Tra (dis)proporzionalità e (in)efficienza, un nuovo giudizio immediato (art. 72-bis c.p.a.) per la giustizia amministrativa
di Rosanna De Nictolis
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Presupposti e ambito. Le cause suscettibili di “immediata definizione”: solo in rito o anche in merito? solo per questioni di rito che non consentono già l’utilizzo del decreto monocratico? - 3. Rilevazione delle cause di immediata definizione. - 4. I termini del rito: rito cautelare ex art. 55 c.p.a.; applicabilità del rito camerale ex art. 87 c.p.a.? Necessità o meno dell’istanza di fissazione dell’udienza. - 5. I termini per gli atti di parte, assenza di repliche, discussione orale, rinvio della causa e termini a difesa. - 6. Il rilievo d’ufficio delle questioni di rito. - 7. La fissazione dell’udienza pubblica per le cause non definibili in rito. - 8. La decisione in forma semplificata. - 9. Conclusioni.
1. Introduzione
L’art. 72-bis c.p.a., introdotto dalla l. 6.8.2021 n. 113 in sede di conversione del d.l. 9.6.2021 n. 80, ha frettolosamente creato un nuovo rito immediato privo di adeguata ponderazione, che costituisce una sorta di obbrobrio giuridico destinato a restare, come altre norme processuali, un istituto meramente astratto, per la sua scarsissima utilità e praticabilità, oltre che sovrapposizione e contraddizione con altri istituti vigenti e collaudati.
Si prevede, in estrema sintesi, un processo in camera di consiglio, che si svolge con gli stessi termini dell’incidente cautelare, per definire con sentenza in forma semplificata le cause suscettibili di “immediata definizione”, ma solo “in rito”.
2. Presupposti e ambito. Le cause suscettibili di “immediata definizione”: solo in rito o anche in merito? solo per questioni di rito che non consentono già l’utilizzo del decreto monocratico?
Il presupposto operativo del nuovo rito è che vi siano ricorsi suscettibili di “immediata definizione”: un concetto giuridico del tutto indeterminato, di cui non si chiarisce la differenza o la identità con le “situazioni manifeste” descritte dall’art. 74 quali presupposto per la decisione con sentenza in forma semplificata.
Sicché il primo dubbio giuridico è se la “immediata definizione” costituisca o meno una categoria autonoma rispetto alle fattispecie dell’art. 74 c.p.a.
La risposta è che non vi è perfetta coincidenza tra le situazioni di immediata definizione ai sensi dell’art. 72-bis e le situazioni manifeste dell’art. 74 c.p.a.
Infatti l’art. 74 c.p.a. fa riferimento a situazioni manifeste sia in rito che in merito.
Invece, l’art. 72-bis, pur sembrando nel suo incipit ipotizzare che la definizione immediata possa afferire sia al rito che al merito, in realtà nella sua successiva narrazione cambia strada e fa riferimento solo alla definizione in rito. Infatti, a fronte di cause suscettibili di immediata definizione, viene fissata una udienza in camera di consiglio in cui, se si verifica che la causa “non è definibile in rito”, va fissata una ulteriore udienza pubblica. Quindi, una eventuale situazione manifesta nel merito, non può costituire il presupposto per tale tipo di giudizio immediato.
Sarebbe perciò logico attendersi che a fronte di una causa suscettibile di “immediata definizione nel merito”, essa non venga affatto fissata per un giudizio immediato camerale: perché sarebbe attività superflua, posto che la norma ordina che se la causa non è definibile in rito, occorre fissare una udienza pubblica. Sicché fissare una udienza camerale, al solo fine di fissare una successiva udienza pubblica, sarebbe un inutile dispendio di tempo e attività processuali di segreterie, giudici e difensori. Né si può pensare di dare una interpretazione diversa alla norma, nel senso che anche cause suscettibili di immediata definizione in merito potrebbero essere decise con il rito camerale: la norma letteralmente non lo consente, laddove perentoriamente afferma che “se la causa non è definibile in rito, il collegio con ordinanza fissa la data dell’udienza pubblica”, e le deroghe alle forme e ai termini dell’udienza pubblica devono essere ritenute di stretta interpretazione.
Tra le ragioni di merito di pronta definizione, e che tuttavia non ricadono nell’ambito dell’art. 72-bis c.p.a. che si riferisce solo alle definizioni in rito, rientra la cessazione della materia del contendere, che per volere dei compilatori del c.p.a., rientra tra le sentenze di merito (art. 34 c. 5 c.p.a.), e pertanto non può essere pronunciata con decreto monocratico (art. 85 c.p.a. che si riferisce solo a pronunce di rito dell’art. 35 c.p.a.).
