L’impugnazione del bando da parte dell’impresa che non partecipa alla gara: dalla legittimazione al ricorso all’onere della prova. Nota a T.A.R. Campania – Salerno, sez. I, n. 1344 del 12 giugno 2023
di Fortunato Gambardella
Sommario: 1. La vicenda processuale. – 2. La legittimazione all’impugnazione del bando di gara in capo a soggetti non partecipanti alla gara: le basi del ragionamento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. – 3. Il regime d’impugnazione delle clausole attinenti la formulazione dell’offerta che ne rendono impossibile la presentazione: l’Adunanza Plenaria n. 4 del 2018. – 4. Brevi considerazioni critiche sull’impiego dello strumento probatorio della verificazione nei giudizi di impugnazione dei bandi provocati da imprese non partecipanti alle gare.
1. La vicenda processuale
La sentenza n. 1344 del 2023 del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sezione I di Salerno, rilancia l’attenzione, con orientamento spiccatamente aperturista, sul tradizionale tema della legittimazione a ricorrere, nelle gare ad evidenza pubblica, in capo agli operatori economici che non abbiamo partecipato alla relativa procedura di scelta del contraente.
La vicenda riguarda l’impugnazione di un bando/disciplinare relativo alla “Procedura aperta per l’affidamento del Servizio di gestione integrata dei rifiuti e spazzamento del Comune di Castellabate”, da parte di un operatore economico non partecipante alla gara ma interessato a presentare domanda di partecipazione alla stessa. Il ricorso si fonda sull’assunto secondo cui le previsioni contenute nei documenti di gara prevederebbero, a carico degli operatori privati, attività antieconomiche e sottocosto, così alterando la dinamica concorrenziale e la regola della più ampia partecipazione alla competizione.
Sospesi con ordinanza i provvedimenti impugnati, il collegio campano ha disposto l’espletamento della verificazione, al fine di analizzare le relazioni di stima dei costi sulla scorta delle quali è stato redatto il bando/disciplinare e di valutare le lamentate anomalie per ciascuna voce determinante l’importo a base di gara per come descritte nel ricorso, tra cui: - la sottostima del costo del personale; - la sottostima del costo degli automezzi; - il costo annuo delle attrezzature da installare presso il centro di raccolta. In particolare, l’ordinanza ha disposto che il verificatore dovesse accertare se i costi fossero sottostimati al punto da impedire all’operatore di formulare un’offerta economicamente sostenibile, seria, congrua ed attendibile.
La relazione conclusiva delle operazioni di verificazione ha riscontrato “alcune criticità nella documentazione progettuale oggetto di verificazione”, con riferimento particolare: ai “costi in ammortamento” considerati nel bando per gli automezzi e valutati come diversi rispetto ai costi ottenuti a seguito dell’analisi di mercato svolta in maniera autonoma e indipendente nell’ambito della verificazione; alla stima del costo del personale non aggiornato alla più recente contrattazione collettiva per i servizi ambientali; al costo per l’acquisto delle attrezzature da installare nel centro di raccolta.
Per l’effetto, il giudice amministrativo ha accolto il ricorso, annullando gli atti impugnati nel punto relativo ai riferiti costi, ferma la conclusione della relazione di verificazione, che evidenziava uno scarto rilevante (nella misura del 10,38%) tra i costi individuati nella lex specialis e i costi effettivi e reali a carico dell’aggiudicatario, tale da comportare la circostanza che l’operatore economico non fosse stato messo in condizione di presentare un’offerta congrua, seria e non antieconomica, con conseguente “danno alla concorrenza e alla massima partecipazione alle gare”.
