Pandemia, Stato e Regioni: quando la ‘materia’ non basta (nota a Corte Costituzionale n. 37/2021)
di Marcella Gola
Sommario: 1 L’emergenza come criterio autonomo di riparto delle competenze territoriali - 2. Emergenza e rischio: vecchie e nuove sfide per la gestione delle crisi - 3. Crisi sanitaria e unità economica - 4. Segue. Specificità del contesto e potere di decisione - 5. Considerazioni conclusive. Ampiezza degli interessi e sistema sanitario nazionale.
1. L’emergenza come criterio autonomo di riparto delle competenze territoriali
La pandemia da Sars – Covid 19 già per definizione evoca la distribuzione territoriale ampissima degli interessi che chiedono protezione, richiamando la necessità di concertarsi sull’efficacia delle misure adottate rispetto agli obiettivi identificati come reazione all’evento negativo sopravvenuto.
Efficienza ed economicità, come parametri di valutazione dell’agire pubblico, subiscono contingentemente un arretramento, rispetto all’efficacia, nella definizione di strumenti e decisioni straordinari da commisurare alle effettive esigenze di contenimento e cura della malattia.
La pandemia, termine attualmente usato per indicare l’emergenza sanitaria da Sars- Covid 19, è una denominazione dalla radice più antica di quella che indica la globalizzazione, fenomeno che da tempo ha rimesso in discussione la corrispondenza ideale tra i governi territoriali autonomi e gli interventi pubblici in ambito economico e sociale, basata prioritariamente sulla preferenza per la vicinanza dei primi al contesto sul quale i secondi incidono.
Questo criterio, espresso chiaramente in Costituzione con riferimento alla funzione amministrativa, ha fornito alle Regioni una sollecitazione ad affermare la propria competenza, anche legislativa, a fronte della situazione di crisi sanitaria e, di riflesso, economica, che si è verificata.
In generale, occorre infatti ricordare che la pandemia ha fatto un ingresso ‘a gamba tesa’ nel processo di differenziazione regionale, nel quale spiccava la richiesta di maggiori poteri in materia sanitaria.
Oltre alla rivendicazione della sfera di autonomia già riconosciuta a questi Enti, la spinta all’intervento ‘individuale’, cioè fuori sistema, si è basata anche sulla oggettiva diversificazione della distribuzione territoriale – specie in fase iniziale, nei primi mesi del 2020 – del virus, tale da motivare chiusure ed isolamento delle aree maggiormente colpite; il criterio della ‘colorazione’ ha concretizzato tale circostanza, dando anche visibilità alla valutazione del corrispondente rischio sottostante.
Alla condizione sanitaria, ritenuta in linea di principio riconducibile alla competenza concorrente in materia di ‘tutela della salute’ nonostante l’eccezionalità della sua consistenza ed estensione, si è presto affiancata la considerazione per l’impatto sociale di dette chiusure - estese cautelativamente all’intero territorio nazionale, pur con diverse gradazioni -, specie sull’economia, anch’essa entrata in crisi.
In questo contesto si colloca la l.r. Valle d’Aosta, 9 dicembre 2020, n. 11, recante ‘Misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2 nelle attività sociali ed economiche della Regione autonoma Valle d’Aosta in relazione allo stato d’emergenza’, oggetto d’impugnazione da parte del Governo, con la quale la Regione autonoma ha inteso intervenire sulle attività indicate, in particolare con attenzione al settore del turismo, attività centrale per lo sviluppo locale.
La finalità ‘multipla’ della legge – contenimento contagio tramite regolamentazione attività economiche – offre uno spunto di riflessione particolarmente interessante, anche per il futuro assetto dei rapporti tra Stato e Regioni.
L’occasione conseguente alla dichiarazione dello stato di crisi espressa dall’ONU che ha così sancito il ‘salto di qualità’ – in negativo, purtroppo, - dell’epidemia divenuta mondiale può servire, utilmente, a superare l’idea che il potere legislativo si distribuisca solo per materie, declinabili con contenuti predeterminati, condivisi e certi.
La sentenza della Corte si basa a prima lettura sull’applicazione del principio del riparto per materie, rinvenendo nella fattispecie la riserva statale che esclude la scelta alternativa voluta dalla Regione alla materia ‘profilassi internazionale’, ritenuta idonea ad assorbire tutta la complessità della emergenza che si è intesa contrastare coi provvedimenti statali disattesi dalla diversa determinazione del Consiglio regionale. Tale interpretazione, per inciso, vale ad escludere ogni potestà regolamentare in capo alle Regioni.
In realtà, le argomentazioni della Corte aprono la strada a più ampi scenari e riflettono un generale stato di insoddisfazione rispetto a soluzioni apparentemente rispettose di criteri formali ma non in linea con l’assetto complessivo dell’ordinamento giuridico attuale e dei livelli di competenza in cui questo è articolato.
Ferma restando la necessità di proporzionare le misure da adottare all’effettiva natura del caso – operazione non semplice, in buona parte condizionata da valutazioni tecnico scientifiche di cui la politica può offrire solo una sintesi, traducendole in iniziative concrete -, il dato che emerge nel caso considerato è infatti quello che assegna rilevanza determinante alla peculiarità della situazione, risultato di una combinazione di una pluralità di fattori e non riconducibile nel suo complesso al quadro ordinario e, potremmo dire, statico, che regola la distribuzione del potere.
L’emergenza riguarda infatti la situazione; non classifica il provvedimento adottato in quanto il legislatore non ne ha bisogno, essendo ampia la discrezionalità legislativa, condizionata dalla sua ragionevolezza variamente declinata, senza che sia ravvisabile la necessità di motivare l’esercizio di un potere con risultati derogatori rispetto al diritto vigente.
La Corte costituzionale segue questa impostazione quando esclude la pertinenza alla competenza statutaria delle norme impugnate, combinandole “alla luce delle finalità perseguite dal legislatore regionale e del fascio di compositi interessi coinvolti”: così al punto 5 del considerato in diritto della sent. n. 37 del 2021, aderendo alla prospettazione dello Stato in veste di ricorrente.
