Attualità del giudice amministrativo di Carlo Emanuele Gallo
Sommario: 1. Pandemia covid, recovery plan e giudice amministrativo - 2. Il giudice amministrativo giudice del potere - 3. Il giudice amministrativo di fronte al diritto soggettivo - 4. I problemi della tutela in concreto - 5. I rapporti con il giudice ordinario.
1. Pandemia covid, recovery plan e giudice amministrativo. – Il diffondersi della pandemia e le iniziative pubbliche assunte dall’esecutivo per porre rimedio alla sua diffusione così come le possibilità di intervento riformatore connesse all’attuazione del recovery plan hanno rinnovato l’attenzione critica nei confronti del giudice amministrativo e del ruolo che questi svolge nell’ordinamento.
Si sono ripetute infatti considerazioni sfavorevoli sul fatto che il giudice amministrativo intervenga nei confronti di ordinanze d’urgenza o incida su provvedimenti finalizzati alla realizzazione di questo o di quell’altro intervento in tema di lavori o di servizi: l’occasione è stata colta per rimettere in discussione la funzione e l’esistenza stessa del complesso T.A.R. – Consiglio di Stato come autonoma giurisdizione.
La riflessione della letteratura scientifica e degli operatori del settore ha avuto perciò ragione di dedicare al tema un rinnovato interesse[1].
Le critiche mosse all’esistenza e al ruolo del giudice amministrativo sono ingiuste e contraddittorie. Sono ingiuste perché il giudice amministrativo è previsto dalla Costituzione a tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, cosicché la sua eliminazione costituisce una obiettiva riduzione della tutela del cittadino, in quanto comporta l’eliminazione di uno specifico rimedio che il costituente ha ritenuto necessario nei confronti dei pubblici poteri[2].
Si tratterebbe di una scelta non solo sconsiderata, posto che la tutela giurisdizionale è uno dei fondamenti dello stato di diritto e la tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione lo è ancora di più, ma anche perché a livello europeo vengono mosse critiche frequenti e fondate nei confronti dei paesi che mettono in crisi il sistema di tutela nei confronti dei pubblici poteri[3], ma altresì incomprensibile ove si tenga conto che il giudice amministrativo, negli ormai oltre centotrent’anni dalla sua istituzione nell’Italia unita, con l’aiuto della giurisprudenza della Corte Costituzionale, delle opinioni della letteratura e degli interventi del legislatore ha progressivamente accresciuto la sua capacità di rendere giustizia, arrivando ad un livello di efficacia che è riconosciuto da pressoché tutti gli operatori del settore[4].
La valutazione negativa delle ipotesi abolizioniste vale non soltanto per quella di integrale soppressione del giudice amministrativo, per il vero di rarissima proposta, ma anche per quella, più sottile, che prevede la trasformazione del giudice amministrativo in una sezione specializzata del giudice ordinario: anche questa proposta infatti condurrebbe alla scomparsa dell’esperienza e del ruolo del Consiglio di Stato, così come si sono formati nei centotrent’anni richiamati, con un sostanziale arretramento del livello di protezione del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, che è quanto si è verificato per il pubblico impiego assegnato al giudice ordinario. Il ruolo del giudice amministrativo e il suo posto all’interno della tutela giurisdizionale non possono essere ridotti ma debbono anzi essere incrementati.
L’atteggiamento esasperatamente critico e soppressivo è altresì contraddittorio, poiché allorché si lamenta il pregiudizio arrecato da una sentenza di annullamento nei confronti dell’interesse pubblico perseguito dal provvedimento annullato o si lamenta il pregiudizio arrecato al soggetto aggiudicatario di un contratto allorché il medesimo venga dichiarato inefficace, si dimentica che, di fronte a questi, vi sono i soggetti pregiudicati vuoi dal provvedimento autoritativo vuoi dal contratto stipulato dalla pubblica amministrazione.
Si tratta molto spesso di soggetti, i controinteressati, che sono dal punto di vista sociologico esattamente corrispondenti a coloro che hanno proposto il ricorso.
Il che non significa, però, che il giudice amministrativo non debba rivedere il suo atteggiamento nei confronti della pubblica amministrazione, al fine di rendere la sua funzione più efficace e più garantista per il cittadino; ma questa stessa riflessione dev’essere compiuta dal giudice ordinario, che molto spesso non esercita i poteri di cui dispone nei confronti della pubblica amministrazione o assume degli atteggiamenti di protezione della medesima che non sono giustificati.