2. La legittimazione all’impugnazione del bando di gara in capo a soggetti non partecipanti alla gara: le basi del ragionamento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
In punto di legittimazione all’azione del ricorrente non partecipante alla procedura di gara, ma semplicemente interessato alla partecipazione alla medesima, la sentenza in commento si colloca esplicitamente nel solco degli indirizzi giurisprudenziali nel tempo consolidatisi nella giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
È una traiettoria che ha ormai dei precisi punti fermi e che origina dalla sentenza n. 1 del 2003, transita per le decisioni n. 4 del 2011 e n. 11 del 2014, per approdare alla sentenza n. 4 del 2018 del supremo collegio. Ed è una traiettoria che, com’è noto, muove dalla considerazione della partecipazione alla procedura di gara come presupposto di qualificazione e differenziazione dell’interesse ad impugnare, in quanto elemento idoneo a collocare l’operatore economico in posizione giuridica differenziata rispetto alle altre imprese presenti sul mercato, radicando, in capo all’impresa, un interesse legittimo che le consenta di provocare il sindacato di legittimità sulle clausole della lex specialis. Si tratta di una linea ermeneutica animata anche da intenti di deflazione del contenzioso ([1]) ma non scevra da rischi, sia sul piano della garanzia di effettività della tutela giurisdizionale e della compressione del diritto costituzionale di difesa (ex articolo art 24 Cost.), quanto nella prospettiva del rispetto dei principi del diritto europeo in materia di contratti pubblici, a partire dalla considerazione del canone comunitario della massima concorrenza, lungo una traccia più volte rivendicata dalla giurisprudenza sovranazionale ([2]).
Nella sentenza dell’Adunanza plenaria del 2003, sia chiaro, il tema della legittimazione processuale attiva avverso il bando di gara non è affrontato in termini espliciti e diretti. Quella decisione si riferisce infatti, tra i vari profili che intercetta, alla questione della “esatta delimitazione dell’ambito oggettivo dell’onere di immediata impugnazione dal bando di gara o di concorso”. Posta la natura del bando quale atto generale, la questione è risolta dal Supremo Collegio in continuità con l’indirizzo giurisprudenziale risalente secondo cui i bandi di gara e di concorso vanno normalmente impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi a identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell’interessato. Alla base del ragionamento il collegamento tra lesione della situazione giuridica e interesse all’impugnazione, per cui: di regola, a fronte di una clausola illegittima del bando, il partecipante alla procedura non è ancora titolare di un interesse attuale all’impugnazione, in quanto ancora ignaro della lesione concreta ed attuale della propria situazione soggettiva; eppure, a titolo di eccezione, qualora una clausola illegittima impedisca alla radice la partecipazione alla procedura di gara, la stessa appare idonea a produrre una lesione immediata, diretta ed attuale, nella situazione soggettiva dell’interessato, radicando, per l’effetto, un interesse immediato alla impugnazione.
Per questa via, l’Adunanza Plenaria del 2003 avalla quegli orientamenti giurisprudenziali che affermavano l’onere dell’immediata impugnativa delle clausole del bando che prescrivono requisiti di ammissione o di partecipazione alle gare, posto che la relativa lesività “non si manifesta e non opera per la prima volta con l’aggiudicazione, bensì nel momento anteriore nel quale tali requisiti sono stati assunti come regole per l’amministrazione (Cons. Stato, Sez. IV, 27 marzo 2002, n. 1747)”.
Il ragionamento della Plenaria del 2003 riguarda dunque la questione del tempo dell’impugnazione del bando e si muove, in ogni caso, sul tradizionale terreno della necessaria partecipazione alla gara come elemento di legittimazione all’impugnativa delle relative clausole. Si tratta però di una traiettoria speculativa che non può non avere effetti anche sul differente tema della legittimazione al ricorso, posto che “di regola, la lesione non si produce che con l’atto applicativo (di esclusione, di diniego di aggiudicazione): ed è allora, di regola, evidentemente necessaria la partecipazione; in via di eccezione la lesione si produce immediatamente per la presenza di clausole che precludono la partecipazione: ma in questi casi non è allora, altrettanto evidentemente, necessaria (oltre che in alcun modo utile) la partecipazione” ([3]). È una traccia interpretativa praticata, in quei settori della giurisprudenza inclini ad ammettere l’impugnativa del bando ad opera di imprese non partecipanti in tutti quei casi in cui la lex specialis concretizzi, per l’appunto, una lesività immediata sul piano della mera partecipazione alla procedura ([4]).
