L’applicabilità dell’art. 34, comma 3 c.p.a. nel giudizio di ottemperanza al giudicato (nota a Cons. Stato, 22 gennaio 2024, n. 664)
di Stefania Florian
Sommario: 1. La fattispecie concreta 2. I presupposti per la conversione dell’azione di annullamento in un’azione di accertamento ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a. 3. Brevi cenni sull’azione di nullità per violazione o elusione del giudicato come azione costitutiva e sua convertibilità in un’azione di accertamento. 4. Conclusioni
1. La fattispecie concreta
La sentenza in commento viene resa su ricorso con il quale il Direttore di un ente parco, nominato con decreto del Presidente della Regione Lazio, chiedeva la riforma della sentenza resa in sede di ottemperanza dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, che accoglieva il ricorso con il quale la Dirigente della Regione Lazio e dell’area amministrativa presso l’ente parco naturale regionale in questione, in carica per quasi una decina d’anni, chiedeva l’annullamento del decreto di nomina del medesimo Direttore e i connessi atti presupposti, tra cui la nota con cui era stata individuata la terna di candidati per la nomina, dalla quale la stessa ricorrente per l’ottemperanza era stata esclusa.
La vicenda muove dalla necessità di aggiornare l’elenco regionale dei direttori degli enti di gestione delle aree naturali protette regionali promossa dalla regione Lazio, che aveva avviato una procedura per il conferimento del posto di Direttore dell’Ente Parco e, dopo quasi un mese dalla nota con cui era stata individuata la prima terna di candidati, che conteneva il nominativo della ricorrente in ottemperanza, il Presidente dell’ente trasmetteva una nuova terna, con la motivazione di dover emendare un errore contenuto nella prima nota[1]. Alla fine della procedura il Presidente della regione nominava con decreto un soggetto diverso dalla suindicata ricorrente, la quale ultima, perciò, proponeva ricorso per l’annullamento del medesimo decreto di nomina. Il soggetto nominato alla carica di Direttore presentava quindi le proprie dimissioni e il Presidente della regione, dopo aver comunicato una nuova terna di nomi, individuava il nuovo Direttore in un soggetto diverso dalla ricorrente. Quest’ultima impugnava nuovamente, in sede di cognizione, il decreto di nomina e la nota del Presidente dell’ente regionale, con la quale erano stati individuati i soggetti candidati alla nomina di Direttore. Il ricorso veniva accolto e, successivamente alla sentenza emessa in sede di cognizione, il Presidente della regione procedeva a una nuova nomina, entro una rosa di candidati tra cui non compariva il nominativo della ricorrente. Quest’ultima, pertanto, impugnava con ricorso per l’ottemperanza il decreto di nomina e la nota con cui erano stati individuati i soggetti candidati alla procedura, chiedendone la declaratoria di nullità in quanto assunti in violazione o elusione del precedente giudicato. Il TAR Lazio accoglieva il ricorso per l’ottemperanza e il nuovo Direttore dell’ente parco impugnava suddetta sentenza resa in sede di ottemperanza, riproponendo le difese avverso i motivi di ricorso proposti dalla ricorrente e dichiarati assorbiti dal TAR[2].
Nel merito del giudizio di impugnazione, anche la ricorrente riproponeva i motivi di ricorso che il TAR, in sede di giudizio di ottemperanza, aveva dichiarato assorbiti e evidenziava, con distinta memoria, che “il Consiglio di Stato - anche qualora accolga l’appello, non ritenendo sussistente la fattispecie di nullità dichiarata dal TAR - non potrà che consentire al ricorrente in primo grado di procedere alla riassunzione del giudizio dinanzi al medesimo TAR, innanzi al quale il processo potrà proseguire, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda di annullamento, ai sensi dell’articolo 32, comma 2, c.p.a.” e che, per esserci la corretta ottemperanza al giudicato, l’ente parco avrebbe dovuto ““o inserire la dott.ssa – OMISSIS – nella terza terna dei candidati” oppure “quantomeno, prendere in considerazione la specifica posizione rivestita dalla dott.ssa – OMISSIS - […] esplicitando le ragioni sottese alla scelta di non inserirla nella terza terna dei candidati””[3].
Di contro, la Regione, che si era costituita in quanto cointeressata, depositava un documento dal quale emergeva il sopravvenuto collocamento a riposo della ricorrente, che, perciò, non avrebbe potuto essere nominata Dirigente. All’eccezione relativa all’insussistenza dell’interesse alla decisione sulla domanda di nullità per violazione o elusione di giudicato rappresentata dalla Regione Lazio, la ricorrente ribadiva la sussistenza del proprio interesse a ottenere la pronuncia sulla domanda di nullità ai fini risarcitori, ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a.
