Il membro laico del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana è un consigliere di Stato? (Nota a Cons. St., Sez. V, 14 settembre 2021, n. 6282)
di Riccardo Pappalardo
Sommario: 1. Premessa - 2. Il fondamento storico e giuridico del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana - 3. L’art. 23 e l’autonomismo giudiziario della Regione Siciliana - 4. La composizione del Consiglio di Giustizia: il caso dei componenti laici - 5. Differenza tra rapporto organico e rapporto di servizio dei componenti laici - 6. Una “sezione” un po’ particolare - 7. La natura di giudici onorari dei componenti laici del CGARS - 8. La temporaneità dell’incarico - 9. L’indipendenza del componente laico - 10. I componenti laici alla luce del diritto eurounitario.
1. Premessa
La sentenza in commento, muovendo da un quesito apparentemente secondario e legato all’organizzazione interna della giustizia amministrativa, affronta abilmente una tematica di portata ordinamentale soffermandosi sulla natura del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (CGARS) e, in particolare, su quella dei suoi componenti “laici”.
Il thema decidendum origina dal ricorso che un avvocato, membro laico del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, ha presentato avverso il provvedimento con cui il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa ha rigettato la sua richiesta di trasferimento “nella qualità di Consigliere di Stato” presso una delle Sezioni con sede in Roma del Consiglio di Stato.
Soccombente in primo grado, il ricorrente ha proposto appello dinnanzi al Consiglio di Stato sia per l’accertamento del proprio status di consigliere di Stato a tempo indeterminato sia per ottenere il trasferimento della sede.
2. Il fondamento storico e giuridico del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana
Prima di ripercorrere più nel dettaglio il percorso motivazionale seguito dalla sentenza, appare utile soffermarsi brevemente sul fondamento storico del Consiglio di Giustizia e sul quadro normativo di riferimento.
Com’è noto, la Regione Siciliana è una regione a statuto speciale, probabilmente la più speciale tra le speciali, e il suo spirito indipendentista affonda le radici nella storia più antica.[1]
Patria dei Vespri siciliani del 1282 contro la dominazione angioina, lì ebbero origine anche i moti rivoluzionari del 1848 prima di irradiarsi in tutta Europa e certamente non fu casuale che l’avventura garibaldina dei mille abbia fatto rotta verso le coste siciliane.[2]
Considerati quindi la tempra e gli ardori indipendentisti dei suoi abitanti, non stupì eccessivamente che, terminato il ventennio fascista, il suo Statuto venne emanato con il Regio Decreto Legislativo 15 maggio del 1946, ben prima, quindi, che si svolgesse il referendum del 2 giugno che avrebbe chiamato gli italiani a fare una netta scelta tra repubblica e monarchia.[3]
L’autonomia regionale era non solo l’occasione per i siciliani di avere quell’autogoverno tanto agognato e che non avevano mai pienamente vissuto fino a quel momento, ma anche uno strumento organizzativo in grado di aumentare il carattere democratico dell’intera nazione.[4]
Lo Statuto, che muoveva da queste istanze del popolo siciliano, a norma del secondo comma dell’art. 1 del Regio Decreto Legislativo del ‘46 entrò subito in vigore ma avrebbe dovuto essere sottoposto all’Assemblea Costituente per essere coordinato con la nuova Costituzione dello Stato, e così avvenne, sebbene formalmente.
Nelle due sedute del 31 gennaio 1948, infatti, l’Assemblea Costituente discusse della compatibilità dello Statuto siciliano con la neonata Costituzione e, con la legge costituzionale n. 2 del 1948, decise di approvarlo senza alcuna variazione, attribuendogli così il rango di fonte costituzionale. Si previde però, al secondo comma dell’art. 1, un termine di due anni entro il quale, su iniziativa dello Stato o della Regione, il Parlamento, con legge ordinaria, avrebbe potuto apportare le modifiche ritenute necessarie.[5] Eventualità, questa, nei fatti mai verificatasi, dato che l’Alta Corte per la Regione Siciliana[6], in forza delle sue prerogative di giudice costituzionale, con la sentenza 10 luglio 1948 n. 4, dichiarò incostituzionale tale procedura speciale di revisione, facendo così naufragare quella possibilità di intervento contemplata dai costituenti.[7]
3. L’art. 23 e l’autonomismo giudiziario della Regione Siciliana
Seppur di indubbio interesse, non è certo questa la sede per ripercorrere le tappe e le peculiarità storico-giuridiche della Sicilia.
Per il tema che ci occupa bisogna, invece, sottolineare che uno dei principali punti in cui appariva faticoso il coordinamento tra lo Statuto siciliano e la Costituzione repubblicana fu l’autonomismo giudiziario della Regione Siciliana[8]. Questo, per quanto ridimensionato nel tempo con il venir meno dell’Alta Corte[9], trova tutt’oggi il suo riconoscimento nell’art. 23 dello Statuto, che nei primi due commi statuisce che “gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la Regione. Le Sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti svolgeranno altresì le funzioni rispettivamente consultive e di controllo amministrativo e contabile”.
Il decentramento territoriale degli organi giurisdizionali statali costituisce, a ben vedere, un nodo centrale per preservare l’animo autonomista dell’Isola e va rintracciato nel “mai sopito rimpianto dei siciliani ed in particolare del foro, lasciato dalla soppressione, con l’unificazione attuata nel 1923, della Corte di Cassazione di Palermo”.[10]
Si tratta di una risalente tradizione giuridica, testimoniata dalla presenza della Corte di Cassazione di Palermo prima dell’unificazione del 1923[11], ma che risale all’ordinamento del Regno delle Due Sicilie, con l’istituzione nel 1819 della Corte Suprema di Giustizia di Palermo, speculare all’omologa Corte con sede a Napoli.