Il problema di fondo è che giudicare dell’amministrazione è delicato, poiché si rischia di amministrare e poiché il giudice, qualunque sia, consapevole delle esigenze del pubblico interesse – ed è bene che sia così – molto spesso si trova in difficoltà a scegliere la soluzione conforme al diritto.
2. Il giudice amministrativo giudice del potere. – Il giudice amministrativo è il giudice del potere amministrativo è cioè il giudice del potere che nel nostro ordinamento è riconosciuto, unico, con la caratteristica di modificare unilateralmente, in assenza di qualsivoglia precedente determinazione consensuale anche implicita, la posizione giuridica del destinatario. Questa configurazione del potere amministrativo è unica[5] perché soltanto al fine di perseguire il pubblico interesse è possibile introdurre nell’ordinamento una disparità tra soggetti dell’ordinamento generale medesimo, che altrimenti costituirebbe una violazione dell’art. 3 della Costituzione.
Per questa ragione, d’altro canto, il giudice amministrativo è stato a suo tempo istituito e la situazione non è significativamente mutata rispetto a quella denunciata da Silvio SPAVENTA nel suo discorso di Bergamo del 1880. Anche oggi occorre che il giudice amministrativo intervenga per riportare l’amministrazione pubblica al rispetto della legge ed evitare che vi possano essere scelte dissennate oppure contrastanti con la realtà di fatto e di diritto oppure ispirate a scopi non corrispondenti a quelli previsti dalla legge.
Ne consegue che il potere di annullamento è essenziale per il giudice amministrativo e che l’annullamento ove richiesto dev’essere sempre dispensato (come del resto bene ha detto l’Adunanza plenaria)[6]. È evidente che rispetto a questa impostazione, che il giudice amministrativo segue rigorosamente limitando al massimo l’esistenza degli atti politici che sono gli unici provvedimenti che sfuggono al suo sindacato, è dissonante il riconoscimento dell’esistenza di una sfera di attività di enti pubblici rispetto alla quale il potere di annullamento non può essere esercitato: il riferimento, ovviamente, è al mondo dello sport e all’ambito limitato della giustizia sportiva, che è stato legittimato in questi termini anche di recente dalla Corte Costituzionale con una pronunzia che non è in sé condivisibile e che se intesa nella sua assolutezza (non è detto che la tutela nei confronti della p.a. sia sempre una tutela di annullamento) sarebbe da respingere ma che è viceversa giustificata soltanto dal fatto che ammettere una tutela giurisdizionale in una materia nella quale la sensibilità popolare è così vivace significherebbe trascinare il giudice amministrativo perennemente nelle piazze (così come, in effetti, succedeva allorché la giustizia amministrativa poteva occuparsi di questo tipo di problematiche).
Il fatto che il potere del giudice amministrativo possa annullare i provvedimenti amministrativi non significa che egli si debba limitare a una pronunzia cassatoria poiché, come da tempo è stato riconosciuto dalla giurisprudenza sulla scorta dell’autorevole opinione di Mario NIGRO, ben più numerosi sono gli effetti del giudicato amministrativo, effetti che giungono a consentire al giudice di individuare qual è il provvedimento corretto che l’amministrazione pubblica deve assumere.
Va subito detto che non si può criticare la scelta qualche volta eccessivamente interventista del giudice amministrativo: al di là del fatto che si tratta di ipotesi molto limitate, è molto meglio ed è più conforme al sistema un giudice che è più efficace[7] piuttosto che un giudice che rinunzia alla sua funzione[8]. Il giudice infatti non può arrestarsi al non liquet, che non significa, come ritiene la Corte di Cassazione, che sia legittimo scegliere per decidere la ragione più liquida, e cioè quella più facilmente individuabile, ma significa invece che il giudice non può rifiutarsi di individuare la soluzione alla questione che gli è sottoposta, ancorché la medesima sia di difficile discernimento. Molto spesso, poi, l’intervento che può sembrare sopra le righe del giudice amministrativo è conseguenza della confusione che vi è a livello normativo, che rende evanescente la distinzione tra giurisprudenza dei concetti e giurisprudenza degli interessi poiché costringe il giudice ad individuare di volta in volta in una congerie di disposizioni contraddittorie e ridondanti qual è la ratio che deve seguire alla luce della Costituzione.