La questione di rilievo che il Collegio affronta nella sentenza in commento è, perciò, l’applicabilità dell’art. 34, comma 3 c.p.a., nella parte in cui prevede il meccanismo di “conversione” della pronuncia costitutiva di annullamento, ex art. 29 c.p.a., in una pronuncia di accertamento dell’illegittimità dell’atto “se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”, anche in sede di ottemperanza al giudicato, nel caso in cui sia sopravvenuta la carenza di interesse a una pronuncia di nullità per violazione o elusione del giudicato. A riguardo del rilievo dell’interesse alla pronuncia risarcitoria, la sentenza in commento richiama la sentenza del 13 luglio 2022, n. 8, secondo cui, per procedere all’accertamento dell’illegittimità dell’atto, ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a, sarebbe sufficiente la mera dichiarazione di un interesse anche solo strumentale e morale alla domanda risarcitoria[4]. Tale interesse sarebbe configurabile nel caso di specie, poiché “malgrado l’avvenuto pensionamento, la ricorrente conserva comunque un interesse almeno morale alla decisione del ricorso ex art. 112 c.p.a., trattandosi di questioni comunque attinenti alla sua sfera professionale e alle gratificazioni, anche di carattere personale, che si possono ritrarre anche solo dalla possibilità di una nomina a un incarico apicale”[5]. La sentenza in commento ravvisa, perciò, la possibilità di convertire, nel giudizio di impugnazione della sentenza resa in sede di ottemperanza, l’azione di nullità in un’azione di accertamento dell’illegittimità dell’atto, in forza del fatto che la ratio dell’art. 34 comma 3 c.p.a. sarebbe quella di garantire, “in coerenza con l’art. 1 del c.p.a., una «tutela effettiva» del cittadino anche nel caso in cui – «nel corso del giudizio» – sia divenuta impossibile la tutela in forma specifica tramite l’annullamento dell’atto, ma si possa (e si debba) comunque fornire una tutela per equivalente. Il risarcimento diventa, così, l’unica forma di tutela cui l’interessato – illegittimamente colpito da un provvedimento viziato e lesivo – può aspirare”[6]. Pertanto, rileva il Collegio, “anche se il dettato del comma 3 dell’art. 34 fa esplicito riferimento (soltanto) all’azione di annullamento, la medesima ratio legisimpone di ritenere […] che il meccanismo di conversione possa essere invocato anche da chi rischia di perdere il bene della vita non a causa di un provvedimento illegittimo tout court, di cui «non risulta più utile l’annullamento», ma a causa di un provvedimento nullo per violazione di un giudicato, nel caso in cui – sempre «nel corso del giudizio» – sia sopravvenuta la carenza d’interesse a una pronuncia sulla sussistenza di questo profilo di illegittimità. Tale conclusione discende dalla inderogabile necessità, per la giurisdizione amministrativa, di assicurare anche nel giudizio di ottemperanza «una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo», secondo quanto stabilito dall’art. 1 c.p.a.. Questa norma, che pone all’inizio del codice del processo il fondamentale principio di effettività, deve assurgere a guida esegetica anche per l’interpretazione e l’applicazione delle altre disposizioni del codice, ivi compreso l’art. 34, comma 3, qui in questione. In caso contrario, la mera inerzia dell’amministrazione di fronte a una pronuncia del giudice rischierebbe di rendere inutile la pretesa del cittadino alla sua esecuzione, con perdita definitiva (anche «per equivalente») del bene della vita cui è preordinata la domanda di nullità per violazione o elusione del giudicato e conseguente lesione anche del principio di effettività della tutela”[7]. Il Collegio, pertanto, propone un’interpretazione estensiva dell’art. 34, comma 3 c.p.a., che costituirebbe “estrinsecazione di un principio generale che, in ossequio a consolidati canoni processuali, consente l’emendatio riduttiva di ogni domanda volta all’accertamento dell’invalidità del provvedimento amministrativo, ivi compresa la patologia più radicale di cui all’art. 21 septies della legge n. 241 del 1990. Alla stregua di quanto esposto, anche chi ha proposto azione di ottemperanza ex art. 112 c.p.a. potrà (limitarsi a) domandare – come avvenuto nel caso di specie – l’accertamento dell’illegittimità dell’atto ai fini esclusivamente risarcitori ex art. 34, comma 3, del medesimo codice”[8].