Per quel che riguarda la giustizia amministrativa, l’attuazione dell’art. 23 dello Statuto si scontrò con l’Adunanza generale del Consiglio di Stato[12], che si oppose con fermezza all’istituzione di una sezione territorialmente distaccata, paventando il rischio di pregiudizio per “l’unità del sistema giuridico nazionale”.[13]
Sulla scorta di tali preoccupazioni fu emanato il D.lgs. 6 maggio 1948, n. 654[14], con cui, anziché istituire una Sezione del Consiglio di Stato in Sicilia, si forgiò un nuovo organo, denominato Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, con sede a Palermo e competenza a decidere in via giurisdizionale gli appelli proposti avverso le decisioni delle Giunte provinciali amministrative (e poi, dopo la loro istituzione, delle sezioni del Tribunale Amministrativo Regionale per la Regione Siciliana).[15]
L’assetto venutosi a creare nel 1948, quindi, andava in un senso decisamente divergente rispetto a quello indicato nell’art. 23 dello Statuto ed era sostanzialmente bicefalo: da un lato vi era il Consiglio di Giustizia, con competenza limitata alla Regione Siciliana e, dall’altro, il Consiglio di Stato, con competenza sul resto del territorio nazionale.
A testimonianza di tale dualismo, l’art. 5 del D.lgs. n. 654 del 1948 chiariva che “Il Consiglio di giustizia amministrativa esercita le funzioni in grado di appello attribuite al Consiglio di Stato”.
Questo impianto istituzionale si mantenne per oltre cinquant’anni, fino a quando il D.lgs. 24 dicembre 2003 n. 373, recante nuove “Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana concernenti l’esercizio nella regione delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato”, abrogò il decreto del 1948, cambiando contestualmente la veste del Consiglio di Giustizia, quantomeno sotto il profilo formale.
Il comma 2 dell’art. 1, del nuovo decreto, infatti, dispone che “il Consiglio di giustizia amministrativa ha sede in Palermo ed è composto da due Sezioni, con funzioni, rispettivamente, consultive e giurisdizionali, che costituiscono Sezioni staccate del Consiglio di Stato”.
Il decreto del 2003, dunque, offre una definizione più aderente al testo dell’art. 23 dello Statuto e ordina in maniera più armonica la giurisdizione amministrativa, mantenendo comunque fermo il principio di specialità per la Regione Siciliana che, come sostenuto anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 316 del 2004, esprime “un’aspirazione viva, e comunque saldamente radicata nella storia della Sicilia, ad ottenere forme di decentramento territoriale degli organi giurisdizionali centrali”.[16]
Nella sentenza appena menzionata il Giudice delle leggi, pur riconoscendo le innovazioni apportate dal decreto attuativo del 2003, ha avuto cura di precisare che anche sotto il vigore del d.P.R. n. 654 del 1948 poteva ritenersi che il Consiglio di Giustizia esercitasse le stesse funzioni delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato[17]. Sotto questo profilo, pertanto, la riforma del 2003 aveva solamente rimosso le anomalie già segnalate dalla Corte costituzionale al fine di ripristinare l’originario modello statutario di decentramento, organizzato su due sezioni “staccate” del Consiglio di Stato.
4. La composizione del Consiglio di Giustizia: il caso dei componenti laici
Sulla base di quanto illustrato, e in considerazione delle vigenti fonti di rango sia costituzionale che primario, è dunque possibile affermare che il Consiglio di Giustizia non può considerarsi alla stregua di un giudice speciale, bensì quale sezione del Consiglio di Stato, seppur caratterizzata da alcune peculiarità.
Se si tralascia la circostanza, tutt’altro che marginale, di aver una denominazione propria e diversa da quella di “Consiglio di Stato”, la prima a venire in rilievo per il Consiglio di Giustizia Amministrativa è chiaramente la collocazione territoriale della sede, a Palermo anziché a Roma, a cui si correla il tipo di competenza che, a differenza di quanto avviene per le restanti sezioni del Consiglio di Stato, non è per materia ma per territorio.
La seconda, fondamentale, peculiarità riguarda la composizione: tanto la sezione consultiva quanto quella giurisdizionale devono essere composte da consiglieri di Stato[18] e da membri non togati (c.d. laici) in possesso dei requisiti di cui all’articolo 106, terzo comma, della Costituzione per la nomina a consigliere di Cassazione[19] ovvero di cui all’articolo 19, primo comma, numero 2), della legge 27 aprile 1982, n. 186[20], a cui si aggiunge un prefetto della Repubblica per la sezione consultiva.
Eccezion fatta per il prefetto, il quale viene designato dal Ministro dell’Interno di concerto con il Ministro per gli affari regionali, i restanti componenti laici vengono designati dal Presidente della Regione Siciliana.
La nomina è invece rimessa ad un decreto del Presidente della Repubblica, emanato su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri (a cui, per espressa disposizione dell’art. 6 del D.lgs. n. 373 del 2003, partecipa anche il Presidente delle Regione Siciliana).
A norma dell’art. 4, comma 2, del D.lgs. n. 373 del 2003, peraltro, il collegio giudicante deve essere composto da uno dei due presidenti della Sezione, da due consiglieri di Stato e da due dei membri laici. Con tale scelta, quindi, il Legislatore ha voluto sottolineare la centralità del contributo dei componenti laici, la cui necessaria presenza nel collegio giudicante, tuttavia, come ben evidenziato da autorevole dottrina, pone importanti difficoltà, specie nel caso in cui gli organi politici tardino ad effettuare le nomine, non essendo previsto per i componenti laici uscenti l’istituto della prorogatio.[21]
È al lume di queste premesse che il D.lgs. n. 373 del 2003, delineando il nuovo assetto organizzativo del CGARS, equipara formalmente i membri laici ai componenti togati per quanto concerne il loro status giuridico, il regime disciplinare e, seppur entro certi limiti, il trattamento economico.[22] A differenza dei consiglieri di Stato di nomina governativa, però, il loro incarico dura sei anni e non è rinnovabile.
Partendo da queste coordinate, il Consiglio di Stato ha intessuto la trama della decisione qui in commento a fronte delle censure mosse alla decisione del Consiglio di Presidenza, che ha rigettato la richiesta avanzata da un membro laico del CGARS per il riconoscimento dello status di consigliere di Stato e il conseguente trasferimento a una “sezione romana”.
