco è dato dalla variabile temporale: il trascorrere di un determinato lasso di tempo determina l’effetto della prevalenza di altri interessi di rilievo costituzionale, quali la posizione di matrice individuale dell’affidamento del destinatario del provvedimento favorevole (naturalmente se meritevole di tutela per non essergli rimproverabili false dichiarazioni e false rappresentazioni di fatti rese all’amministrazione nel procedimento), e l’interesse di matrice collettiva alla certezza ed alla stabilità dei rapporti giuridici pubblici nell’ottica della tenuta dell’intero “sistema Paese”.
4. La pronuncia della Corte Costituzionale.
La Corte Costituzionale, pur esprimendosi con una sentenza di rigetto, ha fissato importanti punti fermi in relazione al “tempo” del potere di riesame (dei provvedimenti di autorizzazione o attributivi di vantaggi economici) in capo alla pubblica Amministrazione.
In particolare, la Consulta ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 21 nonies comma 1 l. 241/1990 in riferimento all’art. 117 comma 1 Cost.[49] e non fondate le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3 comma 1, 9 comma 1 e 3 e 97 comma 2 Cost., sulla base di diverse considerazioni in diritto.
L’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art 117 comma 1 Cost. viene sancita in conseguenza della carente motivazione[50] in ordine alle ragioni per cui la normativa censurata integrerebbe una violazione del parametro costituzionale in questione; la Sesta sezione si era limitata, infatti, semplicemente a richiamare gli impegni assunti dallo Stato italiano con la Convenzione di Faro, e, più precisamente, gli obblighi di “riconoscere l’interesse pubblico associato agli elementi dell’eredità culturale, in conformità con la loro importanza per la società e, di riflesso, a promuovere la protezione dell’eredità culturale anche predisponendo soluzioni normative che non siano di ostacolo alla realizzazione di tale scopo”, senza null’altro argomentare.
Diversamente, ammissibile ma infondata viene dichiarata la questione avente ad oggetto l’art. 97 Cost., ritenendo la Consulta che il termine fisso dell’art 21 nonies, lungi dal ledere il principio di buon andamento, ne costituisca piuttosto attuazione poiché, sin tanto che venga rispettato il principio di legalità sostanziale, e dunque anche i limiti cui il potere di riesame è soggetto, la ratio che il termine assicura è anche quella di garantire la migliore soddisfazione dello stesso interesse primario, ponendosi la previsione di termini di decadenza dell’autotutela quale strumento volto proprio ad accrescere l’efficienza dell’azione amministrativa; questo perché il termine estintivo del potere di annullamento non può che influire positivamente sulla qualità della decisione di primo grado, incentivando l’organo competente ad una più attenta valutazione e ponderazione degli interessi già in questa fase ove non vi sia uno spazio temporale illimitato per l’emanazione di un contrarius actus rispetto a quello originariamente assunto in via illegittima[51].
Ricostruita l’evoluzione dell’annullamento d’ufficio e la sua natura, nonché la sua ratio orientata al perseguimento della certezza del diritto e stabilità dei provvedimenti nella piena attuazione dell’interesse pubblico – ma anche al fine di bilanciare i diversi interessi[52] che confluiscono nell’ambito del potere di riesame – la Consulta sancisce l’infondatezza delle questioni afferenti alla violazione dei principi di ragionevolezza, buon andamento e della tutela del patrimonio storico artistico sollevate dal rimettente, ritenendo, nello specifico, non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21 nonies comma 1 l. 241/1990 sollevate in riferimento agli artt. 3 comma 1 e 9 commi 1 e 2 Cost.
In particolare, i giudici costituzionali hanno ravvisato l’insussistenza del denunciato contrasto con gli artt. 3 comma 1 e 9 commi 1 e 2 Cost., giustificando la ragionevolezza e la non reprensibilità dei limiti temporali “fissi” posti dall’art. 21 nonies nel suo complesso, e, dunque, anche con riguardo agli atti incidenti su interessi di “valore primario” (nella specie, quello culturale), in ragione della diversa consistenza che tali interessi – pur di rilievo costituzionale e oggetto di specifica attenzione nel procedimento di primo grado (tanto da escludere o rendere più gravosa l’applicazione dell’istituto del silenzio assenso) – assumono nel procedimento di riesame.
