Demanio costiero e uso generale: la “scarsità della risorsa naturale” (nota a TAR Puglia, Lecce, nn. 1223 e 1224 del 2023)
di Giuseppina Mari
Sommario: 1. Premessa e oggetto del contributo; 2. Le sentenze del TAR Lecce nn. 1223 e 1224 del 2023; 3. Le ragioni della demanialità; 4. Gestione amministrativa tra uso generale e uso particolare; 5. La pianificazione del demanio costiero; 6. La scarsità delle risorse naturali secondo l’Adunanza plenaria: critica e rischio di una confutazione basata, a sua volta, su dati meramente quantitativi; 7. Considerazioni conclusive.
1. Premessa e oggetto del contributo
Le sentenze del TAR Lecce nn. 1223 e 1224 del 2 novembre 2023 si inseriscono nell’annosa e complessa vicenda relativa all’applicazione della direttiva servizi 2006/123/CE (direttiva Bolkestein) con riguardo alle concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative.
Il contributo si concentra, tra le molteplici questioni giuridiche che le proroghe ex lege sollevano – dibattute e oggetto di moltissimi contributi[1] –, sul solo specifico profilo della “scarsità delle risorse naturali”[2], al ricorrere della quale l’art. 12 della direttiva Bolkestein (2006/123/CE) impone, come noto, procedure selettive e vieta il rinnovo automatico. Nonostante la rilevanza dirimente del presupposto, il suo significato concreto non è stato oggetto di specifici approfondimenti da parte della Corte di giustizia, se non nella sentenza del 20 aprile 2023, causa C‑348/22, AGCM c. Comune di Ginosa (nel prosieguo CGUE Ginosa), con un intervento peraltro non definitivamente risolutivo nella misura in cui il giudice europeo non ha fornito una definizione di scarsità della risorsa naturale lasciando al contempo agli Stati membri un ampio margine interpretativo delle modalità pratiche di valutazione della relativa sussistenza[3]. Altrettanto limitata attenzione è stata riservata dalla giurisprudenza nazionale, nella quale la risorsa o è considerata ontologicamente o intrinsecamente limitata[4] e non suscettibile di una considerazione parcellizzata[5] oppure, successivamente alle note sentenze gemelle dell’Adunanza plenaria nn. 17 e 18 del 2021[6] e ripetendone le conclusioni, scarsa a livello nazionale in base a combinati criteri quantitativi e qualitativi astratti[7].
La “scarsità delle risorse naturali” identifica un concetto giuridico indeterminato[8], il cui riempimento, anticipando le conclusioni, non può basarsi su un’indagine meramente quantitativa (quale quella operata, nella fase istruttoria sinora svolta, dal Tavolo tecnico di cui si dirà) prescindendo dal regime giuridico del demanio costiero e dalle relativepeculiarità. Le peculiarità sono collegate alla fruizione collettiva in stretta connessione con diritti costituzionali del cittadino, alle plurime valenze – tra cui quelle ambientali e paesaggistiche – dei beni in questione nonché alla circostanza che essi sono oggetto di pianificazione. Di queste peculiarità non può non tenere conto anche l’auspicata riforma del settore.
Illustrate le argomentazioni del TAR Lecce in tema di valutazione della scarsità della risorsa – che i predetti aspetti trascurano di considerare –, saranno sviluppati, negli essenziali tratti funzionali alle conclusioni cui si intende pervenire, i seguenti profili: il significato storico giuridico della demanialità necessaria e la qualificazione del demanio costiero come bene comune; la dialettica tra uso generale e uso particolare; le conseguenze in punto di “scarsità della risorsa naturale”.
2. Le sentenze del TAR Lecce nn. 1223 e 1224 del 2023
Le sentenze del TAR Lecce si pronunciano sull’impugnazione da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato di deliberazioni delle giunte comunali di Ginosa e Castellaneta contenenti indirizzi per attuare la proroga, fino al 31 dicembre 2033, ai sensi della l. n. 145/2018 (art. 1, commi 682 e 683) e del d.l. n. 34/2020 conv. in l. n. 77/2020 (art. 182, comma 2), delle concessioni demaniali con finalità turistico ricreative e, tramite motivi aggiunti, degli atti di proroga adottati sulla base dei predetti atti di indirizzo[9], sul presupposto della natura self-executing della direttiva Bolkestein(art. 12) e della conseguente doverosa disapplicazione della legge nazionale di proroga (l. n. 145/2018).
Nelle more della trattazione del merito del ricorso, l’Adunanza plenaria si pronunciava con le note sentenze gemelle nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021, in cui, tra l’altro, per i profili qui di rilievo, era ritenuta in via generale e astratta la scarsità delle risorse e, conseguentemente, il limitato numero di autorizzazioni disponibili, facendo da ciò derivare la necessaria disapplicazione della legge nazionale.
Nel giudizio che vedeva parte resistente il comune di Ginosa, il TAR Lecce, con ordinanza 11 maggio 2022 n. 743[10], prendendo atto dei principi affermati dall’Adunanza plenaria e non condividendone le conclusioni, disponeva il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, poi pronunciatasi con la già citata sentenza Sez. III, 20 aprile 2023, causa C-348/22[11]. Tra i quesiti pregiudiziali, relativi alla validità e all’interpretazione della direttiva Bolkestein, rileva specificamente, per il profilo di indagine selezionato nella presente nota, l’ottavo, con il quale il TAR chiedeva se competa al giudice nazionale statuire sulla “sussistenza, in via generale ed astratta, del requisito della limitatezza delle risorse e delle concessioni disponibili riferito tout court all’intero territorio nazionale” o, stante la competenza dei comuni nell’affidamento delle concessioni demaniali, detta valutazione debba essere riservata agli stessi comuni e riferita al territorio costiero di ciascun comune. Il quesito, come evidenziato nel prosieguo, originava dall’incertezza determinata dal fatto che, da un lato, l’Adunanza plenaria aveva riferito in maniera generalizzata all’intero territorio nazionale la scarsità e, dall’altro lato, la Corte di giustizia nel precedente Promoimpresa del 2016[12] aveva stabilito – seppure in un rapido passaggio e senza particolari argomentazioni – che il giudice del rinvio dovesse valutare l’elemento della scarsità tenendo conto del fatto che l’assegnazione sarebbe avvenuta in sede comunale[13].
Nella sentenza CGUE Ginosa il rilievo dell’affermazione contenuta nel precedente Promoimpresa veniva ridimensionato a “mera indicazione rivolta al giudice di rinvio” (per aiutarlo ad accertare la concreta sussistenza della “scarsità delle risorse”), giustificata dal contesto della causa che aveva dato luogo alla sentenza (pt. 45).
Il giudice europeo chiariva, infatti, che l’art. 12 della direttiva “conferisce agli Stati membri un certo margine di discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili alla valutazione della scarsità delle risorse naturali”, che “può condurli a preferire una valutazione generale e astratta, valida per tutto il territorio nazionale, ma anche, al contrario, a privilegiare un approccio caso per caso, che ponga l'accento sulla situazione esistente nel territorio costiero di un comune o dell'autorità amministrativa competente, o addirittura a combinare tali due approcci” (pt. 46); aggiungeva che “la combinazione di un approccio generale e astratto, a livello nazionale, e di un approccio caso per caso, basato su un'analisi del territorio costiero del comune in questione, risulta equilibrata e, pertanto, idonea a garantire il rispetto di obiettivi di sfruttamento economico delle coste che possono essere definiti a livello nazionale, assicurando al contempo l’appropriatezza dell'attuazione concreta di tali obiettivi nel territorio costiero di un comune” (pt. 47); in ogni caso, i criteri adottati da uno Stato membro per valutare la scarsità delle risorse naturali utilizzabili devono essere “obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati” (pt. 48). In conclusione, sull’ottavo quesito la Corte di giustizia rilevava che “l’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che la scarsità delle risorse naturali e delle concessioni disponibili sia valutata combinando un approccio generale e astratto, a livello nazionale, e un approccio caso per caso, basato su un'analisi del territorio costiero del comune in questione” (pt. 49).
Nel trattare dell’effetto diretto dell’art. 12 della direttiva – riconoscendolo – e nell’evidenziare che detto effetto non può essere escluso per la circostanza che l’obbligo di procedure imparziali e il divieto di rinnovo automatico “si applichino solo nel caso in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali utilizzabili”, la Corte di giustizia aggiungeva che dette risorse “devono essere determinate in relazione ad una situazione di fatto valutata dall’amministrazione competente sotto il controllo di un giudice nazionale” (pt 71).
Quest’ultimo passaggio della sentenza CGUE Ginosa viene letto e interpretato dal TAR Lecce[14] nel senso di circoscrivere il vaglio del giudice nazionale sulla scarsità a un ruolo di secondo grado, vale a dire di controllo.
Pur riconoscendo che la sentenza Ginosa del 2023, per molte delle sue statuizioni, si pone in continuità rispetto al precedente Promoimpresa del 2016 – in ordine all’applicabilità dell’art. 12 alle situazioni puramente interne (pt. 39-41) e all’onere di disapplicare la norma interna contrastante sussistente anche in capo anche all’amministrazione (pt. 77-79) –, il TAR Lecce attribuisce invece una “portata … decisamente modificativa e innovativa … alla statuizione relativa alla valutazione della scarsità della risorsa e delle autorizzazioni disponibili, sia con riferimento all’individuazione del soggetto cui compete la definizione dei criteri, sia con riferimento al metodo e all’ampiezza del potere discrezionale riconosciuto allo Stato membro, sia infine quanto alla qualificazione di siffatto procedimento come una pre-condizione ovvero come presupposto da accertarsi in via preliminare”[15].
Secondo la lettura della sentenza europea fornita dal TAR, i profili di rilievo da trarne sono due: la valutazione della scarsità delle risorse naturali è individuata dal giudice europeo “innovativamente” come “preliminare accertamento” cui l’applicazione dell’art. 12 è subordinata e, in secondo luogo, tale preliminare valutazione è attribuita allo Stato-amministrazione, e anzitutto agli organi di governo degli Stati membri, risultando invece “esclusa la legittimità di una valutazione o declaratoria tout court della scarsità della risorsa ad opera del giudice nazionale in via generale ed astratta (in assenza di criteri trasparenti ed uniformi [da definire da parte del Governo: n.d.r.] e di attività istruttoria)”.
L’esclusiva competenza dell’autorità di governo e dell’amministrazione attiva trova sostegno, a giudizio del TAR, nel riconoscimento (pt. 46 CGUE Ginosa) agli Stati membri di un “certo margine di discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili alla valutazione della scarsità delle risorse naturali” e nella “centralità del procedimento di valutazione della scarsità delle risorse naturali”. Identificando la preferibile modalità di svolgimento della valutazione nella previa definizione, a livello di autorità centrale, di criteri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionali e, poi, in un approccio caso per caso di analisi del territorio, la Corte di giustizia avrebbe fornito indicazioni anche di tipo procedimentale e di metodo. In definitiva, la CGUE avrebbe suggerito un percorso ottimale di attuazione della direttiva.
Da tanto il TAR Lecce fa conseguire che: - è precluso al giudice nazionale statuire in via generale e astratta in merito alla scarsità della risorsa, in assenza della previa definizione di criteri obiettivi e uniformi da parte del governo (il giudice, in sostanza, potrebbe solo valutare la corretta applicazione dei criteri, una volta definiti); - prima di affermare che le concessioni demaniali marittime sono sottoposte al citato art. 12, è necessaria una verifica della scarsità della risorsa da parte dello Stato membro, atteggiandosi detta verifica a pre-condizione della relativa applicabilità.
Le premesse conducono il TAR a dichiarare improcedibile i ricorsi dell’AGCM per “sopravvenuto difetto di interesse, sotto un duplice profilo: l’uno formale e l’altro – per così dire – sostanziale”.
Sotto il primo profilo, i provvedimenti di presa d’atto della proroga risulterebbero caducati per effetto della normativa sopravvenuta, rappresentata dalla l. n. 118 del 2022, che, da un lato, ha abrogato le disposizioni della l. n. 145 del 2018 e, dall’altro, nel fissare il termine di scadenza delle concessioni al 31 dicembre 2023 (poi differito di un anno dal d.l. milleproroghe n. 198 del 2022, conv. in l. 24 febbraio 2023 n. 14), ha avviato l’iter per l’attuazione delle direttive. L’asserito danno derivante all’AGCM dalla proroga delle concessioni al 31 dicembre 2033 sarebbe quindi venuto meno, atteso che le concessioni in essere scadono, per effetto della l. n. 14 del 2023, alla data del 31 dicembre 2024.