Orientamenti aperturisti dei quali successivamente terrà conto l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 4 del 2011. Il collegio, nell’ambito di una decisione che pur concentrava il relativo focus sulla questione sull’ordine delle trattazioni tra ricorso principale e incidentale, ha infatti affrontato anche il tema dell’onere di presentazione della domanda come presupposto legittimante del ricorso, proponendo un’impostazione di tipo evolutivo.
Il punto di partenza del ragionamento della Plenaria del 2011 è dato infatti dalla constatazione dell’evoluzione dell’ordinamento processuale amministrativo nel senso del progressivo ampliamento della legittimazione al ricorso. Una prospettiva che incontra terreno fertile anche nel campo delle controversie relative all’affidamento dei contratti pubblici, laddove l’esigenza di tutela della concorrenza ha permesso, all’elaborazione giurisprudenziale, di declinare ipotesi ulteriori di legittimazione al ricorso, slegate dalla partecipazione ad una determinata procedura. Nondimeno, si legge nella decisione, “la portata di questo allargamento della legittimazione non è affatto indiscriminata e generalizzata, correlandosi, anzi, a puntuali presupposti normativi e a rigorose fattispecie”.
Tali fattispecie sono pertanto puntualmente individuate dal supremo collegio e si snodano lungo tre direzioni: la legittimazione del soggetto che contrasta, in radice, la scelta della stazione appaltante di indire la procedura; la legittimazione dell’operatore economico “di settore”, che intende contestare un “affidamento diretto” o senza gara; la legittimazione dell’operatore che manifesta l’intenzione di impugnare una clausola del bando “escludente”, in relazione alla illegittima previsione di determinati requisiti di qualificazione. Si tratta di deroghe che non mettono in discussione la regola generale della necessaria sussistenza di un interesse sostanziale qualificato e differenziato del ricorrente, perché in ciascuno dei casi segnalati è ravvisabile una qualificazione soggettiva di chi agisce in giudizio che vale a differenziarne la condizione dalla mera situazione soggettiva di imprenditore potenzialmente aspirante all’indizione di una nuova gara.
3. Il regime d’impugnazione delle clausole attinenti la formulazione dell’offerta che ne rendono impossibile la presentazione: l’Adunanza Plenaria n. 4 del 2018.
L’autorevole indirizzo dell’Adunanza Plenaria è stato successivamente confermato, dal medesimo collegio, nella sentenza n. 9 del 25 febbraio 2014 ([5]), quindi ulteriormente esplicitato nella sentenza n. 4 del 26 aprile del 2018 ([6]).
La decisione del 2018 fa propri gli approdi delle sentenze del 2003 ([7]), del 2011 e del 2014 per ribadire, sia alla luce dell’indirizzo della giurisprudenza costituzionale nazionale ([8]) quanto in considerazione degli input del diritto europeo ([9]), l’eccezione alla regola-base del difetto di legittimazione attiva per il concorrente non partecipante, in relazione alle prospettate, tassative ipotesi: I) contestazione in radice dell’indizione della gara; II) contestazione dell’affidamento diretto disposto in luogo di gara; III) impugnazione diretta di clausole del bando immediatamente escludenti.
Sotto quest’ultimo profilo, l’Adunanza plenaria definisce come “escludenti”, quelle clausole che “con assoluta certezza … precludano l’utile partecipazione” dell’operatore economico. In questo novero, l’Adunanza Plenaria fa rientrare sia le clausole afferenti ai requisiti soggettivi quanto quelle “attinenti alla formulazione dell’offerta, sia sul piano tecnico che economico laddove esse rendano (realmente) impossibile la presentazione di una offerta”. È una definizione di carattere generale che la stessa sentenza ulteriormente dettaglia nel momento in cui passa in rassegna, sulla base degli indirizzi giurisprudenziali maggioritari, una pluralità di fattispecie concrete nelle quali evidentemente prende forma il canone della reale impossibilità nella presentazione dell’offerta. Si tratta di un repertorio vasto, che contempla, ad esempio, le clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale, oppure quei bandi contenenti gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate ([10]).