La Consulta ritiene, infatti, che il termine fisso di dodici mesi per l’esercizio del potere di riesame non possa dirsi manifestamente irragionevole, né lesivo dell’interesse culturale protetto dall’art. 9 Cost. sulla base di diverse considerazioni.
Anzitutto, in ragione del fatto che l’annullamento d’ufficio esprime una funzione di secondo grado: l’amministrazione interviene nuovamente, infatti, su una precedente attività amministrativa ed è proprio in relazione a tale attività che devono essere valorizzate le regole che garantiscono gli interessi pubblici costituzionalmente tutelati sui plurimi piani in cui tali regole si riflettano nelle leggi sul procedimento o settoriali o nei tempi in cui l’amministrazione deve agire.
In secondo luogo, proprio in ragione della natura di potere di secondo grado dell’autotutela e del diverso oggetto che questa ha rispetto al provvedimento di primo grado – la pronuncia rimarca infatti come il riesame del provvedimento, pur mosso da ragioni di legittimità, non costituisce espressione del potere già esercitato, bensì di altro potere riconosciuto in via generale all’amministrazione, diverso da quello già esercitato e su cui anzi va a incidere, ossia quello dell’annullamento d’ufficio – viene evidenziato come l’interesse culturale, super primario e costituzionalmente tutelato, trovi già un’adeguata tutela attraverso svariate previsioni derogatorie nell’ambito dell’esercizio del potere in primo grado da parte della pubblica Amministrazione. Tutte quelle previsioni[53] che il rimettente aveva già individuato come derogatorie rispetto alle regole generali sul procedimento, e di cui lamentava un mancato coordinamento ove il 21 nonies non prevede deroghe in presenza di interessi sensibili, sono in realtà istituti che dettano un regime ad hoc per la tutela di interessi sensibili, compreso quello culturale, incidendo anche sul tempo dell’azione amministrativa[54].
Dunque, l’interesse sensibile trova già una tutela specifica e in parte derogatoria, proprio in ragione del suo rango, nell’ambito del potere di primo grado. Ma non solo; alla disciplina contenuta nella legge 241/1990 si affianca un regime di speciale e puntuale protezione dell’interesse alla tutela del patrimonio artistico nazionale nel Codice dei beni culturali.
Posto che, secondo la Corte, l’interesse primario è adeguatamente protetto nella sua ponderazione “in primo grado”, nella decisione di secondo grado non è irragionevole che il regime ordinario dell’autotutela e l’operare del termine per il suo esercizio si applichi anche all’interesse alla tutela del patrimonio storico e artistico.
Nell’annullamento d’ufficio, dunque, il punto di equilibrio della dialettica tra gli interessi in gioco è dato dalla “variabile tempo”: al fluire di un congruo tempo determinato acquisiscono prevalenza altri interessi di rilievo costituzionale, quali la posizione, di matrice individuale, dell’affidamento del destinatario del provvedimento favorevole e l’interesse, di matrice collettiva, alla certezza ed alla stabilità dei rapporti giuridici pubblici.
Diversamente opinando, qualora i disinnescasse l’operatività del termine fisso per l’esercizio del potere di riesame dei provvedimenti autorizzatori, l’effetto, intollerabile, sarebbe quello di una situazione di incertezza nella vita dei cittadini e delle imprese idonea a incidere negativamente, in un’ottica più complessiva, sulle dinamiche del mercato (nello specifico, quello dell’arte) e in definitiva, sull’affidabilità del “sistema Paese”.
[1] Emerge, infatti, in dottrina un’insofferenza da parte degli interpreti rispetto ad un’applicazione rigida dei termini per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, laddove la tutela dell’interesse pubblico sembri assumere talvolta una portata prioritaria rispetto all’affidamento dei privati. Basti pensare alla nozione di autotutela doverosa, la cui portata è tutt’oggi discussa, o alla cd. autotutela doverosa parziale, ravvisata proprio nell’art. 21 nonies comma 2 bis l. 241/1990 che manifesta una svalutazione del termine.
