Concorrenza e giurisdizione: il caso R.A.I. Pubblicità (nota a T.A.R. Liguria, sez. II, 9 aprile 2021, n. 307)
di Fabiola Cimbali
Sommario: 1. Premessa - 2. La “vicenda” R.A.I. Pubblicità s.p.a. - 3. L'organismo di diritto pubblico: tratti distintivi ed elementi qualificanti - 4. L’impresa pubblica: connotati identificativi e fattori sintomatici - 5. Mercato e giurisdizione.
1. Premessa
I profili affrontati nella sentenza n. 307 emessa il 9 aprile 2021 dalla seconda sezione del T.A.R. Liguria confermano la complessità del quadro giuridico concernente gli strumenti mediante i quali si esplica l’intervento pubblico nell’economia, costituendo parimenti uno stimolante pretesto per soffermarsi sulle nozioni di “impresa pubblica” e di “organismo di diritto pubblico”[1].
L’utilità di una riflessione a riguardo non è riconducibile a ragioni di carattere teorico, ma è legata all’esigenza di valutare le implicazioni che siffatta distinzione presenta sul piano applicativo, soprattutto per quanto concerne il rinvio alla disciplina sugli appalti pubblici ed al regime dell’evidenza pubblica.
La delimitazione dei confini definitori è fortemente condizionata dall’evoluzione che ha interessato la normativa nazionale e comunitaria di riferimento e da essa ne dipende la relativa imposizione ad “organismi” che, pur dotati di una “fisionomia” privatistica, mantengono una “impronta pubblicistica” sul piano dell’attività svolta.
Essa, inoltre, ha rilevanti conseguenze sulla tutela, specialmente sul radicamento della giurisdizione in capo al giudice amministrativo e sulla individuazione delle “regole processuali” cui dare attuazione nella singola fattispecie.
Per tale ragione, in un’ottica di ricostruzione della cornice ordinamentale, è indispensabile che la definizione dei profili contenutistici di “impresa pubblica” e di “organismo di diritto pubblico” avvenga alla luce della regolamentazione di settore culminata nell’ordinamento interno con l’adozione del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (c.d. Codice dei contratti pubblici).
D’altra parte, la ricomposizione dello scenario giuridico non può prescindere dal fare riferimento alla normativa comunitaria sugli appalti la cui ratio si rinviene nell’esigenza di assicurare il coordinamento e l’armonizzazione delle procedure di aggiudicazione, così da porre le basi per una concorrenza effettiva, idonea a garantire le libertà fondamentali per l’integrazione europea[2].
In questo quadro la scelta metodologica di “filtrare” siffatta indagine attraverso il prisma della giurisprudenza (nazionale e comunitaria) appare appropriata nella misura in cui sia funzionale a metterne in evidenza gli sviluppi per effetto delle intervenute modificazioni normative od anche di una rinnovata esegesi della vigente disciplina.
Le difficoltà incontrate dalla giurisprudenza amministrativa nell’applicazione dei criteri comunitari ai “soggetti” che operano nel settore degli appalti pubblici si palesano in tutte le loro sfaccettature nella recente sentenza esaminata principalmente a proposito della possibilità di ricondurre R.A.I. Pubblicità s.p.a. nel novero degli organismi di diritto pubblico.
Il T.A.R. Liguria, chiamato a pronunciarsi sulla legittimità di un provvedimento adottato ad esito di una gara di appalto indetta da tale società (interamente partecipata dalla RAI – Radiotelevisione italiana s.p.a. con oggetto sociale la raccolta di pubblicità destinata ai programmi radio televisivi) l’ha qualificata come organismo di diritto pubblico con quanto ne consegue sulla disciplina sostanziale e processuale da applicare, nonché sulla scelta dell’autorità giurisdizionale innanzi alla quale incardinare la controversia per ottenere adeguata ed effettiva tutela.
2. La “vicenda” R.A.I. Pubblicità s.p.a.
Nel caso sottoposto al sindacato del T.A.R. Liguria - che ha sollecitato le riflessioni che seguono – il giudice amministrativo ha assunto la sua decisione ad esito di un processo promosso dalla Publi Level s.r.l. allo scopo di ottenere l’annullamento del provvedimento adottato da R.A.I. Pubblicità s.p.a. riguardante l’affidamento ad altra società del servizio d’appalto per l’allestimento e la gestione in occasione del Festival di Sanremo 2019 di eventi collaterali e connessi alla manifestazione musicale organizzati da RAI – Radiotelevizione italiana s.p.a. e/o di cui quest’ultima era partner, nonché l’utilizzo della location di svolgimento di alcuni dei predetti eventi[3].
A detta richiesta si accompagnava quella di condannare RAI Pubblicità s.p.a. al risarcimento dei danni subiti e subendi dalla ricorrente derivanti dal guadagno non realizzato, dal mancato arricchimento del curriculum professionale e dalla perdita di chance[4].
Dal punto di vista giuridico, le spiegate richieste venivano supportate adducendo distinti motivi di censura del provvedimento impugnato fondati sulla violazione di talune disposizioni del d.lgs. n. 50/2016 e dei principi generali dell’ordinamento giuridico.
Segnatamente, dalla prima angolazione, veniva asserita l’inosservanza degli articoli 71,72 e 73 per non avere la resistente, in spregio ai principi di trasparenza e di pubblicità vigenti in materia di contratti pubblici, provveduto alla pubblicazione di alcun bando; nonché la violazione degli articoli 61 e 64, essendo stata negata a Publi Level s.r.l. l’assegnazione del prescritto termine minimo di trenta giorni di tempo per potere presentare l’offerta.
Dalla seconda prospettiva, veniva rilevata la “trasgressione” dei principi di correttezza, di non discriminazione e di parità di trattamento in quanto l’originaria mancanza di coinvolgimento nella procedura di affidamento era sprovvista di corredo motivazionale e basata su informazioni non verificate.
RAI Pubblicità s.p.a., costituitasi in giudizio, contestava l’applicazione delle regole sull’affidamento dei contratti pubblici sostenendo che la vicenda sulla quale si era innestata la controversia concernesse un contratto di diritto privato concluso da una società di capitali dedita al perseguimento di scopi tipicamente imprenditoriali. Sulla base di tale assunto negava la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo ed eccepiva, altresì, l’irricevibilità del ricorso in quanto proposto una volta scaduto il termine di trenta giorni decorrenti dal ricevimento della lettera di invito alla procedura. Contestava, infine, l’ammissibilità della richiesta risarcitoria ritenendola indeterminata e priva di adeguato supporto probatorio.
Il Tribunale amministrativo ligure si pronunciava sul ricorso dichiarandolo irricevibile in quanto proposto oltre i termini prescritti a tal uopo e rigettava la domanda risarcitoria considerandola indeterminata e non dimostrata in ordine non solo alla probabilità di ottenere l’affidamento dell’appalto, ma anche relativamente all’entità del pregiudizio sofferto.
Il percorso logico giuridico seguito dalla sentenza muoveva dall’inquadramento dell’attività posta in essere da un soggetto imprenditoriale che opera nel mercato delle comunicazioni commerciali. Ciò al fine di metterne in risalto le possibili implicazioni sulla natura giuridica della società ricorrente, sull’applicabilità della disciplina del Codice dei contratti pubblici e, quindi, sulla riconducibilità della controversia insorta nell’alveo della giurisdizione del giudice amministrativo.