Nel medesimo repertorio, il supremo collegio fa poi rientrare le “condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente”. Sotto questo profilo, l’Adunanza Plenaria recupera un indirizzo più volte ribadito dallo stesso Consiglio di Stato e ben esplicitato nella sentenza della Sez. III del 23 gennaio 2015, n. 293. In quella decisione, il giudice amministrativo ribadiva l’obbligo di immediata impugnativa per quelle clausole che “impediscano (indistintamente a tutti i concorrenti) una corretta e consapevole elaborazione della propria proposta economica; in tali casi, infatti, risulta pregiudicato il corretto esercizio della gara, in violazione dei cardini procedimentali della concorrenza e della par condicio tra tutti i partecipanti alla gara”. In quella circostanza, ad apparire viziato era il capitolato di una gara per l’affidamento di un servizio di mensa, nel quale venivano descritte condizioni dei locali da adibire al servizio non corrispondenti, in punto di capacità ricettiva, alla realtà di fatto e tali da rendere impossibile l’espletamento del servizio in conformità a legge. In questa prospettiva, la sentenza chiarisce che l’inadeguatezza dei locali rappresenta un vizio da far valere immediatamente, in quanto tale da rendere la partecipazione difficoltosa o addirittura impossibile, “ovvero (qualora fosse stato inteso come comportante implicitamente un onere dell’aggiudicatario di reperire soluzioni idonee ad ovviare all’inadeguatezza) da rendere il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso”.
La riferita sentenza del 2015, per come evocata dalla stessa Adunanza Plenaria n. 4 del 2018, evidenzia dunque una sensibilità del giudice di appello che appare la stessa che ispira il giudice salernitano di prime cure nella sentenza che qui si commenta, nel momento in cui, come già evidenziato, rileva che le previsioni sui costi contenute nel bando/disciplinare oggetto d’impugnazione “prevedendo costi sottostimati addirittura nella misura del 10,38% e quindi imponendo la presentazione di offerte incongrue, sottocosto e economicamente insostenibili per l’offerente, sono sussumibili nelle viziate clausole della lex specialis di gara attinenti alla formulazione dell’offerta, sia sul piano tecnico che economico laddove esse rendano (realmente) impossibile la presentazione di una offerta”.
4. Brevi considerazioni critiche sull’impiego dello strumento probatorio della verificazione nei giudizi di impugnazione dei bandi provocati da imprese non partecipanti alle gare.
Per quanto fin qui evidenziato, la sentenza del T.A.R. Campania in commento, nel riconoscere la legittimazione al ricorso all’operatore economico non partecipante alla gara, si colloca in una traiettoria ermeneutica che la giurisprudenza amministrativa coltiva da tempo, suffragata dall’organo giurisdizionale titolare della funzione nomofilattica.
Qualche considerazione critica piuttosto può essere formulata con riguardo all’uso della verificazione ([11]) quale mezzo di prova nell’istruttoria processuale documentata nella decisione, sulla base degli indirizzi giurisprudenziali che si sono formati in tema di onere della prova in capo al ricorrente non partecipante alla procedura di gara.
Si stratta di uno strumento che il codice del processo amministrativo (d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104), al quarto comma dell’articolo 64, annovera tra i mezzi di prova cui possa fare ricorso il giudice “qualora reputi necessario l’accertamento di fatti o l’acquisizione di valutazioni che richiedono particolari competenze tecniche”.
Il funzionamento dell’istituto è poi disciplinato nell’articolo 66 del codice, che stabilisce la verificazione sia disposta con ordinanza del collegio, nel cui corpo della quale si procede alla individuazione dell’organismo che debba provvedervi, alla formulazione dei relativi quesiti, alla fissazione di un termine per il relativo compimento e per il deposito della relazione conclusiva.