Eliminare il pericolo e diffondere sicurezza sono obiettivi propulsori del potere pubblico, validi ad intrecciarsi con ogni materia settoriale che deve pro quota cedere per garantire la conservazione dell’ordinamento giuridico, a partire da quello statale, sovrano e originario. Non trasversalità, non specialità ma straordinarietà ed emergenza determinano quindi il necessario assetto per un adeguato intervento unificato al livello più ampio dell’ordinamento. Nella recente dottrina, già prima della dichiarazione di pandemia, è stata ben evidenziata la necessità di affrontare l’emergenza con un nuovo approccio giuridico [1]
L’ordinamento giuridico contiene molti indizi in questo senso, prevedendo sempre clausole di apertura verso il contrasto dell’eccezionalità: nel diritto amministrativo è esemplare il caso delle ordinanze contingibili e urgenti, definite convenzionalmente ‘libere’. Per quello legislativo esiste lo strumento del decreto legge che sposta addirittura l’esercizio della funzione dal suo titolare, sacrificando in nome di straordinarietà, necessità e urgenza il fondamentale canone dell’azione del Parlamento, rappresentante della sovranità popolare.
Non si pone in discussione l’autonomia regionale, che anzi continua a rappresentare il livello organizzativo più adatto per collocare, tra gli altri, i servizi sanitari. La pandemia, si è già ricordato, si è manifestata mentre era in pieno svolgimento un processo evolutivo diretto proprio in questa direzione, interrotto appunto dal radicale cambiamento del contesto cui si rivolgeva e dall’emergenza riscontrata.
La stessa Corte, intervenendo sulla censurata scelta della Regione Valle d’Aosta, ha infatti ritenuto opportuno affermare espressamente “quanto fondamentale sia l’apporto dell’organizzazione sanitaria regionale, a mezzo della quale lo Stato stesso può perseguire i propri scopi”, ribadendo contestualmente che sia il legislatore statale “ titolato a prefigurare tutte le misure occorrenti”, da intendere “coessenziali al disegno di contrasto di una crisi epidemica” come si legge al punto 8 del considerato in diritto, sent. n. 37 del 2021 cit.
Ancor più concretamente, nella stessa sentenza, con riferimento all’art. 2 del d.l. n. 19 del 2020 e sul “percorso di leale collaborazione con il sistema regionale” ivi disposto, al punto 12 del considerato in diritto si reputa che quella adottata dal legislatore statale sia una “soluzione normativa consona sia all’ampiezza del fascio di competenze regionali raggiunte dalle misure di contrasto alla pandemia, sia alla circostanza obiettiva per la quale lo Stato, perlomeno ove non ricorra al potere sostitutivo previsto dall’art. 120 Cost., è tenuto a valersi della organizzazione sanitaria regionale, al fine di attuare le proprie misure profilattiche” (il corsivo è di chi scrive).
L’espressione adottata, si nota agevolmente, evoca quella di ‘avvalimento di uffici’ che il vecchio testo dell’art. 118 cost. proponeva come alternativa per lo svolgimento delle funzioni amministrative regionali, finalizzata più all’intento di evitare duplicazioni che a quello di rispettare l’autonomia degli enti locali sulla quale era destinata ad incidere. Difficile pensare alla casualità del termine scelto, che sottolinea piuttosto - e non senza problematicità - l’idea della chiamata non in sussidiarietà, ma all’unità del sistema a fronte della straordinarietà della situazione da affrontare.
Occorre in ogni caso riconoscere l’esigenza che l’ordinamento sappia adattarsi alla straordinarietà delle situazioni, non attraverso interventi speciali e in quanto tali non contemplati, ma ricorrendo a misure diversificate rispetto allo standard, previamente determinato in via generale ed astratta prefigurando un andamento ‘normale’ dei fenomeni che si intendono regolare.
Si tratta quindi di aprire la strada a strumenti adeguati alla situazione da affrontare, legittimi nei limiti – temporali, qualitativi e quantitativi - di quanto necessario a dare risposta e contrastare l’alterazione dell’assetto degli interessi delineato dalla legge. Non si tratta di distinguere per specialità un caso particolare dal genere cui è riconducibile, bensì di ripristinare l’ordine giuridico che è stato leso o è minacciato da eventi o circostanze eccezionali, con interventi mirati e proporzionati.
Il tema si sposta quindi sulla ricerca della titolarità non tanto dell’intervento in sé ma della definizione della sua giusta proporzione, da intendere integrato nel potere di agire.
In coerenza con questa affermazione, la Corte ricorda diverse fonti legislative che riconducono allo Stato la competenza di intervenire in caso di emergenza, anticipando il ricorso al principio di sussidiarietà in materia di igiene e sanità pubblica – tema principale della fattispecie -, e di polizia veterinaria. Ai sensi dell’art. 32, l. n. 833 del 1978, Regioni ed enti locali sono infatti legittimate ad adottare ordinanze contingibili e urgenti, a condizione che “l’efficacia di tali atti possa essere garantita da questo livello di governo, posto che compete invece al Ministro della salute provvedere quando sia necessario disciplinare l’emergenza” (sent. n. 37 del 2021 cit.) tramite l’adozione di provvedimenti “con efficacia estesa all’intero territorio nazionale o parte di esso comprendente più Regioni”, facendo altresì salvi, nelle stesse circostanze, “i poteri degli organi dello Stato preposti in base alle leggi vigenti alla tutela dell’ordine pubblico” (art. 32 cit., confermato anche dall’art. 117 del d.lgs. n. 112 del 1998 contestualmente ricordato). Nel brano estratto dalla sentenza richiamata si intende evidenziare – con il corsivo di chi scrive - l’uso dell’espressione “disciplinare l’emergenza”, riconosciuta perciò ‘materia’ (meglio: legittimazione) autonoma, oggetto del potere pubblico in discussione.
Il Giudice delle legge, a sottolineare l’affermazione che “il legislatore non abbia inteso riferirsi all’ovvio limite territoriale di tutti gli atti assunti in sede decentrata, ma, piuttosto, alla natura della crisi sanitaria da risolvere” (punto 8 del considerato in diritto) richiama anche il t.u.e.l,, d.lgs. n. 267 del 2000, il cui art. 50, comma 5, limita il potere sindacale di ordinanza alle emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale, sancendo il passaggio di competenza agli altri livelli di governo territoriale in base alla dimensione dell’emergenza da affrontare.
Ultima citazione è quella alla quale si deve una delimitazione legislativa dell’emergenza, costruendo appositamente un Servizio nazionale per fronteggiarla.