Sotto il secondo profilo, il TAR Lecce evidenzia come risulti mutato il contesto giuridico di riferimento. Le sentenze gemelle dell’Adunanza plenaria, precedenti alla CGUE Ginosa e alla citata l. n. 14 del 2023, sono state da queste “contraddette quanto alla valutazione della scarsità della risorsa, sia quanto alla competenza, sia quanto al metodo”. Il brevissimo termine fissato dal Supremo Consesso al 31 dicembre 2023 era conseguenza della pretermissione, nel ragionamento della Plenaria, del necessario presupposto della valutazione della scarsità della risorsa di competenza Governo-Amministrazione, step che il TAR giudica, alla luce della peculiare lettura che fornisce della sentenza Ginosa, “centrale e preliminare adempimento nella direttiva”. La normativa nazionale successiva è coerente, invece, con le “precisazioni innovative” contenute nella sentenza della CGUE “e non integra … gli estremi di una mera ed ingiustificata proroga automatica, vietata dall’art. 12”. In particolare, ai fini della fissazione di criteri uniformi per la preliminare valutazione della scarsità della risorsa naturale, l’art. 10-quater d.l. milleproroghe ha avviato un’attività istruttoria sul demanio marittimo e sulle concessioni in essere, demandandola a un “tavolo tecnico”, il cui compito è anche quello di definire “i criteri tecnici per la determinazione della sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile, tenuto conto sia del dato complessivo nazionale che di quello disaggregato a livello regionale, e della rilevanza economica transfrontaliera”.
Così ricostruite, le argomentazioni del TAR Puglia sono criticabili, in relazione al profilo di indagine qui scelto, sotto due profili.
La sentenza CGUE Ginosa non esclude affatto un vaglio del giudice nazionale sulla scarsità della risorsa naturale, precisando, piuttosto, che la valutazione non spetta solo al giudice nazionale, ma anche alle amministrazioni quali soggetti tenuti ad attuare la direttiva. I giudici di Lussemburgo fugano, così, ogni dubbio in merito al fatto che l’obbligo di disapplicazione incombe anche sugli organi amministrativi (pt. 78[16]).
In secondo luogo, l’affermazione secondo cui il previo accertamento amministrativo della scarsità delle risorse da parte del Governo-Amministrazione condizionerebbe l’applicabilità dell’art. 12, par. 1 e 2, della Bolkestein contrasta con il carattere self executing della direttiva, non potendo eventuali ritardi dello Stato membro nello stabilire criteri e nell’avviare la valutazione ostacolare l’effetto diretto della direttiva stessa. Gli adempimenti istruttori sono dunque doverosi, ma, in attesa degli stessi, sono comunque illegittime le proroghe automatiche delle concessioni che prescindono dalla valutazione della mancanza di scarsità delle risorse che spetta anche alla singola amministrazione effettuare.
L’applicazione diretta dell’art. 12 della direttiva servizi non è contraddetta dal riconoscimento nella sentenza Ginosa di un margine di discrezionalità in capo agli Stati membri in sede di attuazione della stessa. La sentenza CGUE Ginosa riferisce detto margine di discrezionalità a due distinti ambiti: nella disciplina delle procedure selettive e nella scelta dei criteri applicabili alla valutazione della scarsità delle risorse naturali. Con specifico riferimento alla prima, il giudice europeo ricorda che anche quando una direttiva lascia agli Stati un certo margine di discrezionalità nell’adozione delle modalità della sua attuazione, una disposizione di tale direttiva può essere considerata di carattere incondizionato e sufficientemente preciso se pone a carico degli Stati membri, in termini inequivoci, un “obbligo di risultato preciso e assolutamente incondizionato riguardo all’applicazione della norma da essa enunciata”[17]. In particolare, tale “obbligo di risultato” sussiste se il margine di discrezionalità non impedisce di determinare “alcuni diritti minimi” e, quindi, di identificare “la tutela minima che deve in ogni caso essere applicata”[18]: nella specie l’obbligo – e la correlata tutela minima per i potenziali candidati – consiste nell’applicare procedure di selezione imparziali e trasparenti.
Analoghe considerazioni possono essere svolte con riguardo al secondo dei citati ambiti in cui si esplica la discrezionalità – che viene orientata attraverso il riferimento a “criteri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati” –, come ricavabile al pt. 71 della sentenza CGUE Ginosa, a tenore del quale la circostanza che l’obbligo di procedure selettive e il divieto di rinnovo automatico “si applichino solo nel caso in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali utilizzabili … non può rimettere in discussione l'effetto diretto connesso a tale articolo 12, paragrafi 1 e 2”.
Pertanto, sebbene l’attuazione dell’art. 12 implichi l’esercizio di un certo margine di discrezionalità – a partire dall’individuazione della condizione oggettiva di applicabilità, id est della scarsità delle risorse naturali, sino alla elaborazione di regole per un procedimento di selezione che soddisfi i principi generali in tema di libertà economiche di circolazione nel mercato interno –, l’obbligo di risultato è incondizionato e sufficientemente preciso quanto all'applicazione della regola da esso enunciata (regola che consiste nella previsione di procedure selettive a favore dei soggetti potenziali candidati e nel divieto di proroghe automatiche).
In questa presa di posizione viene dai commentatori individuato il più rilevante valore aggiunto della sentenza CGUE Ginosa[19].
Peraltro, le sentenze CGUE Ginosa e TAR Lecce suggeriscono una riflessione più ampia sulla scarsità della risorsa naturale. Anticipando le conclusioni, si ritiene venga nella specie in rilievo una risorsa ex se scarsa tanto per ragioni di obiettiva limitatezza (sia in termini assoluti che relativi[20]) quanto per il peculiare regime giuridico cui il bene è sottoposto in quanto naturalmente destinato all’uso generale, oggetto di pianificazione o, comunque, di valutazioni discrezionali allorquando lo si intenda destinare ad altre possibili diverse utilizzazioni[21] (identificabili nei servizi pubblici e nei servizi e attività portuali e produttive, oltre che in tutte le attività oggi elencate dall’art. 01 d.l. n. 400 del 1993 conv. in l. n. 494/1993).
3. Le ragioni della demanialità
Il regime del demanio marittimo, pur rimasto nel codice civile invariato, ha attraversato una lunga evoluzione[22], da esaminare – nella prospettiva di indagine qui selezionata – sotto il profilo del rapporto, di coincidenza o meno, tra destinazione pubblica del bene sottesa a detto regime[23] e uso collettivo dello stesso.
La riserva dominicale, conseguente all’appartenenza al genus dei beni demaniali necessari, implica l’insuscettibilità di appropriazione e ha tradizionalmente condotto a concentrare l’attenzione sul regime giuridico degli usi funzionali al soddisfacimento dell’interesse pubblico affidato alle cure dell’amministrazione titolare. Secondo un approccio tradizionale, accanto al soddisfacimento di esigenze della marina e alla difesa dei suoli, la demanialità è stata concepita come categoria diretta ad assicurare l’uso pubblico generale, liberamente praticabile da tutti uti cives (e, quindi, con ritrazione diretta di utilità), secondo l’idea romanistica che comprendeva il lido del mare tra le res communes omnium[24], senza che si potessero accampare diritti d’uso particolare sul bene[25]. La destinazione pubblica era quindi identificata con la garanzia del godimento collettivo del bene, da cui conseguiva ulteriormente la natura infruttifera dello stesso.
In tale quadro, la possibilità di usi particolari[26], diretti a consentire lo sfruttamento economico del bene demaniale, è intesa come eccezione: sottraendo il bene all’uso generale, essa è consentita “nei modi e limiti” stabiliti dalla legge, secondo il principio codificato nell’art 823 c.c..
Il risalente Codice della navigazione (approvato con r.d. 30 marzo 1942 n. 327, di seguito cod. nav.) e il relativo regolamento di esecuzione (d.P.R. n. 328 del 1952) disciplinano un potere concessorio (attualmente dei comuni[27]) avente natura discrezionale, da esercitare “compatibilmente con le esigenze del pubblico uso” (art. 36 cod. nav.); la clausola di compatibilità evidenzia quali interessi debbano primariamente essere perseguiti dall’amministrazione titolare dell’interesse pubblico che il bene, per sua natura, è destinato a soddisfare[28].
Il turismo di massa ha poi contribuito ad alterare questa impostazione, tramite una rilettura della disciplina incline a una “applicazione del modello concessorio onde favorire … interventi di trasformazione dei litorali da parte dell’imprenditoria turistica”[29].
La disciplina recata dal cod. nav. – complice la mancanza di una definizione normativa dei “pubblici usi del mare”[30] – ha nei fatti ricevuto un’applicazione che sottende l’idea che la concessione possa indirizzare il demanio costiero alla sua funzione prioritaria attraverso la mediazione di soggetti dotati di capacità imprenditoriale e finanziaria e, quindi, in grado di predisporre le infrastrutture turistiche[31].
Tant’è che una parte della dottrina ha considerato quella dei “pubblici usi del mare” categoria aperta[32], concretizzabile in “un’imprecisata serie di interessi pubblico sociali, connessi al mare, interessi che gradualmente si evidenziano e attualizzano con l'evoluzione della realtà socio economica”[33].
La crisi della concezione tradizionale si è acuita negli anni ’90, complice la riforma del bilancio dello Stato con l’inserimento del demanio naturale tra i beni suscettibili di utilizzazione economica[34]. Per quanto la classificazione sia stata operata a fini di contabilità e non abbia modificato il regime giuridico di tali beni[35] – stante l’espressa salvezza per i beni dell’art. 822 c.c. della loro natura giuridica e del regime previsto dalle leggi vigenti[36] –, la riforma ha fornito argomenti a sostegno della compatibilità tra natura demaniale del bene e uso a fini di redditività.
Precipitato di tale evoluzione è stata la normalizzazione della concessione a fini turistici e ricreativi[37]: l’uso particolare diventa uno degli strumenti tramite cui l’ente titolare della funzione di gestione realizza la destinazione pubblica del bene, valorizzandolo in termini economici – traendone un canone – e sociali (per i riflessi occupazionali e le esternalità territoriali positive determinate dal turismo)[38]. Correlativamente, l’attività di gestione dei beni pubblici da parte dell’amministrazione è mutata da diretta in una funzione regolatoria dei rapporti concessori[39].
Questa evoluzione è stata avallata dal d.l. n. 400/1993 (conv. in l. n. 494 del 1993), il cui art. 01 ha tipizzato le concessioni per uso turistico ricreativo, codificando le attività – ulteriori rispetto a servizi pubblici e servizi e attività portuali e produttive – per le quali la concessione può essere rilasciata. L’esito è la compressione delle possibilità di esercizio degli usi generali[40], compressione che è stata aggravata, prima, dal diritto di insistenza e dal rinnovo automatico e, poi, dalle proroghe delle concessioni, secondo una logica di tipo proprietario ed escludente[41].
La domanda da porsi è se tale evoluzione conduca a un sistema dominato dalla domanda degli operatori[42] nel quale, in particolare, l’intero patrimonio costiero può essere preso in considerazione come astrattamente concedibile e, quindi, la valutazione della scarsità o meno della risorsa naturale può essere operata su dati meramente quantitativi.
È però necessario un ulteriore passaggio preliminare.
Successivamente al cod. nav. hanno trovato riconoscimento legislativo le funzioni ambientali e paesaggistiche del demanio costiero, con la conseguente necessità di comporre le varie modalità di fruizione, bilanciando i diversi interessi[43].
Dal 1985 (l. n. 431 del 1985, Legge Galasso) i territori costieri entro una fascia di 300 metri dalla linea di battigia sono sottoposti a vincolo paesaggistico ex lege (attuale art. 142, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 42 del 2004): la scelta legislativa assegna protezione giuridica ai territori costieri, preservandoli da possibili lesioni esteriori che possano intaccare la loro dimensione non solo naturalistica ma, anche, collettiva e identitaria.