Preso atto della tesi affermata dalla giurisprudenza amministrativa e dalla Corte di cassazione sull’ascrivibilità della “società madre” (RAI-Radiotelevisione italiana s.p.a.) alla categoria degli organismi di diritto pubblico, il T.A.R. adito si mostrava consapevole delle incertezze cui può dar luogo l’applicazione della c.d. “teoria del contagio”[5]. Per tali ragioni peraltro, attesa l’assenza di pronunce che facessero luce sulla qualificazione giuridica della società resistente in termini di amministrazione aggiudicatrice e sul consequenziale obbligo di “impiegare” le regole dell’evidenza pubblica nella scelta dei contraenti, evidenziava l’importanza di verificare la sussistenza delle condizioni essenziali richieste per ricondurla nella predetta categoria[6].
Richiamato l’articolo 3, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 50/2016 e formulate alcune considerazioni alla luce del dato normativo invocato, perveniva alla conclusione che RAI Pubblicità s.p.a. fosse un organismo di diritto pubblico e che, in quanto amministrazione aggiudicatrice, dovesse osservare le disposizioni contenute nel Codice dei contratti pubblici.
Secondo siffatto ragionamento il rinvio alla citata normativa implicava, a norma dell’art. 133, comma 1, lett. e), n. 1), c.p.a., l’attrazione della controversia nell’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo e l’impiego delle norme del Codice del processo amministrativo.
Nel pervenire alle spiegate conclusioni, il T.A.R. ligure non condivideva il rilievo articolato dalla ricorrente secondo cui la decisione di non presentare alcuna offerta non era dipesa da riserve o perplessità sui meccanismi di scelta del contraente, quanto dal ritardo con il quale era stato effettuato l’invito alla gara che le aveva precluso di formalizzare «un’offerta corretta e consapevole». Da tale premessa fattuale, ricostruita anche sulla base degli elementi forniti da Publi Level s.r.l., l’autorità giurisdizionale decidente traeva, comunque, la conclusione di far ricadere sulla predetta società l’onere di contestare la lesività dell’atto nel termine accelerato di cui all’art. 120, comma 5, c.p.a. pena - come in effetti verificatosi - la tardività del ricorso e, dunque, la sua inammissibilità.
Sul fronte risarcitorio, inoltre, non riteneva meritoria di accoglimento la correlata richiesta di un ristoro per equivalente attesa l’omessa partecipazione alla procedura di gara e l’assenza di una impugnazione tempestiva. L’estraneità alla procedura, infatti, aveva precluso a Publi Level s.r.l. di dimostrare che sarebbe stata in condizione di aggiudicarsi l’appalto e, pertanto, la richiesta risarcitoria veniva considerata indeterminata e generica.
L’autorità giurisdizionale decidente, infine, nell’ottica della mitigazione e/o dell’esclusione del danno, nell’assumere la sua determinazione conclusiva valutava il comportamento delle parti secondo il canone di buona fede ed il principio di solidarietà. Non sottovalutava, perciò, la mancata attivazione degli strumenti di tutela accordati dall’ordinamento e, nello specifico, la scelta processuale di Publi Level s.r.l. di non aver presentato alcuna istanza cautelare per preservare la «propria posizione di aspirante all’esecuzione del relativo servizio».
3. L'organismo di diritto pubblico: tratti distintivi ed elementi qualificanti
La decisione in commento conferma come l’esigenza di fissare criteri idonei a qualificare la natura giuridica dei soggetti cui applicare il regime dell’evidenza pubblica sia particolarmente avvertita nel settore degli appalti pubblici.
Per tale ragione può rivelarsi utile una (seppure sintetica) analisi del dato normativo (comunitario e nazionale) allo scopo di appurare se possano trarsi elementi significativi nella definizione dei contorni concettuali di “impresa pubblica” e di “organismo di diritto pubblico”[7].
Fermo restando “l’intento normativo” di garantire una concorrenza tra gli operatori economici improntata a lealtà e trasparenza, per l’individuazione di coloro sui quali fare ricadere gli obblighi derivanti dall’evidenza pubblica, la normativa comunitaria, piuttosto che utilizzare la tecnica della elencazione tassativa, opta per una nozione “elastica” di amministrazioni aggiudicatrici tenute ad attivare le procedure di affidamento degli appalti[8].
Oltre lo Stato e gli Enti locali, infatti, sono considerati tali, gli “organismi di diritto pubblico”, in quanto “istituiti per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale” (requisito teleologico)[9], “dotati di personalità giuridica” (requisito personalistico), “la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli Enti locali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è sottoposta a controllo da questi ultimi, oppure i cui organi di amministrazione, o di direzione o di vigilanza, sono costituiti da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli Enti locali o da altri organismi di diritto pubblico” (requisito dell’influenza dominante).
Tuttavia, mentre la riconduzione dello Stato e degli Enti locali nell’alveo delle amministrazioni aggiudicatrici avviene agevolmente, secondo tradizionali parametri formali, quella dell’organismo di diritto pubblico, in quanto “categoria aperta”, richiede una articolata operazione esegetica che implica l’accertamento di tre differenti parametri, la cui sussistenza deve essere valutata caso per caso.
I requisiti personalistico e dell’influenza dominante, presentando tratti distintivi facilmente identificabili, non pongono complicate questioni interpretative[10]. Diversamente deve concludersi per l’indicatore teleologico che permea intrinsecamente la nozione di organismo di diritto pubblico a tal punto da segnare il fondante discrimen rispetto ad “entità” (almeno in apparenza) analoghe, ma non tenute ad osservare la normativa sugli appalti pubblici[11]. In ragione degli effetti sulla qualificazione giuridica l’accertamento di tale parametro, oltre ad essere effettuato caso per caso, deve riguardare non solo il carattere generale (non industriale o commerciale) dell’interesse perseguito, ma la natura dell’attività svolta[12].
L’organismo di diritto pubblico integra, dunque, gli estremi di una nozione della quale la norma si serve per qualificare varie figure giuridiche tenute all’utilizzo trasparente di idonee procedure di gara laddove gli operatori attingano dal mercato i beni, le opere o i servizi necessari alla propria attività volta alla concretizzazione di bisogni pubblici da realizzare nel “campo” in cui operano.
La predilezione mostrata per “modelli” dai tratti “flessibili” nasce dalla circostanza che la relativa nozione è destinata a transitare, adattandosi di volta in volta, in eterogenei ordinamenti giuridici, rappresentando in tal modo una sorta di fondamentale collegamento tra il “contesto” di creazione e quello di approdo.
È inevitabile, però, che in sede normativa la decisione di non avvalersi di specifiche schematizzazioni per la qualifica di organismo di diritto pubblico optando per una valutazione di tipo pragmatico, non agevoli lo Stato membro nell’attuazione dei meccanismi di recepimento, chiamato ad avvalersi di un concetto non solo ad esso estraneo, ma anche di problematico approccio ermeneutico[13].
4. L’impresa pubblica: connotati identificativi e fattori sintomatici
Nella direttiva 2014/23/UE – con una struttura che nelle grandi linee ripropone quella della direttiva 04/17 - nel novero degli enti aggiudicatori è inclusa anche l’impresa pubblica (art. 7, comma 1) sulla quale le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare direttamente o indirettamente un’influenza determinante per ragioni legate alla proprietà, alla partecipazione finanziaria o alla normativa (art. 7, comma 4). Con una formulazione analoga, la categoria delle imprese pubbliche è definita prima nell’art. 3, comma 28, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e, poi, in termini simili nell’art. 3, comma 1, lett. t), d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50[14]. In base alle richiamate disposizioni fattori sintomatici dell’esistenza del collegamento fra impresa ed amministrazioni possono rinvenirsi nella proprietà pubblica dell’assetto societario, nell’attribuzione ai poteri pubblici della maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni o le quote della società, nonché il diritto da parte degli stessi di designare più della metà dei componenti gli organi di amministrazione, vigilanza e controllo.