Le scarne parole del legislatore lasciano emergere evidentemente la configurazione di uno strumento probatorio “a contenuto indeterminato” ([12]) cui si ricorre “nella ritenuta impossibilità per il giudice, in sede di legittimità, di avere una cognizione autonoma dei fatti oggetto del giudizio” ([13]) e il cui utilizzo resta nella discrezionalità del giudice, tenuto a servirsene laddove considerato necessario ai fini di “accertare la sussistenza di una situazione di fatto” ([14]), In questi termini, la verificazione si distingue dalla consulenza tecnica d’ufficio ([15]), quale mezzo di prova da utilizzarsi invece, com’è noto, a fini valutativi e cui il giudice può fare riferimento quando l’acquisizione di specifiche valutazioni sia, oltre che necessaria, indispensabile.
Tornando al caso in esame, come abbiamo visto, il giudice amministrativo ha accolto il ricorso, annullando gli atti impugnati nel punto relativo ai riferiti costi, ferma la conclusione della relazione di verificazione, che evidenziava uno scarto rilevante (nella misura del 10,38%) tra costi individuati nella lex specialis e i costi effettivi e reali a carico dell’aggiudicatario, tale da comportare che l’operatore economico non sia stato messo in condizione di presentare un’offerta congrua, seria e non antieconomica, con conseguente “danno alla concorrenza e alla massima partecipazione alle gare”.
A tal proposito, il dubbio che insorge riguarda tuttavia la stessa possibilità, per il giudice, di ricorrere allo strumento probatorio della verificazione in rapporto a fattispecie processuali nelle quali si determini un’estensione della legittimazione attiva all’impugnazione di bandi in capo a soggetti economici non partecipanti alle relative gare.
Alimenta indirettamente il dubbio l’indirizzo efficacemente sintetizzato di recente da T.A.R. Lazio, sez. V, 27 aprile 2023, n. 7254, che, nell’ambito di una vicenda sostanziale dal tenore analogo a quella descritta nella sentenza del T.A.R. Salerno che stiamo commentando, chiarisce come la lesività delle norme della lex specialis ritenute impedienti la formulazione di un’offerta, in quanto tali da rendere impossibile il calcolo di convenienza economica che anima la scelta di partecipare alla contesa, “deve essere oggetto di allegazione adeguata”. Un carattere di adeguatezza della allegazione che viene, dal giudice laziale, ulteriormente specificato, attraverso il ricorso all’orientamento giurisprudenziale diffuso, secondo cui: “l’onere probatorio ovviamente muta ai fini del merito del giudizio, poiché l’illegittimità della legge di gara sussiste sole se l’impossibilità, che il ricorrente deduce sotto il profilo soggettivo, è comune a qualsiasi delle imprese operanti nel settore. La prova da fornire in tal caso concerne, dunque l’oggettiva e generalizzata impossibilità di una partecipazione remunerativa, qualunque sia il modello organizzativo adottato” ([16]).
Ne viene fuori, nel ragionamento del TAR Lazio, un onere probatorio, in capo al ricorrente, che la sentenza definisce “aggravato”, come conseguenza del riferito carattere eccezionale dell’impugnazione immediata del bando rispetto alla regola generale dell’impugnazione differita, dovendo il ricorrente “dimostrare con oggettiva certezza che le prescrizioni lamentate, producendo effetti distorsivi della concorrenza, incidono sulla sua sfera giuridica in un momento precedente quello della mancata aggiudicazione ed indipendentemente da questa”.
In disparte ogni valutazione sulla sostenibilità giuridica dell’impostazione proposta dal TAR Lazio, che meriterebbe differenti approfondimenti, non può non evidenziarsi però come la stessa possa dispiegare effetti rilevanti sulla interpretazione dei margini di discrezionalità del giudice nel ricorso alla verificazione in relazione a fattispecie processuali nelle quali si tratti di estendere le maglie della legittimazione attiva di bando a vantaggio di operatori economici non partecipanti alla gara. Se infatti sta al ricorrente l’onere di offrire una prova di “oggettiva certezza” del carattere viziato delle prescrizioni contestate, come suggerisce la riferita decisione, sembra allora venire meno al contempo ogni spazio per il ricorso, da parte del giudice, allo strumento della verificazione. Quello strumento è descritto, infatti, dal legislatore come a disposizione dal giudice “qualora lo reputi necessario” e resta da chiedersi come possa risultare tale in quelle vicende processuali nelle quali l’onere della prova, secondo indicazioni giurisprudenziali, resti così sensibilmente a carico della parte ricorrente.