Le coste sono inoltre beni ambientali produttori di servizi ecosistemici, come ad esempio riconosciuto da numerose disposizioni del Codice dell’ambiente, tra cui l’art. 56 ai sensi del quale le attività di pianificazione e programmazione finalizzate alla tutela e al risanamento del suolo e del sottosuolo, al risanamento idrogeologico del territorio tramite la prevenzione dei fenomeni di dissesto, la messa in sicurezza delle situazioni a rischio riguardano anche la protezione delle coste[44].
Nel medesimo bene si trovano quindi due componenti essenziali – ecologico naturalistica e identitaria –, non coincidenti perché fanno riferimento a interessi pubblici differenziati, entrambi valori primari ai sensi dell’art. 9 Cost. Come infatti recentemente sottolineato dal Consiglio di Stato, “(i)l valore culturale del paesaggio costiero si afferma non soltanto in ragione del dato di natura (che in sé risulterebbe tutelabile mediante strumenti diversi, calibrati sugli aspetti ambientali e naturali), ma in considerazione della valenza identitaria che le coste assumono, quali parti della “forma” del Paese e testimonianze materiali della storia millenaria di una penisola che ha avuto nelle proprie coste il crocevia delle partenze, dei ritorni e degli approdi degli uomini e delle civiltà che hanno concorso a determinare l’identità della Nazione italiana”[45].
Quanto sinteticamente accennato sulle funzioni ecologiche e paesaggistiche, sebbene non esaustivo delle plurime valenze, dimostra l’attitudine del bene in questione a esprimere utilità funzionali all’esercizio di diritti fondamentali e al libero sviluppo della persona, consentendo di accostarne la funzione alla nozione di beni comuni[46].
La qualificazione come bene comune enfatizza l’aspetto funzionale del bene rispetto al profilo soggettivo della proprietà[47], e impone di non appiattire le riflessioni relative alle modalità di gestione sulla sola logica del profitto[48]. Ed è significativo che le riflessioni sui beni comuni si intensifichino temporalmente anche quale reazione alla teorizzazione che tutti i beni oggetto di proprietà pubblica sono suscettibili di utilizzazione economica[49].
Come è stato rilevato, la categoria dei beni comuni si allontana da una nozione di proprietà pubblica in cui il profilo soggettivo prevale sugli aspetti funzionali a soddisfare diritti fondamentali e che può condurre, nella logica del profitto, a ridurre accessibilità e fruibilità del bene tramite una determinazione discrezionale dell’amministrazione circa l’interesse primario da perseguire[50].
Piuttosto che beni appartenenti al soggetto pubblico in una logica dominicale, la dottrina ragiona in termini di mera imputazione al soggetto pubblico di risorse da tutelare e gestire in vista della trasmissione alle generazioni future[51], così come la giurisprudenza (tra cui Corte dei conti, Sez. giur. Veneto n. 53/2018[52], coerentemente con le prese di posizione della Cassazione sulle valli da pesca nella laguna di Venezia[53]) ne sottolinea la duplice appartenenza, da un lato, alla collettività e, dall’altro, al suo ente esponenziale, precisando di “intendere la seconda (titolarità del bene in senso stretto) come ‘appartenenza di servizio’, che è necessaria, nel senso che detto ente è tenuto ad assicurare il mantenimento delle specifiche rilevanti caratteristiche del bene e la loro fruizione pubblica e/o collettiva”[54].
4. Gestione amministrativa tra uso generale e uso particolare
Le considerazioni svolte nel paragrafo precedente rilevano nella gestione amministrativa della dialettica uso generale/uso particolare[55].
Secondo la giurisprudenza, il potere concessorio di cui all’art. 36 cod. nav. è connotato da ampia discrezionalità amministrativa, poiché “coinvolge interessi pubblici fondamentali della collettività”[56]; il relativo esercizio può esitare nella sottrazione del bene all’utilizzo generale solo in presenza di un reale beneficio alla collettività: la preferenza è per l’uso libero e generalizzato[57], con conseguente obbligo di adeguata motivazione del provvedimento concessorio. Qualificati i beni del demanio marittimo di cui all’art. 822, comma 1, c.c. come “beni pubblici puri, in quanto non rivali, né escludibili” e “naturalmente soggetti e destinati” all’uso generale della collettività sacrificabile solo per finalità pubblicistiche prevalenti, se ne deduce che “il soddisfacimento di finalità pubblicistiche costituisce … un elemento imprescindibile della concessione di beni pubblici, al punto da costituirne scopo e ragione essenziale”; in tale senso depone “l’art. 37 cod. nav., laddove, in presenza di più richieste di concessione, rimette al discrezionale giudizio dell’amministrazione la valutazione in ordine alla migliore rispondenza di un certo utilizzo anziché di un altro rispetto ad un più rilevante interesse pubblico[58], sottintendendo un complesso bilanciamento di molteplici profili di rilievo che si colgono, da un lato, con riguardo al vantaggio conseguito dalla collettività in ragione delle finalità pubbliche per il soddisfacimento delle quali il bene è concesso in uso ad altri e, dall’altro, in relazione al nocumento patito dalla medesima collettività a causa della temporanea sottrazione del bene all’uso libero e generalizzato cui è naturalmente o potenzialmente destinato”[59].
Tornando alla nozione di “scarsità della risorsa naturale”, da tali argomenti e assunti giurisprudenziali è possibile ricavare che l’eventuale disponibilità, in base a una valutazione meramente quantitativa, di aree ulteriori del demanio costiero rispetto a quelle attualmente in concessione non è argomento ex se sufficiente a rendere certo, con affermazione generalizzata e aprioristica, che dette aree ulteriori siano senz’altro concedibili e, quindi, ex se sufficiente a escludere la scarsità della risorsa naturale ai sensi della direttiva servizi.
5. La pianificazione del demanio costiero
La conclusione del precedente paragrafo è avvalorata ove si consideri il demanio costiero[60] come oggetto di pianificazione.
A seguito della delega delle funzioni di rilascio delle concessioni e – testualmente – “ai fini” dell’esercizio di tale potere, l’art. 6, comma 3, d.l. n. 400/1993 (conv. in l. n. 494/1993) ha imposto alle regioni di predisporre un piano di utilizzazione delle aree del demanio marittimo. La legge finanziaria per il 2007 ha poi disposto che le regioni con detti piani, sentiti i comuni interessati, “devono … individuare un corretto equilibrio tra le aree concesse a soggetti privati e gli arenili liberamente fruibili”[61]: è stato quindi attribuito alla pianificazione regionale il compito di predeterminare il punto di equilibrio tra uso generale e uso particolare, con l’evidente obiettivo di salvaguardare un nucleo essenziale del primo[62].
L’esercizio della potestà legislativa regionale in materia di governo del territorio[63] ha condotto a elaborare, al riguardo, delle regole parzialmente differenziate tra regioni, risultando in alcune regioni la pianificazione articolata tra un piano regionale e piani attuativi comunali[64]. A prescindere da queste differenze, se conseguenza della pianificazione è la riduzione a valle, nel procedimento di rilascio del singolo provvedimento di concessione, della poc’anzi descritta discrezionalità, questa permane a monte nelle scelte di piano[65] e, anzi, si amplia l’orizzonte degli interessi oggetto di ponderazione: la clausola di compatibilità dell’art. 36 cod. nav., “tanto ambigua in sede di puntuale esercizio dei poteri concessori”[66], assume un ruolo più consistente in sede di pianificazione, imponendo una definizione ex ante e su più ampia scala. A seconda del contenuto, più o meno puntuale, dei piani in merito alla individuazione delle aree – e qui rilevano le scelte regionali, potendo il combinato operare del piano regionale e dei piani comunali giungere a contenere previsioni direttamente conformative delle singole aree –, potrebbero non residuare a valle margini di discrezionalità quanto alla scelta tra uso generale e uso particolare[67].
Per la Corte costituzionale[68] i piani in parola sono “destinat[i] ad assolvere, nella prospettiva della migliore gestione del demanio marittimo d’interesse turistico-ricreativo, ad una funzione schiettamente programmatoria” delle concessioni demaniali, al fine di “rendere compatibile l’offerta dei servizi turistici con le esigenze della salvaguardia e della valorizzazione di tutte le componenti ambientali dei siti costieri, onde consentirne uno sfruttamento equilibrato ed ecosostenibile”; essi “svolgono … un’essenziale funzione non solo di regolamentazione della concorrenza e della gestione economica del litorale marino, ma anche di tutela dell’ambiente e del paesaggio, garantendone tra l’altro la fruizione comune anche al di fuori degli stabilimenti balneari”[69]. Detti piani sono quindi espressione dell’acquisita consapevolezza che la zona costiera, bene comune, esprime un notevole valore non solo d'uso ma anche di lascito[70].
Ancora prima che il rinnovo automatico delle concessioni fosse messo in discussione in sede europea, in occasione del primo procedimento di infrazione[71], il giudice amministrativo ha evidenziato come esso trovasse un limite nel persistente potere dell’amministrazione di pianificare e conformare l’uso del bene “analogamente a quanto accade in ogni fenomeno ordinario di pianificazione”[72]. In termini più generali, è stato affermato che “le scelte programmatorie della pubblica amministrazione non possono essere condizionate dalla pregressa indicazione di differenti destinazioni”[73].
Secondo una tesi recentemente sostenuta dalla dottrina, l’art. 6 d.l. n. 400 del 1993 avrebbe inoltre introdotto un presupposto necessario per la concedibilità di aree del demanio costiero, incidendo sui modi e limiti in cui il bene può essere oggetto di diritti di terzi ai sensi dell’art. 823 c.c.[74]: dal fatto che l’uso generale è la naturale destinazione di tali beni e dalla constatazione che dalla normativa successiva al codice civile non è evincibile una modifica del regime giuridico del demanio necessario che consenta di considerare non più un’eccezione l’uso particolare del bene, la dottrina in questione fa conseguire che, in assenza di un piano che specifichi la modalità di fruizione della singola area, rimane ferma la destinazione all'uso generale e l’area non può essere oggetto di diritti dei terzi.
Tale interpretazione del ruolo della pianificazione di settore porta alle estreme conseguenze la condivisibile ratio sottesa alla previsione di un piano di settore: allontanare le scelte sulle modalità di fruizione del bene dalla visione episodica della singola vicenda concessoria per inserirla in una visione ex ante e di insieme del territorio[75], in reazione al sistema derivato dal cod. nav. in cui la concessione ha assunto il ruolo di unico strumento di amministrazione delle risorse demaniali costiere dando luogo a un'amministrazione (non a un governo) “disorganica e puntiforme”[76].
Coerentemente a tale ratio, l’effetto di preclusione connesso alla mancanza del piano di utilizzazione è espressamente previsto in alcune regioni, come il Lazio[77] o la Sicilia[78], e allora è indiscutibile. Con riferimento a tali ipotesi il Consiglio di Stato ha anche escluso che la subordinazione del rilascio della concessione alla previa programmazione leda l’iniziativa economica privata perché rinviata sine die, considerato che, a fronte dell’eventuale inerzia dell’amministrazione nell’osservanza dell’obbligo di pianificazione, l’ordinamento appresta il rimedio del ricorso avverso il silenzio[79].
Con riferimento ai casi in cui tale preclusione sia espressamente prevista a livello regionale, è inoltre di particolare interesse la già citata sentenza della Corte costituzionale n. 108 del 2022, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 9 Cost., di una disposizione regionale che, in deroga al divieto di nuove concessioni nei comuni sprovvisti del piano di utilizzazione del demanio marittimo imposto da una legge regionale precedente, consentiva, nel periodo dell’emergenza pandemica, di adottare provvedimenti concessori anche in assenza di piano, in tale modo finendo col determinare un abbassamento del livello di tutela dell’ambiente e del paesaggio. Tale abbassamento del livello di tutela non è giudicato illegittimo in sé, ma irragionevole non essendo diretto a tutelare interessi aventi pari rilevanza all’ambiente o al paesaggio (valori primari), quanto piuttosto gli interessi degli aspiranti alle nuove concessioni[80].
Va peraltro rilevato che, al di fuori delle ipotesi in cui sia espressamente previsto dalla disciplina regionale, la giurisprudenza non riconosce un effetto preclusivo all’esercizio del potere concessorio alla mancanza del piano[81], tradendo, a giudizio di chi scrive, il tenore letterale del citato art. 6 che collega espressamente (“ai fini”) all’esercizio del potere concessorio le prescrizioni conformative dei piani di settore.
