Il vaccino contro l’infezione mafiosa. Note in tema di interdittiva antimafia (nota a Consiglio di Stato, sez. I, parere 18 giugno 2021, n. 1060)
di Renato Rolli e Martina Maggiolini
Sommario: 1. Premessa - 2. Il criterio del “più probabile che non” e la valutazione del rischio di contagio - 3. La portata preventiva dell’interdittiva antimafia e gli elementi sintomatici - 4. Riflessioni Conclusive.
1. Premessa
Nel dibattuto contesto dei provvedimenti interdittivi è da segnalare, per la sua portata chiarificatrice, il recente parere del Consiglio di Stato n. 1060 del 18 giugno 2021 sollecitato dal Ministro dell’interno in virtù del ricorso straordinario pendente dinnanzi al Presidente della Repubblica [1].
La Prima sezione è stata chiamata a rendere parere, obbligatorio e vincolante, sul provvedimento interdittivo ex art 91 d.lgs. 159/2011 della Prefettura di Reggio Calabria e del contestuale diniego di iscrizione nella white list provinciale dell’impresa individuale ricorrente.
L’illegittimità dell’interdittiva de qua è fondata, secondo il ricorrente, sulla violazione degli art. 84 e 91 del d.lgs. 159/2011 nonché sull’eccesso di potere nella figura del difetto di motivazione, in quanto viene designato un quadro indiziario non idoneo a suffragare la pericolosità sociale del soggetto coinvolto e ancorata a fatti risalenti nel tempo non sufficienti ad evidenziare il legame tra gestione dell’attività imprenditoriale e il pericolo di infiltrazione mafiosa.
In particolare, sulla violazione di legge, il ricorrente lamenta l’omissione da parte dell’autorità prefettizia dell’individuazione di indizi utili a configurare la sussistenza della pericolosità sociale. Il Prefetto avrebbe preso in considerazione fatti datati e privi di alcun legame giuridicamente rilevante, misure di prevenzione annullate in appello, procedimenti penali conclusi con assoluzione con formula piena e da ultimo due controlli di polizia in cui il ricorrente veniva segnalato in compagnia di soggetti “infetti”. Sulla scorta di tali elementi, non appare evidente alla difesa l’asserita interferenza di tali fatti con il rischio di contagio rilevato con il provvedimento prefettizio gravato.
Nella nota, il Ministero dell’Interno, evidenziando tra le altre motivazioni che l’attività svolta dall’impresa ricorrente ha ad oggetto sociale “estrazione, fornitura e trasporto terra e materiali inerti, confezionamento, fornitura e traporto di calcestruzzo e di bitume” (e dunque, rientrante tra le attività individuate dall’art. 1 comma 53 l. 190/12 (segnalate come maggiormente esposte al rischio di contagio), concludeva per l’infondatezza del ricorso.
La Prima sezione del Consiglio di Stato, investita della funzione consultiva, sostiene, nel parere in commento, che il ricorso debba essere respinto per le motivazioni che seguono.
2. Il criterio del “più probabile che non” e la valutazione del rischio di contagio
Intanto occorre rilevare come giudici di Palazzo Spada abbiano inteso esaminare congiuntamente i motivi di gravame stante la loro correlazione.
Secondo la Prima sezione, il ricorrente ha operato una scissione tra i diversi fatti che sorreggono il provvedimento prefettizio mancando una visione d’insieme, attraverso la quale, senza alcun dubbio, appare evidente il superamento della soglia del criterio del “più probabile che non” [2].
Non rileva la collocazione temporale di tali fatti data la gravità e la pluralità delle condotte [3]. Dal contatto con soggetti “infetti” è possibile, unitamente ad altri fatti indizianti, rilevare il pericolo che l’attività imprenditoriale sia esercitata in un contesto relazionale complessivamente “sintomatico di un rischio di infiltrazione della criminalità organizzata” [4].
In più, nel provvedimento interdittivo è segnalato il contenuto di alcune dichiarazioni di collaboratori di giustizia, che ritraggono il soggetto titolare di tale attività come organo di una cosca mafiosa.
Giova rammentare che seppur nel giudizio penale dette dichiarazioni non possono essere acquisite se non mediante i cd riscontri esterni (art 192.197bis e 210 cpp), in sede amministrativa, esse possono rientrare nel quadro indiziario e contribuire al vaglio fondato sul principio del “più probabile che non”.
Per tutto quanto sopra, le censure poste alla base del ricorso non scalfiscono minimamente il grave quadro indiziario e il conseguente giudizio di permeabilità mafiosa manifestato dalla prefettura. Appare ictu oculi, mediante un giudizio complessivo dei fatti in commento che l’attività del ricorrente sia inserita “in un contesto di cointeressenze economico-imprenditoriali compromesso dall’infiltrazione della criminalità organizzata di tipo mafioso” [5].