[1] Sottolinea la necessità di “evitare azioni emulative” da parte di soggetti disinteressati alla procedura di gara o privi di concrete possibilità di aggiudicazione F. Saitta, La legittimazione ad impugnare i bandi di gara: considerazioni critiche sugli orientamenti giurisprudenziali, in Rivista trimestrale degli appalti, 2001, 3, 537.
[2] Il riferimento è all’indirizzo, sviluppato del giudice europeo in sede di interpretazione delle direttive comunitarie del 2004 in materia di appalti, secondo cui, qualora un’impresa non abbia presentato un’offerta a causa della presenza nel bando di specifiche che ritiene discriminatorie, e comunque ostacolanti la possibilità di fornire l’insieme delle prestazioni richieste, la stessa mantiene il diritto di presentare ricorso direttamente avverso tali specifiche, prima ancora che si perfezioni la procedura di aggiudicazione. Si veda, CGCE, sez. VI, 12 febbraio 2004, n. 230, in Serv. pubbl. e app., 2004, 383. Sul punto, G. Crepaldi, L’impugnazione delle clausole del bando che impediscono la partecipazione alla gara: i soggetti e l’oggetto, in Foro amm. CDS, 2007, 285.
[3] D. Vaiano, L’onere dell’immediata impugnazione del bando e del-la successiva partecipazione alla gara tra legittimazione ad agire ed interesse a ricorrere, in Dir. proc. amm., 2004, 3, 703.
[4] Si veda, in questa prospettiva, T.A.R. Puglia – Lecce, sez. II, 14 aprile 2005, n. 2227, in Foro amm. TAR, 2005, 6, 2151, con nota di S. De Paolis, L’impugnativa del bando di gara e la presentazione della domanda di partecipazione: una soluzione legata alla qualificazione delle clausole della lex specialis.
[5] La decisione, ancora una volta, si occupa della querelle intorno all’ordine di trattazione tra ricorso principale e ricorso incidentale e, in quest’ottica, costituisce l’occasione per enucleare principi fondamentali sviluppati dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea in tema di garanzie giurisdizionali nei processi aventi ad oggetto procedure di gara per l’aggiudicazione di appalti. In questo quadro, ogni dubbio di compatibilità comunitaria del nostrano e rigoroso regime di verifica delle condizioni dell’azione ai fini della proposizione dell’impugnativa viene superato lungo due piani. Il primo è quello dell’operatività del c.d. “principio di autonomia processuale nazionale”, che la Corte di giustizia ha fatto proprio, riservando agli ordinamenti dei singoli Stati la disciplina delle modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali, pur nei limiti del rispetto dei canoni di non discriminazione ed effettività della tutela (Vedi CGUE, 22 dicembre 2010, C507/08 Governo Slovacchia). Il secondo riguarda, invece, la “cospicua esegesi” (per utilizzare lo stesso lessico impiegato nell’Adunanza Plenaria in discorso) sviluppata dalla Corte di Giustizia in relazione alle direttive in materia di garanzie processuali nei procedimenti giurisdizionali sugli appalti pubblici, attraverso la quale sarebbero stati affermati alcuni principi basilari del sistema di giustizia sull’evidenza pubblica. Tra questi, per quanto di nostro specifico interesse, trova posto la regola per cui “l’impresa che non partecipa alla gara non può in nessun caso contestare l’aggiudicazione in favore di ditte terze”. Critico rispetto all’impostazione seguita dell’Adunanza Plenaria n. 9 del 2014, A. Bartolini, Una decisione poco europea, in Giorn. dir. amm., 2014, 10, 936, secondo il quale la stessa “si pone in chiaro contrasto con la dimensione oggettiva del processo europeizzato degli appalti, dove la legittimazione, in pratica, non è condizione di accessibilità alla giustizia, essendo assorbita nell’interesse ad agire”.