Ad ogni modo, la previsione di una programmazione degli usi del demanio costiero costituisce ulteriore dimostrazione dell’erroneità di una valutazione meramente quantitativa di aree libere ai fini della verifica della sussistenza della condizione della scarsità.
Della complessità e della molteplicità dei valori che contraddistinguono il demanio costiero e della imprescindibilità di una programmazione degli usi sono emblematici gli obiettivi della gestione integrata delle zone costiere (GIZC)[82]: favorire lo sviluppo sostenibile delle zone costiere attraverso una pianificazione razionale delle attività, in modo da conciliare lo sviluppo economico, sociale e culturale con il rispetto dell’ambiente e dei paesaggi; preservare le zone costiere a vantaggio delle generazioni presenti e future; garantire l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali; assicurare la conservazione dell’integrità degli ecosistemi, dei paesaggi e della geomorfologia del litorale; prevenire e/o ridurre gli effetti dei rischi naturali e, in particolare, dei cambiamenti climatici; conseguire la coerenza tra iniziative pubbliche e private e tra tutte le decisioni adottate da pubbliche autorità, a livello nazionale, regionale e locale, che hanno effetti sull’utilizzo delle zone costiere[83]. Tra i conseguenti pilastri su cui la gestione integrata delle zone costiere è fondata vi è l’esigenza che ogni decisione sia informata a una preventiva verifica della capacità di carico delle zone costiere, e quindi sulla conoscenza e valutazione anticipata degli effetti, garantendo un orizzonte di sostenibilità alle diverse attività antropiche che si concentrano nella fascia litoranea[84]. Da tanto consegue anche la necessità di adeguare al nuovo assetto valoriale i tradizionali strumenti di amministrazione, tra cui le concessioni a uso turistico ricreativo, subordinando lo sfruttamento turistico alla verifica della capacità di carico del tratto costiero interessato[85].
6. La scarsità delle risorse naturali secondo l’Adunanza plenaria: critica e rischio di una confutazione basata, a sua volta, su dati meramente quantitativi
Le peculiarità risultanti dalla specifica disciplina nazionale del demanio costiero, sopra descritte, non sono prese in considerazione dalla Corte di giustizia (del resto, il giudice europeo, per quanto riguarda l’interpretazione delle disposizioni del diritto nazionale, si basa sulle qualificazioni risultanti dalle decisioni di rinvio[86]), né dall’Adunanza plenaria nelle sentenze nn. 17 e 18 del 2021, incentrate sulla compatibilità delle proroghe ex lege al principio della concorrenza.
Come la Corte di giustizia (ma anche l’ANAC[87]), l’Adunanza plenaria ha adottato una prospettiva funzionalistica, rilevando che “il provvedimento che riserva in via esclusiva un’area demaniale … ad un operatore economico, consentendo a quest’ultimo di utilizzarlo come asset aziendale e di svolgere, grazie ad esso, un’attività d’impresa … va considerato, nell’ottica della direttiva 2006/123, un’autorizzazione …”; ha aggiunto che si tratta di autorizzazione contingentata, con conseguente applicazione dell’art. 12 della direttiva Bolkestein[88].
Per l’Adunanza plenaria la scarsità delle risorse naturali va considerata “in termini relativi e non assoluti, tenendo conto non solo della quantità del bene disponibile, ma anche dei suoi aspetti qualitativi e, di conseguenza, della domanda che è in grado di generare da parte di altri potenziali concorrenti”; nel considerare l’entità delle aree potenzialmente ancora concedibili al fine di valutare se il regime di proroga ex lege possa creare una barriera all’ingresso di nuovi operatori, l’Adunanza plenaria, valorizzando la capacità attrattiva del patrimonio costiero nazionale complessivamente inteso, i dati forniti dal Sistema informativo del demanio sull'occupazione delle coste sabbiose in Italia, la circostanza che in alcune regioni sia previsto un limite quantitativo massimo di costa concedibile (nella maggior parte dei casi coincidente con la percentuale già assentita), ha concluso nel senso della scarsità.
La scarsità è stata dunque affermata sulla base di un dato quantitativo generale nazionale, esponendo l’Adunanza plenaria alle critiche che hanno evidenziato, tra l’altro, come dovrebbero essere le singole amministrazioni comunali, competenti a gestire il demanio e a indire le procedure di evidenza pubblica, a stabilire quando nel loro territorio ci si trovi dinanzi a risorse scarse[89].
Il ragionamento seguito dall’Adunanza plenaria apre al rischio di confutazioni della indisponibilità fondate anch’esse - esattamente come l’assunto da confutare - su dati nazionali quantitativi (come i primi esiti del lavoro istruttorio del Tavolo tecnico inducono a pensare[90]).
L’iter argomentativo del supremo consesso si confarebbe, piuttosto, a un sistema “a domanda”[91], che i profili trattati in precedenza conducono però a escludere.
A conclusioni analoghe in punto di scarsità si può pervenire, piuttosto, attraverso un percorso argomentativo che, considerata la specificità di questi beni e il quadro normativo di riferimento, tenga conto: - della peculiare natura del demanio costiero e della naturale destinazione all’uso generale, mentre l’uso particolare è rimesso a valutazioni ampiamente discrezionali e, quindi, non prevedibili (considerazione che incide nella valutazione della disponibilità di aree ulteriori, rendendola impossibile ove operata in via generale e astratta e in assenza dei piani di settore prescritti); della pianificazione degli usi del demanio marittimo, ove esistente, quale strumento deputato ad attestare l’esistenza di aree ulteriori rispetto a quelle oggetto di concessione[92], e la cui mancanza, secondo qualificata dottrina[93], impedirebbe l’esercizio stesso del potere concessorio.
La recente (16 gennaio 2024) Lettera di risposta fornita dal governo italiano al Parere motivato della Commissione europea reso nell’ambito della procedura di infrazione avviata nel 2020[94] mostra di adottare, invece, una prospettiva radicalmente opposta laddove, a fronte della necessità rilevata dalla Commissione di considerare il limite quantitativo massimo di costa concedibile stabilito con legge in molte regioni e di escludere le aree non passibili di concessione dai criteri di valutazione sulla disponibilità di risorsa, replica che è necessario mantenere distinti due momenti del processo regolatorio, quali la fase di rilevazione dei tratti di costa astrattamente destinabili allo svolgimento di attività economica a scopo turistico-ricreativo e la fase di esercizio delle scelte relative alla destinazione effettiva ad attività economiche delle aree disponibili.
7. Considerazioni conclusive
L’analisi svolta conferma l’impellente necessità di una regolamentazione del settore, diretta sia a fornire certezza giuridica agli operatori e agli attuali concessionari (la tutela degli investimenti dei quali esula dal tema delle presenti note, ma si pone con altrettanta urgenza), sia a rendere effettive sul piano normativo le peculiarità del demanio costiero. In una dialettica tra uso generale e particolare rispettosa della funzione del demanio, l’uso generale (garantito e prioritario) può aprire a esperienze di gestione proprie dei beni comuni; per le aree per le quali sia pianificato un uso particolare, la concorrenza, adeguatamente regolamentata, può essere un moltiplicatore di utilità comuni. Se, in relazione alla natura ex se scarsa della risorsa qui sostenuta, il principio della concorrenza va rispettato, è infatti altrettanto doveroso non ridurre la disciplina delle concessioni alla stregua di un mero rapporto economico dominato dalla regola della concorrenza (intesa come “valore tiranno”[95]), tenendo in debita considerazione anche le esigenze connesse alla natura di tali beni: la direttiva Bolkestein lascia del resto agli Stati membri (par. 3 dell’art. 12) la possibilità di organizzare le procedure bilanciando i numerosi interessi pubblici in gioco, come la tutela delle identità culturali, la peculiarità dei tratti costieri e le esigenze di salvaguardia ambientale, o altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario.
Allo stato attuale, nulla è previsto in merito ai criteri della selezione, risultando troppo generico, in relazione alle plurime valenze del bene in questione, quanto indicato all’art. 37 cod. nav. (che indica i criteri dell’uso più proficuo e rispondente a un più rilevante interesse pubblico)[96] o il richiamo nell’art. 13, comma 5, Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36 del 2023), per i contratti attivi che offrono opportunità di guadagno economico, dei principi generali di cui agli artt. 1, 2 e 3[97].
La laconicità delle norme vigenti apre al contenzioso[98] e non garantisce che la selezione possa diventare essa stessa strumento di gestione attiva del demanio funzionale a orientare l’utilizzo da parte del concessionario dei diritti di esclusiva verso il perseguimento degli interessi pubblici sottesi alla demanialità stessa del bene pubblico.
Su tale ultima linea si poneva, invece, la Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021[99], che, nel delegare il governo ad adottare, nel termine inutilmente scaduto di sei mesi, uno o più decreti legislativi in materia di affidamento delle concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative e sportive (art. 4), elencava tra le finalità quelle di assicurare un più razionale e sostenibile utilizzo del demanio marittimo, lacuale e fluviale, favorirne la pubblica fruizione e promuovere, in coerenza con la normativa europea, un maggiore dinamismo concorrenziale, nel rispetto delle politiche di protezione dell'ambiente e del patrimonio culturale[100].
Con riguardo alle aree in concessione, la delega mirava ad assicurare un’adeguata considerazione dei vari interessi pubblici implicati dalla materia, dovendo la riforma prevedere in sede di affidamento della concessione la valorizzazione di “obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori, della protezione dell'ambiente e della salvaguardia del patrimonio culturale”, riproducendo le clausole di carattere generale menzionate nel paragrafo 3 dell’art. 12 della direttiva. Tra i principi e criteri direttivi vi era la determinazione di criteri omogenei per l'individuazione delle aree suscettibili di affidamento in concessione, assicurando l'adeguato equilibrio tra le aree demaniali in concessione e le aree libere o libere attrezzate[101].
Nell’ottica della protezione dell’ambiente e del patrimonio culturale, la delega mirava ad assicurare il minimo impatto sul paesaggio, sull’ambiente e sull’ecosistema, stabilendo una preferenza per i programmi di intervento con un utilizzo responsabile di attrezzature non fisse e completamente amovibili. Rilevante era anche la destinazione di una quota del canone a interventi di difesa delle coste e del relativo capitale naturale e di miglioramento della fruibilità delle aree demaniali libere. Era inoltre valorizzata la dimensione sociale della sostenibilità, in relazione alla struttura economica prevalente dell’impresa balneare italiana tradizionale rappresentata dalla micro-dimensionalità imprenditoriale. In ordine alla tutela dei lavoratori del settore, la riforma avrebbe dovuto prevedere clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato nell’attività del concessionario uscente.
Ai fini della scelta del concessionario, avrebbero dovuto essere valutate la qualità e le condizioni del servizio offerto agli utenti alla luce del programma di interventi indicati dall’offerente per migliorare l’accessibilità e la fruibilità del demanio anche da parte dei soggetti con disabilità. Era poi rivolta attenzione all’altrettanto importante esigenza di tutela dei concessionari uscenti tramite la previsione di un indennizzo[102].
I ritardi del legislatore hanno comportato che l’attenzione sulle concessioni si sia focalizzata quasi esclusivamente sul profilo economico e della concorrenza, trascurando la complessità di questi beni e l’esigenza di approdare a un regime delle concessioni in grado di ritrovare la funzione pubblica del demanio costiero, per la quale la previa pianificazione e la disciplina delle selezioni risultano essere fondamentali.
