Accertamento penale e valutazione amministrativa: pluriformi verità (nota Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, decreto presidenziale n. 544 del 3 agosto 2021)
di Renato Rolli e Martina Maggiolini*
Sommario: 1. Cenni alla vicenda contenziosa - 2. Sul rapporto tra accertamento penale e valutazione amministrativa - 3. Osservazioni conclusive: la certezza del diritto e le cangianti verità.
1. Cenni alla vicenda contenziosa
Il decreto n. 544 del 3 agosto 2021 reso dal Presidente del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, successivamente confermato in sede collegiale, offre un’occasione per riflettere sul rapporto intrinseco tra accertamento penale e valutazione amministrativa lato sensu ed in particolare nei provvedimenti interdittivi [1].
Il giudice adito nella vicenda in commento rileva, nei limiti della sua sommaria cognizione, la contraddittorietà e l’inattualità di alcuni elementi fondanti il provvedimento impugnato. Si discorre, infatti, di denunce penali cui non ha mai fatto seguito una condanna del ricorrente, del rapporto parentale (fratelli) che lo lega a due collaboratori di giustizia, senza dimostrare che detti soggetti conservino la qualità di soggetto mafioso in grado di permeare l’attività imprenditoriale del congiunto.
L’unico elemento cui il giudice riconosce particolare rilevanza è la frequentazione con un soggetto pericoloso ponendo, però, oltre ai dubbi sulla sua attualità, dubbi anche circa la sua efficacia causale autonoma nel giudizio di prognosi di permeabilità mafiosa, poiché gli altri elementi concausali vengono ritenuti non pertinenti e risalenti nel tempo[2].
Significativa per il tema che ci occupa è l’autonoma valutazione svolta dal Prefetto sulle risultanze investigative penali e la motivazione dei relativi provvedimenti giurisdizionali. La necessità di coerenza dell’ordinamento giuridico impone un attento vaglio e forti motivazioni da parte dell’autorità amministrativa che decide di discostarsi da quanto già accertato in sede giudiziaria [3].
Per le motivazioni che precedono, con il decreto presidenziale in commento, veniva accolto parzialmente il ricorso consentendo le attività imprenditoriali connesse alla concessione balneare ed inibendo la eventuale erogazione di finanziamenti pubblici. Successivamente, come già detto, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede collegiale confermava ed accoglieva la domanda cautelare al limitato effetto di consentire ai ricorrenti la prosecuzione delle attività imprenditoriali connesse alla concessione demaniale già rilasciata.
2. Sul rapporto tra accertamento penale e valutazione amministrativa
È inerziale significare che il principio generale posto a garanzia della non contraddittorietà degli accertamenti giurisdizionali non può ammettere una ricostruzione di verità diverse solo perché accertate in sedi diverse [4].
Da tanto discende che il potere amministrativo è chiamato a determinarsi in base ai propri criteri di valutazione, caratterizzati da un minore grado di permeabilità rispetto al vaglio penale. Accade che un determinato fatto non rilevante in sede penale sia sufficiente in sede amministrativa a confermare la legittimità di un provvedimento interdittivo [5]. L’interdittiva dovrebbe trovare giustificazione in una serie di fatti gravi, precisi e concordanti mentre nel caso che ci occupa è solo un evento a determinare l’emissione del provvedimento prefettizio. Sul punto il Consiglio di Stato ha chiarito a più riprese che “Ai fini dell’adozione del provvedimento interdittivo antimafia, da un lato, occorre non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri” [6].
Nel giudizio amministrativo, infatti, non si ricorre ad un integrale accertamento dei fatti, ma si è limitati alla verifica circa la logicità della ricostruzione operata dall’autorità in sede amministrativa per cui “il giudice amministrativo è, a sua volta, chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame” [7].
Dalle caratteristiche intrinseche dei giudizi penale e amministrativo discende e si palesa una differente rilevanza dei fatti: in uno potrà determinare la legittimità del provvedimento interdittivo, nell’altro, invece, lo stesso fatto non determinerà nessuna condanna penale.