Non riveste, dunque, rilevanza alcuna il connotato finalistico che impone il soddisfacimento di bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale[15]. In quanto proiettata al perseguimento di uno scopo di lucro o connotata dal criterio di autonomia finanziaria nella relativa gestione, inoltre, essa sopporta su sé il rischio derivante dall’attività espletata e, dunque, soggiace alle comuni regole della concorrenza[16].
Detto tratto qualificante, non essendo destinato ad ostacolare una concorrenza piena e libera, non obbliga il rinvio ai “percorsi” dell’evidenza pubblica, il cui rispetto, invece, si impone per i settori speciali ove è elevato e concreto il pericolo di alterare i meccanismi ed i principi che assicurano l’equilibrio e la parità di trattamento fra gli operatori del mercato[17].
Il regime dell’evidenza pubblica, pertanto, trova attuazione in modo pieno per le amministrazioni aggiudicatrici nei c.d. settori ordinari ed in maniera “temperata” per le imprese pubbliche dal momento che queste ultime vi soggiacciono limitatamente ai c.d. settori speciali.[18]
D’altro canto, una estensione in via analogica alle imprese pubbliche della disciplina sull’evidenza pubblica anche con riferimento ai settori ordinari non è praticabile. A ciò osta una lettura della richiamata impostazione normativa (comunitaria e codicistica) rigorosa e coerente rispetto all’esigenza di garantire l’effettivo esercizio della libertà di impresa che, peraltro, gode di apposita copertura costituzionale (art. 41 Cost.)[19]. Ciò, comunque, non esclude che l’impresa pubblica – al fine di assumere condotte più trasparenti in ragione della sua natura pubblica o per seguire procedure consolidate - ricorra alle procedure di evidenza pubblica in tutto od in parte ogniqualvolta scelga di intraprendere strade proiettate al perseguimento di bisogni di interessi generali privi del carattere industriale o commerciale, permeate da una logica differente da quella mirante alla remunerazione del capitale[20].
Specificamente per quanto riguarda il requisito teleologico, da un lato, ne è stata presuntivamente riscontrata la sussistenza in caso di mancanza di un contesto concorrenziale in cui si trova ad operare un determinato soggetto[21]; dall’altro, è stato evidenziato come l’accertamento di tale parametro passi da una accurata indagine delle relazioni finanziarie intercorrenti con l’ente pubblico[22].
Alla luce di tali indicazioni la diversificazione tra le imprese pubbliche e gli organismi di diritto pubblico prescinde dal modello organizzativo adottato, essendo piuttosto ancorata, tanto al diverso atteggiarsi delle prime, che, inserite in un ambito concorrenziale, sono esposte al rischio di impresa non potendo, conseguentemente, invocare l’intervento dell’ente di riferimento al fine di un ripianamento delle eventuali perdite; quanto alla possibilità di gestire servizi rinunciabili da parte dell’ente di riferimento.
L’intrinseca differenza fra la categoria dell’impresa pubblica e quella dell’organismo di diritto pubblico delineata a livello normativo pone, però, la questione dell’esistenza di possibili margini di sovrapponibilità in merito alla quale sono state offerte letture non proprio convergenti[23]. A fronte di una posizione più rigida, che ha escluso forme di commistione, ve n’è un’altra che propone formule organizzatorie atipiche, in cui sono contestualmente presenti elementi caratteristici dell’una e dell’altra categoria. Nella prima direzione muove il filone che, adottando la formula esegetica più restrittiva, pone su piani antitetici i concetti di “potere pubblico” e di “impresa pubblica”; nella seconda, la teoria che, pur dinanzi a modelli dalle differenti venature organizzatorie, invoca il regime dell’evidenza pubblica[24].
L’adesione all’una impostazione teorica o all’altra deve in ogni caso prendere atto dell’esistenza di un connotato comune ad entrambe le fattispecie ravvisabile nell’impiego dello strumento societario; nonché di un netto tratto differenziale - il metodo non economico - costituito dall’espletamento di una attività generale priva del carattere industriale o commerciale che, ontologicamente inconciliabile con il concetto di impresa, permea esclusivamente la figura dell’organismo di diritto pubblico[25].
5. Mercato e giurisdizione
Dalla sintetica ricostruzione dello scenario normativo ed ermeneutico di riferimento emerge come le regole dell’evidenza pubblica applicabili agli organismi di diritto pubblico siano rivolte alle imprese pubbliche relativamente ai settori speciali, con la fisiologica conseguenza che nelle controversie sorte in tali “campi” le azioni processuali devono essere incardinate dinanzi al giudice amministrativo.
Preliminarmente è utile osservare che “l’area” delle telecomunicazioni non rientra più fra i settori esclusi dalla disciplina generale; pertanto i contratti di appalto funzionali a detto ambito soggiacciono alla relativa regolamentazione codicistica soltanto allorché siano affidati da amministrazioni aggiudicatrici.
I soggetti diversi da queste ultime - fra i quali vanno contemplate le imprese pubbliche – sono chiamati ad osservare le regole pubblicistiche poste a tutela della concorrenza limitatamente agli appalti riguardanti le attività riconducibili ai settori speciali (gas, energia, elettricità acqua trasporti, porti, aeroporti, servizi postali). Diversamente, per i contratti “estranei” a tali ambiti, esse, agendo alla stregua di un “comune” soggetto privato, sono esonerate dal dare attuazione alla disciplina vigente con riguardo all’affidamento di “pubbliche commesse” giacché in tali ipotesi non vi è l’esigenza di garantire la concorrenza ricorrendo a formule procedimentali tipiche dell’evidenza pubblica ed a meccanismi volti ad assicurare trasparenza e pubblicità delle procedure[26].
Nel caso di specie, tuttavia, l’inquadramento della società resistente in termini di organismo di diritto pubblico avviene ad esito di un percorso argomentativo non perfettamente allineato rispetto alla descritta cornice normativa e giurisprudenziale.
Il T.A.R. Liguria, dichiarata infondata l’eccezione della società resistente, ha ritenuto sussistente la giurisdizione amministrativa sostenendo che Rai Pubblicità fosse assoggettata all’evidenza pubblica proprio in quanto organismo di diritto pubblico.
Il decidente è pervenuto a tale conclusione sul presupposto che Rai Pubblicità fosse «istituita per soddisfare esigenze di interesse generale della “Società madre” alla quale garantisce, attraverso la raccolta pubblicitaria una parte essenziale delle risorse necessarie per l’esercizio del servizio pubblico radiotelevisivo non avente carattere esclusivamente commerciale».
Tale assunto poggia su due diversi, ma connessi, pilastri concettuali riguardanti sia il “legame” di RAI Pubblicità con RAI-Radiotelevisione italiana, sia lo scopo sociale sotteso all’attività svolta dalla prima.
Dalla prima visione prospettica, il convincimento secondo cui RAI Pubblicità, (già SIPRA) sia stata istituita «per soddisfare esigenze di interesse della “Società madre” (…)» induce il T.A.R. ligure ad affermare che essa persegua interessi di rilevanza pubblicistica, considerando «indifferente che, oltre alle attività volte a soddisfare esigenze di interesse generale, essa svolga anche attività a scopo di lucro sul mercato concorrenziale».