[1] Tra i molteplici contributi, senza alcuna pretesa di esaustività, si ricordano i contributi pubblicati nel fascicolo dedicato di Dir. e soc., 2021, n. 3 (M.A. Sandulli, Introduzione al numero speciale sulle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze nn. 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria; F. Ferraro, Diritto dell’Unione europea e concessioni demaniali: più luci o più ombre nelle sentenze gemelle dell’Adunanza Plenaria?; G. Morbidelli, Stesse spiagge, stessi concessionari?; M. Gola, Il Consiglio di Stato, l’Europa e le “concessioni balneari”: si chiude una – annosa – vicenda o resta ancora aperta?; R. Dipace, L’incerta natura giuridica delle concessioni demaniali marittime: verso l’erosione della categoria; M. Calabrò, Concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo e acquisizione al patrimonio dello Stato delle opere non amovibili: una riforma necessaria; E. Lamarque, Le due sentenze dell’Adunanza plenaria… le gemelle di Shining?; R. Rolli, D. Sammarro, L’obbligo di “disapplicazione” alla luce delle sentenze n. 17 e n. 18 del 2021 del Consiglio di Stato (Adunanza Plenaria); E. Zampetti, La proroga delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreativa tra libertà d’iniziativa economica e concorrenza. Osservazioni a margine delle recenti decisioni dell’Adunanza Plenaria; G. Iacovone, Concessioni demaniali marittime tra concorrenza e valorizzazione; M. Ragusa, Demanio marittimo e concessione: quali novità dalle pronunce del novembre 2021?; P. Otranto, Proroga ex lege delle concessioni balneari e autotutela; B. Caravita di Toritto, G. Carlomagno, La proroga ex lege delle concessioni demaniali marittime. Tra tutela della concorrenza ed economia sociale di mercato. Una prospettiva di riforma); nonchè i contributi nel volume M. Gnes (a cura di), Le concessioni balneari tra diritti in conflitto e incertezza delle regole. Progressi, problemi, prospettive, Milano, 2023; G. Greco, La Corte di giustizia ritorna sulle concessioni balneari precisandone le regole: problemi superati e problemi ancora aperti in sede di applicazione nazionale del diritto UE, in Federalismi.it, 14 giugno 2023; C. Volpe, Concessioni demaniali marittime: un’ulteriore puntata di una storia infinita, in www.giustizia-amministrativa.it, 26 aprile 2023; A. Cossiri (a cura di), Coste e diritti. Alla ricerca di soluzioni per le concessioni balneari, Macerata, 2022; Id., Tutela del patrimonio naturale culturale e la gestione delle spiagge: l’annosa vicenda delle concessioni demaniali ad uso turistico, in A. Caligiuri, M. Ciotti (a cura di), Sostenibilità ambientale e gestione del patrimonio culturale marittimo. Riflessioni e proposte, Napoli, 2023, 59; M.C. Girardi, Nel “mare magnum” delle proroghe. Riflessioni a partire dalle sentenze nn. 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza plenaria, in Osservatorio AIC, 2022, 2, 254; R. Dipace, Concessioni “balneari” e la persistente necessità della pronuncia della Corte di Giustizia, in www.giustiziainsieme.it, 14 ottobre 2022; F. Di Lascio, Le concessioni di spiaggia tra diritti in conflitto e incertezza delle regole, in Dir. amm., 2022, 1037; A. Cutolo, Concessioni demaniali: indennizzo o punteggio maggiorato al concessionario uscente? Le scelte del legislatore ad un anno dalle sentenze gemelle dell'Adunanza plenaria, in Riv. giur. edil., 2022, 527; B. Caravita, G. Carlomagno, “La proroga ex lege delle concessioni demaniali marittime. Tra tutela della concorrenza ed economia sociale di mercato. Una prospettiva di riforma”, Federalismi.it, 2021; F. Gaffuri, La disciplina nazionale delle concessioni demaniali marittime alla luce del diritto europeo, in CERIDAP, 2021, 3, 37; M. Timo, Funzioni amministrative e attività private di gestione della spiaggia Profili procedimentali e contenutistici delle concessioni balneari, Torino, 2020; M. Conticelli, Il regime del demanio marittimo in concessione per finalità turistico-ricreative, in Riv. trim. dir. pubbl., 2020, 4, 1071; C. Benetazzo, Il regime giuridico delle concessioni demaniali marittime tra vincoli U.E. ed esigenze di tutela dell’affidamento, in Federalismi.it, 28 dicembre 2016; L. Longhi, Concessioni demaniali marittime e utilità sociale della valorizzazione del patrimonio costiero, in Riv. corte conti, 2019, 1, 184; A. Lucarelli, L. Longhi, Le concessioni demaniali marittime e la democratizzazione della regola della concorrenza, in Giur. cost., 2018, 1251.
[2] Il contributo, prendendo spunto dalle sentenze del TAR Puglia, Lecce, 2 novembre 2023, nn. 1223 e 1224, ripropone le considerazioni svolte nella relazione Demanio costiero tra concorrenza e uso generale: la “scarsità della risorsa naturale, al convegno “Evoluzioni del diritto di proprietà sui beni pubblici. Il demanio marittimo, da demanio necessario a bene comune. Il caso Napoli”, Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, 26 ottobre 2023, in occasione del quale è stato presentato il libro di A. Abbruzzese, Evoluzioni del diritto di proprietà sui beni pubblici. Il demanio marittimo, da demanio necessario a bene comune - Il caso Napoli, Napoli, 2023.
[3] In argomento C. Burelli, Le concessioni demaniali turistico-ricreative e il requisito della “scarsità delle risorse naturali” ex art. 12, par. 1, della direttiva servizi nella più recente giurisprudenza della Corte di giustizia, in BlogDUE, 10 settembre 2023. Cfr., inoltre, E. Scotti, Il regime delle spiagge nell’era del ritorno dello Stato: pensieri (eterodossi) per un cambio di paradigma, in M. Gnes (a cura di), Le concessioni balneari tra diritti in conflitto e incertezza delle regole, cit., 149.
[4] TAR Lazio, Roma, Sez. II, 15 gennaio 2021, n. 616 (“la risorsa naturale si caratterizza sotto il profilo della scarsità poiché le aree che possono essere oggetto di tale sfruttamento economico sono in numero limitato e ha carattere escludente in quanto preclude, una volta concesso l’uso, la possibilità che lo stesso bene possa essere sfruttato economicamente da altri operatori”); TAR Toscana, Firenze, Sez. II, 8 marzo 2021, n. 363 (“le spiagge sono beni naturali il cui numero è ontologicamente limitato, appunto in ragione della scarsità delle risorse naturali”); TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 18 febbraio 2019, n. 307 (secondo cui l’utilizzazione del demanio marittimo “è intrinsecamente limitata”). La questione dell’applicabilità dell’art. 12 della Direttiva servizi si pone in termini analoghi e altrettanto urgenti con riguardo alle concessioni di posteggi per l’esercizio del commercio su aree pubbliche, su cui Cons. Stato, Sez. VII, 19 ottobre 2023, n. 9104 che, a proposito della scarsità della risorsa, rileva: “le attività di commercio su aree pubbliche… in analogia con il demanio marittimo, esibiscono il connotato dalla scarsità la quale ai sensi del più volte richiamato art. 12 della direttiva servizi giustifica la selezione “per il mercato”, in cui l'accesso al settore economico avvenga mediante procedure ad evidenza pubblica. .... In entrambi i casi l'attività economica è consentita solo attraverso l'utilizzo del bene pubblico, il quale pertanto, sulla base della sua naturale limitatezza, giustifica la selezione degli operatori economici mediante criteri obiettivi e trasparenti, propri dell'evidenza pubblica” (il corsivo è di chi scrive).
[5] TAR Abruzzo, Pescara, Sez. I, 3 febbraio 2021, n. 40 (“la circostanza che vi siano altre porzioni di spiaggia libera …, pur suggestiva, non può assumere rilievo dirimente, atteso che le concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative hanno come oggetto un bene/servizio che è ontologicamente “limitato” nel numero e nell'estensione a causa appunto della scarsità delle risorse naturali, poiché la spiaggia è un bene pubblico demaniale comunque limitato nell'estensione; - la scarsità, cioè, non viene meno perché una parte del tutto non è stata ancora assegnata, in quanto è un connotato che riguarda il bene nel suo complesso, che è appunto limitato nello spazio e dunque non accessibile astrattamente a tutti, e perciò la sua assegnazione deve rispettare il principio di concorrenza”); TAR Calabria, Reggio Calabria, 13 giugno 2022, n. 424; Cons. Stato, Sez. VI, 1 marzo 2023, n. 2192.
[6] Cass., Sez. un., 23 novembre 2023, n. 32559 ha cassato, con rinvio al Consiglio di Stato, per diniego di giurisdizione la sentenza dell’Adunanza plenaria n. 18/2021, affermando che costituisce “motivo di giurisdizione”, deducibile avverso una sentenza del Consiglio di Stato sotto forma di diniego o rifiuto della tutela giurisdizionale, quello con cui si denuncia che il giudice amministrativo ha dichiarato, in via pregiudiziale, inammissibile l’intervento di un ente portatore di un interesse collettivo o di un ente territoriale, senza esaminare in concreto il contenuto dei loro statuti o senza valutare la loro concreta capacità di farsi portatori degli interessi della collettività di riferimento. Successivamente TAR Lazio, Roma, Sez. V-ter, 15 dicembre 2023, n. 19051, sul rilievo che la Cassazione non ha affrontato il tema della proroga ex lege delle concessioni demaniali marittime, profilo assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso, ha ritenuto che restino fermi i principi espressi dall’Adunanza plenaria, “che riflettono gli orientamenti espressi dalla Corte di Giustizia e dalla consolidata giurisprudenza nazionale”.
[7] TAR Lazio, Roma, Sez. V-ter, 15 dicembre 2023, n. 19051. La nozione di scarsità della risorsa naturale non è trattata nemmeno dalla Corte costituzionale; la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di disposizioni regionali che, non prevedendo procedure di selezione aperta, pubblica e trasparente tra gli operatori economici interessati, determinavano un ostacolo all’ingresso di nuovi soggetti nel mercato, stante la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza (art. 117, comma 2, lett. e), Cost.) e il contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost. per lesione dei principi di derivazione europea nella medesima materia (tra le altre, Corte cost., 24 febbraio 2017, n. 40; 29 gennaio 2021, n. 10).
[8] A. Paiano, Il ruolo dell’amministrazione e del giudice nelle concessioni demaniali marittime: necessità di una valorizzazione, in A. Cossiri (a cura di), Coste e diritti. Alla ricerca di soluzioni per le concessioni balneari, cit., 199.
[9] L’AGCM aveva notificato parere ex art. 21 l. n. 287/1990, sollecitando l’espletamento di procedure di evidenza pubblica, al fine di garantire il rispetto dei principi di concorrenza e di libertà di stabilimento, disapplicando la normativa nazionale di proroga. Stante il mancato adeguamento comunale, l’AGCM ha impugnato gli atti indicati nel testo.
[10] TAR Puglia, Lecce, Sez. I, ord. 11 maggio 2022, n. 743, per un commento alla quale si v. M. Timo, Le proroghe ex lege delle concessioni “balneari” alla Corte di Giustizia: andata e ritorno di un istituto controverso (nota a T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, ordinanza 11 maggio 2022, n. 743), in Giustiziainsieme.it, 2022; C. Burelli, Un nuovo (discutibile) capitolo della saga “concessioni balneari”: il TAR Lecce investe la Corte di giustizia di un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, in BlogDUE, 30 maggio 2022.
[11] Su cui: A. Persico, Concessioni balneari: interviene la Corte di giustizia, a conferma della posizione dell’Adunanza Plenaria. (Nota a Corte di giustizia, Sez. III, sentenza 20 aprile 2023, in causa C-348/22), in Giustiziainsieme.it, 27 luglio 2023; D. Diverio, Nulla di nuovo… sotto il sole? Qualche considerazione a prima lettura sulla sentenza della Corte di giustizia nella causa AGCM c. Comune di Ginosa, in AA.VV., Quaderni AISDUE, Napoli, 2023, 1, 205. Cfr., inoltre, C. Burelli, Le concessioni demaniali turistico-ricreative e il requisito della “scarsità delle risorse naturali”, cit.; C. Curti Gialdino, La sentenza della Corte di giustizia europea del 20 aprile 2023 in tema di concessioni balneari. Spunti critici e proposte per chiudere una storia infinita, in Ordine internazionale e diritti umani, 2023, 455.
[12] Corte di giustizia, 14 luglio 2016, C-458/14 e C‑67/15, Promoimpresa e Melis, per un commento alla quale si v. G. Bellitti, La direttiva Bolkenstein e le concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali, in Giorn. dir. amm., 2017, p. 60; E. Boscolo, Beni pubblici e concorrenza: le concessioni demaniali marittime, in Urb. e app., 2016, 1217.