Secondo il d.lgs. n. 1 del 2018, Codice della protezione civile, ragionando a contrario, l’emergenza è ciò che l’organizzazione ivi istituita deve superare con la propria azione, consistente “nell’attuazione coordinata delle misure volte a rimuovere gli ostacoli alla ripresa delle normali condizioni di vita e di lavoro, per ripristinare i servizi essenziali e per ridurre il rischio residuo nelle aree colpite dagli eventi calamitosi, oltre che alla ricognizione dei fabbisogni per il ripristino delle strutture e delle infrastrutture pubbliche e private danneggiate, nonché dei danni subiti dalle attività economiche e produttive, dai beni culturali e dal patrimonio edilizio e all'avvio dell'attuazione delle conseguenti prime misure per fronteggiarli”: così recita l’art. 2, comma 7, d.lgs. n. 1 cit. Ripristino e conservazione della ‘normalità’, quindi, si contrappongono alla straordinarietà della situazione che si vuole contrastare, qualificata appunto come emergenziale.
Ai sensi del codice, ricorda la Corte, “è l’eventuale concentrazione della crisi su di una porzione specifica del territorio ad imporre il coinvolgimento delle autonomie quando, pur a fronte di simile localizzazione, l’emergenza assuma ugualmente “rilievo nazionale”, a causa della inadeguata «capacità di risposta operativa di Regioni ed enti locali» (sentenza n. 327 del 2003; in seguito, sulla necessità di acquisizione dell’intesa in tali casi, sentenza n. 246 del 2019)”: così il punto 8.1 del considerato in diritto, richiamando i precedenti indicati.
2. Emergenza e rischio: vecchie e nuove sfide per la gestione delle crisi
Spostata l’attenzione sulla crisi da fronteggiare, il punto è quello dell’attribuzione della gestione del rischio, e prima ancora delle decisioni da assumere sul rischio, le cui scelte non possono che essere accentrate o, se si preferisce, unificate, per esprimere al massimo la loro forza.
La competizione richiesta dalla fattispecie, in ragione della sua complessità, deve infatti concernere principalmente gli strumenti - modulabili in base alla specificità della situazione -, e non i soggetti [2]: le caratteristiche proprie del caso sul quale si deve intervenire, specie per il profilo dimensionale – ma non solo questo, in linea di principio – determinano già di per sé la riconducibilità al livello territoriale che possa adottare misure adeguate, per visione d’insieme, capacità tecnica, dotazione strumentale.
Lo stesso SSN combina bene i due sistemi, quello della regionalizzazione, ben corrispondente all’aziendalizzazione per la gestione ‘ordinaria’ – classificazione utilizzata non certo con l’intento di sminuirne la portata -, attenta al profilo produttivo e gestionale, e quello dell’uniformità di livelli prestazionali – i c.d. LEA, di competenza statale, non solo in considerazione della parità dei diritti che si intendono garantire ai cittadini, ma anche per razionalizzare e rafforzare l’intervento pubblico nel suo complesso.
La pandemia richiede una strategia prima delle prestazioni puntuali, e questa deve competere a un centro che dialoghi con le realtà territoriali e ne assuma al contempo la responsabilità – intesa prima di tutto come potere – delle scelte di indirizzo unitario.
Si tratta tra l’altro di decisioni che rispondono al fine ultimo della tutela della salute, a partire dall’evitare il diffondersi del pericolo connesso alla circolazione del virus, ma incidono anche su più settori funzionali, diversi da quello sanitario. Il fine della tutela della salute è in altri termini mediato da interventi strumentali che incidono direttamente su altri ambiti.
La legge regionale valdostana impugnata dal Governo, come già ricordato, ha infatti ad oggetto misure di contenimento della diffusione del virus nelle attività economiche e sociali del territorio. La normativa censurata, metodologicamente, consentiva tra l’altro una serie di attività economiche, purché nel rispetto di protocolli di sicurezza, discostandosi dalle più restrittive misure nazionali a vantaggio dell’impresa locale.
La Consulta ha ritenuto che la legge valdostana abbia invaso la competenza esclusiva statale in materia diprofilassi internazionale, con pregiudizio dell’interesse pubblico e ai diritti delle persone (art. 117 c. 2 lett. q) Cost.).
Per quanto già evidenziato in precedenza, la decisione è pienamente condivisibile per quanto concerne la necessità di un indirizzo unitario a fronte dell’emergenza così estesa, e ciò anche sotto il profilo pratico della certezza del diritto e della credibilità delle istituzioni, caratteristiche già di per sé messe in discussione da scelte non sempre lineari e comprensibili, che di certo non avrebbero sopportato l’ulteriore difficoltà dovuta a ‘zonizzazioni’ anche ravvicinate non rispondenti a criteri univoci.
Il problema è che, in generale, l’enfasi dell’affermazione dell’autonomia territoriale come soluzione risolutiva rispetto a un sistema inefficiente da superare rischia di assegnare allo Stato un ruolo di mero interprete e coordinatore di altri ‘centri’. Questi ultimi, sempre più destinati a esprimersi con decisioni autonome, portano a dimenticare che lo Stato ha una propria soggettività, legata a fini complessi ed espressione della sovranità che lo caratterizza, anche sul piano internazionale. Anche la tendenza alla negoziazione - pur in linea di principio garanzia di maggiore efficacia -, che permea la gran parte delle decisioni statali, come conseguenza di questa tendenziale parificazione tra livelli territoriali diversi, finisce per diventare occasione di ‘annacquamento’ delle responsabilità, depotenziando il ruolo di decisore anche quando l’attribuzione del potere è chiaramente ritenuta da Costituente e legislatore di dimensione sovra regionale.
Si avverte piuttosto la mancanza di una dimensione ancora superiore per la gestione della crisi: a livello mondiale si è visto come profili tecnici e politici confliggano, a livello europeo non si è raggiunta compitamente una politica comune e si è scontata la lontananza dei cittadini verso le istituzioni europee, che non esprimono quell’autorevolezza che può rassicurare gli utenti dei servizi sanitari nazionali.
Questo quadro giustifica la spinta sussidiaria delle Regioni, questa volta non mosse tanto da una competizione - anche perché gli attori in partenza più ‘forti’, dotati dei requisiti per aspirare alla differenziazione costituzionale, sono stati i più colpiti – ma dalla volontà di colmare un vuoto avvertito, anticipando le in-decisioni statali, senza a loro volta riuscire a fornire risposte proporzionate alla crisi affrontata.
3. Crisi sanitaria e unità economica.
Spostata, come si è proposto all’inizio di queste note, l’attenzione dal conflitto tra soggetti dell’ordinamento, ne risente anche quella sugli strumenti adeguati allo scopo che si persegue. Non serve quindi, si ribadisce, la ricerca di inesistenti ‘poteri speciali’ ma di misure proporzionate all’eccezionalità della situazione.