A questo proposito la Corte di Giustizia - con una pronuncia richiamata proprio nella decisione esaminata - ha chiarito come per essere considerata amministrazione aggiudicatrice non è «sufficiente che un’impresa sia stata istituita da un’amministrazione aggiudicatrice o che le sue attività siano finanziate con mezzi finanziari derivanti dalle attività esercitate da un’amministrazione aggiudicatrice». È, invece, indispensabile che si tratti di un organismo istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale e «la cui attività risponde a siffatte esigenze». In questa impostazione è, dunque, rimarcata la volontà del legislatore dell’Unione di escludere un generalizzato rinvio al regime dell’evidenza pubblica ed alle norme vincolanti sugli appalti pubblici[27].
D’altro canto, l’accertamento volto a verificare che l’attività espletata soddisfi esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale deve essere condotto in modo concreto, ossia «tenendo conto di tutti gli elementi di diritto e di fatto pertinenti, quali le circostanze che hanno presieduto alla creazione dell’organismo considerato e le condizioni in cui quest’ultimo esercita le attività volte a soddisfare esigenze di interesse generale, ivi compresa, in particolare la mancanza di concorrenza sul mercato, la mancanza del perseguimento di uno scopo di lucro, la mancanza di assunzione di rischi collegati a tale attività nonché il finanziamento pubblico eventuale delle attività di cui trattasi»[28].
È improbabile che allorquando l’organismo operi in condizioni normali di mercato, persegua uno scopo di lucro e subisca le perdite collegate all’esercizio di dette attività, le esigenze che esso mira a soddisfare abbiano indole diversa da quella industriale o commerciale[29].
È fondamentale, perciò, fare chiarezza - circoscrivendone i contorni - sullo scopo sociale della società resistente nell’attuale articolazione organizzatoria ed in quella originaria precisando che secondo quanto stabilito nell’art. 2 dell’atto costitutivo e statuto di SIPRA, lo scopo sociale andava ravvisato nell’acquisizione e nello «sfruttamento di qualsiasi genere di pubblicità ed in particolar modo quella da farsi a mezzo di stazioni radiotrasmittenti (…)».
In base all’art. 4 del vigente atto costitutivo e statuto di RAI Pubblicità, invece, esso concerne «la raccolta, sui mercati nazionale ed internazionale, di pubblicità, di sponsorizzazioni, di comunicazioni commerciali e sociali, e di tutte le altre forme ed espressioni della pubblicità, destinate ai programmi radiofonici e televisivi qualunque sia il mezzo utilizzato nel presente e nel futuro per la loro diffusione (via etere, per mezzo di satelliti, via cavo, via filo, in chiaro e/o criptati, ecc.); la raccolta di pubblicità nelle forme indicate al punto precedente, destinata a qualsiasi altro mezzo di comunicazione, presente e futuro, quali la carta stampata, audio e video cassette, affissioni, cinema, tabelloni, internet, ecc. …».
Non vi è, dunque, alcuna “riserva” di attività a favore di RAI- Radiotelevisione italiana.
Dal dato statutario riportato non si evince, in realtà, che SIPRA, che nel 2013 ha cambiato (solo) la propria denominazione in quella di RAI Pubblicità, sia stata specificamente istituita per soddisfare esigenze della società controllante atteso che i “bisogni” del cui “appagamento” essa è stata investita non costituiscono una condizione essenziale per l’esercizio delle attività di interesse generale di RAI–Radiotelevisione italiana.
Tali precisazioni appaiono fondamentali, in quanto l’impressione tratta dall’analisi della sentenza del T.A.R. Liguria è che l’apporto delle risorse indispensabili per l’espletamento del servizio pubblico radiotelevisivo non avente carattere esclusivamente commerciale sia stato inquadrato quale scopo o come oggetto sociale di RAI Pubblicità. Invero, la circostanza secondo la quale attraverso la raccolta pubblicitaria venga garantita una parte essenziale delle risorse necessarie per l’esercizio del servizio pubblico radiotelevisivo potrebbe essere letta in una versione che la presenti verosimilmente alla stregua di una mera “operazione contabile”.
La considerazione dello scopo sociale nei termini proposti dal decidente, peraltro, non è in linea con l’art. 45, comma 5 del d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177 (Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici). In forza di tale disposizione Rai–Radiotelevisione italiana può svolgere direttamente o attraverso società collegate, attività commerciali ed editoriali, connesse alla diffusione di immagini, suoni e dati, nonché altre attività correlate, purché esse non risultino di pregiudizio al migliore svolgimento dei pubblici servizi concessi e concorrano alla equilibrata gestione aziendale.
Per come si desume anche dalla convenzione conclusa fra la Rai –Radiotelevisione italiana e Rai Pubblicità la prima espleta in proprio l’attività di pubblico servizio e, attraverso la controllata (la seconda), quella di raccolta pubblicitaria in forza di una apposita concessione.
L’esistenza di una precisa linea divisoria tra il modus operandi di carattere “amministrativo” e quello ispirato al metodo concorrenziale trova conferma pure, in sede regolatoria, da parte dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni nella delibera n. 41/17/CONS e relativo Allegato A “Individuazione dei mercati rilevanti nel settore dei servizi di media audiovisivi”.
In tale documento, nell’ambito del mercato dei media audiovisivi in chiaro, sono indicate una attività legata al servizio pubblico ed una di tipo squisitamente commerciale/imprenditoriale e ad esse sono collegati distinti modelli di finanziamento volti a sostenerle.
In particolare, l’una è finanziata da fondi pubblici, e quindi mediante risorse economiche non contendibili, l’altra “si fonda economicamente sugli investimenti delle aziende clienti” attraverso i ricavi della raccolta pubblicitaria ed è connotata dalla competizione instaurata con gli altri soggetti presenti nel mercato[30].
A questa logica sembra ispirarsi, altresì, il Contratto di Servizio 2018-2022 tra il Ministero dello sviluppo economico e RAI-Radiotelevisione italiana s.p.a., ove sono diversamente concepiti i ricavi derivanti dal gettito del canone rispetto a quelli prodotti da attività svolte in regime di concorrenza[31].
Lo scenario descritto sembra, dunque, suggerire un inquadramento di RAI Pubblicità quale impresa pubblica per effetto del suo inserimento in un contesto concorrenziale che ne prospetta una – fisiologica - esposizione ai rischi derivanti dalla sua collocazione in un mercato nel quale intervengono altri operatori.
È evidente allora come la ricerca e la comprensione degli elementi strutturali che compongono, diversificandole, le figure dell’impresa pubblica e dell’organismo di diritto pubblico proprio perché condizionano l’individuazione sia della disciplina applicabile con riferimento alle procedure di affidamento, sia dell’autorità giurisdizionale dinanzi alla quale incardinare eventuali azioni processuali preludano ad una operazione particolarmente delicata.
Ciò soprattutto laddove si consideri come il generalizzato ricorso all’evidenza pubblica potrebbe alimentare il rischio di falsare le regole della concorrenza disattendendo lo spirito dei principi europei cui si ispirano le direttive in materia di affidamento di contratti pubblici e di quelli costituzionali posti a garanzia della libertà di iniziativa economica.
Il pericolo, tutt’altro che remoto, di avallare forme di disparità di trattamento tra coloro i quali operano nel mercato esige di scoraggiare pratiche che attribuiscano diritti o riconoscano posizioni destinate ad alterare l’equilibrato assetto concorrenziale, o che siano idonei a legittimare generalizzate limitazioni dell’esercizio dell’attività di impresa svolta nel mercato da soggetti partecipati dall’ente pubblico.