Sull’autotutela doverosa, in particolare, si vedano G. Giavazzi, Legalità, certezza del diritto e autotutela: riflessioni sulla funzionalizzazione dell’annullamento d’ufficio all’effetto utile, in CERIDAP, 4, 2020; F.V. Virzì, La doverosità del potere d’annullamento d’ufficio, in Federalismi.it, 14, 2018.
[2] Codice dei beni culturali e del paesaggio.
[3] In particolare con gli artt. 3 comma 1, 9 commi 1 e 2, 97 comma 2 e 117 comma 1 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 1, lettere b) e d), e 5, lettere a) e c) della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società (Convenzione di Faro).
[4] Per una trattazione completa dei fatti originanti la rimessione alla Consulta si rinvia a F. Campolo, Attestato di libera circolazione di un bene culturale e potere di autotutela. Dubbi sulla legittimità costituzionale dell’art. 21 nonies, c. 1. L. 241/1990 (nota a Cons. Stato, Sez. VI, 16 ottobre 2024, n. 8296), in questa Rivista, 26 febbraio 2025.
[5] In particolare, tra gli altri, erano stati impugnati i seguenti atti: a) del 15 novembre 2021, di annullamento in autotutela del rilascio dell’attestato di libera circolazione (art. 68 d.lgs. 42/2004) del quadro emanato il 6 agosto 2015 dall’Ufficio esportazione di Verona; b) del 17 dicembre 2021, di nuova determinazione di diniego dell’attestato di libera circolazione del quadro, con contestuale avvio del procedimento per la dichiarazione di interesse culturale; del 27 dicembre 2021, di ordine di rientro dell’opera sul suolo nazionale.
[6] Che sancisce che il diniego dell’attestato di libera circolazione comporta l’avvio del procedimento di dichiarazione disciplinato dall’art. 14 Codice dei beni culturali.
[7] TAR Lazio, Roma, Sez. II-quater, 19 luglio 2022, n. 10294, in www.giustizia-amministrativa.it.
[8] Che individua chiaramente il momento di decorrenza del termine “dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”. Il fatto che tale termine non possa avere una decorrenza mobile, dovendo essere invece inequivocabilmente legato all’adozione del provvedimento, era inoltre stato già chiarito nell’ambito delle considerazioni svolte dalla Commissione consultiva speciale istituita presso il Consiglio di Stato per i decreti di attuazione della legge 7 agosto 2015 n. 124 nel parere n. 839 del 2016 (sullo schema del d.lgs. 30 giugno 2016, n. 126: “SCIA 1”) ove, definendo la novella legislativa come espressione di “un nuovo paradigma nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione”, si erano particolarmente valorizzate la trasparenza e la certezza del diritto chiarendo come il legislatore avesse fissato “termini decadenziali di valenza nuova, non più volti a determinare l’inoppugnabilità degli atti nell’interesse dell’amministrazione, ma a stabilire limiti al potere pubblico nell’interesse dei cittadini, valorizzando il principio di affidamento”, costruendo una nuova “regola generale”, “speculare nella ratio e negli effetti – a quella dell’inoppugnabilità, ma creata, a differenza di quest’ultima, in considerazione delle esigenze del cittadino”.
[9] Cons. Stato, Sez. VI, 16 ottobre 2024, n. 8296.
[10] Verrebbe dunque violato il parametro costituzionale della ragionevolezza, ex art.3 comma 1 Cost., quale limite alla discrezionalità del legislatore nella costruzione della disciplina di legge.
[11] Di cui si riporta il testo: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il passaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
[12] In forza del quale “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.
[13] Viene citata, in particolare, CGUE, sentenza 17 aprile 1997, causa C-90/95 Decompte.
[14]Tale affermazione deve essere letta con particolare attenzione, riferendosi il rimettente a quei soli poteri che presuppongono l’annullamento, mentre può comunque residuare spazio per l’esercizio di poteri di secondo grado, quale la revoca ex art. 21 quinquies l. 241/1990, sempre che ricorrano i presupposti (elastici) dettati dalla disposizione citata. In presenza, allora, del mutamento del contesto fattuale che aveva legittimato l’emanazione dell’originario riferimento l’Amministrazione può rideterminarsi, così eliminando – ma solo ex nunc – il provvedimento non più rispondente al pubblico interesse.