Nel descrivere l’ordinamento sanitario, non circoscrivendo l’analisi all’emergenza dichiarata relativamente al contagio da Covid-19, come ricordato la migliore dottrina ha già avuto modo di evidenziare la rilevanza assunta dal fattore ‘rischio’, collegato sia alla società contemporanea che ne è caratterizzata, sia alla condizione di incertezza che ad esso si collega, risolvibile solo attraverso un’adeguata procedimentalizzazione delle decisioni [3].
Lo spazio riservato al diritto amministrativo in ambito sanitario è quindi destinato ad aumentare, dando un rilievo sostanziale all’emergenza che non sempre trova nella scienza e nella tecnica medico sanitaria tutte le conoscenze valide a guidare le risposte in un’unica, incontrovertibile, direzione.
In questa prospettiva occorre però svolgere un’ulteriore riflessione.
Per meglio classificare gli interventi originati dall’emergenza sanitaria da Covid -19 occorre infatti distinguere tra norme dirette alla limitazione del contagio e quelle rivolte al ripristino - ristoro economico: il contrasto della pandemia soddisfa l’interesse sanitario, ma la ricaduta economica della pandemia muove strumenti di natura diversa da quelli riconducibili al potere sanitario quando nei provvedimenti di emergenza l’oggetto è l’attività economica e il suo sostegno.
Poco rileva infatti che la crisi sia determinata da catastrofi naturali, inefficienze del mercato, insufficienza energetica, emergenze sanitarie.
Le norme contingibili rivolte a regolare scuola, ristorazione, trasporti, esercizi commerciali, impianti sportivi ecc. incidono sul modo di erogazione dei relativi servizi, pubblici e privati, fino a imporre chiusure di alcune attività, inibite per la motivazione che la loro continuazione può favorire il diffondersi del contagio, in quanto occasione di aggregazioni.
Tra queste misure molte incidono direttamente sull’attività economica da esse considerata, o comunque producono un impatto importante sull’occupazione del settore di afferenza, con ripercussioni sul lavoro di intere categorie addette alle varie aree.
Questa situazione è riscontrabile nella l.r. Valle d’Aosta censurata dalla Corte costituzionale, disciplina la cui produzione di effetti è stata per la prima volta giudicata dalla Corte meritevole di utilizzo del potere cautelare ad essa assegnato dall’ordinamento ex art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ‘Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale’, rendendo perciò ancora più interessante l’interpretazione data alla fattispecie dal Giudice delle leggi [4]
L’ordinanza della Corte del 14 gennaio 2021, n. 4 si basa sul presupposto che “la legge regionale impugnata disciplina la gestione regionale dell’emergenza epidemiologica indotta dalla diffusione del virus Covid-19”, riconducendo quindi tutta la legge di cui si dispone la sospensione all’ambito sanitario, pur nello sesso contesto evidenziando che” con tale legge regionale la Regione ha, tra l’altro, selezionato attività sociali ed economiche il cui svolgimento è consentito, nel rispetto dei protocolli di sicurezza, anche in deroga a quanto contrariamente stabilito dalla normativa statale, recante misure di contrasto alla pandemia da Covid-19”.
Nello specifico, la legge regionale di cui si sono sospesi gli effetti è stata ricondotta alle materie della profilassi internazionale (art. 117, secondo comma, lettera q, cost.), di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettera m, cost.), oltre che a principi fondamentali della materia tutela della salute. Nella decisione del conflitto, tuttavia, come sopra anticipato la Corte decide di concentrarsi sull’appartenenza delle misure alla materia della profilassi internazionale, idonea a riassorbire ogni possibile interferenza e trasversalità in grado di aprire la strada a future rivendicazioni regionali, con un procedimento interpretativo analogo a quello che in ambito amministrativo consente di individuare l’interesse prevalente, e con esso l’amministrazione cui ne compete la cura.
Già in sede cautelare al Corte ha censurato il fatto che “l’intera legge regionale impugnata avrebbe … dato luogo ad un meccanismo autonomo ed alternativo di gestione dell’emergenza sanitaria, ‘cristallizzando con legge’ una situazione che la normativa statale consente alle Regioni di gestire ‘esclusivamente in via amministrativa’ ”, e “che tale assetto corrisponderebbe alla necessità di una gestione unitaria della crisi, di carattere internazionale, anche in ragione della allocazione delle funzioni amministrative, da parte del legislatore statale, secondo il principio di sussidiarietà (art. 118 Cost.), e a seguito di una “parziale attrazione allo Stato”: così si legge nella motivazione che accompagna l’ordine di sospensione degli effetti della legge valdostana.
Di certo il fattore tempo, che caratterizza l’emergenza, offre di per sé una rilevante giustificazione all’utilizzo della sospensiva, dato “che le modalità di diffusione del virus Covid-19 rendono qualunque aggravamento del rischio, anche su base locale, idoneo a compromettere, in modo irreparabile, la salute delle persone e l’interesse pubblico ad una gestione unitaria a livello nazionale della pandemia, peraltro non preclusiva di diversificazioni regionali nel quadro di una leale collaborazione”. La tempestività delle misure da adottare, tuttavia, varrà anche ai fini di calibrare la ricordata cooperazione tra livelli territoriali, che ne sarà corrispondentemente condizionata: si torna così ad evidenziare la necessità che la decisione, per quanto auspicabilmente condivisa, debba comunque trovare una definizione unitaria.
Per inciso, si osserva che la stessa Corte, nella sentenza qui richiamata, ricorda che il principio di leale collaborazione “ non è applicabile alle procedure legislative, ove non imposto direttamente dalll Costituzione (ex plurimis, sentenza n. 233 del 2019)” , mentre questo principio è stato ora inserito nella l. n. 241 del 1990, tra i principi dell’azione amministrativa [5] : si adatta quindi alla fase gestionale e non a quella decisionale presupposta, di definizione dei fini e allocazione dei poteri necessari a conseguirli.
Il rischio torna quindi ad assumere una rilevanza autonoma, anche indipendente dall’ambito materiale nel quale emerge, per definire un intervento ad esso contrapposto, proporzionato al contesto sul quale deve produrre gli effetti voluti. Al quadro già delineato si aggiunga, incidentalmente, che la profilassi richiama un’attività propria della scienza medica, il cui contenuto non può essere rigidamente predeterminato dalla legge, in ciò tornado ad evidenziare la rilevanza della fattispecie concreta cui si intende dare risposta.
Del resto, anche dall’interpretazione data dalla Corte emerge la preoccupazione che l’invasione della competenza esclusiva statale possa recare “pregiudizio dell’interesse pubblico e ai diritti delle persone”, ritenuto grave e irreparabile in sede cautelare.