Seppur il D.lgs. n. 373 del 2003 non rechi espressamente alcun divieto di trasferimento dei membri laici, i giudici di Palazzo Spada hanno affermato che tale divieto si ricava per implicito ed è connaturato nella natura del CGARS e nella dimensione esclusivamente regionale delle funzioni di consulenza giuridico-amministrativa e di giurisdizione attribuite a tale organo, sussistendo un “vincolo di permanenza del componente laico presso il Consiglio di giustizia amministrativa”.
Diversamente opinando, nota il Consiglio di Stato, tenuto conto della necessaria partecipazione di membri laici e togati, si perverrebbe a due contraddizioni: da un lato componenti espressione delle istanze autonomistiche della Regione Siciliana andrebbero a svolgere le loro funzioni al di fuori del territorio regionale, introducendosi, peraltro, un fonte di provvista dei consiglieri di Stato ulteriore rispetto a quelle previste dall’art. 19 della legge n. 186 del 1982; dall’altro, per ovviare alle scoperture di organico che si verrebbero a creare, al fine di ripristinare il numero dei componenti laici previsto dagli artt. 3 e 4 del D.lgs. n. 373 del 2003, si renderebbe necessaria la nomina di altri componenti laici, che a loro volta potrebbero chiedere di essere trasferiti, e così via.
Inoltre, se si considerasse anche il possibile flusso inverso, con tutta evidenza si altererebbe il rapporto laici-togati presso il Consiglio di Giustizia Amministrativa previsto dalla legislazione attuativa dello statuto regionale.
Ma ciò che più conta è che, ove in ipotesi si ammettesse la libera mobilità verso le sezioni del Consiglio di Stato, si interromperebbe il legame funzionale esclusivo con l’attività giurisdizionale e consultiva relativa agli affari di interesse regionale che contraddistingue il rapporto organico dei componenti laici del Consiglio di Giustizia Amministrativa, ed in base al quale questi ultimi sono investiti di “una funzione legata all’amministrazione della giustizia esclusivamente nel territorio regionale e alle controversie in cui è interessata la regione stessa” (Cons. St., Sez. I, 11 febbraio 2021, n. 186).
5. Differenza tra rapporto organico e rapporto di servizio dei componenti laici
Il Consiglio di Stato, facendo riferimento al rapporto organico che lega i membri laici al Consiglio di Giustizia, recupera dunque il ragionamento giuridico seguito pochi mesi prima in sede consultiva quando, chiamato a rendere parere, ha escluso la partecipazione dei suddetti componenti laici all’Adunanza Generale del Consiglio di Stato ove non si trattino affari inerenti alla Regione Siciliana.
Occorre distinguere, quindi, le funzioni giurisdizionali o consultive svolte dal componente laico (che attengono al “rapporto organico” con l’Ente) dalla relazione giuridica che lo lega alla giustizia amministrativa (ossia, il “rapporto di servizio”). Quest’ultimo, rispetto al rapporto organico, si pone in posizione accessoria.
L’art. 7, comma 1, del D.lgs. n. 373 del 2003, come si è già avuto modo di evidenziare, prevede che ai membri laici, durante il periodo in cui svolgono le funzioni, si applicano le norme concernenti lo stato giuridico ed economico dei consiglieri di Stato, ossia le norme che disciplinano i contenuti del rapporto di servizio. Ciò dimostrerebbe, ad avviso del Consiglio di Stato, che siffatta equiparazione è prevista dalla legge solo con riferimento allo status di magistrato, ma non anche in relazione alle funzioni esercitate.
In altre parole, i componenti laici sono equiparati ai consiglieri di Stato solo per quel che concerne lo stato giuridico, il regime disciplinare e il trattamento economico, ma non anche per quanto riguarda le funzioni esercitate, le quali, attenendo al rapporto organico con il CGARS, non possono che esercitarsi presso quest’ultimo.
Sicché, mentre per i consiglieri di Stato l’assegnazione al CGARS “costituisce una vicenda modificativa inerente al rapporto di organico e di servizio” (con il collocamento fuori ruolo e il mutamento della sede), i componenti laici hanno un vincolo di sede presso lo stesso organo di giustizia amministrativa, giustificato dall’interesse regionale che sorregge sia loro nomina, sia, di conseguenza, la costituzione del rapporto organico con il CGARS.
6. Il CGARS, una “sezione” un po’ particolare
La conclusione cui è pervenuto il Consiglio di Stato induce a riflettere su come possa il rapporto organico intercorrere solamente con il CGARS dal momento che quest’ultimo è da considerarsi una sezione, sebbene un po’ singolare, del Consiglio di Stato.
Si potrebbe sostenere, infatti, che l’Ente presso cui si incardina il rapporto non potrebbe che essere il Consiglio di Stato e non una sua sezione, la quale costituirebbe sempre un’articolazione dell’Ufficio giudiziario.
In verità, qualsiasi riflessione giuridica sulla natura del CGARS, benché debba avere quale stella polare l’art. 23 dello Statuto siciliano - che ha valore di fonte costituzionale e che prevede solamente l’istituzione di “Sezioni regionali del Consiglio di Stato” - non può non considerare la disciplina complementare dettata dal decreto del 2003, la quale, nonostante il superamento della previgente normativa del 1948 e le definizioni formali, sembrerebbe disciplinare il CGARS come un Ente autonomo rispetto al Consiglio di Stato. Sul punto, sono incisive le parole di F.G. Scoca, secondo cui “Se il C.G.A. non è soltanto una espressione verbale per indicare insieme le due Sezioni, esso si erge come organismo a sé stante, distinto dal Consiglio di Stato, anche se legato a quest’ultimo per le funzioni e, in parte, per la composizione”.[23]
È di tutta evidenza, alla luce di quanto si è avuto modo di esporre, che le sezioni del Consiglio di Giustizia non possono considerarsi al pari di sezioni “specializzate” del Consiglio di Stato, visto che non si occupano di materie diverse dalle restanti Sezioni del Consiglio di Stato, né propriamente di sezioni territorialmente “staccate”, in quanto non sono semplici articolazioni territoriali, ma hanno una competenza propria ed esclusiva, a tratti persino diversa da quella del Consiglio di Stato (si pensi che, nella sua composizione consultiva, il Consiglio di Giustizia è organo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo regionale siciliano, ed è chiamato a rendere il parere sui ricorsi straordinari al Presidente della Regione).