Il fatto che il giudice amministrativo sia il giudice del potere e che l’annullamento sia l’elemento centrale della sua funzione non significa però che egli non debba svolgere la sua attività anche allorché l’amministrazione pubblica non procede, rimanendo inerte definitivamente o per lungo tempo ritardando l’assunzione dei provvedimenti che le spettano. Il cittadino infatti è danneggiato sia dal provvedimento illegittimo sia dall’assenza del provvedimento o dal suo tardivo intervento. La scelta della giurisprudenza, in qualche misura accompagnata dal Codice, di consentire perciò interventi incisivi è una scelta anche in questo caso da condividere e si deve ribadire che il fatto che l’amministrazione rimanga inerte non giustifica una diminuzione della tutela, potendo il giudice amministrativo nei confronti del silenzio arrestarsi soltanto laddove vi sia una valutazione assolutamente discrezionale che non è in nessun modo anticipabile in giudizio. Si tratta peraltro di ipotesi rarissime[9] di modo che, di norma, il giudice amministrativo è sempre in grado di individuare il provvedimento che dev’essere adottato (è sufficiente non dilatare le ipotesi di discrezionalità assoluta e considerare invece quanti limiti in ordine all’an, al quomodo e al quando sono previsti dal legislatore o sono stati introdotti dalla stessa amministrazione nei precedenti atti normativi o generali o nelle precedenti fasi del procedimento).
In considerazione del fatto che la Costituzione distingue le giurisdizioni sulla base della posizione soggettiva, il giudice amministrativo può conoscere della lesione di interessi legittimi, che sono la posizione soggettiva connessa all’esercizio del potere[10].
Non si tratta però di una connessione episodica, e cioè legata al singolo provvedimento, come si riteneva alla fine dell’800, e nemmeno di una connessione che sia legata soltanto all’inizio del procedimento, come in qualche misura era possibile ritenere sulla base della legge 7 agosto 1990, n. 241 ma invece di una connessione stabile, che lega il cittadino all’amministrazione pubblica ogni qualvolta la sua posizione soggettiva sia contemplata dal legislatore in relazione all’esercizio del potere amministrativo. Così, il proprietario di un terreno è legato all’amministrazione già dal momento in cui la medesima si pone il problema della pianificazione essendovi tenuta dalla legge e cioè ben prima che lo stesso procedimento di pianificazione sia attuato: la riprova sta nel fatto che è possibile al cittadino richiedere all’amministrazione di completare la pianificazione con riferimento alle zone bianche, che siano un reliquato, cosa che ovviamente non potrebbe fare se l’interesse legittimo nascesse soltanto nel momento in cui l’amministrazione avvia il procedimento di pianificazione.
Questo rapporto con l’amministrazione, che è qualificabile come rapporto giuridico amministrativo, giustifica i poteri più incisivi che il giudice amministrativo ha e anche la configurazione della giurisdizione amministrativa come giurisdizione di spettanza e cioè come giurisdizione che deve giungere, ove la domanda sia fondata, ad individuare qual è il bene della vita che spetta al cittadino. Questo è possibile però soltanto se la domanda è fondata anche con riferimento al rinnovato esercizio del potere dell’amministrazione e pertanto anche con riguardo agli eventuali margini di discrezionalità che il giudice amministrativo può ripercorrere.
Se l’azione viceversa non è fondata, questo non significa che non esista l’interesse legittimo ma semplicemente che i vizi denunciati non sussistono; l’interesse legittimo per questa ragione non ha in sé come patrimonio ineluttabile il bene della vita costituito dal provvedimento amministrativo favorevole ma ha in sé soltanto il bene della vita costituito dalla pretesa che l’amministrazione proceda nel rispetto della legge, il che può significare che giunga ad adottare il provvedimento favorevole oppure no.
È questa la differenza rispetto alla situazione in cui ci si trova avanti il giudice ordinario, che decide sul diritto soggettivo, di modo che il diritto soggettivo esiste se il bene della vita preteso spetta, non esiste se il bene della vita preteso non spetta[11].
3. Il giudice amministrativo di fronte al diritto soggettivo. – La configurazione che si è illustrata muta, come è ben noto, allorché il legislatore attribuisce al giudice amministrativo la cognizione anche del diritto soggettivo: in questo caso, infatti, il giudice amministrativo si deve comportare come un giudice ordinario, e quindi deve provvedere esattamente negli stessi termini[12].
Anche la pretesa al risarcimento del danno da lesione all’interesse legittimo corrisponde ad un diritto soggettivo, come bene ha detto la Corte di Cassazione nella nota sentenza n. 500 del 1999. L’interesse legittimo in sé non ha una pretesa risarcitoria, ma può dar luogo ad una pretesa risarcitoria od anche ad una pretesa indennitaria.