Il risvolto processuale di tale impostazione consiste nel ritenere quella ordinaria l’autorità giurisdizionale competente a sindacare l’operato di imprese pubbliche o private titolari di diritti speciali o esclusivi operanti per finalità diverse dal soddisfacimento di bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale, analogamente a quanto si verifica allorché essa debba esprimere il suo giudizio in campi diversi da quello dell’affidamento delle pubbliche commesse e su una attività priva di sfumature pubblicistiche[32].
La ricerca di elementi certi ed univoci alla luce dei quali individuare il giudice chiamato a “somministrare” giustizia è fondamentale nell’intendere correttamente la giurisdizione quale modo «storico con cui la giustizia di un ordinamento giuridico prende forma» in quanto «la legittima prioritaria preoccupazione è quella di assicurare una sede, quella giurisdizionale, dove la giustizia possa univocamente realizzarsi; nella convinzione che proprio nel modo di renderla la giustizia consiste al massimo grado»[33].
[1] La lettura della pronuncia in commento pone sullo sfondo l’affascinante tema del rapporto tra diritto ed economia che per l’ampiezza e per la peculiarità delle dinamiche prodotte non è possibile affrontare in questa sede. Per tali ragioni si ritiene utile il rinvio, sebbene senza pretesa di esaustività, a A. Barone, Cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni, Bari, 2018, ove tali aspetti vengono indagati da molteplici angoli prospettici.
[2] In questi termini M.A. Sandulli, Impresa pubblica e regole di affidamento dei contratti, in www.federalismi.it, 2008, 2, che proprio con specifico riferimento all’impresa pubblica afferma come «Il fatto che l’ordinamento comunitario si fosse preoccupato di non creare un diverso regime tra appalti gestiti da soggetti pubblici (unitariamente definiti come “amministrazioni aggiudicatrici”) e soggetti privati operanti in tali settori dimostra quindi proprio - in termini opposti alla tesi favorevole all’equiparazione impresa pubblica/pubblica amministrazione -che detta categoria è, invece, connotata da una finalità (quella economica) tipicamente privatistica ed è quindi di norma (e salvo eccezioni eventualmente stabilite in modo espresso e tassativo dalla legge) estranea al regime pubblicistico (si è già detto del resto che lo stesso regime degli appalti non può essere correttamente definito come pubblicistico)».
[3] Rai Pubblicità s.p.a. è la nuova denominazione assunta da SIPRA costituita nel 1926.
[4] La società ricorrente si era occupata per due anni consecutivi di allestire e di gestire una manifestazione collaterale al Festival di Sanremo avendone ricevuto l’affidamento direttamente sin dalla prima edizione nell’ambito della quale – a suo dire – aveva proposto il relativo format, ed a seguito di specifica procedura selettiva alla quale avevano preso parte altri cinque operatori. Relativamente alla terza edizione chiedeva di essere coinvolta nella procedura di affidamento del relativo servizio di gestione e di allestimento dell’evento. Originariamente la RAI Pubblicità s.p.a. si era determinata a non invitare la ricorrente invocando l’operatività del principio di rotazione dei fornitori ed adducendo l’esistenza di informazioni negative sul conto della Publi Level s.r.l. in ordine a danni dalla stessa provocati alla struttura che ospitava le due edizioni della manifestazione. Successivamente, mutando la propria decisione, la invitava formalmente a presentare l’offerta.
Tuttavia la società in un primo momento esclusa contestava l’esiguità del tempo concessole e comunicava a Rai Pubblicità di non essere in condizioni di potere presentare la propria offerta. Chiusasi la procedura alla quale avevano partecipato sei operatori, l’organizzazione della terza edizione della manifestazione veniva affidata alla Free Event s.r.l., controinteressata nel giudizio sfociato nella sentenza in esame.
[5] Nelle pronunce espressamente richiamate (T.A.R. Lazio- Roma, sez. III, 4 gennaio 2020, n. 54; T.A.R. Lazio- Roma, sez. III, 9 giugno 2004, n. 5460, Cass. civ., SS.UU., 22 dicembre 2011, n. 28330 e Cass. civ., SS.UU., 23 aprile 2008, n. 10443) viene puntualmente chiarito che la RAI – Radiotelevisione italiana è una società per azioni, concessionaria di un importante servizio di informazione reso ai cittadini ed è qualificabile, per le caratteristiche possedute, come organismo di diritto pubblico.
Per quanto concerne, invece, la tipologia di attività svolta - per quanto qui di interesse - è possibile trarre elementi utili per poterla circoscrivere e definire dal d.P.R. 28 marzo 1994, dallo Statuto della società e dalla convenzione con RAI Pubblicità. A norma degli artt. 1 e 5 del d.P.R. 28 marzo 1994 emerge – rispettivamente - che essa è concessionaria esclusiva sull’intero territorio nazionale del servizio pubblico di diffusione di programmi radiofonici e televisivi e che può «svolgere direttamente o attraverso società collegate attività commerciali e editoriali connesse in genere alla diffusione di suoni, immagini e dati, nonché altre attività comunque connesse all’oggetto sociale, purché esse non risultino di pregiudizio al migliore svolgimento dei pubblici servizi concessi e concorrano alla equilibrata gestione aziendale». L’oggetto sociale – ex art. 4.1 dello Statuto - concerne «la raccolta, sui mercati nazionale ed internazionale, di pubblicità, di sponsorizzazioni, di comunicazioni commerciali e sociali, e di tutte le altre forme ed espressioni della pubblicità, destinate ai programmi radiofonici e televisivi qualunque sia il mezzo utilizzato nel presente e nel futuro per la loro diffusione (via etere, per mezzo di satelliti, via cavo, via filo, in chiaro e/o criptati, ecc.)»; nonché «la raccolta di pubblicità nelle forme indicate al punto precedente, destinata a qualsiasi altro mezzo di comunicazione, presente e futuro, quali la carta stampata, audio e video cassette, affissioni, cinema, tabelloni, Internet, ecc.» Ed, in base all’art. 5.2 dello Statuto, è nella possibilità della società «acquisire finanziamenti, con obbligo di rimborso delle somme versate, da parte dei soci iscritti nel libro dei soci da almeno tre mesi che detengano almeno il due per cento del capitale sociale nominale, così come risultante dall’ultimo bilancio approvato, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle norme di legge e di regolamento che individuano le operazioni non costituenti raccolta di risparmio tra il pubblico. Tali finanziamenti potranno essere eseguiti anche singolarmente da ogni socio senza alcuna formalità e, salvo patto contrario tra la Società e il socio, non saranno produttivi di interessi». Gli articoli 6, 7, 9 della Convenzione con Rai Pubblicità disciplinano la ripartizione del fatturato (il primo), la fatturazione e la rendicontazione (il secondo), le perdite per insolvenze (il terzo).
Alla luce della c.d. teoria del contagio il regime pubblicistico prescritto per l’organismo di diritto pubblico deve “estendersi” a tutti i suoi appalti. In tal senso Corte Giust. C.E., 15 gennaio 1998, C-44/96. Si esprimono criticamente nei confronti di questa elaborazione teorica M.P. Chiti, Impresa pubblica e organismo di diritto pubblico: nuove frontiere di soggettività giuridica o nozioni funzionali, in M.A. Sandulli (a cura di), Organismi e imprese pubbliche. Natura delle attività e incidenza sulla scelta del contraente e tutela giurisdizionale, in Quaderni della Riv. serv. pubbl. e app., 2004, 71; M.A. Sandulli, Impresa pubblica e regole di affidamento dei contratti, cit.; M.G. Roversi Monaco, Le figure dell’organismo di diritto pubblico e dell’impresa pubblica nell’evoluzione dell’ordinamento, in Dir. proc. amm., 2007, 401.