Non sarebbe neppure immaginabile un conflitto di competenza tra Sezioni interne del Consiglio di Stato, come invece espressamente previsto nel caso di decisioni del CGARS. All’art. 10 del decreto legislativo del 2003, infatti, al comma 1, si prevede che “Le questioni inerenti alla competenza del Consiglio di giustizia amministrativa in sede giurisdizionale sono rilevabili anche d’ufficio”. Il comma 5, invece, devolve all'Adunanza plenaria la cognizione dei conflitti di competenza, in sede giurisdizionale, tra il Consiglio di Giustizia ed il Consiglio di Stato.
Non può inoltre trascurarsi che i consiglieri di Stato assegnati al Consiglio di Giustizia sono, per espressa previsione dell’art. 8 del D.lgs. n. 373 del 2003, collocati “fuori ruolo”, ossia “esercitano le loro funzioni fuori dall’Istituto al quale organicamente appartengono”.[24]
Sotto quest’ultimo profilo bisogna, però, a onor del vero, dar conto dell’indirizzo dell’Adunanza generale del Consiglio di Stato che, nel suo parere del 27 febbraio 2003, n. 1, ha specificato che, dopo la riforma del 2003, l’espressione “collocamento fuori ruolo” non riveste più un concreto significato, stante l’equiparazione tra CGARS e Consiglio di Stato.
Nondimeno, la differenza tra il Consiglio di Giustizia e le Sezioni del Consiglio di Stato emerge anche con riferimento alle differenti modalità con cui vengono assegnati i consiglieri di Stato: l’assegnazione dei consiglieri al CGARS avviene con delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa ai sensi dell’art. 2, comma 3, del D.lgs. n. 373 del 2003, mentre l’assegnazione dei consiglieri alle Sezioni del Consiglio di Stato avviene con atto del Presidente del Consiglio di Stato a norma dell’art. 2 della legge 27 aprile 1982, n. 186.
Un’ulteriore differenza si intuisce, come si è già avuto modo di accennare, dalla composizione dell’Adunanza Plenaria e dell’Adunanza generale,.
L’art. 6 c.p.a., rubricato “Consiglio di Stato”, al comma 3, dispone che “l’Adunanza Plenaria è composta dal presidente del Consiglio di Stato che la presiede e da dodici magistrati del Consiglio di Stato, assegnati alle sezioni giurisdizionali”, tra i quali non rientrano i magistrati del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana.
Gli unici casi in cui la composizione dell’Adunanza Plenaria è integrata con due magistrati del CGARS sono quelli di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 10 del D.lgs. del 2003, ossia in caso di conflitti di competenza tra il CGARS e il Consiglio di Stato e nell’eventualità in cui il CGARS rimetta all’Adunanza Plenaria una questione di diritto che abbia dato luogo a contrasti giurisprudenziali con le sezioni del Consiglio di Stato. Lo stesso avviene con riferimento alla composizione dell’Adunanza generale ai sensi dell’art. 9 dello stesso decreto, a cui possono anche partecipare i componenti laici limitatamente agli affari della Regione siciliana, ossia rimessi dal medesimo CGARS.[25]
Dalle differenze evidenziate, tuttavia, non discende necessariamente un’antinomia tra la normativa statutaria e quella attuativa[26], dovendosi sottolineare che, come sostenuto dalla giurisprudenza costituzionale, le norme di attuazione possono anche avere un contenuto praeter legem, nel senso di integrare le norme statutarie, anche “aggiungendo ad esse qualche cosa che le medesime non contenevano”, con l’unico limite della corrispondenza alle norme e alle finalità di attuazione dello Statuto, nel contesto del principio di autonomia regionale.[27]
In altre parole, le diversità tra sezioni del Consiglio di Stato e Consiglio di Giustizia, ancorché notevoli, sono legittimate dalle disposizioni normative che le prevedono, le quali, ad avviso della giurisprudenza costituzionale, non confliggono né con le disposizioni né con lo spirito dello Statuto.
7. La natura di giudici onorari dei componenti laici del CGARS
Le funzioni del componente laico, così come l’intera disciplina relativa al CGARS, sono forgiate e plasmate dall’autonomia regionale e, sotto tale profilo, risulta perfino ultroneo interrogarsi sulla natura del CGARS in termini di organo più o meno autonomo, più o meno indipendente dal Consiglio di Stato.
Quand’anche si ritenesse che il rapporto organico leghi il componente laico del CGARS direttamente al Consiglio di Stato (essendo il CGARS una sezione dello stesso), è evidente che resterebbe immutato il contenuto delle sue funzioni che, si ripete, è conformato dall’autonomia regionale, che è l’unica ragione della sua investitura.
Del resto, mutatis mutandis, un ragionamento non dissimile potrebbe farsi con riguardo ai componenti c.d. esperti delle Sezioni agrarie o del Tribunale regionale delle acque pubbliche, i quali, evidentemente, essendo magistrati onorari nominati per lo svolgimento di quelle specifiche funzioni, non potrebbero utilmente chiedere di essere trasferiti, rispettivamente, presso diverse sezioni del Tribunale ordinario e della Corte d’Appello o di essere considerati magistrati ordinari, proprio perché la funzione che sono chiamati ad esercitare è geneticamente differente ed è circoscritta alla specifica competenza della sezione.[28]
Lo stesso Consiglio di Stato, nella sentenza in esame, colloca la figura del componente laico del CGARS nell’alveo dei magistrati onorari, contemplati dall’art. 106 Cost., i quali, a differenza del magistrato togato o di carriera, sono selezionati non già mediante prove concorsuali finalizzate ad accertare il grado di preparazione culturale e tecnico-giuridica per svolgere la funzione giurisdizionale, bensì per i meriti acquisiti nell’esercizio nella carriera accademica o nell’attività forense, e per l’attitudine così maturata ad assumere l’ufficio di giudice.