[15] Si fa, in particolare, espresso riferimento agli artt. 20 comma 4, 19 comma 1, 14 bis comma 2 lett. c), 14 ter comma 2, 14 quinquies comma 1 l. 241/1990, tutte disposizioni volte a introdurre specifici rimedi e termini più ampi finalizzati ad una più compiuta ed effettiva tutela ambientale e paesaggistico-territoriale dei beni culturali.
[16] L’elemento dell’illegittimità sostanziale dell’atto da riesaminare (che deve essere affetto da uno o più vizi, non meramente formali, di incompetenza, violazione di legge o eccesso di potere) costituisce, unitamente al rispetto del termine massimo di dodici mesi dal momento dell’adozione (purché l’atto da riesaminare sia autorizzativo o attributivo di vantaggi economici, e sempre che non siano ravvisabili falsità o mendaci dichiarativi), il presupposto cd. rigido dell’annullamento d’ufficio, cui si affiancano i presupposti cd. flessibili e discrezionali, che risiedono nella sussistenza di preminenti ragioni di interesse pubblico, nella valutazione comparata e bilanciata degli interessi dei destinatari e controinteressati e nel rispetto di un termine ragionevole (laddove non debba operare il termine fisso dei dodici mesi).
[17] Decorrente, secondo la giurisprudenza amministrativa, dal momento della scoperta dell’illegittimità da parte della pubblica Amministrazione, diversamente dal termine fisso, la cui decorrenza è cristallizzata dalla stessa previsione normativa nel momento dell’adozione del provvedimento. L’esclusione del termine di decorrenza mobile in questo secondo caso si spiega in ragione del fatto che non può la negligenza della pubblica Amministrazione tradursi nel vantaggio di differire continuamente il dies a quo per l’esercizio della potestà di annullamento (Considerato in diritto, punto. 3.2 della pronuncia in commento).
[18] La norma si riferisce ai provvedimenti autorizzatori o comunque attributivi di vantaggi economici; tuttavia, la ratio della riforma operata dalla l. 124/2015 (“Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”) – che ha avuto il merito di evidenziare che il diritto amministrativo è il “regno delle relazioni di durata” (l’espressione è di M. Ramajoli, L’annullamento d’ufficio alla ricerca di un punto di equilibrio, in www.giustamm.it) – unitamente al dato testuale, consente di applicare la norma a qualunque atto ampliativo, comunque denominato (in tal senso: M. Ramajoli, op cit; M. Macchia, La riforma della pubblica amministrazione. Sui poteri di autotutela: una riforma in senso giustiziale, in Giorn. Dir. Amm., 2015, 621 ss.).
[19] Per uno sguardo più completo sull’annullamento d’ufficio, si segnalano tra i contributi più recenti, in particolare: M. Sinisi, Autotutela e governo del territorio, in Riv. giur. ed. 2024, 2, 157 ss.; Id., Il potere di autotutela caducatoria (art. 21-quinquies e 21-nonies l. n. 241 del 1990 s.m.i.), in M.A. Sandulli (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, Milano, 2023, 543 ss.; M.A. Sandulli, G. Strazza, L’autotutela tra vecchie e nuove incertezze: l’Adunanza plenaria rilegge il testo originario dell’art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990, in S. Toschei (a cura di), L’attività nomofilattica del Consiglio di Stato, Roma, 2018; M.A. Sandulli, Autotutela e stabilità del provvedimento nel prisma del diritto europeo, in P.L. Portaluri (a cura di), L’amministrazione pubblica nel prisma del cambiamento: il codice dei contratti e la riforma Madia, Napoli, 2017; C. Deodato, L’annullamento d’ufficio, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017; 1173 ss.; F. Francario, Riesercizio del potere amministrativo e stabilità degli effetti giuridici, in Federalismi.it, 8, 2017.
[20] Se, diversamente, si accoglie una nozione di riesame più ampia, in senso atecnico, e se si appiattisce la nozione di autotutela nella sola decisoria, allora le differenze tra i due si affievoliscono fino a scomparire.