[6] Nel corpo della pronuncia viene dato atto dell’esistenza dell’ordinanza n. 6124 del 12 dicembre 2014 con la quale la quinta sezione del Consiglio di Stato, sia pure in sede di regolamento di competenza ed in materia di accesso documentale, qualificava, sotto il profilo soggettivo, la RAI pubblicità s.p.a come pubblica amministrazione.
[7] Com’è noto, l’introduzione nel nostro ordinamento di tale ultima categoria è avvenuta per effetto dell’articolo 3, comma 26, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, in seguito al recepimento delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE. L’attuale previsione, invece, è affidata all’articolo 3, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 50 del 2016 in recepimento dell’articolo 2, par. 1, n. 4 della direttiva 2014/24/UE, dell’articolo 3, par. 4 della direttiva 2014/25/UE e dell’articolo 6, par. 4 della direttiva 2014/23/UE.
[8] Tale “metodo qualificatorio” è stato gradualmente importato in tutte le tipologie di appalti comunitari, estendendone la portata applicativa a quelli di servizi ad opera della direttiva 92/50/CEE, di forniture con la direttiva 93/36/CEE, di lavori mediante la direttiva 93/37/CEE, e poi ripetute nella direttiva quadro 2004/18/CEE destinata a sostituire tutte le pregresse normative a decorrere dal 31 gennaio 2006.
[9] Con puntuale riguardo all’elemento teleologico in Corte Giust. U.E., 22 maggio 2003 C-18/2001 e Cons. Stato, sez. V, 16 gennaio 2017, n. 108 viene escluso che l’esistenza di un mercato concorrenziale precluda all’organismo di diritto pubblico di agire secondo logiche diverse da quelle industriali e commerciali.
[10] Nella visione di Cons. Stato, sez. V, 12 ottobre 2010, n. 7393, il requisito della soggettività giuridica prescinde dalla natura (pubblicistica o privatistica) del soggetto.
In Corte Giust. C.E., 3 ottobre 2000, C-380/98, The Queen c. The University of Cambridge, viene evidenziato il rapporto di alternatività fra gli indici della dominanza pubblica.
[11] Riguardo l’elemento teleologico F. Cintioli, Di interesse generale e non avente carattere industriale o commerciale: il bisogno o l’attività? (Brevi note sull’organismo di diritto pubblico), in M.A. Sandulli (a cura di), Organismi e imprese pubbliche. Natura delle attività e incidenza sulla scelta del contraente e tutela giurisdizionale, cit., 79 ss.
[12] In questa direzione Corte Giust. C.E., sent. 10 aprile 2008, C-393/06, Ing. Aigner Wasser Warme Umwelt Gmbh c. Fernwarme Wien Gmbh.
[13] G. Greco, Ente pubblico, impresa pubblica, organismo di diritto pubblico, cit., 844, evidenzia come i confini della nozione di organismo di diritto pubblico dipendano dal significato da attribuire all’elemento teleologico dal momento che «si tratta, del resto, dell’unico passo ambiguo della definizione (…), che oltre ad essere di non felice concezione, presenta le difficoltà tipiche della norma che rinvia a concetti indeterminati».
[14] In dottrina per la ricostruzione della figura dell’impresa pubblica M.S. Giannini, Le imprese pubbliche in Italia, in Riv. soc., 1958, 931; V. Ottaviano, L’impresa pubblica, in Enc dir., Milano, XX, 1970, 669; S. Cassese, L’impresa pubblica: storia di un concetto, in AA.VV., L’impresa, Milano, 1985; E. Ferrari, L’impresa pubblica tra il Trattato e le direttive comunitarie, in Organismi e imprese pubbliche. Natura delle attività e incidenza sulla scelta del contraente e tutela giurisdizionale, cit., 124; M.A. Sandulli, Imprese pubbliche e attività estranee ai settori esclusi: problemi e spunti di riflessione, in Organismi e imprese pubbliche. Natura delle attività e incidenza sulla scelta del contraente e tutela giurisdizionale, cit., 5 ss.; Id., L’ambito soggettivo: gli enti aggiudicatori, in Trattato sui contratti pubblici, cit. vol. V, 3154; C. Lacava, L’impresa pubblica, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, IV, Milano, 2003, 3901.
[15] Corte Giust. C.E., 10 maggio 2001, n. 223, cause riunite C-223/99 e C-260/99 ha chiarito come « (…) un ente avente ad oggetto lo svolgimento di attività volte all’organizzazione di fiere, di esposizioni e di altre iniziative analoghe, che non persegue scopi lucrativi, ma la cui gestione si fonda su criteri di rendimento, di efficacia e di redditività e che opera in ambiente concorrenziale, non costituisce un organismo di diritto pubblico ai sensi dell’articolo 1, lettera b) comma 2, della direttiva».
Corte Giust. C.E., 27 febbraio 2003 n. 373, causa C-373/00 ha precisato che quella relativa ai «bisogni di carattere generale figurante nella predetta disposizione è una nozione autonoma del diritto comunitario, che deve essere interpretata tenendo conto del contesto in cui si inserisce tale articolo e degli scopi perseguiti dalla direttiva 93/96; che spetta al giudice a quo valutare l’esistenza o meno di un bisogno avente carattere non industriale o commerciale, tenendo conto di tutti gli elementi di diritto e di fatto pertinenti, quali i fatti che hanno presieduto alla creazione dell’organismo interessato e le condizioni in cui quest’ultimo esercita la sua attività».
Cass., SS.UU., 7 aprile 2010, n. 8225, definisce «come bisogni generali aventi carattere non industriale o commerciale, ai sensi dell'articolo 1, lettera b), delle direttive comunitarie relative al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, quei bisogni che, da un lato, sono soddisfatti in modo diverso dall’offerta di beni o servizi sul mercato e al cui soddisfacimento, d’altro lato, per motivi connessi all’interesse generale, lo Stato preferisce provvedere direttamente o con riguardo ai quali intende mantenere un’influenza determinante. Risulta del pari dalla giurisprudenza che l’esistenza o la mancanza di un bisogno di interesse generale avente carattere non industriale o commerciale deve essere valutata tenendo conto dell’insieme degli elementi giuridici e fattuali pertinenti, quali le circostanze che hanno presieduto alla creazione dell’organismo considerato e le condizioni in cui quest’ultimo esercita la sua attività, ivi compresa, in particolare, la mancanza di concorrenza sul mercato, la mancanza del perseguimento di uno scopo di lucro a titolo principale, la mancanza di assunzione di rischi collegati a tale attività nonchè il finanziamento pubblico eventuale dell’attività in questione. Infatti ... se l’organismo opera in condizioni normali di mercato, persegue uno scopo di lucro e subisce le perdite collegate all’esercizio della sua attività, è poco probabile che i bisogni che esso mira a soddisfare siano di natura diversa da quella industriale o commerciale».
[16] A riguardo L.R. Perfetti, Organismo di diritto pubblico e rischio d’impresa, cit.; D. Palazzo, La rilevanza del rischio economico nella definizione dell’ambito soggettivo di applicazione della disciplina sui contratti pubblici e del diritto della concorrenza, in Dir. amm., 2019, 155.