Il Consiglio di Stato (Sez. IV), in sede giurisdizionale, pertanto, accoglie l’interpretazione dell’art. 34, comma 3 c.p.a. per cui sarebbe possibile convertire l’azione di nullità in una declaratoria di illegittimità del provvedimento e degli atti impugnati e respinge l’appello, confermando la sentenza impugnata con diversa motivazione nella parte in cui la sentenza impugnata obbliga la Regione Lazio “a vagliare l’opportunità di individuare il Direttore dell’Ente Parco fra i candidati presenti nella prima terna elaborata” [9], che esula dal perimetro del giudicato.
2. I presupposti per la conversione dell’azione di annullamento in un’azione di accertamento ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a.
Come noto nel processo amministrativo la conversione della domanda è disciplinata dall’art. 32 comma 2, secondo periodo c.p.a. La norma, dopo aver disposto che il giudice qualifica la domanda sulla base degli elementi sostanziali della stessa e, perciò, “superando l’eventuale nomen iuris scelto dalla parte”[10], afferma che “sussistendone i presupposti il giudice può sempre disporre la conversione delle azioni”. Con riguardo alla conversione di domande nel giudizio di ottemperanza, la giurisprudenza ha ravvisato la possibilità di una conversione ex officio[11], ad esempio, nel caso in cui a seguito dell’annullamento di un atto da parte del giudice amministrativo, l’atto emanato dall’Amministrazione, quando rinnova l’esercizio delle sue funzioni, sia impugnato “«[…]davanti al giudice dell’ottemperanza lamentando la violazione o elusione del giudicato ovvero la presenza di nuovi vizi di legittimità nella rinnovata determinazione[…]»”[12]. In tal caso, si è affermato che “«[…] il giudice dell’ottemperanza è quindi chiamato, in primo luogo, a qualificare le domande prospettate, distinguendo quelle attinenti propriamente all'ottemperanza da quelle che invece hanno a che fare con il prosieguo dell'azione amministrativa, traendone le necessarie conseguenze quanto al rito ed ai poteri decisori; nel caso in cui il giudice dell’ottemperanza ritenga che il nuovo provvedimento emanato dall'amministrazione costituisca violazione ovvero elusione del giudicato, ne dichiara la nullità, con la conseguente improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse della seconda domanda (quella cioè volta a sollecitare un giudizio sulla illegittimità dell'atto gravato); viceversa, in caso di rigetto della domanda di nullità, il giudice dispone la conversione dell’azione per la riassunzione del giudizio innanzi al giudice competente per la cognizione, ai sensi dell’art. 32, comma 2, c.p.a.» ed inoltre, «ove ne sussistano i presupposti processuali, tale azione sia proposta non già entro il termine proprio dell’actio iudicati (dieci anni, ex art. 114, co. 1, cui rinvia l’art. 31, co. 4, cpa), bensì entro il termine di decadenza previsto dall’art. 41 cpa»”[13]. La giurisprudenza rileva anche la possibilità di convertire ex art 32 co. 2 c.p.a. un ricorso in ottemperanza in un giudizio avverso il silenzio, ex art. 31 e 117 c.p.a., nel caso in cui “il ricorso per ottemperanza sia esperito per l’ottemperanza a una sentenza di annullamento di diniego di concessione, che contenga anche un esplicito riferimento alla necessità/obbligatorietà del Comune di pronunciarsi”[14].
L’art. 32, co. 2 c.p.a., pertanto, consente al giudice di disporre la conversione dell’azione in tutti i casi in cui sussista un rapporto di continenza tra le due domande, per cui la domanda “convertita” costituirebbe un minus rispetto alla domanda “da convertire”, in quanto già implicitamente formulata[15]. Con riguardo, in particolare, alla convertibilità dell’azione di annullamento in un’azione di accertamento ai sensi dell’art. 34, comma 3 c.p.a., la giurisprudenza evidenzia la necessità di ravvisare anche un collegamento tra l’azione di accertamento e la domanda risarcitoria eventualmente formulata successivamente. A questo riguardo, l’Adunanza Plenaria, nella stessa sentenza n. 8/2022 evidenzia come secondo un orientamento minoritario, ai fini della conversione dell’azione di annullamento in una domanda di accertamento dell’illegittimità dell’atto impugnato ai sensi dell’art. 34, comma 3 c.p.a., sarebbe necessario che l’interessato alleghi i “presupposti della successiva domanda risarcitoria o, almeno, sarebbe necessario che sia comprovato sulla base di elementi concreti il danno ingiustamente subito […]”[16]. Di contro, secondo un orientamento maggioritario cui ha aderito anche l’Adunanza Plenaria con la sentenza del 13 luglio 2022, n. 8, l’art. 34, comma 3 c.p.a. deve intendersi nel senso che l’obbligo di accertare l’illegittimità dell’atto impugnato sussista in caso di espressa dichiarazione di interesse della parte ricorrente, non essendo necessaria l’allegazione degli elementi che dimostrino il danno concretamente subito[17]. Inoltre, con riguardo al rapporto tra la domanda di annullamento e la domanda risarcitoria si è rilevato che “se fosse stata proposta domanda di risarcimento in cumulo con la domanda di annullamento, il giudice, pur avendo accertato l’improcedibilità della domanda di annullamento, per il carattere autonomo della domanda risarcitoria, sarebbe comunque tenuto a pronunciarsi sulla stessa per il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.a., incorrendo, altrimenti, nel vizio di omessa pronuncia. In tale ricostruzione, pertanto, la disposizione contenuta nell’art. 34, comma 3, c.p.a. sarebbe del tutto superflua; essa, invece, si rende necessaria proprio per l’assenza di rituale domanda risarcitoria che la parte ben potrebbe proporre successivamente in autonomo giudizio, una volta ottenuto dal giudice l’accertamento dell’illegittimità dell’azione amministrativa”[18].