[21] L’esercizio del potere di autotutela decisoria si concreta nell’adozione di provvedimenti di secondo grado, aventi ad oggetto fatti equipollenti o precedenti provvedimenti amministrativi; entro i confini dell’autotutela decisoria, alla stregua di un criterio funzionale, si discerne poi tra poteri di riesame, che interessano il regime di validità di provvedimenti o fatti equipollenti anteriori, e poteri di revisione, che investono i profili dell’efficacia e dell’esecuzione di atti precedenti (E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2020, 554).
Parte della dottrina, tuttavia, ha rimarcato l’inferenza della legittimazione ad agire della pubblica amministrazione in sede di autotutela dalla medesimezza del potere primario dispiegato, reputando vani i tentativi tesi all’individuazione di un autonomo fondamento del potere amministrativo di riconsiderazione unilaterale degli atti (G. Corso, L’efficacia del provvedimento amministrativo, Milano, 1969; Autotutela (Dir. Amm., in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, 2006, 609 ss.). È lungo tale linea di pensiero che si colloca la preferenza del termine “riesame” rispetto a quello di “autotutela”, dai contorni più sfumati; riesame che legittimerebbe la pubblica Amministrazione ad esercitare il potere entro tempistiche definite, al fine del perseguimento del pubblico interesse (sul punto si rinvia a C. Fragomeni, Effettività della tutela giurisdizionale e riedizione del potere amministrativo, in Il diritto dell’economia, 2023, 2, 237 ss.).
[22] Tale definizione, sebbene largamente adoperata, non è del tutto precisa in quanto è stato affermato come, al contrario, la pubblica Amministrazione, quando ritira un atto, non lo fa per farsi giustizia da sé, ma per perseguire il pubblico interesse, anche perché risolvere il problema del fondamento dell’autotutela – come pure era stato proposto prima che tale potere venisse espressamente previsto dalla legge – nel fatto che l’Amministrazione rivesta una posizione di privilegio rispetto agli amministrati è certamente riduttivo e poco rispondente alla realtà dei fatti dal momento che non è tanto più una relazione gerarchica a venire in gioco, quanto un rapporto (dialettico) di sovraordinazione e di direzione (M. Santise. Coordinate. Diritto Amministrativo, Napoli, Merita Editore, 2024, 423).
[23] In tal senso, F. Benvenuti, (voce) Autotutela (Dir. Amm.), in Enc. Dir., Vol. IV, Milano, 1959, 537 che per primo ha discusso, nei propri scritti, di autotutela decisoria.
[24] Si tratta, dunque, pur in presenza del citato presupposto rigido dell’illegittimità sostanziale dell’atto da riesaminare, di un potere ampiamente discrezionale.
[25] Considerato in diritto, punto 3.6.
[26] Si legga Considerato in diritto, dal punto 3 al punto 3.6 della sentenza in esame.
Lo specifico termine – in origine di diciotto mesi – per l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti di autorizzazione e attribuzione di vantaggi economici è stato introdotto per la prima volta dalla legge n. 124 del 2015; questo è poi stato ridotto agli attuali dodici mesi dall’ art. 63 del d.l. 77 del 2021, convertito in l. n. 108 del 2021. Si segnala inoltre che in data 26 marzo 2024 il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge recante “Disposizioni per la semplificazione e la digitalizzazione dei servizi a favore dei cittadini e delle imprese” che all’art. 1 prevede l’ulteriore riduzione del termine a sei mesi.
[27] G.B. Mattarella, La riforma della pubblica amministrazione. Il contesto e gli obiettivi della riforma, in Giorn. Dir. Amm., 2015, 621 ss. Si legga anche C. Contessa, L’autotutela amministrativa all’indomani della legge Madia, in www.giustizia-amministrativa.it, 2018, 4, 12.
[28] Termini eccezionali, e necessariamente previsti dalla legge, rispetto al termine normalmente ordinatorio cui l’operato della pubblica Amministrazione è generalmente assoggettato. Nel diritto amministrativo è infatti, al contrario, al privato che sono normalmente imposti termini decadenziali per stigmatizzare l’azione amministrativa, per esigenze di certezza e di stabilità delle situazioni giuridiche su cui incide il provvedimento amministrativo.