Tra le ragioni di rito che consentono la immediata definizione in una udienza camerale, poi, vanno escluse, per evidenti ragioni di economia processuale, quelle ragioni di rito che già consentono la definizione con decreto monocratico fuori udienza.
Avuto riguardo alle pronunce di rito di cui all’art. 35 c.p.a., le ragioni di improcedibilità di cui all’art. 35, c. 1, lett. c), c.p.a., e le ragioni di estinzione di cui all’art. 35, c. 2, c.p.a., già consentono la definizione con decreto monocratico (art. 85 c.p.a.).
Per cui sarebbe del tutto dispendioso fissare una udienza collegiale.
Ancora, la stessa l. n. 113/2021, mediante novella dell’art. 79 c.p.a., ha consentito, anzi imposto, che l’interruzione del processo sia dichiarata con decreto presidenziale, quindi fuori udienza. Quindi anche l’interruzione del processo è una questione di rito che esula dall’ambito dell’art. 72-bis c.p.a., non necessitando di trattazione in udienza.
Residuano, quindi, i casi di irricevibilità e inammissibilità di cui all’art. 35, c. 1, lett. a) e b) c.p.a.
L’irricevibilità comprende i casi di tardiva notifica e di tardivo deposito del ricorso.
L’inammissibilità comprende, a titolo esemplificativo, i casi di difetto di legittimazione ad agire, difetto originario di interesse o di contraddittorio, difetto di giurisdizione, difetto di competenza,
Peraltro, non sembra esservi perfetta equivalenza tra questione di rito e immediata definizione.
Il fatto che un ricorso possa apparire irricevibile o inammissibile non significa necessariamente che la questione sia di “immediata definizione”.
Invero, il concetto di “immediata definizione” che, come si è detto, è un concetto giuridico indeterminato, rievoca casi di causa “liquida”, di “pronta definizione” perché vi sia una situazione “manifesta”, come afferma già l’art. 74 c.p.a.
Ci sono cause in cui la affermazione della irricevibilità o inammissibilità del ricorso esige la soluzione di questioni controverse, e la causa di rito è tutt’altro che manifesta.
E’ evidente che un conto è il caso, quasi del tutto di scuola, in cui il ricorso sia tardivo perché manifestamente fuori termine, un conto è il caso in cui per affermarsi la irricevibilità occorre affrontare complesse questioni in fatto e in diritto su quale sia l’atto lesivo e la sua data di conoscenza, al fine del decorso del termine di ricorso.
O si pensi alla questione di rito, rimessa alla Plenaria, se in materia edilizia la c.d. vicinitas sia titolo sia di legittimazione e interesse ad agire, o di sola legittimazione ad agire. Non pare che una ragione di rito di questo tipo possa integrare un caso di “immediata definizione”.
E tuttavia, tale esegesi, che parrebbe logica, di ritenere che il giudizio immediato si giustifica solo a fronte di situazioni di rito “manifeste”, appare contraddetta dallo stesso art. 72-bis c.p.a.: esso infatti prevede che all’udienza camerale, la questione di rito che non sia eccepita da una parte, viene rilevata d’ufficio e sottoposta al contraddittorio delle parti. Nel caso in cui la questione di rito sia di “particolare complessità” va concesso alle parti un termine a difesa per memorie.
Ma una questione di rito “di particolare complessità” sembra contraddire al presupposto della suscettibilità della causa di una “definizione immediata”.
Dunque la norma parrebbe dire che il giudizio immediato si deve celebrare ogni volta che vi sia una questione di rito, anche se di “particolare complessità”. Ma con tale esegesi, si pongono seri dubbi di costituzionalità dell’intero impianto dell’art. 72-bis: perché la strozzatura dei termini ordinari di fissazione dell’udienza, dei termini ordinari per il deposito di documenti, memorie e repliche, può giustificarsi, senza sacrificio del diritto di difesa, solo a fronte di situazioni manifeste, non a fronte di situazioni di “particolare complessità”.
E dunque una esegesi costituzionalmente orientata impone di ritenere che il presupposto applicativo della disposizione è che vi sia una questione di rito di pronta e agevole soluzione.
Il riferimento a questioni di “particolare complessità” va allora spiegato nel senso che una questione che all’ufficio del processo e al presidente pareva “semplice”, a seguito delle deduzioni di parte si è rivelata “complessa”.