[13] In argomento, a dimostrazione dell’incertezza determinata dalle due pronunce, cfr. Cons. Stato, Sez. VII, 23 novembre 2023, n. 10050 che, da un lato, richiama le sentenze nn. 17 e 18 dell’Adunanza plenaria e, dall’altro lato, richiamando CGUE Promoimpresa, rileva che “ai fini di stabilire l’entità della risorsa in questione occorre aver riguardo alla situazione del territorio comunale”.
[14] TAR Puglia, Lecce, n. 1224/2023, punto 6.
[15] TAR Puglia, Lecce, n. 1224/2023, punto 8.
[16] CGUE Ginosa: “78. A tal riguardo, occorre precisare che l'indicazione contenuta al punto 43 della sentenza del 14 luglio 2016, Promoimpresa e a. (C-458/14 e C-67/15, EU:C:2016:558), secondo la quale spettava al giudice nazionale verificare se il requisito relativo alla scarsità delle risorse naturali, previsto dall'articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2006/123, fosse soddisfatto, non può significare che solo i giudici nazionali siano tenuti a verificare la sussistenza di tale requisito. Infatti, allorché il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività è limitato per via della scarsità delle risorse naturali utilizzabili, ogni amministrazione è tenuta ad applicare, in forza di tale disposizione, una procedura di selezione tra i candidati potenziali e a garantire che tutte le condizioni previste da detta disposizione siano rispettate, disapplicando, se del caso, le norme di diritto nazionale non conformi”.
[17] CGUE Ginosa, punto 64. Precedenti in termini sono: 8 marzo 2022, Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld, C-205/20, punto 19; 14 gennaio 2021, RTS, C-387/19, punto 47; 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a., da C‑397/01 a C‑403/01. Diversamente, quando la discrezionalità riservata agli Stati membri nell’attuazione di una disposizione è “ampia”, è preclusa la diretta efficacia della norma: CGUE 4 ottobre 2018, causa C-384/17, Link Logistic, punti 47-56.
[18] CGUE Ginosa, punto 65.
[19] Cfr. D. Diverio, Nulla di nuovo… sotto il sole? Qualche considerazione a prima lettura sulla sentenza della Corte di giustizia nella causa AGCM c. Comune di Ginosa, cit.
[20] Cfr. C. Burelli, Le concessioni demaniali turistico-ricreative e il requisito della “scarsità delle risorse naturali” ex art. 12, par. 1, della direttiva servizi nella più recente giurisprudenza della Corte di giustizia, per la distinzione tra scarsità assoluta, relativa e “di destinazione”.
[21] In argomento J. Wolswinkel, The allocation of a limited number of authorisations. Some general requirements from European law, (September 29, 2009), https://ssrn.com/abstract=1934152 o http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.1934152, 18: (a) notion of scarcity is that of absolute scarcity. According to this definition, goods are scarce if their quantity has a finite physical limit (and cannot be extended by human intervention) …When considering scarcity of available natural resources within the meaning of Article 12, the notion of absolute scarcity seems most relevant. …. Nevertheless, the notion of relative scarcity remains important for the application of Article 12 as well. If some natural resource can be used for several applications, administrative authorities should decide which quantity of the resource is available for which application: the greater the quantity of a natural resource given for a certain application, the smaller the quantity left for other applications … Therefore, the mere fact that more quantity of some natural resource could have been available for a certain application (even up to the level of satisfaction), does not take away the presence of scarcity if insufficient quantity of this resource had been left for other applications. In such a situation, it could be argued that the condition of scarcity in the meaning of Article 12 would be fulfilled as well”.
[22] In argomento M. Gnes, Le spiagge e le coste: problema o risorsa?, in M. Gnes (a cura di), Le concessioni balneari tra diritti in conflitto e incertezza delle regole, cit., 13.
[23] F. Cammeo, Demanio (voce), in Dig. It., IX, Torino 1989, 881.
[24] A. Abbruzzese, Evoluzioni del diritto di proprietà sui beni pubblici, cit., 29; E. Boscolo, Beni pubblici e concorrenza: le concessioni demaniali marittime, cit., 1219.
[25] In argomento M. Olivi, Beni demaniali ad uso collettivo. Conferimento di funzioni e privatizzazione, Padova, 2005, 69 ss.
[26] G. Colombini, Lido e spiaggia (voce), in Dig. disc. pubbl., 1994, IX, 262. Sulla distinzione tra uso diretto, uso promiscuo, uso generale e uso particolare dei beni pubblici si v. A. Police, I beni di proprietà pubblica, in F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, Torino, 2014, 518-519.
[27] Per effetto del d.P.R. n. 616/1977 (art. 59) e, poi, del d.lgs. n. 112/1998 (art. 105), le funzioni amministrative, tra cui il rilascio delle concessioni, sono state conferite alle regioni. L’art. 42 d.lgs. n. 96/1999 ha poi previsto che le funzioni di cui al citato art. 105 siano esercitate dai comuni. In argomento M. Conticelli, Effetti e paradossi dell'inerzia del legislatore statale nel conformare la disciplina delle concessioni di demanio marittimo per finalità turistico-ricreative al diritto europeo della concorrenza, in Giur. cost., 2020, 2475.
[28] F. Francario, Il demanio costiero. Pianificazione e discrezionalità, in Giustizia insieme, 16 novembre 2021.
[29] E. Boscolo, Beni pubblici e concorrenza: le concessioni demaniali marittime, cit., 1219.
[30] I pubblici usi del mare sono richiamati ma non definiti agli artt. 33, 35 e 42 del Codice della navigazione. In argomento M. Ragusa, Demanio marittimo e concessione, cit., 553; M. Timo, Funzioni amministrative e attività private di gestione della spiaggia, cit., 74.
[31] E. Boscolo, Beni pubblici e concorrenza: le concessioni demaniali marittime, cit., 1219; M. Gnes (a cura di), Le concessioni balneari tra diritti in conflitto e incertezza delle regole, cit., 15.
[32] Su tale evoluzione ampi riferimenti dottrinari in M. Timo, Funzioni amministrative e attività private di gestione della spiaggia Profili procedimentali e contenutistici delle concessioni balneari, cit., 74.
[33] M.L. Corbino, Il demanio marittimo. Nuovi profili funzionali, Milano, 1990, 30-31.
[34] L. 3 aprile 1997, n. 94 e d.lgs. 7 agosto 1997, n. 279.
[35] F. Francario, Il demanio costiero, cit.; A. Giannelli, Beni sfruttabili o consumabili: demanio marittimo e porti, in Federalismi.it, 16 novembre 2016, 9.
[36] Art. 14, commi 1 e 2, d.lgs. n. 279 del 1997.
[37] S. Villamena, Concessioni demaniali marittime e concorrenza. (Profili ricostruttivi e modalità operative), in G. Lami, C. A. Nebbia Colomba, S. Villamena, Le concessioni demaniali marittime, Padova, 2010, 87 (spec. nota 104); M. Gnes, Le spiagge e le coste: problema o risorsa?, cit., 14.
[38] In argomento A. Giannelli, Beni sfruttabili o consumabili: demanio marittimo e porti, cit.; G. Colombini, Lido e spiaggia (voce), cit., 272. Cfr. Corte dei Conti, Sez. giur. per il Veneto, 16 aprile 2018, n. 53, che, nel trattare questioni concernenti l’entità del canone, ha rilevato: “L’ampliarsi dell'attività gestionale dei beni pubblici da parte della pubblica amministrazione in funzione regolatoria dei rapporti concessori ha determinato, sotto altro profilo, un assetto ordinamentale per cui la funzione del bene demaniale da finale diviene strumentale ed il bene demaniale assume il carattere di strumento per la produzione di utilità economiche per un privato imprenditore: la concessione, in quest'ottica, costituisce il mezzo tipico di valorizzazione del bene, cui deve necessariamente corrispondere, in capo al concedente, l'accrescimento patrimoniale correlata all'utilità tratta dal privato in applicazione del principio di proporzionalità”.
[39] M. Calabrò, Concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo e acquisizione al patrimonio dello Stato delle opere non amovibili, cit., 452.
[40] Se “La concessione non muta la destinazione del bene”, essa postula, infatti, “un significativo affievolimento delle possibilità di uso generale da parte della collettività”: E. Boscolo, Beni pubblici e concorrenza: le concessioni demaniali marittime, cit., 1222.
[41] In argomento A. Lucarelli, Il nodo delle concessioni demaniali marittime tra non attuazione della Bolkestein, regola della concorrenza ed insorgere della nuova categoria “giuridica” dei beni comuni, in Dirittifondamentali.it, 14 maggio 2019, 8.
[42] In argomento E. Boscolo, Beni pubblici e concorrenza: le concessioni demaniali marittime, cit., 1220.
[43] E. Boscolo, Beni pubblici e concorrenza: le concessioni demaniali marittime, cit., 1219.
[44] L. Di Giovanni, Il ruolo della pianificazione paesaggistica nella difesa delle coste italiane, in M. Gnes (a cura di), Le concessioni balneari tra diritti in conflitto e incertezza delle regole, cit., 91.
[45] Cons. Stato, Sez. VI, 10 marzo 2023, n. 2559.
[46] In argomento, tra i più recenti contributi, A. Abbruzzese, Evoluzioni del diritto di proprietà sui beni pubblici, cit., 56; G. Iacovone, Concessioni demaniali marittime tra concorrenza e valorizzazione, cit., 542; R. Palliggiano, Verso la “ridestinazione collettiva” del demanio marittimo: dal principio di evidenza pubblica alla categoria dei beni comuni, in A. Cossiri (a cura di), Coste e diritti. Alla ricerca di soluzioni per le concessioni balneari, cit., 227.
[47] Tra i molti contributi, V. Cerulli Irelli, Diritto pubblico della proprietà e dei beni, Torino, 2022, 177; L. Longhi, Concessioni demaniali marittime e utilità sociale della valorizzazione del patrimonio costiero, cit., 185; A. Lucarelli, Il nodo delle concessioni demaniali marittime tra non attuazione della Bolkestein, regola della concorrenza ed insorgere della nuova categoria “giuridica” dei beni comuni, cit.
[48] A. Lucarelli, Beni comuni. Contributo per una teoria giuridica, in Costituzionalismo.it, 2014, 3.
[49] In argomento cfr. le considerazioni svolte F. Francario, Il demanio costiero, cit.: “la quintessenza della demanialità necessaria (la proprietà pubblica come garanzia di usi non commerciali dei beni necessari per la collettività) è stata fatta uscire dalla porta ma è stata fatta poi rientrare dalla finestra teorizzando la sottrazione alla proprietà pubblica del nucleo di beni che devono per natura ritenersi extra commercium”.
[50] A. Lucarelli, Il nodo delle concessioni demaniali marittime tra non attuazione della Bolkestein, regola della concorrenza ed insorgere della nuova categoria “giuridica” dei beni comuni, cit.,
[51] Sulla necessità di riconsiderare l’oggetto stesso della demanialità, “da assumere non alla stregua di un bene rilevante in quanto suscettibile di assicurare utilità secondo dinamiche economiche, bensì quale porzione di un vulnerabile comparto ambientale di scambio terramare, produttivo di servizi ecologici (e culturali) a fruizione indivisa”, E. Boscolo, Beni pubblici e concorrenza: le concessioni demaniali marittime, cit., 1220, osserva che “Più che di un rapporto di appartenenza è invece preferibile parlare di una mera imputazione al soggetto pubblico: una imputazione avente ad oggetto risorse che vanno doverosamente tutelate e gestite nella prospettiva prioritaria della loro preservazione di lungo periodo e trasmissione alle generazioni future, con conseguente imperativo di armonizzazione delle logiche dello sfruttamento con quelle della conservazione”.
[52] Corte dei Conti, Sez. giur. per il Veneto, 16 aprile 2018, n. 53.
[53] Cass. civ., Sez. un., 14 febbraio 2011, n. 3665.