Si occupano di delineare le caratteristiche e le differenze fra le due figure M.P. Chiti, Impresa pubblica e organismo di diritto pubblico, nuove forme di soggettività giuridica o nozioni funzionali, in Organismi e imprese pubbliche. Natura delle attività e incidenza sulla scelta del contraente e tutela giurisdizionale, cit., 70; D. Casalini, L’organismo di diritto pubblico, l’impresa pubblica e la delimitazione soggettiva della disciplina sugli appalti pubblici, in Foro amm. CdS, 2003, 3827; R. Caranta, Organismo di diritto pubblico e impresa pubblica, in Giur. it., 2004, 2415; M.G. Roversi Monaco, Le figure dell’organismo di diritto pubblico e dell’impresa pubblica nell’evoluzione dell’ordinamento, cit., 384; A. Nicodemo, Imprese pubbliche e organismi di diritto pubblico: analogie e differenze, in www.giustamm.it, 2012; F. Aperio Bella, Studio sull'attuale consistenza delle nozioni di impresa pubblica e organismo di diritto pubblico, in Dir. e soc., 2015, 160.
[17] Relativamente al regime normativo previgente può essere proficuo rinnovare la lettura degli articoli 207 e 217 del Codice del 2006, nonché dell’art. 30 e del 40° considerando della direttiva 2004/17. Ciò in quanto nel solco segnato da siffatta disciplina si colloca Cons. Stato, Ad. pl., 1 agosto 2011, n. 16 che, nel puntualizzare la diversità tra appalti “esclusi” ed “estranei” all’applicazione del Codice dei contratti pubblici – riscontrandola nella strumentalità dell’oggetto dell’appalto rispetto all’espletamento dell’attività speciale- chiarisce come l’impresa pubblica sia tenuta a rispettare la disciplina codicistica soltanto in relazione alle attività riconducibili ai settori speciali di cui agli artt. 208-213. Ad avviso dell’Adunanza plenaria, «La ricordata esigenza di tutela della concorrenza che dichiaratamente presiede alla direttiva 2004/17/CE sugli appalti nei settori speciali per la frequente condizione di monopolio in cui versano quei servizi pubblici, non si ripete per queste altre attività delle imprese pubbliche. Queste altre attività anzi, proprio per lo svolgersi in un mercato competitivo, paiono – salvo singole patologie comportamentali - naturalmente portate verso la compressione dei costi dei contratti, e perciò spontaneamente orientate all’apertura al mercato dei fornitori di beni e servizi: cioè verso il prezzo più basso o l’offerta economicamente più vantaggiosa, e senza che sia imposto da regole esterne».
T.A.R. Lazio, sez. III, 19 aprile 2021, n. 4561 ha evidenziato come l’utilizzo delle procedura ad evidenza pubblica sia obbligatorio anche quando l’oggetto dell’affidamento riguardi attività strumentali a quella espletata nei settori speciali.
In relazione al concetto di strumentalità T.A.R. Lazio riprende, facendola propria, la posizione della Corte Giust., 28 ottobre 2020, C-521/18, secondo cui, a proposito di Poste s.p.a., possono considerarsi strumentali solo quelle attività che «servono effettivamente all’esercizio dell’attività rientrante nel settore dei servizi postali consentendo la realizzazione in maniera adeguata di tale attività, tenuto conto delle sue normali condizioni di esercizio, ad esclusione delle attività esercitate per fini diversi, dal perseguimento dell’attività settoriale di cui trattasi».
[18] Così F. Aperio Bella, Studio sull’attuale consistenza delle nozioni di impresa pubblica e organismo di diritto pubblico, cit., 170-171, ad avviso del quale le imprese pubbliche «già sottratte al diritto dei pubblici appalti, vi sono attratte limitatamente ai “settori speciali”, e non in termini generali in quanto nei settori in questione (…), la sottoposizione di un operatore economico all’influenza dominante dell’apparato amministrativo è stata ritenuta una circostanza già da sola sufficiente a determinare una situazione di pericolo, che impone l’applicazione delle regole comunitarie volte a tutelare la libera concorrenza».
[19] Riguardo questo specifico profilo M.A. Sandulli, L’ambito soggettivo: gli enti aggiudicatori, Imprese pubbliche e attività estranee ai settori esclusi: problemi e spunti di riflessione, in Organismi e imprese pubbliche. Natura delle attività e incidenza sulla scelta del contraente e tutela giurisdizionale, cit., 3154 ss.; Id., Impresa pubblica e regole di affidamenti dei contratti, cit.
[20] Cfr. T.A.R. Lazio, sez. III, 19 aprile 2021, n. 4561, cit., secondo cui, però, tale scelta «non consente di radicare il contenzioso che nasce da tali procedure nella giurisdizione amministrativa».
[21] In questo senso Cass., SS.UU., 9 maggio 2011, n. 10068, in merito al parametro teleologico puntualizza che «(…) le normative europee non indicano i criteri per stabilire quando una specifica esigenza di carattere generale abbia carattere non industriale o commerciale. Il diritto comunitario, omettendo di fornire i criteri per stabilire quando ricorra la condizione in esame, rimette agli organi giurisdizionali dei singoli Stati stabilire quando ricorra tale condizione. La Corte di Giustizia delle Comunità Europee, cui ai sensi dell’art. 234 CE era stata sottoposta una questione pregiudiziale vertente sull’interpretazione del menzionato art. 1, lett. b) della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, relativa al coordinamento delle procedure degli appalti pubblici di servizi, ha fornito alcuni criteri interpretativi al fine di stabilire quando ricorra una esigenza di carattere generale avente carattere non industriale o commerciale (v. sentenza 10 novembre 1998, causa C360/96, Gemeente Arnhem e Gemeente Rheden contro BFI Holding BV), precisando che la circostanza che l’organismo interessato agisca in situazione di concorrenza sul mercato può costituire un indizio a sostegno del fatto che non si tratti di un bisogno di interesse generale avente carattere non industriale o commerciale; che questi ultimi bisogni sono, di regola, soddisfatti in modo diverso dall’offerta dei beni o servizi sul mercato; che in linea generale presentano tale carattere quei bisogni al cui soddisfacimento, per motivi connessi all'interesse generale, lo Stato preferisce provvedere direttamente o con riguardo ai quali intende mantenere una influenza determinante». Le Sezioni unite, inoltre, chiariscono che «in altre sentenze la Corte di giustizia ribadisce tali criteri affermando che spetta al giudice nazionale valutare l’esistenza o meno di un bisogno avente carattere non industriale o commerciale tenendo conto degli elementi giuridici e fattuali pertinenti, quali le circostanze che hanno presieduto alla creazione dell’organismo considerato e le condizioni in cui quest’ultimo esercita la sua attività, ivi compresa, in particolare, la mancanza di concorrenza sul mercato, la mancanza del perseguimento di uno scopo di lucro a titolo principale, la mancanza di assunzione di rischi collegati a tale attività nonchè il finanziamento pubblico eventuale dell’attività in questione (v. sentenza n. 373 del 27.2.2003 causa C- 373/00; vedi altresì Cass. sez. un. n. 8225 del 2010)».