A conclusione di tale disamina, dunque, si può affermare, quanto ai presupposti applicativi dell’art. 72-bis c.p.a., che esso ha un ambito ben più ridotto di quello cui potrebbe far pensare la sua rubrica; i casi di “immediata definizione”:
a) riguardano solo questioni di immediata definizione in rito, e non nel merito, con esclusione persino del caso di cessazione della materia del contendere (che dà luogo a una sentenza di merito e non di rito);
b) nell’ambito delle questioni di rito, riguardano solo i casi di irricevibilità e inammissibilità, e non anche gli altri motivi di rito elencati nell’art. 35 c.p.a. che consentono la definizione con decreto monocratico, e nemmeno il caso in cui occorre dichiarare l’interruzione del processo, posto che in virtù del novellato art. 79 c.p.a. la interruzione si dichiara con decreto presidenziale;
c) nell’ambito dei casi di irricevibilità e inammissibilità, si deve trattare di casi “manifesti” e non di casi in cui la irricevibilità o inammissibilità consegua a un complesso ragionamento in fatto e/o in diritto.
3. Rilevazione delle cause di immediata definizione
L’art. 72-bis introduce nel c.p.a. inediti aspetti organizzativi. Precisa infatti che l’iniziativa di fissare le cause suscettibili di immediata definizione spetta al Presidente.
Ma aggiunge, “anche a seguito della segnalazione dell’ufficio del processo”.
In tal modo, si introduce in una norma processuale un aspetto organizzativo interno, per di più facendo riferimento a una entità organizzativa, “l’ufficio del processo” di cui il codice presuppone l’esistenza senza definirlo.
Ma ciò che appare distonico è aver inserito in una norma processuale la definizione dei compiti di un ufficio interno. Nella pratica giudiziaria le cause da fissare in udienza vengono selezionate dai presidenti con l’apporto collaborativo delle segreterie, ma nessuna disposizione del c.p.a. ha mai specificato in una norma che il presidente procede anche su segnalazione delle segreterie. Si tratta di profili organizzativi interni che non hanno nessuna necessità di essere introdotti in una norma processuale.
Tanto più che l’averlo ora fatto per l’ufficio del processo, posto che le norme devono avere un significato utile, fa interrogare sulle possibili conseguenze, processuali e non, della mancata fissazione in udienza, da parte del Presidente, di cause che siano state “segnalate” dall’ufficio del processo, come suscettibili di immediata definizione.
Il che apre un tema di grandissima serietà, che è quello della idoneità professionale ed esperenziale di un ufficio del processo a individuare cause di immediata definizione, assolvendo a un compito tipicamente magistratuale di studio delle cause, che semmai andrebbe assegnato ad una sezione “filtro”, composta di giudici, come esistente in Corte di cassazione. Laddove l’ufficio del processo si compone di non magistrati, e peraltro è destinato ad essere “potenziato” (ammesso che di potenziamento possa parlarsi) con la partecipazione di neolaureati assunti a tempo determinato per non oltre 30 mesi (d.l. n. 80/2021).
E’ da ritenere che la “segnalazione dell’ufficio del processo” non escluda il vaglio critico del presidente, che ben potrà ritenere che cause segnalate non siano di immediata definizione, e dunque non fissarle in udienza.
4. I termini del rito: rito cautelare ex art. 55 c.p.a.; applicabilità del rito camerale ex art. 87 c.p.a.? Necessità o meno dell’istanza di fissazione dell’udienza
I termini del rito sono di fatto coincidenti con quelli dell’incidente cautelare, anche se l’art. 55 c.p.a. non è richiamato. I ricorsi suscettibili di immediata definizione sono fissati alla prima camera di consiglio utile, che è quella successiva al ventesimo giorno dal perfezionamento, anche per il destinatario, dell’ultima notificazione, e altresì, al decimo giorno dal deposito del ricorso. Come nel rito cautelare, le parti possono depositare memorie e documenti fino a due giorni liberi prima della camera di consiglio.
Sono dunque introdotti, per un giudizio di merito, i termini dell’incidente cautelare.
Inoltre, si deroga all’udienza pubblica e si prevede una udienza in camera di consiglio.
Il che fa interrogare sul se debbano o meno essere rispettati tutti gli altri termini previsti dall’art. 87 c.p.a. per i riti camerali.
La risposta sembra essere negativa.
Anzitutto, l’art. 87 c.p.a., pur menzionando, tra i riti camerali, anche quello cautelare, disciplina i termini solo dei riti camerali diversi da quello cautelare.
E, come si è detto, l’art. 72-bis segue il modello del rito cautelare.
In secondo luogo, l’art. 87 c.p.a. fa riferimento a riti camerali che sono tali ab initio (silenzio, accesso, ottemperanza, questioni di giurisdizione), perché ci sono norme specifiche che per determinate materie prevedono i riti camerali.
Non è questo il caso dell’art. 72-bis, che ipotizza un rito camerale ex post per qualunque materia, ove risulti che la causa sia suscettibile di immediata definizione. Sicché le parti, al momento della notifica e deposito del ricorso, non possono stabilire se si tratti di materia soggetta a rito camerale o meno.