[29] Si veda in tal senso L. Carbone, La riforma dell’autotutela come nuovo paradigma dei rapporti tra cittadino e amministrazione pubblica, Relazione al convegno “La legge generale sul procedimento amministrativo: attualità e prospettive nei rapporti tra cittadino e p.a.” – Roma, Palazzo Spada, 20 marzo 2017, in www.giustizia-amministrativa.it
[30] Cons. Stato, Comm. Spec., parere 839/2016.
[31] Considerato in diritto, punto 3.6.
[32] Si legga G. Tulumello, La tutela dell’affidamento del privato nei confronti della pubblica amministrazione fra ideologia e dogmatica, in Giustamm.it, 5, 2022.
[33] Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. St. sez. VI, 6 luglio 2023, n. 6615) “l’art. 21 nonies, l. 7 agosto 1990, n. 241 si interpreta nel senso che il superamento del rigido termine entro il quale il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, è consentito: a) sia nel caso in cui la falsa attestazione, inerenti i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive): nel qual caso sarà necessario l’accertamento definitivo in sede penale; b) sia nel caso in cui l’(acclarata) erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all’Amministrazione, ed imputabile, per contro, esclusivamente al dolo (equiparabile, per solito, alla colpa grave e corrispondente, nella specie, alla mala fede oggettiva) della parte: nel qual caso — non essendo parimenti ragionevole pretendere dalla incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione della iniziativa rimotiva — si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco” (Consiglio di Stato sez. V, 27 giugno 2018, n.3940).
[34] Si rammenta che la lettera della norma recita che i provvedimenti amministrativi possono essere annullati anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi qualora siano stati “conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”.
[35] In questo senso, da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, sentenze 7 maggio 2025, 3876 e 24 agosto 2024, n. 7134; sez. VI, 27 febbraio 2024, n. 1926. Quest’ultima sentenza afferma che ai sensi dell’art. 21-novies, comma 2-bis, l. n. 241 del 1990, il differimento del termine iniziale per l’esercizio dell’autotutela deve essere determinato dall’impossibilità per la p.a., a causa del comportamento dell’istante, di svolgere un compiuto accertamento sulla spettanza del bene della vita nell’ambito della fase istruttoria del procedimento di primo grado. In questo senso sembra residuare uno spazio per la decorrenza mobile del termine, ma tale evenienza è pur sempre legata ad un’impossibilità ascrivibile al comportamento (lesivo della buona fede) dell’istante.
[36] Che esclude l’applicazione delle disposizioni sul silenzio assenso per i “procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico”.
[37] Che dichiara inoperante la disciplina delle segnalazioni certificate di inizio attività nei “casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali”.
[38] Che assegna alle “amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e dei beni culturali” un termine raddoppiato rispetto a quello assegnato in via ordinaria alle amministrazioni per rendere le proprie determinazioni in ordine all’oggetto della conferenza semplificata.
[39] Che prevede, per la conclusione dei lavori della conferenza di servizi simultanea, un termine doppio rispetto a quello ordinario “qualora siano coinvolte amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e dei beni culturali”.
[40] Che contempla specifici rimedi di superamento della determinazione conclusiva della conferenza di servizi, in favore delle “amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e dei beni culturali” che in quella sede abbiano espresso dissenso.
[41] Si segnala, come spunto per il fondamento di una diversa e ulteriore tutela, sotto il profilo della legittimazione ad agire, del bene culturale, e più in generale della cultura, quale interesse legittimo trans-soggettivo, P. L. Portaluri, Per le magnifiche corti e progressive. Ipotesi sugli interessi legittimi trans-soggettivi, in giustizia-amministrativa.it, 2025.
[42] Sulla valorizzazione della memoria collettiva della comunità e sul cd. vincolo testimoniale, a dimostrazione della sempre crescente tutela accordata al bene culturale, si legga P. L. Portaluri, Amara Sicilia e bella. Iudicis ad memoriam Livatini, questa Rivista, 7 maggio 2021.
In questo stesso senso, fondamentale rilievo assume Ad. Plen. 13 febbraio 2023, n. 5, che contribuisce a scolorire il principio di realità nella misura in cui afferma che “possono essere tutelati, mediante un vincolo di destinazione d’uso, anche i beni che sono espressione di un’identità collettiva (perché in quel o per suo tramite sono accaduti eventi di rilevanza storica e culturale ovvero perché personaggi storici e illustri vi hanno trovato, in un dato momento, la loro collocazione), per i quali si riconosca l’impossibilità di scindere le dimensioni materiali da quelle immateriali, stante la loro immedesimazione”.