L’aggancio alla profilassi internazionale consente alla Corte di sancire la «uniformità anche nell’attuazione, in ambito nazionale, di programmi elaborati in sede internazionale e sovranazionale», richiamandosi a proprie precedenti pronunce (Corte Cost., sentenze nn. 5 del 2018; 270 del 2016, 173 del 2014, 406 del 2005 e 12 del 2004).
Sin dall’istituzione del SSN la profilassi internazionale è riservata alla competenza statale, con chiara volontà di centralizzazione, così come la generale profilassi di malattie infettive e diffusive per le quali siano imposte la vaccinazione obbligatoria o misure quarantenarie, nonché le epidemie e le epizoozie: cfr artt. 6, comma 1, lett. a e b, e 7 della l. n. 833 del 1978. Il successivo art. 7 prevede la mera delega alle Regioni delle funzioni amministrative relative alla seconda categoria di interventi sopra citata (art. 6, lett. b cit.), perciò di livello diverso da quello internazionale partitamente enunciato, cui la pandemia deve essere ascritta. La struttura del sistema sanitario, quindi, garantisce l’unicità del centro di imputazione per questi interventi, destinati a non essere suscettibili di frammentazione.
Per questa strada la Corte trova una soluzione forte per bloccare le possibili fughe ‘in ordine sparso’ da parte delle Regioni, quando finalizzate a vanificare il livello di garanzia adottato sull’intero territorio nazionale.
Altre considerazioni, tuttavia, possono portare ad analogo risultato, fornendo un utile contributo per future occasioni in cui sia posta in discussione l’attribuzione della competenza a fronte di situazioni che presentino un’analoga connotazione di straordinarietà ed emergenza.
L’obiettivo costituzionale dell’unità economica [6] giustifica l’individuazione di una competenza riequilibratrice di titolarità statale, destinata a integrare il ‘normale esercizio’ delle funzioni distribuite in base all’autonomia territoriale, incidendo – temporaneamente e proporzionalmente - sugli ambiti materiali in grado di condizionarne il conseguimento.
Una conferma di questa lettura si rinviene nell’art. 119 cost., comma 5, in cui si sancisce il potere statale di intervento straordinario “per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni”.
Considerata la finalità garantistica della disposizione, se ne può trarre un principio interpretativo di base che, quanto all’impatto sull’economia e sui diritti della persona, costituisce una base solida per giustificare la riconducibilità allo Stato di ‘interventi speciali’, non necessariamente di solo contenuto finanziario, come richiesto dall’emergenza determinata dalla pandemia da Sars – Covid 19. La straordinarietà della situazione non altera in modo permanente l’assetto delle competenze, anzi per quanto possibile confermato a garanzia della continuità delle funzioni pubbliche ‘ordinarie’, compatibili con la gestione dell’emergenza sanitaria che, già di fatto, le condiziona.
Così come la corretta determinazione dei ‘LEA’ contemplata nell’art. 117, comma 2 lett. m) Cost. non si deve esaurire nella definizione del finanziamento necessario a garantirli, con lo stesso criterio argomentativo si può ritenere che il sostegno finanziario dei medesimi interventi contemplato dall’art. 119 cit. non esaurisca l’ambito della sfera riservata allo Stato.
L’unità economica richiamata dalla Costituzione è così più sistematicamente da intendere riferita non al solo piano della finanza pubblica – specie a sostegno del potere di controllo esterno ad essa ricondotto: cfr., ad esempio, l’uso dello stesso parametro in Corte cost., 6 marzo 2014, n. 39 – ma, ben più ampiamente, la sua affermazione travalica il rapporto tra livelli territoriali, coinvolgendo necessariamente l’insieme delle realtà economiche che determinano la ricchezza del Paese, rafforzando la possibilità di centralizzazione, alla bisogna, sulla base di un ragionamento analogo a quello sottostante la tutela della concorrenza, anch’essa riservata allo Stato ex art. 117, comma 2, lett. e).
Questo orientamento è tanto più valido per gli interventi del prossimo futuro, pianificati fino al 2026 sulla base del Piano nazionale di ripresa e resilienza, c.d. recovery plan: rafforzato dalla circostanza che le risorse di cui si dispone l’utilizzo sono di provenienza europea. Il primo comma aggiunto all’art. 97 cost dalla l. cost. n. 1 del 2012 diventa perciò principio guida per l’azione amministrativa di attuazione del piano: “le P.a., in coerenza con l’ordinamento dell’UE, assicurano l’equilibrio dei bilanci la sostenibilità del debito pubblico”, disposizione dalla quale emerge con evidenza la necessità della visione unitaria e sistematica degli interventi previsti, sempre senza incidere sull’autonomia organizzativa dei soggetti coinvolti, a uniformità di risultato garantita.
4. Segue. Specificità del contesto e potere di decisione.
Un altro precedente interessante per la lettura proposta, che combina misure straordinarie a tutela della salute con il connesso profilo economico, è quello affrontato dalla Corte con sentenza 13 gennaio 2004, n. 12, decisione che vede i contendenti ancora una volta parti inverse rispetto alla controversia decisa con la sent. n. 37 del 2021.
La fattispecie giudicata, anch’essa riferibile alla materia profilassi internazionale, volta al contrasto della pandemia determinata dalla così detta ‘mucca pazza’, ha infatti portato la Corte a sottolineare che “l’attribuzione a livello centrale di funzioni amministrative, quali la predisposizione di interventi per la protezione dall’influenza e la gestione di un apposito ‘fondo per l’emergenza ‘blue tongue’, trova giustificazione in esigenze di carattere unitario e, specificamente, nel principio di adeguatezza. Il coordinamento degli interventi economici e sanitari si rende infatti necessario proprio tenendo conto della diffusività della malattia, che travalica i confini territoriali delle Regioni e addirittura degli Stati” (corsivo aggiunto).
Il richiamo all’adeguatezza, pur sancito dall’art. 118 cost. con riferimento al riparto della distribuzione della funzione amministrativa, condiziona il suo presupposto legislativo che deve garantire il risultato perseguito, e perciò a sua volta trovare allocazione là dove questo obiettivo unitario sia disponibile.
In linea generale, occorre inoltre considerare che la pandemia non consente di individuare un modello di ‘bacino ottimale’ per adeguare gli interventi necessari per un efficace contrasto alla sua diffusione.
L’organizzazione territoriale non può che avvenire sulla base di una differenziazione riferita alla variazione delle situazioni (sanitarie, nella specie) localmente rilevate, delineando una graduazione delle misure che comunque richiede omogeneità in corrispondenza delle tipologie di zone classificate in base a parametri univoci, tecnicamente definiti.