[6] Per un commento alla sentenza: S. Terracciano, Immediata impugnazione dei bandi di gara: tra novità legislative e conferme giurisprudenziali, in Diritto processuale amministrativo, 2018, 4, 1438; S. Tranquilli, Brevi note sulla fine della parabola del revirement giurisprudenziale sull’onere di immediata impugnazione delle clausole del bando, in Foro amministrativo, 2018, 3, 331; Nonché L. Bertonazzi, Notarelle originali in tema di impugnazione dei bandi, in Diritto processuale amministrativo, 2019, 3, 959, cui si rinvia per una raffinata costruzione critica tesa ad evidenziare la “natura di atto endoprocedimentale” della lex specialis, che “non entra a comporre l’oggetto del giudizio (e non è suscettibile di annullamento giurisdizionale), neppure quando, nel dettare un requisito partecipativo illegittimo, invalida in via derivata il susseguente provvedimento di esclusione”.
[7] È riportato nella sentenza: “sembra al Collegio che gli approdi raggiunti dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 2003 non costituiscano un passaggio isolato od eccentrico, rispetto ai principi generali in materia di condizioni dell’azione, desumibili dall’art. 24, co. 1°, della Costituzione (‹‹tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi››) ed in riferimento al principio processuale codificato dall’art. 100 c.p.c. (e da intendersi richiamato nel processo amministrativo dall’art. 39, comma 1, c.p.a.) secondo cui ‹‹per proporre una domanda o per contraddire alla stessa essa è necessario avervi interesse››, posto che … nel processo amministrativo l’interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato (cfr. C.d.S., Sez. IV, n. 20 ottobre 1997 n.1210, Consiglio di Stato, sez. V, 23 febbraio 2015 n. 855 ma si veda anche Cassazione civile, sez. un., 2 novembre 2007, n. 23031 secondo cui l’interesse a ricorrere deve essere, non soltanto personale e diretto, ma anche attuale e concreto - e non ipotetico o virtuale- per fornire una prospettiva di vantaggio)”.
[8] La sentenza cita, a tal fine, Corte cost., 22 novembre 2016 n. 245 che ha ritenuto inammissibile – per difetto di rilevanza – una questione di legittimità costituzionale promossa dal T.A.R. per la Liguria, nell’ambito di un giudizio in materia di appalti pubblici originato dal ricorso proposto da un’impresa che non aveva partecipato alla gara: “secondo la Corte, infatti, la verifica di legittimità costituzionale della disciplina sostanziale indicata dal T.A.R. non potrebbe influire sull’esito della lite, destinata a concludersi con una pronuncia di inammissibilità del ricorso). La decisione chiarisce che “tale opzione ermeneutica muove dalla condivisibile considerazione secondo cui l’operatore del settore che non ha partecipato alla gara al più potrebbe essere portatore di un interesse di mero fatto alla caducazione dell’intera selezione (ciò, in tesi, al fine di poter presentare la propria offerta in ipotesi di riedizione della nuova gara), ma tale preteso interesse “strumentale” avrebbe consistenza meramente affermata, ed ipotetica: il predetto, infatti, non avrebbe provato e neppure dimostrato quell’ “interesse” differenziato che ne avrebbe radicato la legittimazione, essendosi astenuto dal presentare la domanda, pur non trovandosi al cospetto di alcuna clausola “escludente” (nel senso ampliativo fatto proprio dalla giurisprudenza e prima illustrato); ed anzi, tale preteso interesse avrebbe già trovato smentita nella condotta omissiva tenuta dall’operatore del settore, in quanto questi, pur potendo presentare l’offerta si è astenuto dal farlo”. Paraltro, conclude la decisione: “anche se si volesse accedere ad una nozione allargata di legittimazione individuando un interesse dell’operatore economico a competere secondo i criteri predefiniti dal legislatore, ugualmente resterebbe insuperabile la considerazione che esso non sarebbe né attuale né “certo”, ma meramente ipotetico”.