[22] In Cons. Stato, sez. V, 30 marzo 2013, n. 570 l’espletamento di attività secondo metodi che escludono l’assunzione del rischio di impresa per effetto di dazione di risorse da parte dell’ente pubblico idonee ad assicurare la permanenza sul mercato dell’organismo viene considerato indice presuntivo della sussistenza del requisito teleologico. In Cons. Stato, sez. VI, 20 marzo 2012, n. 1574 viene evidenziato come l’assenza del metodo economico può desumersi dal contesto in cui l’attività viene esercitata e cioè dall’esistenza o meno di un mercato di beni o servizi oggetto delle prestazioni erogate.
Cass. SS.UU., 7 aprile 2010, n. 8225 esclude che possa parlarsi di requisito teleologico ogniqualvolta l’ente svolga l’attività in un contesto concorrenziale facendosi carico del pericolo di eventuali perdite e sopportando il rischio economico riconducibile al perseguimento dell’oggetto sociale improntato a criteri di economicità.
[23] Per una approfondita e ragionata ricostruzione dei termini del dibattito sorto in merito G. Greco, Ente pubblico, impresa pubblica, organismo di diritto pubblico, cit., 844 ss. L’A. si schiera, comunque, a favore della tesi più restrittiva invocando proprio il dato normativo comunitario dal quale, a suo avviso, «risulta chiaramente che la figura di organismo di diritto pubblico sia altra cosa e sia distinta da quella di impresa pubblica».
A riguardo F. Aperio Bella, Sulle nozioni di impresa pubblica e organismo di diritto pubblico, cit., 162-163, osserva come fra le due figure «le differenze tipologiche riguardano pertanto (i) le modalità di svolgimento dell’attività - economica e non economica – e la conseguente possibile compatibilità, esistente soltanto per le imprese pubbliche, tra scopo di interesse pubblico e scopo di lucro, nonché (ii) l’elemento costituito dall’influenza dominante, che, seppure coincidente in linea teorica, si atteggia diversamente a seconda della fattispecie, in quanto, mentre per l’organismo di diritto pubblico è desumibile da un ampio spettro di “indici”, compreso il controllo di gestione, per l’impresa pubblica deriva dal riscontro di elementi di dominanza pubblica riconducibili, in ultima analisi, alla detenzione pubblica maggioritaria del capitale sociale, dal cui riscontro deriva, a cascata, la ricorrenza degli altri elementi “indiziari” di dominanza pubblica individuati dalla normativa».
[24] A titolo meramente esemplificativo nella prima direzione possono vedersi, a livello di giurisprudenza comunitaria, Corte Giust., 16 ottobre 203, C-283/00, Siepsa, Corte Giust., 15 maggio 2003, C-214/00; a livello di giurisprudenza nazionale T.A.R. Lombardia-Milano, sez. III, 15 febbraio 2007, n. 266; in dottrina di questo avviso M.A. Sandulli, Impresa pubblica e regole di affidamento dei contratti, cit.; M.G. Roversi Monaco, Le figure dell’organismo di diritto pubblico e dell’impresa pubblica nell’evoluzione dell’ordinamento, in Dir. proc. amm., 2007, 387; Nella seconda direzione, a livello comunitario, Corte Giust., 10 aprile 2008, C-393/06; a livello interno Cass., SS.UU., 23 aprile 2008, n. 10443, secondo cui la «R.A.I. s.p.a. deve qualificarsi organismo di diritto pubblico, in quanto resta ancora la impresa pubblica cui lo stato ha affidato la gestione del servizio pubblico radio televisivo su cui intende conservare la sua influenza». Da tale premessa le Sezioni Unite fanno discendere la conseguenza che «essa quindi deve osservare le norme comunitarie di evidenza pubblica nella scelta dei propri contraenti per gli appalti dei servizi (ad eccezione di quelli esclusi del settore radiotelevisivo)». In dottrina sembrano propendere una nozione più ampia di organismo di diritto pubblico ricomprendente anche casi di imprese pubbliche D. Sorace, Pubblico e privato nella gestione dei servizi pubblici locali mediante società per azioni, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1997, 79 ss.; G. Pericu, M. Cafagno, Impresa pubblica, in E. Chiti, G. Greco (diretto da), Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 1997, parte speciale, 795; G. Morbidelli, Società miste, servizi pubblici e opere accessorie, in Riv. trim. app.,1997, 505; F. Gaffuri, Brevi considerazioni sulle riconducibilità delle società miste nella categoria degli organismi di diritto pubblico, cit., 255.
[25] F. Aperio Bella, Studio sull’attuale consistenza delle nozioni di impresa pubblica e organismo di diritto pubblico, cit., 161-162.
[26] A riguardo può vedersi Cons. Stato, Ad. pl., 1 agosto 2011, n. 16, la cui posizione ha trovato conferma nelle direttive del 2014 e nel vigente Codice dei contratti pubblici.
[27] Cfr. Corte Giust. U.E., sez. IV, 5 ottobre 2017 (punti 33-35).
Corte Giust. U.E., 22 maggio 2003, Korhonen e a., C- 18/01, peraltro, osserva come l’indagine volta ad accertare se “l’organismo” sia stato istituito allo specifico fine di soddisfare esigenze di interesse generale e se tali attività soddisfino effettivamente tali esigenze deve precedere quella attraverso la quale verificare se queste ultime abbiano o meno carattere industriale o commerciale (punto 40).
[28] Cfr. Corte Giust. U.E., sez. IV, 5 ottobre 2017 (punto 43).
[29] Cfr. Corte Giust. U.E., 16 ottobre 2003, Commissione/Spagna, C-283/00 (punti 81 e 82).
[30] Cfr. Delibera n. 41/17/CONS https://www.agcom.it/documents/10179/6702854/Delibera+41-17-CONS/1f4bc027-c119-4e5a-8380-da02daf3addb?version=1.1; nonché Allegato A alla Delibera n. 41/17/CONS https://www.agcom.it/documents/10179/6702854/Allegato+8-3-2017/c256909a-0163-42c1-b9c4 b2ed2efec23f?version=1.0Link.
In particolare, nella delibera n. 41/17/CONS viene chiarito come «Tipicamente, sul fronte della tutela della concorrenza, il mercato della televisione in chiaro viene analizzato considerando il solo versante della raccolta pubblicitaria – sul quale le imprese televisive conseguono ricavi dalla vendita degli spazi pubblicitari agli inserzionisti –, escludendo le attività finanziate dai fondi pubblici, che rappresentano una risorsa non contendibile sul mercato».
[31] L’art. 21 del Contratto di Servizio espressamente stabilisce che «In conformità a quanto stabilito dall’art. 47, commi 1 e 2, del TUSMAR, nel rispetto del diritto dell’Unione europea, e coerentemente a quanto previsto dall’art. 14 della Convenzione, la Rai predispone il bilancio di esercizio indicando in una contabilità separata i ricavi derivanti dal gettito del canone e gli oneri sostenuti nell’anno solare precedente per la fornitura del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale rispetto ai ricavi delle attività svolte in regime di concorrenza, imputando o attribuendo i costi sulla base di principi di contabilità applicati in modo coerente e obiettivamente giustificati e definendo con chiarezza i principi di contabilità analitica secondo cui vengono tenuti conti separati».
[32] Sulle implicazioni del rapporto fra concorrenza e giurisdizione I.M. Marino, Autorità garante della concorrenza e del mercato e giustizia amministrativa, in Scritti in onore di Pietro Virga, Milano, 1994, II, 1001.
[33] Cfr. I.M. Marino, Corte di Cassazione e giudici «speciali» (Sull’interpretazione dell’ultimo comma dell’art. 111 Cost.), in Scritti in onore di Vittorio Ottaviano, II, Milano, 1993, 1394 e 1407.