Con riguardo al primo orientamento, l’Adunanza Plenaria del 13 luglio 2022, n. 8 rileva che la manifestazione di interesse all’accertamento dell’illegittimità dell’atto impugnato in un giudizio in cui sia pendente una domanda risarcitoria si ponga in termini di contraddizione logica con quest’ultima, poiché mentre nel caso del sopravvenuto difetto di interesse alla pronuncia di annullamento, la pronuncia di accertamento rappresenta “una modifica in senso riduttivo di una domanda già proposta, quella di annullamento”[19], nel caso in cui penda un’azione di risarcimento del danno “l’accertamento mero si palesa inutile ed è assorbito da quello che deve svolgersi in sede di esame della domanda risarcitoria”[20]. A tali conclusioni, la giurisprudenza è pervenuta coordinando l’art. 34, comma 3, c.p.a. con la disciplina processuale dell’azione di risarcimento contenuta nel codice del processo amministrativo, ossia con l’art. 30, co 5 c.p.a. [21], che consente di proporre l’azione risarcitoria nel corso del giudizio o comunque, entro 120 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di annullamento. È quindi evidente che il termine ultimo di decadenza per la proposizione dell’azione risarcitoria, che si pone oltre la definizione del giudizio di annullamento, non consentirebbe di ammettere la conversione dell’azione di annullamento in un accertamento dell’illegittimità dell’atto impugnato se fossero allegati alla domanda di annullamento i presupposti che consentirebbero la proposizione di un’azione risarcitoria. Pertanto, “l’interesse risarcitorio ai fini di una pronuncia di accertamento di illegittimità dell’atto impugnato si correla al termine ultimo previsto dalla disposizione ora menzionata, in forza della quale è possibile promuovere giudizi in successione per ottenere quella «tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo» enunciata dall’art. 1 c.p.a. quale principio fondamentale della giurisdizione amministrativa. Nella cornice così definita, contraddistinta da un’ampia possibilità di scelta per il privato di modulare la propria strategia processuale a tutela dei suoi diritti ed interessi, la manifestazione dell’interesse risarcitorio ai fini dell’eventuale azione di risarcimento dei danni dell’atto originariamente impugnato, ma per il cui annullamento è venuto meno l’interesse nel corso del giudizio, consente al medesimo privato di ricavare dal giudizio di impugnazione un’utilità residua, impeditiva della pronuncia in rito ex art. 35, comma 1, lett c), c.p.a., nella futura prospettiva di una tutela per equivalente monetario che il codice consente di fare valere […]”[22]. L’Adunanza Plenaria rileva, quindi, come anche da altre disposizioni del codice del processo amministrativo, ai fini della sussistenza di un interesse ai fini risarcitori posto a condizione della pronuncia di accertamento dall’art. 34, comma 3 c.p.a., emerga la sufficienza di una mera dichiarazione di interesse alla pronuncia risarcitoria – da rendersi nelle forme e nei termini previsti dall’art. 73 c.p.a., a garanzia del contraddittorio nei confronti delle altre parti – perché sorga l’obbligo per il giudice di accertare l’eventuale illegittimità dell’atto impugnato. Tra queste disposizioni, la giurisprudenza in esame evidenzia il rilievo del “l’art. 35, comma 1, lett. c), che prevede l’improcedibilità del ricorso «quando nel corso del giudizio sopravviene il difetto di interesse delle parti alla decisione», soggetta non solo all’eccezione di parte ma anche al rilievo officioso del giudice” [23] e dell’ “art. 104, comma 1, che nell’enunciare il c.d. divieto dei nova in appello, per cui «non possono essere proposte nuove domande”, precisa che resta «fermo quanto previsto dall’art. 34, comma 3»”[24]. Pertanto, osserva la giurisprudenza in esame, “dal punto di vista processuale il fenomeno è inquadrabile nella c.d. emendatio della domanda, in senso riduttivo quanto al petitum immediato, non integrante un mutamento non consentito nell’ambito del principio della domanda, come evincibile dalla clausola di salvezza rispetto al c.d. divieto dei nova in appello previsto dall’art. 104, comma 1, c.p.a., sopra richiamato. A sua volta, la dichiarazione di interesse risarcitorio in funzione dell’accertamento dell’illegittimità dell’atto impugnato mira a provocare una pronuncia che seppur non modificativa della realtà giuridica, come invece quella demolitoria di annullamento, verte comunque su un antecedente logico-giuridico dell’azione risarcitoria, per la quale