L’affermazione compiuta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 204 del 2004, secondo la quale il risarcimento da lesione dell’interesse legittimo è un completamento della tutela dell’interesse legittimo stesso, è stata compiuta soltanto per contrastare l’opinione in forza della quale, poiché l’interesse legittimo è la posizione ordinaria nei confronti della pubblica amministrazione, così facendo si sarebbe riconosciuto al giudice amministrativo un caso di giurisdizione esclusiva di carattere generale, e perciò non corrispondente ai rigidi paletti introdotti dall’art. 103 Cost.. In realtà, il problema non esisteva perché il risarcimento dalla lesione degli interessi legittimi è in sé una particolare materia, diversa dal diritto soggettivo al risarcimento per la lesione di diritti soggettivi.
Non vi è comunque motivo per ridurre il numero e l’ampiezza delle materie di giurisdizione esclusiva, poiché anche oggi l’eliminazione della difficoltà in ordine all’individuazione del giudice al quale rivolgersi, inevitabile a fronte della pluralità delle giurisdizioni, è una obiettiva situazione di vantaggio. Va da sé che la giurisdizione esclusiva non può essere così dilatata da eliminare la pluralità delle giurisdizioni, ma non è nemmeno comprensibile che la funzione semplificatrice della medesima venga vanificata con l’individuazione all’interno di ogni materia delle controversie attribuite al giudice amministrativo oppure no, così come fa attualmente la Corte di Cassazione. Il sistema infatti per essere utile dev’essere accessibile.
Quanto detto in ordine alla giurisdizione esclusiva può essere confermato anche per quanto concerne la giurisdizione anche in merito, che talvolta interessa diritti soggettivi talvolta no, poiché la possibilità per il giudice amministrativo di conoscere anche dell’opportunità dell’atto e di adottare interventi sostitutivi dell’amministrazione è una possibilità che amplia la tutela del cittadino: se già alla fine dell’800 il legislatore, pur provenendo da un sistema nel quale la giurisdizione amministrativa era stata soppressa come giurisdizione del contenzioso, ha ritenuto di poter mantenere dei casi di giurisdizione anche in merito, non si vede perché, nel momento in cui l’esigenza della tutela giurisdizionale nei confronti della p.a. è più avvertita ed è garantita a livello costituzionale possa considerarsi un progresso la diminuzione di questa tutela.
La sensazione che si trae da queste opinioni è che non vi sia in realtà una volontà di incrementare il livello di protezione del cittadino ma vi sia o il perseguimento di obiettivi di riconquista di spazi giurisdizionali o la volontà di affermazione di teoriche astratte non più giustificate (da questo punto di vista il riconoscimento della possibilità di risarcimento della lesione di interessi legittimi ha tolto un argomento particolarmente significativo alle tesi di coloro che sostenevano la prevalenza della giurisdizione ordinaria come effettività di tutela).
4. I problemi della tutela in concreto. – Il ruolo del giudice amministrativo e la sua giurisdizione hanno dato origine a un sistema che pressoché tutti ritengono efficace ed apprezzabile. Questo non toglie che vi siano dei profili e degli aspetti per i quali un perfezionamento e un completamento sono necessari, e potrebbero essere anche disposti tempestivamente approfittando appunto del cantiere delle riforme che è in corso di installazione.
Il giudice amministrativo, anche per quanto concerne la verifica della correttezza dell’esercizio del potere, molto spesso si astiene non solo da una verifica puntuale del potere discrezionale, ma anche dall’accertamento specifico della realtà di fatto, sia della realtà di fatto intesa in modo semplice sia dalla realtà di fatto intesa in modo complesso (secondo la nota distinzione tra fatti semplici e fatti complessi). Non si tratta di una limitazione accettabile ed egli dev’essere stimolato a procedere oltre sulla strada dell’accertamento dei fatti e, di conseguenza, occorre eliminare le previsione restrittive sull’uso della consulenza tecnica d’ufficio e sull’assunzione dei testimoni[13].
Si tratta di innovazioni processuali che possono indurre il giudice amministrativo ad un uso più incisivo dei poteri istruttori, per l’utilizzazione dei quali potrebbe essere introdotta anche una camera di consiglio ai fini istruttori, che consenta un contraddittorio tra le parti e il giudice anche in ordine a questi provvedimenti indipendentemente dalla fissazione dell’udienza e senza rimettere il tutto al presidente che, come è noto, non è in condizioni materiale di provvedere.
Il giudice amministrativo è poi estremamente restio nell’accordare il risarcimento del danno; l’espressione è eufemistica, poiché nei fatti il giudice amministrativo non accorda il risarcimento dei danni, o individuando ogni possibile ragione per negarlo oppure semplicemente astenendosi dal fissare l’udienza per la discussione dei relativi ricorsi.