[43] Agli artt. 64 bis ss. d.lgs. 42/2004.
[44] Per cui si rinvia a M. Frigo, La circolazione internazionale dei beni culturali. Diritto internazionale, diritto comunitario e diritto interno, Milano, 2007.
[45] Si rinvia a C. Ferrazzi, Commento all’art. 68, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2019, 675 ss.
[46] Per una carrellata di casi analoghi a quello in esame si rinvia nuovamente a F. Campolo, op. cit.
[47] Si rammenta, ancora una volta, che nel caso di specie il comportamento del privato richiedente era stato ritenuto solo parzialmente omissivo e non del tutto diligente, ma senza che potesse ravvisarsi una prova piena della “falsa rappresentazione dei fatti”.
[48] Considerato in diritto, punto 3.6 della pronuncia in commento.
[49] Si rammenta, in relazione agli artt. 1 lett. b) e d) e 5 lett. a) e c) della Convenzione di Faro.
[50] Dalla quale consegue, secondo costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, l’inammissibilità delle questioni. Diverse sono, infatti, le pronunce che sanciscono l’inammissibilità delle questioni rispetto alle quali il rimettente non illustri i motivi per i quali la normativa sospettata d’illegittimità costituzionale sarebbe tale; le ordinanze di rimessione del tutto carenti in tal senso sono viziate da inadeguata motivazione in punto di non manifesta infondatezza, difettando una sufficiente illustrazione delle ragioni per le quali la normativa censurata integrerebbe la violazione del parametro costituzionale evocato. In tal senso, ex plurimis, Corte Cost. 8 gennaio 2024, n. 3, Corte Cost. 27 giugno 2024, n. 112.
[51] Proprio con riferimento al rilascio degli attestati di libera circolazione si trova riscontro della portata attuativa del principio di buon andamento dalla lettura della circolare della Direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio del 24 maggio 2024, n. 21 con cui il Ministero della Cultura ha invitato gli uffici di esportazione a prestare maggiore attenzione nell’esame delle istanze loro presentate, anche alla luce dei limiti temporali di cui all’art. 21 nonies comma 1 l. 241/1990. In particolare, proprio in risposta alla tendenza della giurisprudenza a negare la possibilità per le Amministrazioni di annullare in autotutela gli attestati di libera circolazione oltre il termine di dodici mesi, si apprezza l’invito agli Uffici competenti, “per evitare l’irrimediabile uscita dal territorio nazionale di opere d’arte che, onde opportunamente presente agli uffici esportazione, non avrebbero ricevuto l’attestato di libera circolazione”, a voler dichiarare l’improcedibilità dell’istanza nei casi in cui “la mancanza o insufficienza di informazioni unitamente alla scarsa leggibilità dell’opera non consentano la adeguata valutazione dell’interesse culturale”.
[52] Non a caso la pronuncia in esame ribadisce come nella fase del riesame si accresca l’entità degli interessi oggetto della valutazione dell’annullamento d’ufficio rispetto a quelli cui è preordinata la funzione di primo grado, interessi tra i quali spicca quello alla “stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico”, come già valorizzato, in tema di autotutela tributaria da Corte Cost. 13 luglio 2017, n. 181.
[53] Si richiamano i già citati artt. 20 comma 4, 19 comma 1, 14 bis comma 2 lett. c), 14 ter comma 2, 14 quinquies comma 1 l. 241/1990, tutte disposizioni volte a introdurre specifici rimedi e termini più ampi finalizzati ad una più compiuta ed effettiva tutela ambientale e paesaggistico-territoriale dei beni culturali.
[54] Come emerge dall’art. 2 comma 2 l. 241/1990 che fissa il termine generale di trenta giorni per la conclusione del procedimento, ma, oltre a far salve le diverse disposizioni speciali, consente, con le diverse forme dettate dai commi 3 e 4, l’elevazione del termine fino a centottanta giorni anche in considerazione della “natura degli interessi pubblici tutelati”.