è conseguentemente predicabile l’attitudine a divenire cosa giudicata in senso sostanziale ai sensi dell’art. 2909 del codice civile”[25]. Pertanto, rileva il Collegio nella sentenza in esame, “sulla base di quanto ora esposto si trae l’ulteriore corollario per cui l’accertamento richiesto è esattamente quello che il giudice avrebbe dovuto svolgere nell’esaminare nel merito la domanda di annullamento, donde […] la necessità di svolgere un’istruttoria laddove necessario, con la sola differenza che in caso positivo tale accertamento non va a costituire il presupposto per la pronuncia costitutiva di annullamento dell’atto impugnato, ma esaurisce il contenuto della pronuncia (di accertamento mero) con cui il giudizio è definito”[26]. Pertanto, la ratio sottesa all’art. 34, comma 3, c.p.a., che consente l’applicabilità della norma anche a fattispecie diverse da quella indicata e, perciò, anche in sede di giudizio di ottemperanza, non può che essere ravvisato nella previsione della possibilità di esperire un’azione di mero accertamento, che non si limita a momento logico propedeutico al giudizio sulle altre azioni di cognizione (di condanna e costitutiva), ma esaurisce in sé lo scopo del processo[27]. “Con la particolarità che qui l’incisione della situazione giuridica sostanziale non consiste nella condizione di incertezza, obiettiva e pregiudizievole, originata dalla contestazione di controparte, che si intende con l’azione di mero accertamento eliminare. L’interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), piuttosto, è integrato dalla necessità di economizzare un giudizio già instauratosi (ma destinato a concludersi in rito, per via di sopravvenienze), deragliandone il percorso in funzione dell’accertamento di una parte (quella riferita alla illegittimità dell’atto) dei fatti costitutivi necessari ai fini dell’accoglimento della (eventuale) azione risarcitoria (in sostanza, dall’annullamento dell’atto si passa ad una sentenza generica su di una frazione dell’ an della pretesa risarcitoria)”[28].
3. Brevi cenni sull’azione di nullità per violazione o elusione del giudicato come azione costitutiva e sua convertibilità in un’azione di accertamento.
Con riguardo al problema della conversione dell’azione di nullità per violazione o elusione del giudicato in una pronuncia di accertamento si ritiene utile richiamare l’art. 31, comma 4 c.p.a. che, disciplinando l’azione di nullità, dispone un regime giuridico diverso a seconda della singola fattispecie di nullità che, di volta in volta, è configurabile nel caso di specie. La letteratura pare concorde nel ritenere che la fattispecie di nullità per carenza assoluta di potere sia inquadrabile in un’ipotesi di nullità-inesistenza e, perciò, sia riconducibile alla giurisdizione del giudice ordinario[29]. Diversa, invece, è l’azione di nullità relativa ai casi di nullità testuale, per cui la previsione di un termine di decadenza di 180 giorni per la proposizione della domanda conduce a presumere che le fattispecie di nullità riconducibili al regime giuridico di cui all’art. 31, comma 4 c.p.a. siano quelle in cui l’atto nullo è idoneo a produrre conseguenze sul piano giuridico. Si è quindi affermato come la pronuncia di nullità di cui all’art. 31, comma 4 c.p.a. sia più propriamente da considerarsi come una sorta di “annullabilità rafforzata”[30] poiché, non essendo possibile, dopo la scadenza del termine, contestare la nullità del provvedimento, non sarebbe neppure possibile contestare che quel provvedimento, pur essendo invalido, continui ad esistere e a produrre effetti. A tale ricostruzione non osta la Costituzione, che all’art. 113, comma 3 Cost., nel disporre che la legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa, sembra consentire al legislatore di prevedere conseguenze diverse dall’annullamento di teoria generale a fronte di un provvedimento illegittimo[31], purchè sia garantita una tutela non inferiore rispetto a quella che sarebbe garantita dalla pronuncia di annullamento[32]. L’annullamento, pertanto, non è la conseguenza necessaria, ma una conseguenza possibile dell’“illegale” esercizio del potere, potendo il legislatore disporre anche una tutela risarcitoria o di nullità come sanzione dell’illegittimità. Decorso il termine di decadenza di 180 giorni, quindi, l’atto diventa inoppugnabile e i suoi effetti non possono più essere contestati. Con la conseguenza che quegli effetti esistono e, pertanto, l’azione di nullità in esame sembra avere una natura costitutiva.