[54] In argomento A. Abbruzzese, Evoluzioni del diritto di proprietà sui beni pubblici, cit., 24 ricostruisce la categoria giuridica dei beni pubblici, ripristinando la distinzione tra questi e proprietà pubblica offuscata a causa della visione proprietaria-privatistica della pandettistica tedesca del bene pubblico, per poi riassegnare alla categoria del demanio marittimo la sua originaria funzione di dominio collettivo, accessibile a tutti e inappropriabile in via esclusiva (50); la proprietà pubblica, infatti, fondata sul concetto di appropriazione, si è sovrapposta al modello demaniale e non tiene conto della funzione sociale del bene pubblico, usandolo per soddisfare gli interessi del dominus (p.A.) anziché le esigenze della communitas: in tale ottica il bene è legato alla funzione che il dominus intende attribuirgli, configurando rapporti escludenti. Sulla distinzione tra lo statuto pubblicistico e quello privatistico della proprietà nella Costituzione, cfr. G. Della Cananea, Le concessioni del demanio marittimo: un mutamento di prospettiva, cit., 24-25 e 31.
[55] Di dialettica tra uso generale e uso particolare si occupa A. Giannelli, Beni sfruttabili o consumabili: demanio marittimo e porti, cit.
[56] Cons. Stato, Sez. VII, 11 agosto 2023, n. 7751. Cfr., inoltre, Cons. Stato, Sez. VI, 7 marzo 2016, n. 892 (“in sede di valutazione dell'interesse demaniale, cioè dell'interesse pubblico che il bene non sia sottratto al suo normale uso generale (pubblico ex art. 36 cod. nav.), l'amministrazione può considerare e valutare tutti gli interessi pubblici specifici che, insorgenti dalla dimensione territoriale del bene, interferiscono sull'uso individuale a base della richiesta di concessione; questa, proprio in quanto viene considerata eccezionale, deve essere del tutto compatibile con l'intero spettro delle esigenze pubblicistiche gravanti sul territorio in cui ricade l'area oggetto della richiesta concessione”; non rileva nemmeno “in senso ostativo all'esercizio da parte dell'Amministrazione del suo potere di scegliere la destinazione del bene demaniale la circostanza che lo stesso sia stato precedentemente oggetto di concessione demaniale. Non vi è dubbio, infatti, che alla scadenza della concessione l'Amministrazione possa rinnovare la valutazione dell'interesse pubblico e ritenere preferibile destinare il bene al libero uso della collettività, piuttosto che rinnovare la concessione”).
[57] Cfr., anche, Cons. Stato, Sez. V, 2 marzo 2018, n. 1296.
[58] L’art. 37 cod. nav. (“Concorso di più domande di concessione”) dispone che “Nel caso di più domande di concessione, è preferito il richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e si proponga di avvalersi di questa per un uso che, a giudizio dell'amministrazione, risponda ad un più rilevante interesse pubblico”.
[59] Cons. Stato, Sez. VII, 11 agosto 2023, n. 7751, cit., che aggiunge: “poiché siffatta valutazione è ampiamente discrezionale, la decisione dell’Amministrazione, limitatamente a siffatto profilo, è censurabile soltanto in caso di illegittimità per manifesta o macroscopica contraddittorietà o irrazionalità della motivazione”. Nel caso in esame, il Comune di Porto Cesareo aveva ritenuto maggiormente utile per la collettività il libero utilizzo del bene demaniale rispetto al rilascio della concessione richiesta da un operatore, valorizzando all’uopo due elementi, ossia la vicinanza dell’area al centro abitato e il tradizionale uso pubblico della spiaggia per la libera fruizione e balneazione. Questa motivazione rende la decisione, a giudizio del Consiglio di Stato, coerente, logica e non censurabile sul piano motivazionale. Cfr., inoltre, Cons. Stato, Sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2757: “i beni del demanio marittimo sono istituzionalmente ed in via generale rivolti all’uso pubblico e, pertanto, la scelta dell’Amministrazione di mantenere tale destinazione relativamente ad un determinato bene demaniale, pur in presenza di una domanda di concessione, non richiede una motivazione specifica, apparendo sufficiente la concreta indicazione della incompatibilità della nuova destinazione con l’uso pubblico. Al contrario, tale specifica motivazione sarebbe necessaria nel caso di adozione di un provvedimento di concessione del terreno demaniale, atteso che quest'ultimo atto, distogliendo il bene demaniale dalla destinazione ad uso pubblico, dovrebbe indicare le ragioni che inducano a ritenere la destinazione ad un uso diverso da quello istituzionale, compatibile e non pregiudizievole per l’interesse generale”; Id., Sez. V, 2 marzo 2018, n. 1296. In argomento B. Tonoletti,Beni pubblici e concessioni, Padova, 2008, 351.
[60] Il demanio costiero risulta per sottrazione dalle aree comprese nel demanio marittimo di quelle di pertinenza dei porti (oggetto di pianificazione di settore attribuita alle autorità portuali ai sensi della l. n. 84 del 1994, art. 5): in argomento V. Cerulli Irelli, Diritto pubblico della proprietà e dei beni, cit., 145; F. Francario, Il demanio costiero, cit..
[61] Art. 1, comma 254, l. 27 dicembre 2006, n. 296. In argomento M. Ragusa, Demanio marittimo e concessione: quali novità dalle pronunce del novembre 2021?, cit., 569, osserva come il mutato quadro delle competenze al rilascio delle concessioni abbia sollevato la necessità di trovare una sintesi tra gli usi concessi e l’uso generale e per “scongiurare il rischio che, assegnato all’amministrazione degli enti territoriali minori, il potere concessorio possa con ancora più facilità che in passato prestarsi a un impiego incontrollato”, l’art. 6 citato ha imposto la predisposizione di un piano di utilizzazione del demanio marittimo. Alcune regioni (come indicato nel Report Spiagge 2023 di Legambiente 2023, alle pagg. 55 e ss.) hanno prefissato con legge detta percentuale, come la Puglia (l.r. n. 17/2006) o il Lazio (l.r. n. 8/2015); in Sardegna la percentuale è fissata nelle “Linee guida per la predisposizione del Piano di utilizzo dei litorali”, deliberazioni G.R. 12/8 del 5/3/2013 e 10/5 del 21/2/2017. Cfr. E. Scotti, Il regime delle spiagge nell’era del ritorno dello Stato: pensieri (eterodossi) per un cambio di paradigma, cit., 155-156 ritiene che il legislatore statale dovrebbe fissare delle percentuali minime di arenile da destinare al pubblico godimento quale l.e.p. concernente diritti fondamentali da garantire in modo uniforme ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m), Cost.
[62] In argomento Corte cost., 24 febbraio 2017, n. 40 (par. 4.1).
[63] Cui tale disciplina è ricondotta, si v. Corte cost., 24 febbraio 2017, n. 40.
[64] Nella regione Campania, ad esempio, il PUAD costituirà il quadro di riferimento per la predisposizione, da parte dei Comuni costieri, dei piani attuativi di utilizzazione (PAD) e per l’esercizio delle funzioni di gestione sul demanio marittimo non portuale.
[65] M. Calabrò, Concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo, cit., 454: tramite questi strumenti di pianificazione “le amministrazioni regionali esercitano la scelta discrezionale “di fondo” circa l’utilizzo dell’area demaniale, ovvero se destinarla al suo naturale uso generale o, al contrario, se prevederne uno sfruttamento economico mediante uso eccezionale”.
[66] M. Ragusa, Demanio marittimo e concessione: quali novità dalle pronunce del novembre 2021?, cit., 570.
[67] In esito al processo pianificatorio risultano individuate le aree destinabili alle diverse modalità di fruizione del litorale: quella soddisfatta dalla semplice esistenza del bene demaniale e che, presupponendo l’accessibilità generale, richiede l’esercizio di poteri pubblici strumentali alla conservazione della risorsa, e quella soddisfatta da un particolare impiego del bene che, richiedendone un uso esclusivo, presuppone l’esercizio di funzioni distributive tramite la concessione: M. Ragusa, Demanio marittimo e concessione, cit., 570. In argomento, si v. anche G. Torelli, Concessioni balneari e governo del territorio, in M. Gnes (a cura di), Le concessioni balneari tra diritti in conflitto, cit., 85.
[68] Corte cost., 5 maggio 2022, n. 108, in Giorn. dir. amm., 2022, 770.
[69] Analogamente Cons. Stato, Sez. V, 21 giugno 2005, n. 3267.
[70] E. Boscolo, Beni pubblici e concorrenza: le concessioni demaniali marittime, cit., 1221-1222. L’attuazione del citato art. 6 è stata però scarsa, a ciò contribuendo la previsione del diritto di insistenza e il regime di proroga automatica introdotto nel 2001 (l. n. 88, art. 10), che hanno condotto alcune regioni a circoscrivere la dialettica tra uso generale e usi eccezionali alle porzioni in cui tale scelta fosse ancora possibile (come accaduto in Sicilia dove le Linee guida per la redazione da parte dei Comuni dei piani di utilizzazione del demanio marittimo del 2016 prevedono una riserva non inferiore al 50% del litorale per la fruizione pubblica facendo espressamente salve le concessioni già rilasciate): M. Ragusa, Demanio marittimo e concessione, cit., 572.
[71] Commissione europea, Lettera di messa in mora 2 febbraio 2009, n. 2008/4908 con cui l’U.E. aveva sollecitato lo Stato italiano a eliminare la preferenza accordata al precedente concessionario perché contraria al principio di libertà di stabilimento (attuale art. 49 TFUE) e all’art. 12 direttiva Bolkestein. L’art. 1, comma 18, d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, conv. in l. 26 febbraio 2010 n. 25, abrogava, quindi, il comma 2 dell’art. 37 cod. nav. nella parte in cui prevedeva il cd. diritto di insistenza. Anche il rinnovo automatico, previsto dall’art. 01, c. 2, d.l. n. 400/1993 è stato abrogato dall’art. 11 l. 15 dicembre 2011, n. 217. Espunto dall’ordinamento interno il diritto di insistenza e abrogato l’art. 01, comma 2, d.l. n. 400/1993, il legislatore nazionale aveva però previsto, contestualmente, una proroga al 31 dicembre 2015 delle concessioni per finalità turistico-ricreative in essere e in scadenza prima di tale data, poi posticipata al 2020 (art. 34-duodecies d.l. n. 179/2012, conv. in l. n. 221/2012), qualificando tale disciplina come transitoria in quanto dettata “nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni” di beni demaniali marittimi. La proroga ope legis ha costituito oggetto di due rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia che, nella già più volte citata sentenza Promoimpresa ha chiarito che una proroga ex lege delle concessioni demaniali marittime, così come di quelle lacuali, in essere per attività turistico-ricreative equivale a un rinnovo automatico, in contrasto con l’art. 12 direttiva Bolkestein. Non è intervenuta negli anni successivi una riforma tale da rendere compatibile la normativa interna con l’ordinamento U.E.: approssimandosi la scadenza del 31 dicembre 2020, con la Legge di bilancio 2019 (art. 1, commi 682, 683 e 684, l. n. 145/2018), il legislatore ha prorogato le concessioni demaniali marittime non ancora scadute, rideterminando il termine di scadenza al 31 dicembre 2033, con conseguente avvio della Procedura di infrazione n. 2020/4118, con lettera di costituzione in mora del 3 dicembre 2020, cui ha fatto seguito il Parere motivato della Commissione europea del 16 novembre 2023 (C(2023)7231) che ha assegnato all’Italia il termine di due mesi per conformare alla direttiva Bolkestein l’ordinamento nazionale. Da ultimo, con la recentissima Lettera di risposta al parere motivato del 16 gennaio 2024, l’Italia ha rappresentato all’U.E. la natura propedeutica della definizione dei criteri sulla scarsità delle risorse, “atti a fornire indicazioni certe e omogenee sull’intero territorio nazionale” e scongiurare il rischio di un’applicazione asimmetrica della disciplina unionale “che alimenterebbe situazioni di incertezza giuridica e disparità di trattamento per gli operatori di settore”; le proroghe, temporalmente limitate, sono quindi giustificate – spiega il governo – dall’esigenza di completare gli approfondimenti istruttori e i percorsi procedimentali necessari a chiarire le modalità di applicazione della direttiva servizi. Sulle varie proroghe si v. C. Feliziani, Le concessioni balneari tra diritto dell’Unione europea e diritto interno. Un’altra occasione mancata?, in M. Gnes (a cura di), Le concessioni balneari, cit., 48 ss..
[72] TAR Abruzzo, L’Aquila, Sez. I, 3 giugno 2009, n. 246 (confermata da Cons. Stato, Sez. VI, 6 settembre 2010, n. 6477.