È ormai acclarato che il criterio probabilistico rispetto “l’oltre ragionevole dubbio” sia caratterizzato non da un differente procedimento logico bensì dal minore livello dimostrativo dell’interferenza logica [6]. Difatti la valutazione del giudice penale attiene ad un profilo diverso ed ulteriore rispetto alla ricognizione fondata sul principio del “più probabile che non” su cui trova fondamento invece il provvedimento prefettizio.
Per cui la regola probabilistica presuppone un giudizio a carattere empirico-induttivo che può essere fondato su fenomeni sociali (quale quello mafioso) svincolando l’attività prefettizia dalla soglia di rilevanza penale fondata sulla certezza probatoria. La previsione di un così ampio potere discrezionale trova ragione nella finalità anticipatoria del provvedimento interdittivo ovvero il prevenire il rischio di infiltrazione e non il punire la condotta penalmente rilevante.
La disciplina della prevenzione amministrativa, dunque, riveste il ruolo di frontiera avanzata [7] giacché rappresenta la più immediata barriera posta dall’ordinamento al fine di allontanare la mafia, insediata in società, dalla res pubblica.
La discrezionalità prefettizia funge così da “vaccino” a tutela del buon andamento della cosa pubblica dalla minaccia dell’infezione mafiosa che, come un virus, potrebbe compromettere l’attività polmonare di un intero Paese.
3. La portata preventiva dell’interdittiva antimafia e gli elementi sintomatici
È da segnalare la portata preventiva della legislazione antimafia, tesa ad anticipare ed evitare l’infiltrazione nel tessuto pubblico attraverso società private recidendo ogni possibile contatto con le stesse [8]. L’obiettivo è il mantenimento di un’economia pubblica e privata sana, lontana da logiche infette e da comportamenti invalidanti.
Pertanto, all’autorità prefettizia è riservata la funzione di prevenire pratiche e comportamenti che in modo diretto o indiretto possano ledere l’integrità dell’attività pubblica. L’amministrazione è chiamata a svolgere un monitoraggio perpetuo, teso ad approfondire le cangianti manifestazioni di comportamenti illeciti attraverso una attenta valutazione dei sintomi. Al contempo è richiesto all’amministrazione un intervento immediato per scongiurare ogni forma di infezione [9].
Sul punto ormai consolidata giurisprudenza sostiene la portata “cautelare e preventiva” [10] dell’interdittiva antimafia realizzata attraverso un giudizio prognostico circa le possibili declinazioni della mafia nella trama pubblica. Dunque, l’interdittiva antimafia si pone come momento anticipatorio rispetto a un possibile contagio teso a scongiurare qualsivoglia contatto tra amministrazione e impresa infetta [11].
In sede di massima anticipazione della soglia di prevenzione, l’amministrazione è chiamata a valutare il quadro degli elementi in modo complessivo e onnicomprensivo, fondando il provvedimento su ragioni sostanziali giustificatrici della misura [12]. Le motivazioni del provvedimento possono trovare ragione in diversi elementi indiziari che non costituiscono un numerus clausus e non sono rintracciabili esclusivamente in atti giudiziari o di indagine e accertamenti di Polizia, bensì rilevano elementi disparati come i legami di parentela, amicizia o rapporti di qualunque genere che per incidenza e durata possano far presuppore un rischio di permeabilità.
L’infiltrazione mafiosa, come noto, può esplicarsi anche attraverso tentativi di condizionamento delle scelte e degli obiettivi delle imprese. Il rischio non deve necessariamente essere attuale o inveratosi, all'opposto necessario è che da elementi sussistenti sia possibile prevedere un determinato evento [13].
Orbene, la discrezionalità riservata al Prefetto nella valutazione del quadro indiziario pare necessaria per un intervento immediato ed effettivamente preventivo. Il vaglio prefettizio non deve avere carattere atomistico e dunque valutativo di singoli elementi bensì inteso come giudizio unitario secondo il canone interferenziale al fine di valutare il grado di permeabilità dell’impresa a possibili tentativi di infiltrazione [14].
Giova precisare che la prevenzione dell’infiltrazione non può sostanziarsi in un mero sospetto del Prefetto o in una vaga intuizione dell’autorità giudiziaria [15] ma deve trovare ragione in diversi elementi fattuali sintomatici di condotte infette per scongiurare la deriva del “diritto della paura”. Si deve evitare che il provvedimento prefettizio diventi una pena del sospetto e medio tempore che la discrezionalità necessaria in tale sede per un’azione efficiente sconfini di fatto nel puro arbitrio [16].
Al fine di delimitare la discrezionalità amministrativa, il legislatore e la giurisprudenza [17] hanno tipizzato i comportamenti che possono far desumere il tentativo di infiltrazione. Nonostante tale sforzo, però, è rimessa all’autorità amministrativa l’emissione del provvedimento anche facendo ricorso a una clausola generale, che non va intesa quale norma in bianco né un’autorizzazione all’arbitrio del prefetto, imprevedibile per il cittadino e insindacabile per il giudice [18]. Sovente trattasi di condotte atipiche che connotano l’agere mafioso, e pertanto, nella propria discrezionalità, l’amministrazione deve arrestarsi solo nel caso di fatti inesistenti o obiettivamente non sintomatici.