Lo stesso art. 34, comma 4 c.p.a. dispone, infine, che tale regime giuridico non si applica alle nullità di cui all’art. 114, comma 4, lettera b, ossia ai casi di nullità per violazione o elusione del giudicato, per le quali restano ferme le disposizioni del Titolo I del Libro IV. Sembra opportuno chiarire, a questo punto, se l’azione di nullità per violazione o elusione del giudicato abbia, anch’essa, una natura costitutiva oppure meramente dichiarativa poiché, se fosse configurabile una natura dichiarativa, si presenterebbero alcune criticità con riguardo alla possibilità di individuare il criterio della continenza – per cui sarebbe possibile convertire un’azione in un’altra solo entro una logica “riduttiva”[33] – come riferimento per applicare l’istituto della conversione. Infatti, già altri hanno dubitato della continenza come criterio utile a individuare i presupposti della conversione[34]. Tale criterio “si rivela ancor più critico nel caso della conversione reciproca tra giudizio di ottemperanza e giudizio ordinario, poichè consente la conversione in via unidirezionale, dall’azione di nullità a quella di annullamento e nel caso dell’implicita conversione dell’azione di annullamento in annullamento ex nunc, posto che la continenza pare giustificare la mutilazione dell’azione di annullamento”[35]. La dottrina in esame, pertanto, rileva la necessità di una maggiore valorizzazione della vicenda sostanziale rispetto alla conversione, “restituendo centralità […] alle allegazioni delle parti e, dunque, al generale principio della domanda”[36]. Perciò, “si potrebbe anche dire […] che si realizza un’ulteriore ipotesi di «continenza», atteso che le domande convertite devono essere «contenute» nelle allegazioni delle parti: si tratterebbe, dunque, di una continenza differente, non basata su indici quantitativi, ma fondata sulla centralità della vicenda sostanziale prospettata dal ricorrente e dettagliata nel contradditorio fra le parti”[37].
Tuttavia, l’applicazione del criterio della continenza, così come elaborato dalla giurisprudenza maggioritaria, nel caso di conversione dell’azione di nullità per violazione o elusione del giudicato in un’azione di accertamento non sembra comportare particolari problemi. Infatti, non dissimilmente dai casi di nullità testuale pare che anche l’atto adottato in violazione o elusione del giudicato, in mancanza di impugnazione nel termine di prescrizione decennale, continui ad esistere e ad avere la forza necessaria per modificare la realtà giuridica sostanziale preesistente[38]. Infatti, tale atto non può che avere la stessa forza che aveva l’atto emanato in prima battuta dall’Amministrazione, prima della sua impugnazione e della formazione del giudicato. Tuttavia, mentre, nel giudizio di cognizione, all’illegittimità dell’atto segue il suo annullamento, alla reiterata violazione della medesima norma che regola l’esercizio del potere l’ordinamento riconduce la nullità per violazione o elusione del giudicato, dal momento che il ricorso per l’ottemperanza rappresenta un mezzo di coercizione più incisivo rispetto a quello offerto nell’ordinario giudizio di legittimità[39], in quanto strumentale al pieno soddisfacimento della stessa tutela di legittimità[40].
4. Conclusioni
Se, pertanto, la pronuncia di nullità per violazione o elusione del giudicato concretizza una sentenza costitutiva, il cui presupposto logico necessario è l’accertamento della violazione della medesima norma d’azione accertata nel giudizio di cognizione, sembra potersi ritenere che non dissimilmente dai casi di annullabilità del provvedimento per i quali è ammessa la conversione dell’azione costitutiva in un’azione di accertamento se sussiste un interesse ai fini risarcitori, anche nei casi di nullità di cui alla sentenza in commento possa applicarsi l’art. 34, comma 3 c.p.a. Come la pronuncia costitutiva di annullamento, infatti, sembra che anche la sentenza di nullità per violazione o elusione del giudicato possa scindersi in un effetto dichiarativo, coperto dal giudicato, e un effetto costitutivo. Sicchè, nel caso in cui venga meno l’interesse alla pronuncia costitutiva, il giudice possa limitarsi a accertare l’illegittimità del provvedimento per violazione o elusione del giudicato, che funge, a sua volta, da presupposto per la condanna al risarcimento del danno per equivalente.