Ciò detto, non si può escludere che i presupposti dell’art. 72-bis si verifichino in relazione a ricorsi che già ex ante seguono il rito camerale (silenzi, accessi, ottemperanze, etc.), e in tal caso ci si chiede se sia necessario fissare la causa con i tempi dell’art. 72-bis piuttosto che con quelli dell’art. 87 c.p.a.
Così come, ci si deve chiedere se l’art. 72-bis debba essere applicato se il presupposto della immediata definizione riguardi una causa in cui ci sia anche domanda cautelare, e che dunque va fissata alla prima udienza utile ex art. 55 c.p.a. coincidente esattamente con quella ex art. 72-bis. E’ da ritenere che in tale ipotesi prevalga l’art. 55 c.p.a. sull’art. 72-bis, e che quindi la causa vada fissata per la fase cautelare, e in sede cautelare ben si potrà addivenire a una sentenza immediata, nel ricorrere dei presupposti dell’art. 60 c.p.a.
Ulteriore questione che l’art. 72-bis c.p.a. fa sorgere è se i termini di cui all’art. 72-bis c.p.a. si applichino a qualsiasi causa, comprese quelle che per legge sono sottoposte a termini dimezzati (riti camerali ex art. 87 c.p.a., contenzioso elettorale, artt. 119 e 120 c.p.a.), ovvero se in tali ulteriori cause i termini dell’art. 72-bis c.p.a. debbano subire un ulteriore dimezzamento.
Sembra da ritenere, ma solo per ragioni di buon senso, e non strettamente giuridiche, che i termini dell’art. 72-bis si applichino in qualunque rito, senza ulteriori dimezzamenti. Non è tuttavia una soluzione giuridica agevole, perché l’art. 87 c.p.a., l’art. 119, l’art. 120 c.p.a. prevedono il dimezzamento di “tutti i termini processuali” e, quindi, potrebbe opinarsi, anche quelli di cui all’art. 72-bis c.p.a.
Posto che viene previsto un rito camerale, sembra applicabile anche la deroga, prevista per i riti camerali, alla necessità di una istanza di fissazione di udienza.
Quindi, sembrerebbe che la causa di immediata definizione possa essere portata in udienza anche se non c’è una istanza di fissazione di udienza. Il che pone un ulteriore problema quando il collegio ritenga che la causa non sia definibile in rito, e fissa l’udienza pubblica.
Fin qui, i dubbi di tipo giuridico che la tempistica del nuovo rito pone.
Ma si pongono ben più consistenti dubbi di agibilità pratica della previsione: essa ipotizza che le cause “nuove” man mano che sopraggiungono, possono essere fissate alla prima udienza utile, il che significa nell’arco di un mese circa dal deposito del ricorso.
Ma tale prescrizione si scontra con la realtà organizzativa concreta dai ruoli di udienza, come imposta dalle regole processuali: infatti, secondo il c.p.a., nel rito ordinario l’avviso di udienza va dato alle parti almeno sessanta giorni prima dell’udienza stessa, e nei riti speciali almeno trenta giorni prima. Il che implica che le cause vengono calendarizzate con un anticipo ben maggiore di quello ipotizzato dall’art. 72-bis c.p.a., sicché quando si verifica il presupposto applicativo dell’art. 72-bis c.p.a., i ruoli delle udienze di merito sono già pieni, e diventa non praticabile calendarizzare ulteriori cause. Tanto, avuto riguardo ai “vincoli interni” imposti dall’Organo di autogoverno, sul numero massimo di affari assegnabili ad udienza per ciascun magistrato.
Va poi considerato che in media almeno il 60% delle cause sono corredate di domanda cautelare, quindi vengono già fissate in una udienza camerale con i tempi dell’art. 55 c.p.a. coincidente con i tempi dell’art. 72-bis c.p.a.
Nel residuo 40% di affari di merito privi di domanda cautelare, il numero di cause suscettibili di immediata definizione in rito, rispetto al totale, è una percentuale del tutto esigua, che per la sua esiguità non giustifica la elaborazione di un rito specifico. Sarebbe bastato prevedere una nuova causa di priorità nella trattazione dei ricorsi, per quelli suscettibili di immediata definizione in rito. O bastava ampliare l’ambito applicativo del già vigente, e ampiamente disapplicato, art. 72 c.p.a. che prevede la fissazione prioritaria dei ricorsi “su questione unica”.
5. I termini per gli atti di parte, assenza di repliche, discussione orale, rinvio della causa e termini a difesa
Come nel rito cautelare, le parti possono depositare memorie e documenti fino a due giorni liberi prima della camera di consiglio.