[9] La sentenza sottolinea al riguardo come “anche sul piano del diritto europeo, non si rinvenga alcun riferimento che militi per l’estensione della legittimazione ad impugnare clausole non escludenti contenute nei bandi di gara agli operatori del settore che si siano astenuti dal partecipare alla gara medesima. 18.5.3. Giova precisare, in proposito che: a) la Corte di Giustizia, Sez. VI, 12 febbraio 2004, in causa C-230/02 ha stabilito che l’operatore economico il quale si ritenga leso da una clausola della legge di gara la quale impedisca la sua partecipazione ha la possibilità (rectius: l’onere) di impugnare in modo diretto tale clausola (affermazione questa, certamente in linea con quella della giurisprudenza nazionale prima citata a partire dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 1 del 2003), ma non ha esteso la legittimazione del non partecipante alla gara all’ impugnazione di clausole non certamente preclusive della propria partecipazione; b) più di recente la Corte di Giustizia (CGUE, Sez. 21 dicembre 2016 in causa C-355/15 -Bietergemeinschaft Technische Gebäudebetreuung GsmbH) ha espresso il principio secondo cui “l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665 dev’essere interpretato nel senso che esso non osta a che a un offerente escluso da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico con una decisione dell’amministrazione aggiudicatrice divenuta definitiva sia negato l’accesso ad un ricorso avverso la decisione di aggiudicazione dell’appalto pubblico di cui trattasi e la conclusione del contratto, allorché a presentare offerte siano stati unicamente l’offerente escluso e l’aggiudicatario e detto offerente sostenga che anche l’offerta dell’aggiudicatario avrebbe dovuto essere esclusa”; c) se, quindi, seppur a particolari condizioni, può non essere riconosciuta la legittimazione all’impugnazione in capo ad un soggetto, pur partecipante alla gara ma che ne sia stato definitivamente escluso, a fortiori non si vede perché essa dovrebbe essere riconosciuta al soggetto che, pur potendo partecipare alla gara (in quanto il bando non recava clausole escludenti, discriminatorie, etc), si sia astenuto dal presentare un’offerta: va semmai rilevato che la posizione dell’impresa che non abbia partecipato ab imis alla procedura appare ancor meno meritevole di considerazione, sul piano dell’interesse, rispetto a quella dell’impresa che pur abbia manifestato in concreto la volontà di partecipare alla procedura, rimanendo però esclusa”.
[10] Nel repertorio, la decisione inserisce anche: le regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile; disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara; ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta; clausole impositive di obblighi contra ius; atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 3 ottobre 2011 n. 5421).
[11] Per un inquadramento dell’istituto, si rinvia ampiamente a G. Clemente di S. Luca, Verificazione e consulenza tecnica d’ufficio nel quadro dei mezzi di prova esperibili nel processo amministrativo, in Diritto e processo amministrativo, 2018, 3, 761.
[12] V. Caracciolo La Grotteria, Verificazione e consulenza tecnica nel processo amministrativo. Nota a Cons. Stato 24 marzo 2023 n. 3025, in www.giustiziainsieme.it, 21 giugno 2023, che sottolinea come lo strumento possa “tradursi in ispezioni, sopralluoghi, accertamenti tecnici, acquisizione di testimonianze o documenti, finalizzati a fornire tutta una serie di elementi probatori, assimilabili a quelli di cui dispone il giudice civile”.
[13] L. Giani, La fase istruttoria, in F.G. Scoca (a cura di), Giustizia amministrativa, Torino, 2023, 441.
[14] V. Caracciolo La Grotteria, op. ult. cit.
[15] Sulla differenza fra verificazione e consulenza tecnica, nella giurisprudenza recente: Consiglio di Stato, sez. II, 26 gennaio 2022, n. 546. Per un approfondimento intorno a natura e oggetto della consulenza tecnica, prima del codice del processo amministrativo: M.A. Sandulli, La consulenza tecnica d’ufficio, in Il Foro amministrativo T.A.R., 2008, 12, 3533.
[16] Così, Consiglio di Stato, Sez. III, 26 aprile 2022, n. 3191.