Le ragioni che giustificano una interpretazione estensiva dell’art. 34, comma 3 c.p.a. sembrano potersi ricondurre non solo a elementi di carattere strutturale della tutela di nullità di cui all’art. 114, comma 4, lettera b c.p.a., ma anche, come rilevato dalla sentenza in commento, all’esigenza di garantire una tutela piena e effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo così come recepiti dall’ 1 c.p.a. La conversione dell’azione di nullità in un’azione di accertamento, infatti, consente di garantire una tutela per equivalente laddove la tutela in forma specifica, in sede di giudizio di ottemperanza[41], non sia più possibile. Tale tutela per equivalente, peraltro, oltre a essere un riflesso delle esigenze di effettività della tutela giurisdizionale di cui all’art. 1 c.p.a., è esplicitamente garantita dall’art. 112, comma 3, c.p.a., per cui può essere proposta, anche in unico grado dinanzi al giudice dell’ottemperanza […] azione di risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione. Il ricorrente vittorioso, tuttavia, potrebbe esperire suddetta tutela risarcitoria per equivalente anche successivamente alla “declaratoria” di nullità per violazione del giudicato in forza dell’art. 30, comma 5 c.p.a.. L’art. 30, comma 5 c.p.a., infatti, sebbene disponga che l’azione risarcitoria può essere proposta sino a 120 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di annullamento, sembra applicabile anche nel giudizio reso in sede di ottemperanza se si considera che il regime giuridico dell’azione di condanna di cui all’art. 30 c.p.a. vale anche per i casi di giurisdizione esclusiva, cui sembra rientrare anche il giudizio di ottemperanza (che tutela il diritto di pretendere dall’Amministrazione la prestazione dovuta) giacchè la tassatività dei casi di giurisdizione esclusiva, non esclude che si possa riconoscere i caratteri di tale giurisdizione in fattispecie già pienamente regolate dalla legge[42].
[1] Testualmente Cons. Stato, Sez. IV, 22 gennaio 2024, n. 664, sub 3.3.
[2] Cons. Stato, cit., sub 8.1.
[3] Cons. Stato, cit., sub 8.5.
[4] Cons. Stato, cit., sub 10.2.
[5] Cons. Stato, cit., sub 10.4.
[6] Cons. Stato, cit., sub 10.2.
[7] Cons. Stato, cit., sub 10.3.
[8] Cons. Stato, cit., sub 10.3.
[9] Cons. Stato, cit., sub 11.6.
[10] S. FRANCA, La conversione dell’azione tra potere officioso e principio della domanda: dal criterio della continenza alla centralità della vicenda sostanziale, in Dir. proc. amm., 1/2024, 148.
[11] V. per tutti Cons. Stato, Ad. pl. 15 gennaio 2013, n. 2, sub 4.
[12] Cons. Stato sez. IV, 30 agosto 2023, n. 8050, sub 12.
[13] Cons. Stato, cit., sub 12. Cfr. T.A.R. Lazio, sez. I - Roma, 25 agosto 2020, n. 9262.
[14] T.A.R. Lazio ,sez. I - Latina, 24 ottobre 2022, n. 825, massima dejure.it.
[15] Cons. Stato, sez. V, 28 luglio 2014, n. 3997, sub 5. Sul rapporto di continenza nel caso di conversione di domande v. anche Consiglio di Stato sez. V, 02 luglio 2020, n. 4253, Cons. Stato, sez. VI, 4 maggio 2018, n. 2651; Cons. Stato, sez. IV, 16 giugno 2015, n. 2979; Cons. Stato, sez. V, 28 luglio 2014, n. 3997.
[16] Cons. Stato, Ad. Pl., 13 luglio 2022, n. 8, sub 1. Cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 agosto 2017, sub 4.1.
[17] Sul rilievo dell’allegazione dei presupposti per la successiva proposizione dell’azione risarcitoria o comunque degli elementi concreti che comprovino il danno successivamente subito v. Cons. Stato, sez. V, 15 marzo 2016 n 1023.
[18] Cons. Stato, Sez. V, 29 gennaio 2020, n 727, sub 3.2.
[19] Cons. Stato, Ad. Pl., 13 luglio 2022, n. 8, sub 22.
[20] Cons. Stato, cit., sub 21.
[21] Ibidem.
[22] Cons. Stato, cit., sub 16.
[23] Cons. Stato, cit., sub 9.