Nonostante si tratti di un giudizio di merito, sembra soppressa la possibilità di depositare repliche, posto che c’è un termine unico e uguale per tutte le parti, per il deposito di memorie e documenti. E se tale deposito avviene a ridosso dell’ultimo momento utile, le controparti non hanno la pratica possibilità di depositare in tempo una replica.
Il contraddittorio scritto è pertanto molto strozzato, e potrà essere compensato solo dalla discussione orale o dalla possibilità di chiedere il rinvio della causa.
Quanto alla discussione orale, trattandosi di rito camerale, deve trovare applicazione l’art. 87, c. 3, c.p.a., secondo cui nella camera di consiglio sono sentiti i difensori che ne fanno richiesta.
Quanto al rinvio, viene stabilito che può essere chiesto e concesso solo per “eccezionali motivi”.
La previsione dà adito a serie perplessità sotto il profilo della tutela del contraddittorio, perché mal si concilia con la previsione dell’art. 60 c.p.a. relativo alla sentenza immediata in esito alla udienza cautelare, che incontra un limite nella esplicita richiesta di parte di termine a difesa per la proposizione di motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza, regolamento di giurisdizione.
Ci si chiede se tra gli “eccezionali motivi” i redattori dell’art. 72-bis c.p.a. abbiano o meno inteso includere il caso di richiesta di rinvio per termini a difesa per attività processuali che rientrano tra i diritti processuali delle parti.
E, invero, considerati i tempi di fissazione dell’udienza camerale di cui all’art. 72-bis c.p.a., alla data della udienza verosimilmente sono ancora in corso, nella normalità dei casi, i termini per ricorso incidentale, motivi aggiunti, regolamento di competenza e giurisdizione. Sicché, a ben vedere, la richiesta di rinvio per termini a difesa rischia di essere la regola, e non l’eccezione.
Posto che delle norme va data una interpretazione costituzionalmente orientata, si deve ritenere che tra gli eccezionali motivi che giustificano il rinvio rientrano a pieno titolo i casi di richiesta di termini a difesa, senza che il giudice possa compiere alcun vaglio prognostico sulla ammissibilità e utilità in relazione a motivi aggiunti, ricorso incidentale, etc. E’ da ritenere che basti l’istanza di parte di rinvio per tali esigenze, a rendere doveroso il rinvio.
La previsione sul rinvio per eccezionali motivi dà adito a perplessità anche di ordine formale e sistematico. I compilatori dell’art. 72-bis hanno evidentemente obliterato che essi stessi hanno contemporaneamente novellato l’art. 73 c.p.a., con l’introduzione del c. 1-bis che in termini generali ora afferma che “il rinvio della trattazione della causa è disposto solo per casi eccezionali” (che sono riportati nel verbale di udienza ovvero, se il rinvio è disposto fuori udienza, nel decreto presidenziale che dispone il rinvio).
Ci si chiede se ci sia una differenza tra gli “eccezionali motivi” dell’art. 72-bis e i “casi eccezionali” dell’art. 73, c. 1-bis. A lume di buon senso, non c’è nessuna differenza, ma ci si chiede perché due norme coeve, collocate in un medesimo articolo di legge, per disciplinare il medesimo istituto, non solo lo duplichino, ma usino termini diversi, peraltro affidandosi a concetti giuridici indeterminati.
Dunque l’art. 72-bis, ponendosi autoreferenzialmente come microsistema, non fa che clonare una previsione già introdotta in termini generali nell’art. 73 c.p.a.
Trattandosi poi di una clonazione solo parziale, resta il dubbio esegetico se anche nel caso di rinvio accordato ai sensi dell’art. 72-bis, occorra applicare la regola ulteriore, indicata nell’art. 73, c. 1-bis, che le ragioni del rinvio vanno riportare nel verbale di udienza o nel decreto presidenziale che dispone il rinvio fuori udienza. E la risposta dovrebbe essere senz’altro affermativa.
Se il rinvio è concesso, la causa va fissata secondo l’art. 72-bis c.p.a., “alla prima camera di consiglio utile successiva”. In tal caso, la prima camera di consiglio “utile” va intesa non in termini di “calendario delle udienze” come prima udienza di calendario immediatamente successiva, ma come prima udienza “utile” dopo il termine necessario per garantire le esigenze della difesa. In caso di rinvio per motivi aggiunti o ricorso incidentale, ad es., occorrerà rispettare i termini pieni del codice per notifica e deposito di motivi aggiunti o ricorso incidentale, e per il deposito delle conseguenti memorie e repliche, e la prima udienza utile sarà solo quella successiva all’espletamento pieno delle attività difensive.