Si tratta di un atteggiamento inaccettabile, che talvolta il giudice amministrativo esplicita, e che non tiene conto del fatto che la moderna concezione dell’interesse legittimo comprende in sé l’esistenza di una connessa posizione di diritto soggettivo ai fini risarcitori.
Soltanto l’attivazione di questa possibilità può spingere l’amministrazione pubblica a comportarsi correttamente, cosicché la condanna al risarcimento può svolgere una funzione educativa, come è stato più volte ricordato.
Viceversa, l’assenza di questa condanna legittima un atteggiamento neghittoso della p.a., che non si vede esposta a rischi di nessun genere, nemmeno a livello personale in capo agli amministratori o dirigenti. Da questo punto di vista l’impostazione del giudice amministrativo deve cambiare radicalmente: anche la condanna indennitaria prevista per il ritardo dall’art. 2 bis della legge n. 241 del 1990 non ha avuto nessun successo, come è dimostrato dal fatto che quei rari casi che si individuano nella giurisprudenza sono di rigetto. Viceversa, questo tipo di possibilità dovrebbe essere esplorata con maggior disinvoltura dal giudice amministrativo poiché consente l’applicazione di un’indennità di contenuto sostanzialmente modesto ma significativa della indicazione del dovere di provvedere (e non vi è nessun ostacolo a interpretare la disposizione che ha introdotto questa ipotesi come tutt’ora vigente).
5. I rapporti con il giudice ordinario. – Se il giudice amministrativo è per certi aspetti timoroso nei confronti della pubblica amministrazione, non è più audace il comportamento del giudice ordinario[14]. Basta considerare che il giudice ordinario non utilizza mai nei confronti della pubblica amministrazione i poteri estremamente incisivi, anche costitutivi, che gli sono attribuiti in materia di controversie di lavoro, riconoscendo alla pubblica amministrazione dei poteri discrezionali insindacabili e incoercibili come se l’amministrazione pubblica fosse un datore di lavoro privato e perciò dilatando a dismisura la libertà organizzatrice dell’imprenditore pubblico, con una drastica riduzione di tutela rispetto a quella che era accordata dal giudice amministrativo[15].
Ma per il vero, la Corte di Cassazione si è comportata nello stesso modo ogni qualvolta ha dovuto confrontarsi anche indirettamente con l’esercizio del potere, basti pensare alla giurisprudenza in tema di accessione invertita o di occupazione acquisitiva[16] oppure alla individuazione dei rapporti tra l’indennità di espropriazione e i poteri di pianificazione, per estendere i quali con effetti negativi sulla prima si è dato spazio ad ogni tipo di interpretazione (con l’unico limite del cosiddetto vincolo lenticolare).
La reazione della Cassazione rispetto alle attribuzioni di giurisdizione al giudice amministrativo perciò non pare ispirata alla volontà di accordare maggior tutela ma ispirata piuttosto alla volontà di preservare lo spazio di giurisdizione assegnatole tradizionalmente dall’ordinamento. Si tratta di una vera e propria actio finium regundorum[17], che, però, si è ritorta a danno della Cassazione con la sentenza della Corte Costituzionale 18 gennaio 2018, n. 6, che ha limitato la possibilità di intervento della Corte di Cassazione nei confronti delle sentenze del Consiglio di Stato appunto alla violazione dei confini. La sentenza della Corte Costituzionale è indubbiamente andata al di là di quanto era ragionevole, poiché la valutazione in termini di sussistenza della giurisdizione non è soltanto una valutazione in relazione alla ricomprensione della controversia nelle materie assegnate ma è anche una valutazione in ordine al rispetto dei requisiti fondamentali della funzione giurisdizionale. Tra questa ipotesi potrebbe esservi anche quella della ribellione alle sentenze della Corte di Giustizia. Nel caso esaminato dall’ordinanza della Corte di Cassazione del 18 settembre 2020 n. 19598, però, la ribellione non vi è stata, anche perché nel momento in cui l’ordinanza è stata pronunciata il Consiglio di Stato già si era adeguato all’ultima pronunzia della Corte di Giustizia in merito[18]. L’ordinanza del settembre 2020, perciò, è espressione di una volontà di riconquista di un ambito da parte della Corte di Cassazione, in modo astratto, volontà di riconquista, però, che così come formulata è incompatibile con il fatto che la Corte di Cassazione designa ben tre giudici della Corte Costituzionale di modo che non ha nessun senso che contesti la pronunzia della medesima e con il fatto che, essendo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione al vertice del nostro ordinamento giudiziario, esse debbono avere la sensibilità istituzionale di non portare una disposizione della Costituzione all’esame di un giudice sovranazionale[19].