[24] Ibidem
[25] Cons. Stato, cit., sub 18
[26] Cons. Stato, cit., sub 19
[27] T.A.R. Lombardia, sez. I – Milano, 24 ottobre 2013, n. 2367, sub III.1.
[28] Ibidem
[29] Consiglio di Stato sez. VI, 27/01/2012, n.372; T.A.R. Torino, (Piemonte) sez. I, 22/01/2015, n.137; T.A.R. Pescara, (Abruzzo) sez. I, 09/10/2013, n.473; T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 06/03/2013, n. 2432; Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 16/07/2019, n.674. In dottrina v. C. E. GALLO, Sulla nullità del provvedimento amministrativo, in Dir. amm., 1/2017, 57-58 rileva: “Nella gran parte delle ipotesi in cui si contesta la nullità del provvedimento per carenza di potere o per difetto di attribuzione la giurisdizione è del giudice ordinario perché il provvedimento asseritamente nullo è l'atto con il quale l'amministrazione si confronta con il cittadino, meglio incide sulla sua posizione giuridica: l'accertamento della nullità impedisce, perciò, la lesione (si pensi alla nullità del decreto di espropriazione, anche nel caso in cui la nullità dipenda da un vizio di un atto del procedimento, quale è la dichiarazione di pubblica utilità, che, però, ha l'effetto di privare di potere l'amministrazione in sede di adozione dell'atto ablativo)”. Sulla nullità per violazione o elusione del giudicato v. R. FUSCO, Il sindacato giurisdizionale sulla riedizione del potere amministrativo a seguito del giudicato, in Dir. proc. amm., 1/2024, 67-109.
[30] Configura la “declaratoria” di nullità sottoposta al termine di decadenza di 180 giorni come “annullabilità rafforzata” B. SASSANI, Riflessioni sull’azione di nullità, in Dir. proc. amm., 2011, 275 s. Rileva D. CORLETTO, Sulla nullità degli atti amministrativi, in giustamm.it.: “Se l’atto amministrativo è lo strumento principale della concreta azione pubblica, se esso è, tanto per non mascherare la sostanza, la manifestazione del potere di comando e di controllo si di una società, è essenziale che sia efficace, che raggiunga i suoi scopi, e in sostanzia che sia obbedito. Le esigenze della effettività del potere pubblico, fino a che si vuole che un potere pubblico vi sia, sono evidentemente incompatibili con un regime di inefficacia radicale degli atti, tale da autorizzare la disobbedienza al provvedimento, la piena irrilevanza di questo. Il regime della nullità, per essere compatibile, o anche solo pensabile con riferimento agli atti del potere pubblico, non può configurarsi quindi altrimenti che ammettendo che l’atto sia comunque per l’intanto efficace, se può e riesce ad esserlo, fino a che la nullità non viene dichiarata o accertata. Sotto questo aspetto (efficacia fino a contraria dichiarazione) il regime della nullità non può ragionevolmente differire da quello della annullabilità”.
[31] F. VOLPE, La non annullabilità dei provvedimenti amministrativi illegittimi, in Dir. proc. amm., 2/2008, 342-350.
[32] F. VOLPE, ult. op. cit., 346-348.
[33] S. FRANCA, La conversione dell’azione tra potere officioso e principio della domanda: dal criterio della continenza alla centralità della vicenda sostanziale, in Dir. proc. amm., 1/2024, 151.
[34] S. FRANCA, ult. op. cit., 153-169.
[35] S. FRANCA, ult. op. cit., 177.
[36] Ibidem.
[37] S. FRANCA, ult. op. cit., 178.
[38] Rileva come nell’atto adottato in violazione o elusione del giudicato sia configurabile una “violazione del dovere di esercitare il potere secondo la disciplina del caso data dal giudicato” D. CORLETTO, Sulla nullità, cit. Sulla nullità per violazione o elusione del giudicato v. anche M. D’ORSOGNA, Violazione ed elusione del giudicato nella nuova disciplina delle nullità dei provvedimenti amministrativi, in giustamm.it.
[39] F. VOLPE, Norme di relazione, norme d’azione e sistema italiano di giustizia amministrativa, Padova, 2004, 534.
[40] F. VOLPE, ult. op. cit., 533.
[41] Rileva come il giudizio di ottemperanza sia uno “strumento volto a garantire l’effettività della tutela costitutiva di annullamento erogata in fase di accertamento dal giudice amministrativo” F. FRANCARIO, La sentenza: tipologia e ottemperanza nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm. 4/2016, 1033.
[42] S. GIACCHETTI, Un nuovo abito per il giudizio di ottemperanza, in Foro amm., I, 1979, 2623.