Punto centrale della questione, a parere di chi scrive e come già esposto, è quello che ruota attorno alla considerazione del rischio, diffuso in corrispondenza con la pandemia, e alla sua riconduzione ad unità.
Si tratta di un tema ricorrente nel recente periodo, e che finisce per condurre, in sostanza, al fondamento del potere di assumere decisioni e dell’assunzione della relativa responsabilità. Proprio l’ambito degli interventi pubblici in materia di sanità rappresenta il contesto in cui tale fattore si avverte con particolare evidenza: sin dalle prime leggi di unificazione, la l. 20 marzo 1865, n. 2248 allegato C dedicato alla sanità pubblica, tracciava infatti le prime disposizioni per l’amministrazione della salute contemplando le misure per gli interventi emergenziali volti a fronteggiare il rischio sanitario [7]
Ciò è tanto più importante in quanto il fine della tutela della salute – che risponde chiaramente a livelli uniformi quanto alle prestazioni definite essenziali – si intreccia, e spesso si attua, attraverso interventi che incidono direttamente sulla vita della società. Si considerino in particolare la circolazione personale e l’iniziativa economica, principali ambiti sui quali incidono le misure di restrizione che mirano al contenimento del contagio. Entrambe sancite in Costituzione, pur con le differenze dovute anche alla collocazione delle due norme - artt. 16 e 41 -, che rispettivamente le sanciscono, tanto la libertà di circolazione, tanto quella economica nascono già con limitazioni interne, dirette infatti alla garanzia di sicurezza che il loro esercizio non deve contrastare.
Quella stessa sicurezza che, richiamata dal ‘nuovo’ testo dell’art. 120 cost., pone espressamente tra le ragioni che legittimano l’intervento sostitutivo del Governo sugli organi delle autonomie territoriali che non ne abbiano assicurato la garanzia. Lo Stato, quindi, è garante della sicurezza pubblica, cui, a legittimazione dello stesso potere sostitutivo, sempre nel testo dell’art. 120 Cost. comma 2 si aggiungono incolumità pubblica, “la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e locali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali”, oltre al rispetto di trattati e norme internazionali e ‘comunitarie’. La vicenda determinata dal contagio da Sars-Covid 19 è perfettamente riconducibile a questo quadro sostanziale, riferito a ipotesi in cui la competenza dei governi locali sia in linea di principio riconosciuta dall’ordinamento, condizione qui esclusa dalla Corte.
L’art. 120, in definitiva, modifica radicalmente il criterio di soluzione dei conflitti tra Stato e Regioni, ‘depoliticizzandolo’ rispetto al precedente coinvolgimento risolutivo del Parlamento, ma in sostanza si può ritenere che la norma vigente declini coi parametri indicati quello che nel vecchio testo dell’art. 127 era espresso dal ‘contrasto di interessi’.
Il richiamo implicito all’interesse nazionale, in definitiva, resta sempre valido, in una versione profondamente rivisitata e compatibile con il disegno autonomistico vigente[8]. La situazione straordinaria che l’ordinamento sta affrontando offre quindi nuovi spunti di interpretazione destinati a ridefinire i ruoli dei diversi livelli territoriali oltre l’emergenza.
5. Considerazioni conclusive. Ampiezza degli interessi e sistema sanitario nazionale.
Infine, un’interessante annotazione.
A volte il tempo, e i numeri, sono davvero sorprendenti: esattamente trenta anni fa, nel 1991, una sentenza con lo stesso numero di quella attualmente in discussione, affrontava una vicenda ben distinta rispetto a quella attuale ma con rilevanti similitudini, concernente un conflitto a parti inverse, cioè nella fattispecie Province autonome e Regione Lombardia contro lo Stato.
La pronuncia del 31 gennaio 1991, n. 37, riguarda anch’essa un intervento in ambito sanitario, e precisamente la lotta contro l'AIDS.
Nel caso si trattava dell’impugnazione di alcuni articoli della l. 5 giugno 1990 n. 135, atto con il quale si è prevista l'attuazione di numerosi interventi finalizzati “allo scopo di contrastare la diffusione dell'infezione da HIV mediante le attività di prevenzione e di assicurare idonea assistenza alle persone affette da tale patologia” (art. 1 comma 1), l. n. 135 cit. Si è trattato, tra l’altro, di sindacare la legittimità costituzionale di norme che sanciscono la competenza dello Stato a sostituirsi agli enti territoriali inattivi e la definizione di un programma di interventi da attuare sulla base di un piano ministeriale.
La Corte costituzionale, nel dichiarare la non fondatezza delle eccezioni allora sottopostele, ha espresso alcune considerazioni che, con un’operazione di ‘taglia – incolla’, potrebbero essere riportate a soluzione del caso attuale, anche a prescindere dalla intervenuta revisione costituzionale del Titolo V e del nuovo assetto delle competenze e dei rapporti tra Stato e autonomie.
Si afferma infatti nel punto 3 del considerato in diritto: “Prima di prendere in esame le specifiche questioni proposte, occorre, in una prospettiva di carattere generale e complessiva, osservare che la legge impugnata si presenta effettivamente, come risulta anche dai lavori preparatori, come intesa a dare una prima risposta seria e non frammentaria all'eccezionale situazione di emergenza sociale determinata dalla allarmante diffusione dell'infezione da HIV, patologia nuova e gravissima in espansione a livello non solo nazionale, ma mondiale, e ciò tenendo conto anche delle numerose iniziative esistenti in campo internazionale: si può ben dire dunque che tale legge vuole perseguire un interesse non frazionabile, ma concernente l'intera collettività nazionale e che richiede, per essere soddisfatto, misure e interventi di dimensioni corrispondenti. Inoltre, si tratta di un interesse che si presenta come particolarmente stringente e imperativo, essendo connesso alla indilazionabile necessità di contrastare, con mezzi adeguati, gli effetti eccezionali di un fenomeno morboso devastante, nell'intento di fornire uno standard minimo irrinunciabile di garanzia, in condizioni di eguaglianza in tutto il territorio della Repubblica, ad un valore, la salute, che, protetto dalla Costituzione come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività (art. 32), è stato costantemente riconosciuto come primario da questa Corte sia per la sua inerenza alla persona umana sia per la sua valenza di diritto sociale, caratterizzante la forma di stato sociale disegnata dalla Costituzione (v. spec., tra le tante, le sentt. nn. 455 del 1990; 324 del 1989; 1011 del 1988; 294 e 177 del 1986). Il perseguimento di un interesse siffatto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, giustifica in principio la compressione da parte del legislatore statale di ogni tipo di competenza regionale o provinciale, e ciò anche con interventi di dettaglio, purché si tratti di misure necessarie e proporzionate rispetto alla realizzazione dell'interesse medesimo (v. spec., sentt. nn. 177 e 217 del 1988; 399 e 459 del 1989; 21 del 1991). Naturalmente, ciò non implica necessariamente che le provvidenze regionali o provinciali debbano essere comunque escluse, ma, al contrario, consente che esse siano fatte salve ove siano compatibili con le modalità e gli scopi dell'intervento nazionale e possano essere adeguatamente coordinate e utilizzate al medesimo fine” [9]: il corsivo è di chi scrive.