È peraltro da escludere che nel nostro sistema vi sia, come viceversa taluno ipotizza[20], una marginalizzazione del ruolo del giudice ordinario, e di conseguenza della Corte di Cassazione, nei confronti della pubblica amministrazione. I rapporti tra i due giudici non dipendono dalle norme processuali ma viceversa dalle scelte sostanziali del legislatore in ordine alla configurazione della posizione soggettiva dei cittadini nei confronti dell’amministrazione e alla qualificazione del potere e dell’azione di quest’ultima nei loro confronti (anzi, di norma, il rapporto è rovesciato, il legislatore si preoccupa prima dell’azione dell’amministrazione e solo di riflesso della posizione dei cittadini). Le vicende dello stato a diritto amministrativo hanno ovviamente un’influenza sui confini fra le giurisdizioni. Ma il giudice ordinario, al quale è assegnato un ruolo sempre centrale, anche nei confronti dei poteri pubblici, ha comunque un ampio spazio nel quale può muoversi per arricchire in concreto la tutela del cittadino, da un lato esercitando, come già più sopra si è richiesto, i suoi poteri di decisione laddove attribuitigli dall’ordinamento, dall’altro affinando le tecniche di verifica della liceità dell’azione amministrativa, riempiendo di contenuto i concetti di correttezza e buona fede, che sempre più si debbono allontanare da concetti giuridici indeterminati per assumere un contenuto articolato a somiglianza di quanto è avvenuto per l’eccesso di potere. Più il giudice ordinario sviluppa questa sua capacità di tutela, più è effettivo il suo ruolo di custode dei diritti dei cittadini. E, ancora, questa funzione del giudice ordinario viene ad agire da stimolo nei confronti del giudice amministrativo affinché anch’egli non rinunci a perfezionare le tecniche di sindacato sull’attività autoritativa dell’amministrazione che sperimenta fin dalla sua istituzione.
Anziché avviare una contesa l’un contro l’altro, i due giudici debbono cooperare perché sia sempre più garantita la tutela giurisdizionale nei confronti della p.a. che è uno dei principi fondamentali della Carta Costituzionale, nella fissazione del quale i costituenti si sono impegnati ed hanno raggiunto punti di rilievo, pur non essendone probabilmente all’epoca del tutto consapevoli.
È evidente che i rapporti fra il Consiglio di Stato e la Corte di Cassazione comunque incontrano dei momenti di frizione ed è necessario che queste frizioni vengano ricondotte il più possibile alla normalità delle vicende processuali[21], dovendosi tener presente che stante le diverse opinioni la stessa funzione nomofilattica è tendenziale[22].
Probabilmente, la soluzione potrebbe essere quella di un tribunale dei conflitti, che però, proposto già dagli inizi del ‘900 non è mai stato istituito per le varie resistenze che ciascuno dei soggetti coinvolti frappone ad ogni profonda modificazione. L’istituzione di un organo a ciò dedicato potrebbe essere effettuata anche in assenza di una riforma costituzionale, se la si configurasse come una particolare modalità di composizione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione allorché giudicano su questioni di giurisdizione[23]. La composizione delle Sezioni della Corte di Cassazione, ed anche delle Sezioni Unite, infatti, è contenuta in una legge ordinaria, la legge sull’ordinamento giudiziario, e la presenza dei Consiglieri di Stato nelle Sezioni Unite, unitamente ai magistrati della Corte dei Conti, non può certo costituire una violazione dell’art. 102 della Costituzione.
Va considerato infatti che quella previsione era volta ad evitare che all’interno della giurisdizione ordinaria potessero essere istituiti giudici speciali o straordinari, non certo ad evitare che giudici forniti delle medesime garanzie appartenenti ad organi giurisdizionali che la Costituzione espressamente salvaguarda (il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti) dovessero essere radicalmente esclusi dal partecipare a specifiche funzioni del giudice ordinario. La Carta Costituzionale, infatti, ammette che, con determinate garanzie, addirittura cittadini estranei alla magistratura possano prendere parte all’amministrazione della giustizia, a’ sensi del secondo comma dell’art. 102, e che soggetti estranei, ma qualificati, e cioè gli avvocati e i professori universitari, possano essere nominati consiglieri di Cassazione a’ sensi del successivo art. 106. I giudici del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, perciò, proprio per il loro status e la loro funzione, ben possono essere coinvolti in specifiche funzioni presso la Corte di Cassazione, anche soltanto in forza di una legge ordinaria.