8. La temporaneità dell’incarico
Fatte queste precisazioni, il Consiglio di Stato si sofferma anche sulla temporaneità della carica dei membri laici del Consiglio di Giustizia - specie in raffronto a quanto avviene con i consiglieri di Stato di nomina governativa, il cui mandato non è temporaneo - e ne individua il fondamento in una scelta di politica del legislatore riconducibile alle ragioni di specialità che connotano il Consiglio di Giustizia e che è volta ad accentuare il carattere onorario dell’incarico, nel senso di renderlo rispondente a logiche di più ampia partecipazione all’ufficio degli esponenti della società civile siciliana.
Tali considerazioni, ad avviso del Consiglio di Stato, evidenziano marcatamente la differenza rispetto ai consiglieri di Stato di nomina governativa e ai consiglieri di Cassazione nominati per meriti insigni ex lege n. 303 del 1998, rinvenendo ciascuna di tali categorie un fondamento diverso ed eterogeneo. L’ingresso dei primi nei ranghi del Consiglio di Stato, infatti, risale alle origini storiche dell’Istituto, e si è mantenuto anche nel corso dell’evoluzione storica del Consiglio di Stato, che è considerato dalla Costituzione quale organo di consulenza giuridico-amministrativa nell’interesse dello Stato-ordinamento (art. 100) oltre che di giustizia amministrativa (art. 103).
I consiglieri di Stato di nomina governativa sono equiparati agli altri consiglieri di Stato in forza dell’art. 19 l. n. 186 del 1982, che prevede espressamente la provvista governativa dei consiglieri di Stato come una delle tre modalità di accesso a tali funzioni (unitamente alla nomina per anzianità tra i consiglieri TAR e al reclutamento per concorso pubblico).
Fondamento differente hanno, invece, i consiglieri “laici” della Corte di Cassazione, previsti dall’art. 106, comma 3, Cost., i quali possono essere nominati per meriti insigni al fine di consentire l’ingresso nella Suprema Corte, a supporto della giurisdizione di legittimità e della sua funzione nomofilattica, delle migliori personalità affermatesi nelle scienze giuridiche presso il mondo accademico e la professione forense (v. legge 24 agosto 1998, n. 303).[29]
Secondo il Consiglio di Stato, seppur la previsione di componenti non togati in seno al CGARS risponda ad una logica analoga a quella dell’una e dell’altra delle categorie appena menzionate, non avviene così, invece, per la relativa disciplina normativa, non essendo assimilabili le esigenze poste a fondamento delle diverse figure di magistrati, dovendosi certamente riconoscere alla discrezionalità del legislatore la definizione dei regimi giuridici concernenti gli incarichi in argomento.
Tali considerazioni non risultano scolorite dalla recente pronuncia[30], con cui il Consiglio di Stato ha ritenuto che l’incarico di componente laico del CGARS sia equiparabile al servizio prestato quale consigliere di Stato ai fini del conferimento degli incarichi direttivi nella giustizia tributaria. A quei fini, si legge nella sentenza in commento, l’equiparazione si giustifica con l’attitudine del componente laico a ricoprire incarichi nella giustizia tributaria, la quale discende dall’investitura delle funzioni di consulenza giuridico-amministrativa e giurisdizionali che la nomina e il servizio di magistrato amministrativo comporta, e dunque sulla base del rapporto organico con il CGARS.
Stesse argomentazioni vengono addotte con riferimento all’equiparazione del giudice onorario a quello togato, riconosciuta dalla Corte costituzionale per il rimborso delle spese di patrocinio sostenute per i giudizi di promossi nei loro confronti per fatti e atti connessi con l’espletamento delle funzioni loro attribuite.[31]
La sentenza in commento, infine, evidenzia come non possa neppure accogliersi l’assunto difensivo in virtù del quale vi sarebbe stata una sorta di trasformazione del componente laico del CGARS da magistrato onorario a togato sulla base dei principi affermati dalla Corte costituzionale con sentenza n. 41 del 2021[32], per comporre stabilmente i collegi del Consiglio di Giustizia. Con la sentenza testé riportata, la Corte costituzionale ha infatti affermato l’incostituzionalità delle norme che prevedono la composizione dei collegi delle Corti d’appello con magistrati onorari per contrasto con l’art. 106, comma 2, Cost., che, derogando al principio del pubblico concorso, accorda la nomina di magistrati onorari “per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli” e, quindi, per gli affari di minor valore e complessità e solo in primo grado.
Secondo il Consiglio di Stato, l’anzidetta dichiarazione di incostituzionalità si fonda su un parametro normativo - l’art. 106, comma 2, Cost. - che non rileva nella fattispecie in esame, giacché la presenza dei componenti laici del Consiglio di Giustizia Amministrativa si giustifica in forza di una disposizione costituzionale diversa, e cioè dell’art. 23 dello Statuto della Regione Siciliana.
Dopo aver fatto queste considerazioni, il Consiglio di Stato ritiene, infine, manifestamente infondate le questioni di illegittimità costituzionale degli artt. 6 e 7 D.lgs. n. 373 del 2003 prospettate dall’appellante, poiché le caratteristiche dell’incarico di componente laico del CGARS sono state definite dal decreto del 2003 che, avendo attuato la previsione dell’art. 23 dello Statuto speciale della Regione Siciliana, ne avrebbe mutuato il rango normativo, equiparato alla Costituzione, rendendo così non configurabile un rapporto di gerarchia tra fonti normative.
Il Consiglio di Stato, dunque, afferma che le disposizioni attuative dello Statuto speciale abbiano anch’esse il valore di norme costituzionali e, a sostegno di tale conclusione, riporta la sentenza della Corte costituzionale del 4 novembre 2004, n. 316.