Molte e varie cose nel contesto sono cambiate rispetto a quello vigente al tempo della richiamata pronuncia, sia in conseguenza della dichiarazione della pandemia, sia in considerazione del nuovo assetto organizzativo che ha coinvolto i livelli territoriali competenti - dalla istituzione dell’UE alla revisione costituzionale e relative norme attuative -, senza considerare le riforme di settore che hanno toccato il SSN.
Quello che resta fermo, tuttavia, è il principio dell’unità della Repubblica che, per la prima volta in stato di assedio da parte di un nemico quanto mai potente e insidioso, deve saper garantire salute, benessere e sicurezza all’intera Nazione.
L’impressione che si ricava dalla lettura delle vicende che hanno attraversato in questi anni l’analisi sul SSN è che l’attenzione degli attori e degli interpreti sia stata concentrata su alcuni profili, di indubbia rilevanza– distinzione tra politica e amministrazione, personale, finanziamento tra i primi, nonché estensione delle competenze regionali – lasciando un po’ sullo sfondo il ruolo da riservare allo Stato.
L’esigenza di riconsiderare prioritariamente le attribuzioni statali, e non necessariamente in prospettiva relazionale con gli altri enti territoriali coinvolti nel SSN, pare emergere proprio in questo periodo, non per la straordinarietà della situazione da affrontare in sé ma perché la carenza di coordinamento da un lato e ancor più l’assenza di un centro decisionale unitario, con funzioni di guida del sistema per quella parte che, in ragione dell’unità di identificazione, non può essere frazionabile. Certo, in pratica il ragionamento richiesto può sembrare analogo, solo in ordine rovesciato rispetto a quanto svolto per costruire il quadro regionale: il fatto stesso che si sia proceduto ad una revisione costituzionale quale quella che ha riguardato il Titolo V dimostra il contrario, cioè la non indifferenza del punto di prospettiva assunto, e della conseguente individuazione di chi svolga un ruolo residuale rispetto ad altri. In questo senso però si è riproposto lo stesso modello incentrato unicamente sul criterio della competenza per materia, ritenendo che l’ampiamento – apparente – della gamma spettante ‘di norma’ alle Regioni, abbia disegnato un modello di Repubblica diverso da quello originario. Analogo ragionamento, questa volta senza il ricorso alla elencazione di materie, si può fare considerando l’impostazione alla base dell’abbandono del principio del parallelismo che orientava le funzioni amministrative nel previgente modello, ora superato dai criteri della sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione che paiono più adatti a regolare l’esercizio concreto della funzione stessa piuttosto che la sua titolarità, di cui si accetta la variabilità geometrica. Un’indicazione in questo senso, si ritiene, trova sostegno nella lettura della relazione annuale del Presidente della Corte Costituzionale relativa al 2020, in cui si afferma che “La peculiarità di un servizio sanitario nazionale ma a gestione regionale richiede un esercizio forte, da parte dello Stato, del potere di coordinamento e di correzione delle inefficienze regionali: un esercizio inadeguato di questo potere non solo comporta rischi di disomogeneità ma può ledere gli stessi livelli essenziali delle prestazioni, sul cui rispetto, anche nel 2020, la Corte si è più volte soffermata”
Quello appena riportato è uno dei passaggi della Relazione del Presidente Giancarlo Coraggio sull'attività della Corte costituzionale nel 2020 [10] La relazione richiamata fa espresso riferimento al caso considerato in questo breve studio, rilevando che “questo problema di fondo si è riproposto nel contesto attuale, pure caratterizzato dalla competenza esclusiva dello Stato in materia di profilassi internazionale, competenza che avrebbe dovuto garantire quell'unitarietà di azione e di disciplina che la dimensione nazionale dell'emergenza imponeva e tutt'ora impone”. È quindi il ruolo dello Stato nel suo complesso a essere considerato, presupposto necessario per delineare correttamente il rapporto con le Regioni, nel pieno rispetto dell’autonomia a esse riconosciuta, non essendo sufficiente un’interpretazione basata sulla ricerca dei confini della materia, anche quando essa consenta di escludere spazi al legislatore regionale come ritenuto nella fattispecie qui richiamata.
L’ipotesi più probabile è quella secondo al quale la complessità della società contemporanea, cui deve corrispondere un ordinamento giuridico adeguato, non consente più, almeno nella totalità dei casi, la definizione di ambiti di intervento che, per quanto ridisegnati, non si allontanano dal modello originario delle competenze per ‘fette di torta’, nonostante i tentativi di ricondurre a rete il quadro complessivo.
L’alternativa non è semplice, e passa scontatamente attraverso una semplificazione del quadro legislativo – che rischia invece l’aggravamento col doppio livello di competenze -, un rafforzamento degli atti che delineano gli obiettivi da perseguire in un ambito temporale ragionevole e finanziamenti proporzionati, la definizione di modelli coordinati e appositamente strutturati per far fronte a crisi e agire direttamente sul rischio, una collaborazione sia tra livelli territoriali sia tra pubblico e privato che renda chiare e predefinite le reciproche responsabilità. Molto altro resta all’autonomia di tutti i soggetti coinvolti nella gestione della tutela della salute: si pensi all’autonomia organizzativa e a quella negoziale delle strutture, che comprende anche la considerazione delle aspettative dei destinatari del servizio, il cui grado di soddisfazione deve restare il principale parametro di valutazione nelle decisioni che condizionano il funzionamento del Servizio sanitario nazionale.