Le Sezioni Unite a questo fine potrebbero essere composte da nove magistrati, tre dalla Cassazione, tre del Consiglio di Stato e tre della Corte dei Conti e la presidenza potrebbe essere assegnata a turno al magistrato più anziano del plesso giurisdizionale non coinvolto nella questione di giurisdizione. Le Sezioni Unite dovrebbero risolvere la questione di giurisdizione e rimettere ad altra composizione la soluzione delle altre questioni eventualmente connesse.
Un organo di questo tipo, che non costituirebbe un apparato apposito con tutti i costi e gli inconvenienti conseguenti, potrebbe stemperare i rapporti tesi che periodicamente insorgono tra le giurisdizioni[24], ferma restando la necessità che si affermi uno spirito di collaborazione, già auspicato nel memorandum del 15 maggio 2017 e favorito dagli studi comuni recenti[25].
[1] Il riferimento è, in particolare, al numero 1 del 2021 della rivista Questione Giustizia, interamente dedicato al tema, ed aperto da un pensoso editoriale di N. ROSSI, Il policentrismo giurisdizionale e la coesistenza di sistemi di tutela giurisdizionale diversi ed equiordinati, che ritiene la coesistenza necessaria, pur con reciproche criticità.
[2] Sottolinea il ruolo del sindacato giurisdizionale per evitare deviazioni e disfunzioni in fase di attuazione delle leggi G. NAPOLITANO, Giustizia amministrativa e logica del diritto amministrativo (anche alla luce della pandemia), in Questione Giustizia, n. 1/2021.
[3] Del resto, a livello europeo la presenza di giurisdizioni dedicate alla tutela nei confronti della p.a. è cresciuta, come rileva A. PAJNO, Ricostituzione della fiducia e dialogo fra le giurisdizioni, in Questione Giustizia, n. 1/2021.
[4] Significativamente, F. G. SCOCA, Processo amministrativo e giusto processo, in Dir. e proc. amm., 2021, p. 1 ss, afferma che è “indiscutibile”che il processo amministrativo si sia profondamente evoluto fino ad essere almeno in potenza uno strumento pienamente efficace di tutela nei confronti della pubblica amministrazione. Anche nella pandemia il giudice amministrativo ha fornito una risposta adeguata, come sottolinea M. A. SANDULLI, Il giudice amministrativo come giudice dell’emergenza, in Giustizia Insieme, 21 aprile 2021.
[5] Evidenzia questa specificità F. PATRONI GRIFFI, Contributo al dibattito sul giudice amministrativo come risorsa, in Questione Giustizia, n. 1/2021.
[6] Ed è significativo che da ultimo l’appellabilità del decreto cautelare presidenziale sia stata ammessa se i tempi del decidere altrimenti lasciano spazio soltanto al rimedio risarcitorio: Cons. Stato, Sez. II, decreto 4 maggio 2021, n. 2289, commentata da I. GENUESSI, Sull’appellabilità del decreto cautelare monocratico: tra esigenze di tutela conseguenti alla pandemia e orientamenti giurisprudenziali contrastanti, in Giustizia Insieme, 20 aprile 2021.
[7] L’accresciuta efficacia del sindacato del giudice amministrativo è riconosciuta da G. MONTEDORO – E. SCODITTI, Il giudice amministrativo come risorsa, e da G. SEVERINI, Attualità e qualità della giustizia amministrativa tra trasformazione del potere pubblico e strumentazioni processuali, in Questione Giustizia, n. 1/2021.
[8] Il che non significa avallare ogni scelta interpretativa creatrice della giurisprudenza, come ben sottolinea M. A. SANDULLI, Incostituzionalità dell’interpretazione analogica “creativa” in malam partem (nota a Corte Cost. 14 maggio 2021, n. 98), in Giustizia Insieme, 31 maggio 2021.
[9] Ne individua talune D. U. GALETTA, L’azione amministrativa e il suo sindacato: brevi riflessioni in un’epoca di algoritmi e crisi, in Questione Giustizia, n. 1/2021.
[10] L’approfondita ricostruzione dell’istituto è in F. G. SCOCA, L’interesse legittimo – Storia e teoria, Torino, Giappichelli, 2017, che a pag. 399 ss. esamina la situazione attuale del problema. L’opinione qui espressa è più ampiamente argomentata in C. E. GALLO, Attualità dell’interesse legittimo, in Studi in memoria di A. ROMANO TASSONE, Editoriale Scientifica, II, Napoli, 2018, p. 1285 ss..