Va infatti ribadito che per tali attività non vi è alcun dimezzamento di termini, se si tratta di cause che seguono il rito ordinario, perché il procedimento dell’art. 72-bis c.p.a., al di fuori dei termini stringati per la fissazione della udienza camerale, non prevede né consente in via esegetica alcun altro dimezzamento dei termini processuali assegnati alle parti.
Sulle modalità del rinvio, deve segnalarsi una ulteriore differenza foriera di dubbi esegetici tra l’art. 72-bis e l’art. 73, c. 1-bis. L’art. 72-bis si preoccupa di indicare a quando si fa il rinvio (la prima camera di consiglio utile). L’art. 73, c. 1-bis, pur ammettendo la possibilità di rinvio in casi eccezionali, nulla dice sulla data del rinvio, lasciando adito al dubbio che il rinvio possa farsi sia a data fissa che a data da destinarsi. Ma un rinvio a data da destinarsi sarebbe un aggiramento del neointrodotto divieto di cancellazione della causa dal ruolo, contenuto nel medesimo art. 73, c. 1-bis, unitamente alla regola sulla eccezionalità del rinvio. Peraltro, lo stesso divieto di cancellazione dal ruolo, è stato introdotto dimenticando che di cancellazione della causa dal ruolo continua a esistere nell’art. 71 c.p.a. Una abrogazione espressa dell’inciso contenuto nell’art. 71 c.p.a. sarebbe stato un serio contributo al dovere di chiarezza delle norme processuali.
6. Il rilievo d’ufficio delle questioni di rito
Il presupposto della “immediata definizione” della causa è, come si è detto, l’esistenza di una questione di rito, circoscritta ai casi di irricevibilità o inammissibilità del ricorso, che siano manifesti.
Nella normalità dei casi, vi sarà già una eccezione di parte.
E questo è il caso più semplice in cui la causa può essere effettivamente definita nella camera di consiglio fissata allo scopo.
Diverso è il caso in cui il presidente abbia fissato la causa alla camera di consiglio ritenendo d’ufficio che vi sia una possibilità di definizione in rito.
In questo caso, infatti, occorre assicurare il contraddittorio delle parti sulla questione di rito, in ossequio al divieto delle sentenze “a sorpresa”, divieto sotteso al già vigente art. 73 c. 3 c.p.a.
L’art. 73 c. 3 c.p.a. già prevede un meccanismo per sottoporre a contraddittorio delle parti una questione rilevata d’ufficio. Esso ipotizza la sottoposizione della questione alle parti in udienza, dando ad esse solo il contraddittorio orale, anche se nella prassi talora si consentono, nei casi più complessi, termini a difesa, dopo aver rilevato la questione in udienza. Sempre l’art. 73 c. 3 c.p.a. impone il contraddittorio scritto solo se la questione d’ufficio emerge solo dopo il passaggio della causa in decisione. In tal caso la decisione viene riservata e alle parti è assegnato un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie.
Da tale meccanismo si discosta l’art. 72-bis c.p.a., prevedendo, oltre che il rilievo d’ufficio della questione in udienza, il contraddittorio scritto come obbligatorio nei casi di particolare complessità, sempre su questione rilevata in udienza. Ma con un termine inferiore a quello dell’art. 73 c. 3 c.p.a., non più trenta giorni, ma solo venti giorni. E con la precisazione che in tal caso la sola camera di consiglio decisoria (ossia la riunione dei soli giudici) è differita alla scadenza del termine assegnato, ma non occorre una nuova udienza camerale con la partecipazione delle parti.
Il meccanismo ipotizzato dall’art. 72-bis c.p.a. appare processualmente preferibile a quello ipotizzato dall’art. 73 c. 3 c.p.a.
Come si è detto, l’art. 73 c. 3 c.p.a. non prevede la possibilità di contraddittorio scritto se la questione di rito è rilevata d’ufficio in udienza: le parti sono tenute a “improvvisare” la discussione. Solo in via di prassi non scritta, nei casi più complessi il collegio assegna un termine a difesa, rinviando non solo la decisione, ma anche l’udienza. Il meccanismo di cui all’art. 73 c. 3 c.p.a. si discosta dal modello processuale contenuto nel c.p.c. all’art. 101 c. 2, c.p.c., che al contrario prevede sempre l’assegnazione di un termine a difesa anche quando la questione è rilevata d’ufficio in udienza alla presenza delle parti.
La soluzione recata dall’art. 72-bis c.p.a. appare una “via di mezzo” tra il modello dell’art. 101 c. 2 c.p.c. (contraddittorio scritto sempre), e quello dell’art. 73 c. 3 c.p.a. (contraddittorio scritto mai, se la questione è rilevata in udienza), consentendo, in una logica di bilanciamento, un solo contraddittorio orale nei casi semplici, e l’ammissione del contraddittorio scritto nei casi “di particolare complessità” della questione sollevata.