La collocazione delle norme attuative degli Statuti regionali nella gerarchia delle fonti del diritto meriterebbe sicuramente una trattazione separata[33]. Basti pertanto rilevare che, con riferimento alle norme di attuazione dello Statuto siciliano, la sentenza costituzionale da ultimo citata, ricordando i precedenti della Corte, tiene a specificare che esse hanno rango primario e, dovendosi considerare quali fonti a competenza “riservata e separata” rispetto a quella esercitabile dalle leggi ordinarie, possono finanche introdurre una disciplina particolare ed innovativa, a condizione però di rispettare il limite della corrispondenza alle norme e alla finalità di attuazione dello Statuto, nel contesto del principio di autonomia regionale.[34]
Di rango primario, con riferimento alle norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, ha parlato anche il Consiglio di Stato quando ha ritenuto di potersi pronunciare su una domanda cautelare urgente anche senza la partecipazione al collegio del consigliere di Stato di lingua tedesca.[35]
9. L’indipendenza del componente laico
Sempre alla Corte costituzionale guarda il Consiglio di Stato nel rispondere all’ulteriore censura dell’appellante con specifico riguardo alla supposta mancanza di indipendenza del componente laico del CGARS che deriverebbe dalla temporaneità dell’incarico.
Il Consiglio di Stato fa notare, infatti, che l’assunto per cui un giudice “a tempo” non sarebbe un giudice indipendente si scontra inevitabilmente con quanto ricavabile dalle disposizioni costituzionali concernenti la Corte costituzionale, i cui componenti durano in carica nove anni, senza possibilità di rinnovo e, ciononostante, sono destinatari ai sensi dell’art. 137, comma 1, Cost., di guarentigie di indipendenza, poi specificate dalla legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 (recante “Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d’indipendenza della Corte costituzionale”).
A ciò deve aggiungersi che la Corte costituzionale, nella già citata sentenza n. 316 del 2004, che a sua volta richiama i principi espressi nella sentenza n. 25 del 1976, ha affermato che il carattere temporaneo del mandato dei membri del Consiglio di Giustizia Amministrativa non contrasta, di per sé, con i principi costituzionali che garantiscono l’indipendenza e con essa l’imparzialità dei giudici, dal momento che a tali fini “non appare necessaria una inamovibilità assoluta”, specialmente per i membri “laici”, i quali “ben possono essere nominati per un determinato e congruo periodo di tempo”. L’indipendenza, ritiene la Corte costituzionale, potrebbe invece ritenersi messa in pericolo ove si prevedesse la possibilità di una riconferma del mandato: eventualità espressamente esclusa dal comma 4 dell’art. 6 del D.lgs. n. 373 del 2003.
10. Il ruolo dei componenti laici alla luce del diritto eurounitario
Analoghe considerazioni portano il Consiglio di Stato a rigettare anche la censura sulla conformità al diritto eurounitario della durata temporanea dell’incarico di componente laico del Consiglio di Giustizia Amministrativa. Più specificamente, il Consiglio di Stato ha ritenuto che, sotto tale profilo, non vi sia alcuna violazione della direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 (relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato), che l’appellante riteneva applicabile anche ai magistrati onorari, secondo quanto stabilito dalla Corte di giustizia UE con sentenza 6 luglio 2020 (C-658/18).[36]
Il Consiglio di Stato, infatti, ha avvedutamente affermato che “quand’anche si voglia ritenere la direttiva applicabile ai soggetti investiti di funzioni giurisdizionali di ultima istanza, secondo il principio “partecipativo” enunciato dall’art. 106, comma 3, Cost. - cosa che spetta al Paese membro stabilire (cfr. in questo senso: Corte di giustizia UE, sentenza 1° marzo 2012, C-393/10) - va in ogni caso premesso che in base all’art. 4, comma 1, dell’accordo recepito dalla medesima direttiva «i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive»”.
Ciò chiarito, per quanto riguarda il regime giuridico ed economico l’equiparazione del componente laico al consigliere di Stato esclude innanzitutto l’esistenza di un trattamento deteriore.
Il contrasto con il diritto eurounitario non si ha neppure con riguardo alla temporaneità dell’incarico e al vincolo di permanenza presso l’organo giurisdizionale siciliano, poiché tali scelte legislative, per le ragioni che si è avuto modo di esporre, sono giustificate dalla specialità della Regione Siciliana e dall’autonomia di cui gode, rintracciando il proprio fondamento in norme di natura costituzionale che concretizzano le scelte di carattere fondamentale concernenti l’assetto dei rapporti tra governo nazionale e autonomia regionale speciale nella ripartizione ed organizzazione dei poteri e delle funzioni tra i due soggetti istituzionali interni, rispetto alle quali il diritto eurounitario è estraneo.
[1] Si v. F. Renda, I caratteri speciali di uno statuto speciale. Considerazioni sulle origini e la natura dell’autonomia siciliana, in Aa.Vv., L’autonomia regionale siciliana tra regole e storia, Palermo, 1993, 331 ss..
[2] Sconfinata è la bibliografia sulla storia della Sicilia. Sui temi accennati, tra i tanti, si v. G. Barone (a cura di), Storia mondiale della Sicilia, 2018, Bari-Roma; E. Pelleriti, 1812-1848. La Sicilia fra due costituzioni, Milano, 2000; R. Menighetti e F. Nicastro, Storia della sicilia autonoma (1947-1996), Caltanissetta, 1998; M.I. Finley, D. Mack Smith e C. Duggan, Breve storia della Sicilia, 1990, Bari-Roma; S. Runciman, I Vespri siciliani, Bari, 1971.
[3] I lavori preparatori dello Statuto siciliano sono stati pubblicati dall’Assemblea Regionale Siciliana in Consulta Regionale Siciliana, Palermo, Edizioni della Regione Siciliana, vol. I e II, 1975, vol. III e IV, 1976, consultabili anche all’indirizzo https://www.ars.sicilia.it/studi-e-pubblicazioni.