[73] TAR Liguria, Sez. I, 30 agosto 2018, n. 683. In argomento G. Torelli, Concessioni balneari e governo del territorio, cit., 87.
[74] F. Francario, Il demanio costiero, cit.: dopo avere illustrato i fattori che in astratto potrebbero avere determinato un cambiamento del regime giuridico dei beni demaniali in questione e dopo avere illustrato come in concreto due di questi fattori, quali la patrimonializzazione dei beni pubblici e il trasferimento di funzioni amministrative, non abbiano mutato detto regime, ritiene, invece, che “l’intervento legislativo che impone la pianificazione di settore incide anche sui modi e limiti in cui in cui possono sorgere diritti dei terzi sul bene demaniale costiero”.
[75] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2757 che giudica legittimo il diniego di concessione motivato con “l’opportunità di evitare che il rilascio della concessione richiesta possa impedire la realizzazione dell’assetto complessivo organico della zona mediante apposito strumento attuativo prescritto dalla Regione Lazio; opportunità derivante dalla considerazione che notoriamente sorgono difficoltà quando l’Amministrazione intenda ottenere la disponibilità di un’area assentita in concessione”.
[76] E. Boscolo, Beni pubblici e concorrenza, cit., 1222.
[77] Cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. II, 16 giugno 2022, n. 8056 e Id., 14 giugno 2022, n. 7906, che sulla base di una disposizione regolamentare regionale espressa, considerano l’adozione del piano comunale, in coerenza con il piano regionale (disciplinato dall’art. 46 l.r. n. 13 del 2007), presupposto indispensabile per l’avvio delle procedure di evidenza pubblica.
[78] Art. 2 l.r. n. 32/2020, su cui Corte cost., n. 108/2022 già citata.
[79] Cons. Stato, Sez. VI, 15 novembre 2021, n. 6028: nel caso di specie una deliberazione della Giunta regionale del Lazio del 2001 disponeva che “Sino all’avvenuta pubblicazione… dell’accordo di programma relativo al P.U.A., non possono essere autorizzate variazioni nell’ampiezza delle concessioni”. Il Consiglio di Stato osserva che “scopo di questa disciplina è quello di regolare il rilascio delle concessioni del bene demaniale degli arenili in modo che l’interesse privato al loro utilizzo economico sia coordinato al meglio con la salvaguardia dei rilevanti interessi pubblici coinvolti, relativi alla conservazione e riqualificazione dei beni, alla tutela ambientale, alla loro fruizione pubblica, al complessivo sviluppo turistico della località interessata, e ciò è consentito soltanto da una previa programmazione, poiché con essa l’utilizzo degli arenili è inserito nel quadro di un equilibrio predefinito degli interessi da tutelare”; nell’affermare ciò, il g.a. richiama il “principio generale sulla indefettibilità degli strumenti di programmazione, anche di natura attuativa, previsti dalle normative di settore, come in materia di uso del territorio, come esemplificato dall’art. 9 del d.P.R. n. 380 del 2001, sulle limitazioni dell’attività edilizia in assenza della pianificazione urbanistica”. Viene peraltro espressamente valorizzata, con rilievo dirimente, la specifica previsione della delibera regionale (impugnata ma giudicata “legittima, poiché, in coerenza con la normativa primaria sull’obbligo di redazione dei P.U.A. da parte della Regione, subordina l’ampliamento delle concessioni in essere all’avvenuta pianificazione, con ciò ragionevolmente condizionandola alla previa definizione del necessario quadro di contesto”). Cfr., inoltre, Cons. Stato, Sez. V, 23 marzo 2018, n. 1862.
[80] In argomento G. Sciullo, La “resilienza” della tutela del paesaggio, in Giorn. dir. amm., 2022, 775.
[81] Cons. Stato, Sez. V, 22 settembre 2017, n. 4439.
[82] Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2002/413/CE.
[83] Art. 5 Protocollo sulla gestione integrata delle zone costiere del Mediterraneo (approvato con decisione Consiglio UE 2010/631/UE).
[84] E. Boscolo, La gestione integrata delle zone costiere in Italia: prospettive e prime esperienze, in Riv. quadr. dir. amb., 2011, 44-45.
[85] E. Boscolo, La gestione integrata, cit., 45. Cfr., in merito alla necessità di superare una prospettiva meramente economica del tema, per abbracciare una visione d’insieme che tenga conto di diversi aspetti la cui connessione e interdipendenza è stata spesso trascurata, M. Gnes, Le spiagge e le coste: problema o risorsa?, cit., 20; G. Della Cananea, Le concessioni del demanio marittimo: un mutamento di prospettiva, in M. Gnes (a cura di), Le concessioni balneari, cit., 23; M. De Benedetto, Dalle spiagge alle coste: una strategia regolatoria, ivi, 42; E. Scotti, Il regime delle spiagge nell’era del ritorno dello Stato, cit., 153.
[86] Cfr. CGUE, 6 ottobre 2015, Târșia, in C‑69/14, punto 13 e giurisprudenza ivi citata: “non spetta alla Corte di giustizia, nell’ambito della cooperazione giudiziaria istituita dall’articolo 267 TFUE, rimettere in discussione o verificare l’esattezza dell’interpretazione del diritto nazionale operata dal giudice nazionale, in quanto tale l'interpretazione rientra nella competenza esclusiva di tale giudice. Inoltre, quando è sottoposta ad una domanda di pronuncia pregiudiziale da parte di un giudice nazionale, la Corte di giustizia deve fondare il proprio ragionamento sull'interpretazione del diritto nazionale quale le è stata fornita da tale giudice”. Cfr. inoltre, le conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa Promoimpresa, pt. 33.
[87] Cfr., ad esempio, segnalazione ANAC n. 4 del 6 settembre 2022.
[88] In un contesto in cui a seguito di una prima procedura di infrazione sono state abrogate le disposizioni in tema di diritto di insistenza e rinnovo automatico, contestualmente disponendo ripetute proroghe ex lege delle concessioni in essere in attesa di un’auspicata - ma non ancora attuata - riforma del sistema delle concessioni, l’Adunanza plenaria, in coerenza con l’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia, ha ribadito “il principio secondo cui il diritto dell’Unione impone che il rilascio o il rinnovo delle concessioni demaniali marittime … avvenga all’esito di una procedura di evidenza pubblica, con conseguente incompatibilità della disciplina nazionale che prevede la proroga automatica ex lege fino al 31 dicembre 2033 delle concessioni in essere”. Da ciò consegue il dovere di disapplicazione delle norme statali incompatibili generalizzato, sussistente, cioè, in capo sia agli organi giurisdizionali che alle amministrazioni concedenti e la qualificazione degli atti di proroga già adottati tamquam non essent - senza neppure necessità o obbligo di impugnazione -, siccome meramente ricognitivi della normativa oggetto di disapplicazione. (e ciò anche in presenza di un giudicato favorevole, ricorrendo un rapporto di durata). Come anticipato nelle note iniziali, una delle sentenze gemelle è stata cassata con rinvio dalla Cassazione, che ha dichiarato assorbiti però i motivi concernenti il tema della proroga ex lege delle concessioni.
[89] M.A. Sandulli, Introduzione al numero speciale sulle “concessioni balneari”, cit., 349.
[90] I risultati dell’attività istruttoria svolta dal Tavolo tecnico istituito ai sensi del citato art. 10-quater d.l. 29 dicembre 2022, n. 198 sono stati oggetto di un comunicato stampa pubblicato il 5 ottobre 2023 dal governo italiano (https://www.governo.it/it/articolo/concessioni-demaniali-marittime-lacuali-e-fluviali-riunione-del-tavolo-tecnico-del-5). Ivi si rappresenta che, in merito alle aree demaniali marittime (aree lacuali e fluviali escluse), “è risultato che la quota di aree occupate dalle concessioni demaniali equivale, attualmente, al 33 per cento delle aree disponibili” (solo “al netto di aree militari e secretate” e senza distinzione in base alle caratteristiche, rocciose o sabbiose, della costa). In merito ai limiti di tali dati, esito di una valutazione globale operata solo a livello nazionale, secondo un approccio generale e astratto che non prende in considerazione le competenze regionali e locali in questo settore, cfr. il Parere motivato della Commissione europea 16 novembre 2023 ex art. 258 TFUE nonché la recente Lettera di risposta del governo italiano del 16 gennaio 2024, dove la rilevanza dei dati oggetto nel comunicato stampa viene ridimensionata a quella di “risultati parziali e intermedi” dell’attività istruttoria, non conclusivi “di un procedimento di raccolta, elaborazione e valutazione di dati che, data la complessità della materia e l’assenza di prassi consolidate a livello europeo, richiede congrui tempi di realizzazione”. Con riguardo al dato del 33% nazionale, la Risposta osserva che si tratta di una prima indicazione quantitativa delle aree effettivamente occupate a livello nazionale, cui dovrà seguire il dato disaggregato a livello regionale.
[91] Cfr. E. Boscolo, Beni pubblici e concorrenza, cit., 1225: “Il metodo del first come first serve è inappropriato per l’allocazione di un bene la cui condizione di scarsità si è fatta ormai evidente e deriva non solo dalla morfologia delle coste ma anche dal riconoscimento di insuperabili limiti ambientali che si traducono in previsioni limitative sancite da piani degli utilizzi redatti tenendo in adeguata considerazione i diversi interessi che si concentrano sulla costa e preceduti da valutazione ambientale strategica”.
[92] M. Ragusa, Demanio marittimo e concessione, cit., 579.
[93] F. Francario, Il demanio costiero, cit.
[94] Si rinvia alla nota 71.
[95] Cfr. E. Scotti, Il regime delle spiagge nell’era del ritorno dello Stato, cit., 151.
[96] Come rilevato dal TAR Puglia, Lecce, Sez. I, ord. 11 maggio 2022, n. 743, la procedura di gara prevista dal cod. nav. non è idonea ad attuare la direttiva Bolkestein poiché non prevede un’adeguata forma di pubblicità dell’avviso pubblico e dispone la valutazione comparativa solo in caso di compresenza di più domande.
[97] Sulla cui applicazione cfr. C. Volpe, Concessioni demaniali marittime: un’ulteriore puntata di una storia infinita, in www.giustizia-amministrativa.it, 26 aprile 2023.
[98] Cfr. Parere motivato della Commissione europea 16 novembre 2023, cit., che evidenzia come “Il turismo costiero e i servizi ricreativi, settore cruciale per l'economia italiana, rimangono … in una grave situazione di incertezza giuridica, a scapito dei diritti di tutte le parti coinvolte. Infatti, la reiterata proroga della durata delle attuali ‘concessioni balneari’ non solo scoraggia l’ingresso di nuovi prestatori di servizi innovativi, ma … crea una situazione di incertezza giuridica, all’origine di un grave pregiudizio anche per gli attuali concessionari”.
[99] L. 5 agosto 2022, n. 118.
[100] In argomento le considerazioni di E. Boscolo, Beni pubblici e concorrenza, cit., 1225: “la gara … in quanto modulo duttile agli obiettivi che il banditore si prefigge di perseguire, consente di selezionare l’offerta ritenuta migliore ad una valutazione multicriteria. Nel settore delle concessioni su beni pubblici ad elevata valenza ambientale la gara diviene quindi strumento multivalente per un corretto bilanciamento tra esigenze di efficienza dello sfruttamento, ragioni di massima valorizzazione economica del bene e istanze di sostenibilità”; in tale modo le “gare divengono … uno strumento di politica gestionale attiva del demanio”.
[101] A. Cossiri, Tutela del patrimonio naturale culturale e la gestione delle spiagge: l’annosa vicenda delle concessioni demaniali ad uso turistico, in A. Caligiuri, M. Ciotti (a cura di), Sostenibilità ambientale e gestione del patrimonio culturale marittimo. Riflessioni e proposte, Napoli, 2023, 64, evidenzia come la disposizione crei “uno spazio di tutela sia del bene naturale e paesaggistico in sé, sia della comunità locale, per la quale l’area costituisce anzitutto uno spazio pubblico, che deve restare, almeno in parte, liberamente fruibile anche da coloro che scelgono di non utilizzare servizi a pagamento”.
[102] Su cui Cons. Stato, Sez. VII, ord. 17 gennaio 2024, n. 138.