Tuttavia, non ha alcun senso far coesistere nel c.p.a. due meccanismi differenti di contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio, uno nell’art. 72-bis c.p.a. e uno nell’art. 73, c. 3 c.p.a. Bisognava semplicemente sostituire, mediante novella, la norma recata nell’art. 73 c. 3 c.p.a., anziché duplicarla.
7. La fissazione dell’udienza pubblica per le cause non definibili in rito
Dispone l’art. 72-bis c. 2 che “se la causa non è definibile in rito, il collegio con ordinanza fissa la data dell’udienza pubblica”.
Si è già osservato che da tale norma si desume che il presupposto della possibilità di “immediata definizione” della causa va circoscritto alle questioni di rito. Invece le questioni di merito, quand’anche la causa appaia nel merito “manifestamente” fondata o infondata, non giustificano la fissazione di una udienza camerale. Sarebbe un inutile dispendio di tempi e attività processuali, fissare una udienza camerale in cui il collegio dovrebbe limitarsi a rilevare che la causa va decisa nel merito, e fissare una udienza pubblica.
Ma la norma in commento ha anche un ulteriore significato, anche avuto riguardo alla sua collocazione subito dopo la previsione secondo cui la questione di rito viene sottoposta al contraddittorio delle parti.
Può accadere che il Collegio, sia autonomamente, sia dopo aver sottoposto la questione di rito al contraddittorio delle parti, si convinca che la questione di rito non sia fondata, e che la causa vada decisa nel merito.
In tal caso, il rito va convertito e la causa va trattata in udienza pubblica.
La disposizione prevede che in tale evenienza il Collegio “con ordinanza fissa la data dell’udienza pubblica”.
La prima questione che si pone, già accennata, è se l’udienza pubblica possa essere fissata anche se non c’è istanza di parte di fissazione dell’udienza.
Si è detto che nella prima fase del rito, camerale, sembra non necessaria l’istanza di fissazione dell’udienza. Ma se si converte il rito da camerale a udienza pubblica, non vi sono ragioni per derogare alla regola che occorre istanza di parte di fissazione di udienza.
Quindi, presupposto implicito della possibilità per il Collegio di fissare la data dell’udienza pubblica, è che vi sia una istanza di parte di fissazione dell’udienza.
In mancanza, l’ordinanza si dovrà limitare a ritenere la causa non definibile in rito e a rimetterla sul ruolo delle cause in attesa di fissazione.
Occorre poi interrogarsi sul contenuto di tale ordinanza: la stessa non può infatti limitarsi a fissare la data dell’udienza pubblica, dovendo invece anche dare conto del presupposto della conversione del rito da camerale a pubblico e del rinvio della trattazione. Il presupposto è che “la causa non è definibile in rito”.
Occorre chiedersi quale sia la natura e l’effetto di una ordinanza che affermi che “la causa non è definibile in rito”.
Potrebbe infatti trattarsi di una decisione “parziale” sul rito, che quindi affronta la questione di rito con attitudine al giudicato. E in tal caso, al di là del nomen iuris, si tratta di una sentenza parziale, suscettibile, se resa in primo grado, di appello immediato o di riserva di appello.
Ovvero, l’ordinanza collegiale potrebbe più genericamente limitarsi ad affermare che non ricorre una situazione manifesta per definire la causa in rito, senza pronunciarsi sulla questione di rito in modo definitivo, e rinviando ad un approfondimento nell’udienza pubblica, oltre che del merito, anche del rito.
In questo caso, l’ordinanza non decide la questione di rito, e non preclude che nella successiva udienza pubblica la causa possa avere, a seguito di maggiore approfondimento, un esito in rito invece che in merito.
La previsione dell’art. 72-bis sulla ordinanza che fissa l’udienza pubblica se il collegio ritiene che la causa non è definibile in rito, è troppo vaga e generica per consentire all’interprete di optare per una delle due soluzioni sopra viste. E siccome la realtà concreta è più complessa e variegata di quanto la norma possa immaginare e contenere, e siccome l’art. 72-bis non pregiudica in alcun modo i poteri valutativi che altre norme processuali attribuiscono al collegio, è da ritenere che entrambe le soluzioni siano praticabili. Sia quella di una sentenza parziale che respinge la questione di rito con attitudine al giudicato, e conseguente appellabilità, sia quella di una ordinanza che rinvia all’udienza pubblica la decisione sia in rito che in merito, limitandosi ad affermare che la causa non è definibile in rito con immediatezza, senza alcun pregiudizio per una decisione in rito all’esito di un esame più approfondito in udienza pubblica.