Sullo Statuto siciliano v. G. Salemi, Lo Statuto della Regione siciliana (I lavori preparatori), Padova, 1961; T. Martines, Lo Statuto siciliano oggi, in Le Regioni, 1983, 895 ss.; C. Tramontana, Le origini dell’autonomia regionale e la genesi dello Statuto Siciliano, in A. Ruggeri-G. Verde (a cura di), Lineamenti di diritto costituzionale della Regione Sicilia, Torino 2012, 8 ss.; G. Armao, M. Saija (a cura di), Settant’anni di autonomia siciliana, Soveria Mannelli, 2016.
[4] S. Pajno, L’incerto futuro dell’autonomia speciale siciliana, in Osservatorio AIC, 2015, 1, che, nel delineare il percorso verso l’autonomismo siciliano, ricorda l’importante contributo offerto da Franco Restivo.
[5] Per uno studio dedicato si v. S. Di Bella (a cura di), Il coordinamento dello Statuto siciliano con la Costituzione. Nuovi atti e documenti, in I Quaderni dell’ARS, 2011, 3.
[6] Lo Statuto siciliano affidava all’Alta Corte il compito di giudicare: a) sulla costituzionalità delle leggi emanate dall'Assemblea regionale; b) sulla costituzionalità delle leggi e dei regolamenti emanati dallo Stato, rispetto allo Statuto ed ai fini della efficacia dei medesimi entro la Regione; nonché c) sui reati del Presidente della Regione e degli Assessori commessi nell’esercizio delle funzioni. La Corte aveva sede a Roma ed era composta da sei membri e due supplenti, nominati in pari numero dalle Assemblee legislative dello Stato e della Regione, e da un Presidente e da un Procuratore generale nominati dalla stessa Corte.
[7] Il testo della sentenza dell’Alta Corte per la Regione Siciliana, 10 luglio 1948, n. 4 è reperibile all’indirizzo https://www.giurcost.org/decisioni/trVII/AltaCorte/0004-48.html.
[8] Con particolare riferimento alla giustizia amministrativa, si rimanda all’opera di S. Raimondi, L’ordinamento della giustizia amministrativa in Sicilia, Milano, 2009.
[9] Con l’entrata in funzione della Corte Costituzionale nel 1956 vi fu la compresenza di due giudici costituzionali nel territorio nazionale e, con la celebre sentenza n. 38 del 1957, la Corte Costituzionale, pur non dichiarando l’illegittimità costituzionale delle norme statutarie, affermò il principio di unità della giurisdizione costituzionale, ponendo così fine all’esperienza dell’Alta Corte.
Per una ricostruzione più dettagliata si v. A. Simoncini, L’avvio della Corte costituzionale e gli strumenti per la definizione del suo ruolo: un problema storico aperto, in Giur. cost., 2004, 4, 3066 ss..
Sull’Alta Corte si rimanda a M.S. Giannini, Corte Costituzionale e Alta Corte per la regione siciliana, in Giur. cost., 1956, 1234 ss.; P. Virga, Alta Corte per la Regione Siciliana, in Enc. dir., II, Milano, 1958, 83 ss.; A.M. Sandulli, Sulla discriminazione delle competenze tra Corte costituzionale e Alta corte per la Regione siciliana, in Foro it., 1956, IV, 49 ss.; C. Mortati, L’Alta corte per la Sicilia nella Repubblica italiana «una e indivisibile», in Foro it., 1956, IV, 185 ss..
[10] Così S. Raimondi, Il modello siciliano della giustizia amministrativa nell’esperienza del foro, in Dir. proc. amm., 2001, 2, 332 s..
[11] Dopo l’Unità d’Italia si scelse di mantenere le Corti di Cassazione degli Stati preunitari, fu così che coesistettero le Corti di Cassazione di Torino, Firenze, Napoli e Palermo, alle quali venne aggiunta nel 1875 la Corte di Cassazione di Roma. Quest’ultima, a partire dal 1888 (l. 6 dicembre 1888), divenne l’unica nel territorio nazionale per i giudizi penali, e poi, con il r.d. 24 marzo 1923, n. 601, anche per quelli civili.
Sull’unificazione della Cassazione si v. G.F. Ricci, Il giudizio civile di Cassazione, II ed., Torino, 2016, 23 ss.; M. Pisani, La «unificazione» della Cassazione in materia penale, in Riv. dir. proc., 2010, 6, 1338 ss..
[12] Cons. St., Ad. gen., 11 luglio 1946, n. 78, in Relazione del Presidente del Consiglio di Stato al Presidente del Consiglio dei Ministri per gli anni dal 1941 al 1946, I, 41.
[13] S. Raimondi, Il modello siciliano della giustizia amministrativa, cit., 334 s., il quale rammenta che, nel discorso di insediamento a Presidente del Consiglio di Stato, F. Rocco parlò di “grido di allarme” e di “smembramento della giustizia”, nonché di “un pernicioso attentato all’unità della sovranità dello Stato, di cui la giustizia è gelosa espressione”. Il discorso è pubblicato in Foro it., 1948, IV, 54.
Si v. in proposito anche S. De Fina, Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in Enc. dir., IX, Milano, 1961, 227, secondo cui, invece, il semplice decentramento delle sezioni avrebbe salvaguardato meglio l’unità dell’organo, rispetto alla creazione di un organo separato.
[14] Oggi abrogato e sostituito dal D.lgs. 24 dicembre 2003, n. 373 recante “Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana concernenti l’esercizio nella regione delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato”.