[11] Anche nel dibattito attuale vi sono diverse posizioni circa la natura delle due posizioni soggettive. Ritengono che si debba distinguere F. FRANCARIO, Interesse legittimo e giurisdizione amministrativa: la trappola della tutela risarcitoria e M. FRACANZANI, Per un giudice amministrativo veramente speciale, mentre sostiene la piena equiparazione L. FERRARA, Il giudice amministrativo come risorsa o come problema?, tutti in Questione Giustizia, n. 1/2021 (lo scritto di F. FRANCARIO è anche in Giustizia Insieme, 24 maggio 2021.
[12] Così anche M. LIPARI, La giustizia amministrativa italiana: una risorsa di qualità tra criticità e nuove prospettive, in Questione Giustizia, n. 1/2021.
[13] Insiste sulla necessità del pieno accertamento del fatto M. A. SANDULLI, La “risorsa” del giudice amministrativo, in Questione Giustizia, n. 1/2021.
[14] M. CLARICH, Riflessioni sparse sul dualismo giurisdizionale non paritario, in Questione Giustizia, n. 1/2021, correttamente osserva che il giudice amministrativo ha meno familiarità con le questioni risarcitorie mente il giudice ordinario ha meno familiarità nell’apprezzare gli atti amministrativi.
[15] Si vedano, per la limitata possibilità di una sentenza costitutiva, Cass., Sez. Lav., 23 giugno 2020, n. 12368 e viceversa, per una più incisiva pronunzia indennitaria, Cass., Sez. Lav., 9 marzo 2021, n. 6485.
[16] Vicenda complicatissima anche nelle più recenti configurazioni: G. TROPEA, Giurisdizione e acquisizione sanante: l’ennesima sciarada (nota a Cass., Sez. I, ord. n. 29625/2020, in Giustizia Insieme, 27 gennaio 2021.
[17] Criticata anche da L. VIOLANTE, Per una concezione “non proprietaria” della giurisdizione, in Questione Giustizia, n. 1/2021.
[18] Un atteggiamento più prudente è stato assunto da una successiva pronuncia commentata da P. BIAVATI, Il rilievo della questione pregiudiziale europea fra processo e giurisdizione (nota a Cass., Sez. un., 30 ottobre 2020, n. 24107, in Giustizia Insieme, 14 gennaio 2021.
[19] Questo non significa ovviamente che non sia possibile alla Corte di Cassazione rappresentare ai giudici sovranazionali opinioni diverse da quelle accolte dalla Corte Costituzionale, come del resto spesso fa lo stesso giudice amministrativo: si veda, in proposito, il commento di R. PAPPALARDO, La corsa al dialogo nella discordia sulla giurisdizione (nota a Cons. St., ord. 18 marzo 2021, n. 2377), in Giustizia Insieme, 5 aprile 2021, a proposito della rimessione alla Corte di Giustizia della questione circa l’impossibilità di esperire un ricorso in revocazione nel caso di successiva pronunzia dissonante della Corte di Giustizia.
[20] Si veda la posizione espressa da A. LAMORGESE, La maionese impazzita delle giurisdizioni, in Questione Giustizia, n. 1/2021.
[21] Anche se ogni criterio di riparto crea problemi, il pluralismo giurisdizionale è una ricchezza: così M. RAMAJOLI, Pluralismo giurisdizionale e situazioni soggettive sostanziali, in Questione Giustizia, n. 1./2021.
[22] Così pure A. TRAVI, Il giudice amministrativo come risorsa!, in Questione Giustizia, n. 1/2021.
[23] Ipotesi che pare ritenere praticabile R. RORDORF, Il ragno e la tela: note a margine di uno scritto di Scoditti e Montedoro sulla pluralità delle giurisdizioni, in Questione Giustizia, n. 1/2021.
[24] Favorevole ad eterointegrazioni reciproche degli organi di vertice delle giurisdizioni, ma previa modificazione del testo costituzionale, pare anche L. ROVELLI, Riflessioni sul tema del pluralismo delle giurisdizioni, in Questione Giustizia, n. 1/2021.
[25] Iniziative sulle quali insiste, proponendone anche una istituzionalizzazione, A. COSENTINO, Qualche riflessione su pluralità delle giurisdizioni e nomofilachia, che si dichiari invece contrario ad una composizione mista delle Sezioni Unite, della quale ricorda analiticamente le precedenti proposte.