Si pensi alla valutazione del giudice sull’assenza di elementi che possano dimostrare un contatto attuale dell’impresa con la criminalità organizzata: il giudice penale, dovrà valutare un profilo diverso ed ulteriore rispetto alla ricognizione fondata sul principio del “più probabile che non” su cui invece trova principio il provvedimento prefettizio.
Il giudice della prevenzione penale fonda la propria decisione su parametri non sovrapponibili alla ricognizione probabilistica del rischio di infiltrazione, che costituisce, invece, l’essenza del provvedimento prefettizio. Le relative valutazioni sulle stesse circostanze di fatto portano, sovente, a conclusioni discordanti sul pericolo di infiltrazione, che, conseguono inevitabilmente alla differente impostazione dei due sistemi preventivi [8].
Le decisioni assunte percorrono processi argomentativi differenti portando a conclusioni talvolta opposte. È il caso del controllo giudiziario per il quale spesso accade che il giudice penale non ritenga gli elementi tali da poter ammettere la società al controllo preventivo e, medio tempore, gli stessi fatti risultano sufficienti per l’emissione del provvedimento interdittivo in base al criterio del “più probabile che non”.
Il rapporto tra la valutazione del rischio d’infiltrazione e l’accertamento della responsabilità penale si coglie nella diversa forza dimostrativa dell'inferenza logica di uno stesso elemento. È evidente che gli elementi vengono osservati con lenti di ingrandimento diverse ed i fatti vengono setacciati con reti diverse. Ciò che rileva ed è sufficiente in una sede non lo sarà necessariamente anche dinnanzi ad altro giudice [9].
Vero è che ogni risultanza penale dovrà essere valutata dall’amministrazione e sulla scorta di ciò unitamente ad altri elementi potrà, se lo ritiene, emettere un provvedimento interdittivo. Gli elementi fattuali che rilevano dinnanzi al Prefetto sono sfocati poiché solo sintomatici e indiziari e non ancora delineati come richiesti in sede giudiziaria.
Posto ciò, è ovvio che il Prefetto allorquando decida di discostarsi dalle risultanze investigative penali e dalla motivazione dei relativi provvedimenti giurisdizionali, deve compiere le proprie determinazioni con cautela anche alla luce del ne bis in idem per come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo e dell’esigenza di coerenza interna dell’ordinamento giuridico, per cui non potrà considerare determinate condotte penalmente irrilevanti e al contempo rilevanti in un procedimento amministrativo che sfocia in un provvedimento para-penale. Pertanto una eventuale valutazione difforme di stralci di risultanze investigative penali richiede l’attento vaglio successivo del giudice amministrativo.
La valutazione svolta dalle diverse autorità avviene attraverso un’attribuzione di valore interferenziale differente e ciò si palesa a monte, nell’analisi strutturale e funzionale delle diverse valutazioni da svolgere.
3. Osservazioni conclusive: la certezza del diritto e le cangianti verità
In conclusione, il rapporto tra accertamento penale e valutazione amministrativa si rivela come un sistema di ‘vasi comunicanti’. L’accertamento penale condiziona inevitabilmente la valutazione amministrativa, trattandosi di un giudizio “oltre ogni ragionevole dubbio” degli elementi fattuali [10]. D’altro canto, invece, le valutazioni amministrative trattandosi di meri elementi indiziari, non trovano rilievo in sede penale essendo accertati secondo il principio del “più probabile che non” [11].
Nel caso che ci occupa, il quadro tracciato dall’autorità amministrativa, tendenzialmente non sorregge neppure la soglia posta dal criterio del “più probabile che non” fondandosi su denunce mai sfociate in condanne penali, sul rapporto parentale con due collaboratori di giustizia ed infine sulla frequentazione con un soggetto “pericoloso”. Volendo ritenere solo quest’ultimo elemento rilevante, il giudice non può che accogliere il ricorso, essendo necessari per sorreggere un provvedimento amministrativo diversi elementi sintomatici della permeabilità mafiosa dell’impresa [12].