D’altro canto, negare tale possibilità al prefetto comprometterebbe la natura stessa della misura di prevenzione in nome di una astratta e aprioristica concezione di legalità formale. E dunque i provvedimenti interdittivi per essere effettivamente efficaci impongono di “tenere il passo con il mutare delle circostanze secondo una nozione di legittimità sostanziale” [19].
4. Brevi riflessioni conclusive
A valle delle considerazioni esposte pare necessario soffermarsi sulle conseguenze del provvedimento prefettizio. Il soggetto raggiunto da interdittiva antimafia diviene incapace ad essere titolare di situazioni giuridiche soggettive che determinano rapporti con la pubblica amministrazione [20]. Si tratta di una incapacità parziale in quanto limitata ai soli rapporti con la p.a. e temporanea potendo venire meno attraverso un successivo provvedimento dell’amministrazione competente.
Il G.A. è chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario attraverso il vaglio posto dal prefetto avendo un pieno accesso ai fatti rilevatori del pericolo e dovendo apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi interferenziale che l’autorità amministrativa trae da tali fatti secondo il criterio probabilistico [21].
È fuor di dubbio la rilevanza e l’importanza delle misure di prevenzione nel minimizzare il rischio di infezione. Il provvedimento interdittivo funge in tale ottica da vaccino per le influenze mafiose nel tessuto pubblico. Come abbiamo avuto modo di verificare, in diverse occasioni, ogni vaccino ha delle controindicazioni. In questo caso, gli eventi avversi sono rappresentati da ingiuste limitazioni di diritti garantiti a livello costituzionale. Pertanto, è necessario valutare attentamente il quadro “clinico” (eventualmente patologico) prima di emettere l’interdittiva, verificando l’effettiva opportunità del provvedimento stesso, scongiurando, ad ogni costo e ad ogni livello, la deriva del libero arbitrio.
[1] Cfr. SALAMONE, La documentazione antimafia nella normativa e nella giurisprudenza, Napoli, 2019
[2] Si consiglia A. LONGO, La “massima anticipazione di tutela”. Interdittive antimafia e sofferenze costituzionali, in www.federalismi.it., n. 19/2019
[3] Cfr. F. G. SCOCA, Le interdittive antimafia e la razionalità, la ragionevolezza e la costituzionalità della lotta “anticipata” alla criminalità organizzata, in www.giustamm.it., n. 6/2018,
[4] Consiglio di Stato, sez. I Parere n. 1060 del 18 giugno 2021
[5] ibidem.
[6] Consiglio di Stato, sez., III, 26 settembre 2017, n. 4483
[7] Si consenta il rinvio a R. Rolli, L’informazione antimafia come “frontiera avanzata” (nota a sentenza Consiglio di Stato Sez. III n. 3641 dell’08.06.2020), in Questa rivista, 2019
[8] Cfr. P. PIRRUCCIO, L’informativa antimafia prescinde dall’accertamento di fatti penalmente rilevanti, in Giur. mer., n. 2/2009, pp. 503 e ss
[9] In questo senso Corte Cost. sentenza del 26 marzo 2020 n. 57
[10] Cfr. Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 6 aprile 2018, n. 3
[11] V. ex multis Consiglio di Stato, sez. I pareri 1 febbraio 2019 n. 337 e 21 settembre 2018 n. 2241
[12] Cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 27 aprile 2021, n. 3379
[13] V. Consiglio di Stato, sent. N. 8883, 2019
[14] Cfr. ex multis Consiglio di Stato, sent. N. 1049 del 2021; Cons. St., sez. III, sent. N. 759/2019
[15] V. Consiglio di Stato, sez. III, 5 settembre 2019
[16] Cfr. Consiglio di Stato, sez.III, 5 settembre 2019, n. 6105
[17] V. Consiglio di Stato, 3 maggio 2016, n. 1743
[18] Consiglio di Stato, sez. I Parere n. 1060 del 18 giugno 2021; Cfr. M. NOCCELLI, Le informazioni antimafia tra tassatività sostanziale e tassatività processuale, inwww.giustizia-amministrativa.it, 2020
[19] Cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo De Tommaso c. Italia; v. G. AMARELLI, L’onda lunga della sentenza De Tommaso: ore contate per l’interdittiva antimafia “generica” ex art. 84, co. 4, lett. d) ed e), d.lgs. n. 159 del 2011?, in www.dirittopenalecontemporaneo.it., n. 4/2017
[20] Cfr. da ultimo Consiglio di Stato, sentenza 26 ottobre 2020, n. 23
[21] V. C. COMMANDATORE, Interdittiva antimafia e incapacità giuridica speciale: un difficile equilibrio, in Resp. civ. prev., n. 3/2019, pp. 917