[15] Sul Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana si rinvia ai lavori di E. Cannada Bartoli, In tema di giurisdizioni speciali e di Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in Foro amm., 1957, 1, 264 ss.; Id., Tre giudici per la trinacria, in Foro amm., 1974, 1, 27 ss.; R. Chieppa, Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, in Enc. giur., VIII, Roma, 1988; C. Criscenti, Le norme speciali per Regione Sicilia, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta, in G. Morbidelli (a cura di), Codice della giustizia amministrativa, III ed., Milano, 2014, 78 ss.; S. De Fina, Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in Enc. dir., IX, Milano, 1961, 227 ss.; B. Delfino, Il nuovo Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in Cons. Stato, 2004, 2, 301; M. S. Giannini, Il tribunale regionale amministrativo della Sicilia feliciter restitutum, in Giur. cost., 1975, 2, 1071; F. Mazzarella, L’art. 3 della Costituzione e la disciplina processuale amministrativa differenziata in Sicilia, in Foro it., 1973, V, 177 ss.; F. Merusi, Sicilia: giustizia amministrativa transitoria in attesa del “giudice legislatore”, in Riv. dir. proc., 1974, 459; S. Raimondi, Il salvataggio del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, nota a Corte Cost. 4 novembre 2004, n. 316, in www.giustamm.it, 2004; Id., L’ordinamento della giustizia amministrativa in Sicilia. Privilegio e condanna, Milano, 2009; F. G. Scoca, Specialità e anomalie del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in Dir. proc. amm., 2007, 1, 20 ss..
[16] Corte Cost., 4 novembre 2004, n. 316, in Foro it., 2005, IV, I, 985.
[17] Tale principio era stato già affermato dalla Corte con la sentenza n. 25 del 1976.
[18] Nel numero di tre per la sezione consultiva, compreso il presidente della sezione, e di sei per la sezione giurisdizionale compreso il presidente del CGARS e il presidente della sezione.
[19] Si tratta dei professori ordinari di università in materie giuridiche e degli avvocati che abbiano quindici anni d'esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori.
[20] Ossia, oltre alle categorie di cui alla nota che precede, i dirigenti generali od equiparati dei Ministeri, degli organi costituzionali e delle altre amministrazioni pubbliche, nonché i magistrati con qualifica non inferiore a quella
di magistrato di Corte d’appello o equiparata.
[21] Sul punto, per un’analisi più approfondita di tali problematiche, anche con riguardo ai giudizi di appello avverso le pronunce del TRGA della Provincia di Bolzano, si v. M.A. Sandulli, Laici nominati in ritardo: la politica blocca la giustizia amministrativa, in Il Dubbio, 5 settembre 2021.
[22] A norma dell’art. 7 del D.lgs. n. 373 del 2003 “Ai componenti del Consiglio di giustizia amministrativa designati dal Presidente della Regione ed al prefetto, durante il periodo di durata in carica, si applicano le norme concernenti lo stato giuridico e il regime disciplinare dei magistrati del Consiglio di Stato. Ad essi è corrisposto, all'inizio del sessennio, il trattamento economico corrispondente al trattamento iniziale spettante ai magistrati del Consiglio di Stato, ove più favorevole del loro trattamento economico originario. I componenti designati dal Presidente della Regione, che siano titolari di un rapporto di lavoro subordinato, hanno diritto alla conservazione del posto, senza assegni. Le disposizioni dell'articolo 31, secondo e terzo comma, della legge 27 aprile 1982, n. 186, riguardanti i poteri di vigilanza, si applicano nei confronti di tutti i membri del Consiglio di giustizia amministrativa e dei relativi uffici”.
[23] F.G. Scoca, Specialità e anomalie del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, cit., 20 s..
[24] Così sempre F. G. Scoca, Specialità e anomalie, cit., 21.
[25] Si veda la delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa del 4 novembre 2005.
[26] La Corte costituzionale ha sempre rigettato le questioni di legittimità costituzionale relative all’istituzione del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, si v. Corte Cost., 22 gennaio 1976, n. 25, nonché la già citata Corte cost., 4 novembre 2004, n. 316.
[27] Cfr. Corte cost., 18 luglio 1984, n. 212.
[28] Un ulteriore elemento di sintonia con quanto previsto per il Consiglio di Giustizia lo si rintraccia se si considera che le questioni relative ai rapporti tra il Tribunale in composizione ordinaria e la sezione specializzata agraria sono questioni di competenza e non di ripartizione degli affari all’interno del medesimo ufficio (v., ex multis, Cass., Sez. VI, 26 luglio 2010, n. 17502, e Cass., Sez. VI, 21 maggio 2015, n. 10508).
Per la competenza del Tribunale regionale per le acque pubbliche v. Cass., Sez. VI, 22 febbraio 2012, n. 2656. Sul Tribunale per le acque pubbliche si rinvia allo studio di F. De Stefano, Il ruolo dei Tribunali delle Acque pubbliche, in questa Rivista, 25 settembre 2019.
[29] Sul tema si v. F. Cipriani, La chiamata in Cassazione per meriti insigni (appunto per la bicamerale), in Foro it., 1997, II, 57 ss.; M. Pisani, I meriti insigni (art. 106, 3° comma Cost.) per la nomina dei laici in cassazione, in Foro it., 1999, 74 ss..
[30] Cons. St., Sez. IV, 24 marzo 2020, n. 2045.
[31] Corte cost., 9 dicembre 2020, n. 267.
[32] Corte cost., 17 marzo 2021, n. 41, in Giur. cost., 2021, 2, 513.
[33] Si ricordi il fondamentale insegnamento di A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, 36 s., secondo cui i decreti legislativi emanati per attuare gli Statuti delle Regioni ad autonomia speciale operano ad un livello ultraprimario sicché non solo le leggi regionali, ma anche quelle statali sono tenute a prestarvi osservanza. Dunque, nell’ambito della loro competenza “si collocano, nella gerarchia delle fonti, a un livello (subcostituzionale, sì, ma) più alto rispetto agli atti legislativi appena nominati”.
[34] I precedenti a cui la sentenza fa riferimento sono: Corte cost., 18 luglio 1984, n. 212; 23 maggio 1985, n. 160; 26 febbraio 1990, n. 85; 19 giugno 1998, n. 213; 23 aprile 1998, n. 137 e7 novembre 2001, n. 353.
[35] Cons. St., 10 settembre 2021, n. 4872.
[36] Per un commento si v. C. Pesce, Il giudice di pace italiano al vaglio della Corte di giustizia UE. Nota a sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 16 luglio 2020, causa C-658/18, Governo della Repubblica italiana, in Eurojus, 2020, 2, 300 ss..