Pertanto, la mancata condanna in sede penale, ha influenzato inevitabilmente la decisione del giudice amministrativo. L’autorità amministrativa è chiamata a determinarsi tenendo conto degli elementi fattuali del caso di specie e se nella sua valutazione ampiamente discrezionale tali elementi superano la soglia del “più probabile che non” emetterà provvedimento interdittivo, seppur, medio tempore, sul piano penale gli stessi fatti non trovano rilievo [13]. Nella cognizione piena, il giudice penale può non ritenere gli elementi di prova raccolti, “elementi certi” per affermare la responsabilità, tuttavia, ciò non comporta sic et simpliciter, la conseguente non rilevanza di tali elementi ai fini dell’emissione del provvedimento prefettizio che principia non da piena dimostrazione bensì dal più ampio e sfocato principio probabilistico.
Può accadere dunque che condotte penalmente irrilevanti siano al contempo rilevanti in un procedimento amministrativo che sfocia in un provvedimento che per i suoi dirompenti effetti ben può definirsi para-penale [14]. Tale ipotesi è frequente nella giustizia amministrativa che sovente prende in considerazione elementi irrilevanti in sede penale ma che unitamente ad altri elementi del quadro indiziario sorreggono il provvedimento amministrativo. Il Decreto presidenziale che qui si annota apre una finestra su una possibile inversione di rotta e ancoraggio del provvedimento interdittivo a elementi che possano effettivamente essere ritenuti rilevanti.
A valle delle considerazioni svolte è evidente come, seppur, abituati a pensare alla verità come un’unica entità, nella materia che ci occupa, essa è inevitabilmente pluriforme. “La verità” si palesa come una pietra sfaccettata con forme diverse a seconda dell’angolo di osservazione. Non si tratta di verità inconciliabili o contraddittorie, ma di stesse verità che risultano attraverso un diverso vaglio dell'inferenza logica di uno stesso elemento.
*Seppur frutto di un lavoro unitario è possibile attribuire il primo paragrafo a Renato Rolli e i restanti a Martina Maggiolini.
[1] si consenta il rinvio a R. Rolli- M. Maggiolini, Interdittiva antimafia e giudicato penale (nota a Consiglio di Stato sez. III, 4 febbraio 2021, n. 1049), Giustizia Insieme, 2021
[2] Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, decreto presidenziale n. 544 del 3 agosto 2021
[3] Cfr. F. Francario, L’accertamento del fatto illecito nel giudizio amministrativo e nel giudizio penale: problemi ed interferenze, in Pubblica amministrazione diritto penale e criminalità organizzata (Atti del convegno), Milano, 2008, pag. 93 ss
[4] si consenta il rinvio a R.Rolli- M. Maggiolini, Interdittiva antimafia e controllo giudiziario (nota a Consiglio di Stato, sez. III, 11 gennaio 2021, n. 319), Giustizia Insieme, 2021
[5] Si suggerisce F. Francario, illecito urbanistico o edilizio e cosa giudicata. Spunti per una ridefinizione della regola del rapporto tra processo penale ed amministrativo, in Rivista Giuridica dell’Edilizia, Milano, 2015, pag 99 e ss
[6] Da ultimo v. Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 9 settembre 2020, n. 5416
[7] v. Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 9 settembre 2020, n. 5416
[8] v. M. Speciale, Interdittive antimafia tra vecchi confini e nuovi scenari, in giustizia-amministrativa, 2020
[9] Cfr. M. Mazzamuto, Interdittive prefettizie: rapporti tra privati, contagi e giusto procedimento, in Giurisprudenza italiana, 2020
[10] si consenta R. Rolli, L’informativa antimafia come “frontiera avanzata” (Nota a sentenza Cons. Stato, Sez. III, n. 3641 dell’8 giugno 2020), giustizi insieme, 3 luglio 2020
[11] Cfr. F.G. Scoca, Le interdittive antimafia e la razionalità, la ragionevolezza e la costituzionalità della lotta “anticipata” alla criminalità organizzata, in giustamm, 6, 2018
[12] A. LONGO, La ‘massima anticipazione di tutela’. Interdittive antimafia e sofferenze costituzionali, Federalismi, n. 19/2019
[13] Cfr. M. Mazzamuto, Profili di documentazione amministrativa antimafia, in giustamm, 2017
[14] v. V. SALAMONE, La documentazione antimafia nella normativa e nella giurisprudenza, Napoli, 2019