Nel primo caso, la decisione è appellabile, perché definisce la questione di rito con attitudine al giudicato.
Nel secondo caso, la decisione non è appellabile, perché non definisce la questione di rito, ma si limita ad affermare che la stessa non è di agevole definizione in udienza camerale.
8. La decisione in forma semplificata
L’art. 72-bis c.p.a. si conclude con la perentoria affermazione che “in ogni caso la decisione è adottata con sentenza in forma semplificata”.
Dato che la previsione non indica il contenuto della decisione in forma semplificata, si deve ritenere che faccia implicito rinvio all’art. 74 c.p.a. che indica la “tecnica di redazione” della sentenza in forma semplificata.
Meno chiaro è l’ambito applicativo della sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 72-bis c.p.a. Occorre attribuire significato all’inciso “in ogni caso”.
Ci si chiede se la previsione si riferisca solo ai casi in cui la causa è decisa in udienza camerale. Perché solo per una decisione “immediata” di una causa di “pronta definizione” si giustifica la sentenza in forma semplificata.
O se invece la previsione si riferisca pure ai casi in cui il Collegio ritiene che la causa non è definibile in rito, e quindi dispone il rinvio della causa per trattazione in pubblica udienza.
Il dubbio esegetico si pone a causa della collocazione sistematica della previsione. Infatti, l’art. 72-bis prima stabilisce che se la causa non è definibile in rito, il collegio fissa la data dell’udienza pubblica. E subito dopo aggiunge “in ogni caso” la decisione è adottata con sentenza in forma semplificata.
Il che potrebbe far pensare che la decisione in forma semplificata si adotta anche nel caso in cui viene fissata l’udienza pubblica.
Ma si tratta di un risultato esegetico illogico e sproporzionato, sicché il criterio della esegesi letterale deve essere superato dal criterio della interpretazione logica e sistematica.
Quindi la decisione in forma semplificata si adotta solo se la causa viene decisa in rito in esito all’udienza camerale, e non se la causa viene rinviata alla pubblica udienza.
9. Conclusioni
Il nuovo rito processuale introdotto dall’art. 72-bis c.p.a. appare, se non addirittura del tutto superfluo, sproporzionato rispetto agli obiettivi.
Le situazioni che intende regolare erano già agevolmente fronteggiabili con gli strumenti processuali vigenti, quali:
1) il decreto monocratico per le questioni di rito consistenti in improcedibilità o estinzione;
2) la sentenza immediata in esito all’udienza cautelare;
3) la fissazione prioritaria dei ricorsi con questione unica;
4) la generalizzata sentenza in forma semplificata nei casi di situazioni manifeste;
5) i numerosissimi riti con termini dimezzati o ulteriormente ridotti, già previsti dal c.p.a.
Sicché si può anche dubitare della sussistenza del duplice presupposto della necessità e urgenza per l’inserimento di tale disposizione in sede di conversione di un decreto legge.
L’art. 72-bis inoltre si pone come una monade nel tessuto del c.p.a., senza un adeguato coordinamento con le altre previsioni, utilizzando concetti giuridici indeterminati e inediti che si sovrappongono ad altre analoghe espressioni del c.p.a., come il concetto di “immediata definizione”, di “eccezionali motivi”, “particolare complessità”.
Ancora, l’art. 72-bis crea un regime differenziato sul contraddittorio sulle questioni rilevabili d’ufficio, rispetto all’art. 73 c. 3 c.p.a., di difficile giustificazione costituzionale, oltre che un regime differenziato sulle modalità del rinvio delle cause, rispetto al neointrodotto art. 73, c. 1-bis.
L’art. 72-bis c.p.a. strozza il contraddittorio su cause di merito, senza una effettiva ragione ed esigenza.
Ancora una volta è stato commesso il comune e ricorrente errore di regolare un ambito dell’ordinamento come se fosse una tabula rasa, senza alcuna memoria storica di ciò che già esiste e con una povera consapevolezza di come ciò che già esiste funziona o non funziona in concreto.
Ancora una volta, è stato commesso il comune e ricorrente errore di affidare a norme processuali pseudo-salvifiche la soluzione del problema dell’arretrato degli uffici giudiziari, che ha invece bisogno di scelte organizzative e non processuali.
Il tutto, poi, senza una adeguata ponderazione e analisi di impatto nella fase di elaborazione della norma, senza alcuna partecipazione e alcuna audizione preventiva degli attori del processo, giudici e avvocati.
Finché si perdura in norme processuali illusorie in una sorta di autoinganno collettivo, non si rende alcun buon servizio né alla macchina processuale né ai cittadini che attendono fiduciosamente una decisione che sia giusta e tempestiva.