[1] V. ampliamente gli studi raccolti in AA. VV., Dal diritto dell’emergenza al diritto del rischio, a cura di L. Giani, M. D’Orsogna, A. Police, Napoli, 2018 e bibliografia ivi citata; v. anche L. D’Andrea, Brevi considerazioni sui limiti dei poteri emergenziali nel sistema costituzionale, in AA. VV., Gli atti normativi del governo tra Corte costituzionale e giudici, Atti del Convegno annuale 2011 dell’Associazione “Gruppo di Pisa”, a cura di M. Cartabia, E. Lamarque, P. Tanzarella, Torino, 2011, p. 305 ss.
[2] V. le interessanti considerazioni di M.A. Sandulli, Le tante facce (non tutte auspicabili) del regionalismo differenziato: i presidi non rinunciabili della solidarietà e i gravi rischi della competizione, in www.cortisupremeesalute.it, evidenziando la tendenziale abdicazione del legislatore statale ad assumere il ruolo decisorio che gli compete
[3] V. ampiamente R. Ferrara, L’ordinamento della sanità, Torino, 2020, passim, spec. pp. 13 e ss., pp. 324 e ss., e bibliografia ivi citata, specie in riferimento al concetto di “società del rischio”.
[4] V. il commento di E. Lamarque, Sospensione cautelare di legge regionale da parte della Corte costituzionale. Nota a Corte cost. 14 gennaio 2021 n. 4, in Giustizia insieme, 2021.
[5] Ai sensi dell’art. 1, comma 2 bis della l. n. 241 cit, introdotto dall'art. 12, comma 1, lettera 0a), l. n. 120 del 2020, “I rapporti tar cittadini e P.a., sono improntati ai principi di collaborazione e buona fede”. Non è in dubbio che la norma in questione valga a escludere la responsabilità decisionale della P.a. agente, parificandola al destinatario della stessa: si tratta evidentemente di indicare e incentivare una modalità di azione che non incide sull’assetto delle competenze ad esercitare funzioni pubbliche.
[6] V. sul tema M. Luciani, Unità nazionale e struttura economica. La prospettiva della Costituzione repubblicana, in AA. VV., Costituzionalismo e Costituzione nella vicenda unitaria italiana, Annuario AIC 2011, Napoli, 2014, 3 ss.
[7] Sul tema v. M. P. CHITI, Il rischio sanitario e l’evoluzione dall’amministrazione dell’emergenza all’amministrazione precauzionale, in Annuario AIPDA 2005, Il diritto amministrativo dell’emergenza, Giuffré, Milano, 2006, 142 e in Riv.it. dir. pubbl. com., 2006, 1, 1 ss.; R. Ferrara, L’ordinamento della sanità, cit.
Per una definizione del ‘rischio sanitario’ in una prospettiva differenziata si veda il sito della protezione civile, ove si legge:” Il rischio sanitario è sempre conseguente ad altri rischi o calamità, tanto da esser definito come un rischio di secondo grado. Il fattore rischio sanitario si può considerare come una variabile qualitativa che esprime la potenzialità che un elemento esterno possa causare un danno alla salute della popolazione. La probabilità che questo possa accadere dà la misura del rischio, cioè dell’effetto che potrebbe causare. Questo tipo di rischio può essere: - antropico, se provocato dalle attività umane come incidenti industriali, attività industriali e agricole, trasporti, rifiuti; - naturale, se provocato da eventi naturali come terremoti, vulcani, frane, alluvioni, maremoti, tempeste di sabbia. Le variabili antropiche che comportano un rischio sanitario possono incidere sulla salute umana provocando danni o effetti sia temporanei, sia permanenti. Queste variabili possono essere di natura: biologica come batteri, virus, pollini, ogm; chimica come amianto, benzene, metalli pesanti, diossine; fisica come radiazioni UV, radiazioni ionizzanti, rumori, temperature troppo basse o troppo alte. Le variabili naturali rientrano invece in tutte le tipologie di calamità naturali come terremoti, eruzioni vulcaniche, tsunami, frane, alluvioni o altri fenomeni, sempre di tipo naturale”: tratto dahttp://www.protezionecivile.gov.it/attivita-rischi/rischio-sanitario/descrizione.
Con un rinvio generale alla ormai copiosa letteratura sul più ampio tema del principio di precauzione, ai fini del presente studio per la dottrina si rinvia anche, ampiamente, ad A. Barone, Il diritto del rischio, Milano, 2006; F.De Leonardis, Il principio di precauzione nell’amministrazione di rischio, Milano, 2005, in cui l’Autore rileva sin dall’inizio del suo studio come la precauzione “s’iscrive in una logica nettamente diversa da quella della prevenzione: quella dell’amministrazione di rischio”: op cit., p. 25.
[8] Tema amplissimo, eccedente le presenti note: v. le riflessioni di B. Caravita di Toritto, In tema di ‘interesse nazionale’ e riforme istituzionali, inFederalismi, Editoriale n. 6/2003, che analizza la posizione della Corte costituzionale all’entrata in vigore della revisione costituzionale.
[9] Il corsivo è di chi scrive. La Corte, in conclusione del punto in diritto qui citato, afferma inoltre che “Tutto ciò premesso, si deve riconoscere che la legge impugnata effettivamente incide nei diversi settori che le Province autonome e la Regione Lombardia rispettivamente rivendicano come attribuiti a vario titolo alla propria competenza, non potendo accedersi — dati i molteplici aspetti della normativa in esame — alla tesi dell'Avvocatura dello Stato che vorrebbe ricomprenderne l'oggetto nell'angusto e inappropriato ambito delle « epidemie », peraltro sottratto alle sole Regioni ordinarie (art. 6 comma 1 lett. b), l. n. 833 del 1978), ma non, come risulta dalle relative norme di attuazione statutaria, alle Province autonome. Tuttavia, tale riconoscimento non può per sé solo indurre a concludere per l'illegittimità delle norme impugnate, dovendo ancora verificarsi, secondo i ricordati criteri di giudizio, se le singole misure adottate siano tali, nel loro contenuto e modalità di realizzazione, da collegarsi o meno effettivamente e ragionevolmente con le esigenze unitarie sopra descritte”. Come detto, il giudizio della Corte si è espresso nel senso della non fondatezza delle eccezioni rilevate dalle ricorrenti. Anche in questo caso le considerazioni svolte in quella fattispecie presentano una significativa adattabilità con il problema giuridico affrontato tre decenni dopo.
[10] Citazione tratta dalla Relazione tenuta il 13 maggio 2021, consultabile in https://www.cortecostituzionale.it/jsp/consulta/composizione/paginePresidente/relazione_annuale.do.
Si nota come il brano riportato sia anche quello selezionato sul sito della Corte come abstract, ritenuto quindi particolarmente rappresentativo per testimoniare l’attività annuale del Giudice delle leggi.