Atti giudiziari e tutela dei dati personali (nota a TAR Lazio, Sez. III, 1° febbraio 2021, n. 579)
di Emanuela Concilio
Sommario: 1. La vicenda. – 2. Tutela dei dati personali: l’evoluzione normativa – 3. L’esigenza di pubblicità dei dati degli atti giudiziari e i “motivi legittimi” di oscuramento dei dati personali. – 4. La decisione. – 5. Considerazioni conclusive.
1.- La vicenda.
L’ordinanza del Tar Lazio in commento costituisce l’occasione per fare il punto sui rapporti tra tutela dell’interesse alla riservatezza e quello alla trasparenza e pubblicità della funzione giudiziaria.
La decisione all’esame origina dal ricorso proposto da una concorrente esclusa dalla procedura selettiva per l’ammissione alle Scuole di Specializzazione di area sanitaria che, impugnando la graduatoria del concorso, formulava, in sede cautelare, istanza di ammissione con riserva e in soprannumero alle Scuole di Specializzazione indicate nella domanda, nonché istanza di oscuramento dei propri dati personali in tutti i provvedimenti oggetto di pubblicazione, ai sensi dell’art. 52, co. 1 del d. lgs. 196 del 2003 e s.m.i.
Il Tar Lazio respingeva l’istanza cautelare e la domanda di oscuramento dei dati personali ritenendo entrambe non sufficientemente motivate. In particolare, in merito alla istanza di oscuramento, il giudice amministrativo riscontrava la totale assenza di ragioni giustificatrici idonee a superare il dettato normativo dell’art. 51 del d. lgs. n. 196/2003, il quale sancisce il principio di accessibilità delle sentenze e delle altre decisioni dell’autorità giudiziaria; e dell’art. 52, co. 1, d. lgs. n. 196/2003 che richiede, ai fini dell’oscuramento dei dati costitutivi dell’atto, l’esistenza di “motivi legittimi”.
2. Tutela dei dati personali: l’evoluzione normativa
Il principio di riservatezza e il diritto alla tutela dei dati personali non trovano espresso riconoscimento nella Carta costituzionale[1]. Essi piuttosto fondano le proprie radici nell’ordinamento sovranazionale, ed in particolare, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, i cui artt. 7 e 8 – rispettivamente rubricati “Rispetto della vita privata e della vita familiare” e “Protezione dei dati di carattere personale” – sanciscono il diritto di ogni persona al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni, nonché il diritto alla protezione dei dati di carattere personale, con la precisazione che: “Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o ad un altro fondamento legittimo previsto dalla legge”.
Il principio di riservatezza e il diritto alla privacy trovano fondamento, inoltre, nell’art. 16, primo e secondo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, il quale enuncia il principio secondo cui ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano; e attribuisce al Parlamento europeo e al Consiglio il compito di stabilire “le norme relative alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati di carattere personale da parte delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione, nonché da parte degli Stati membri nell’esercizio di attività che rientrano nel campo di applicazione del diritto dell’Unione, e le norme relative alla libera circolazione di tali dati”.
Nell’ordinamento nazionale, un primo passo verso il riconoscimento della tutela dei dati personali è stato attuato, come noto, con l’introduzione del d.lgs. n. 196 del 2003, denominato Codice in materia di protezione dei dati personali. L’attuale disciplina del Codice, tuttavia, costituisce il frutto di un’opera di adeguamento e rivisitazione a seguito della entrata in vigore nel nostro ordinamento del nuovo Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (relativo alla protezione delle persone fisiche con riferimento al trattamento e alla libera circolazione dei dati personali, ed indentificato con l’acronimo di GDPR)[2]. L’opera di adeguamento sistematico, attuata dal d.lgs. 10 agosto 2018 n. 101, ha comportato la rimodulazione delle ipotesi di dati tutelati dalla privacy e l’introduzione di nuove disposizioni con ampliamento delle ipotesi di oscuramento obbligatorio.
Il G.D.P.R., infatti, ha disposto che siano soggetti ad oscuramento obbligatorio quei dati che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché i dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona (art. 9). Inoltre, ha previsto l’oscuramento dei dati relativi a condanne penali, reati e connesse misure di sicurezza (art. 10).
Sulla base di tali indicazioni, il legislatore nazionale – al fine di individuare l’ubi consistam delle limitazioni applicabili alla diffusione, integrale o parziale, delle pronunzie giudiziarie – ha disciplinato la materia dei dati personali distinguendo il profilo del trattamento dei dati personali da parte degli organi di giustizia (l’art. 2-duodecies del d.lgs. n. 196 del 2003, così come integrato dal d.lgs. n. 101 del 2018) da quello relativo alla divulgazione all’esterno, per finalità di informazione e di informatica giuridica, del contenuto dei provvedimenti giurisdizionali (di cui agli artt. 51 e 52 del d.lgs. n. 196 del 2003, così come integrate dal d.lgs. n. 101 del 2018).[3]
Sotto il primo profilo, l’art. 2-duodecies del d.lgs. n. 196 del 2003, disciplinante “limitazioni per ragioni di giustizia”, precisa cosa debba intendersi per “ragioni di giustizia”[4].
Sotto il secondo profilo, vengono in rilievo le disposizioni contenute agli artt. 51 e 52, del medesimo d. lgs. n. 196 del 2003. Più precisamente, l’art. 51 del Codice in materia di protezione dei dati personali, rimasto immutato a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 101 del 2018, disciplina la diffusione dei provvedimenti giudiziari, prevedendo la piena accessibilità degli stessi – e quindi dei dati identificativi delle questioni pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria di ogni ordine e grado – da parte di chi vi abbia interesse anche mediante reti di comunicazione elettronica, ivi compreso il sito istituzionale della medesima autorità nella rete Internet e precisa che le sentenze e le altre decisioni dell’autorità giudiziaria di ogni ordine e grado depositate in cancelleria o segreteria sono rese accessibili anche attraverso il sistema informativo e il sito istituzionale della medesima autorità nella rete Internet, osservando opportune cautele.
Le cautele richiamate sono disciplinate dal successivo art. 52, parzialmente modificato dal d.lgs. n. 101 del 2018[5], che individua i limiti alla diffusione del contenuto, integrale o parziale, delle sentenze e degli altri provvedimenti giurisdizionali. Tali limiti si applicano sia alle ipotesi di divulgazione per finalità di informazione giuridica su riviste scientifiche o su supporti elettronici, sia ad ogni altra ipotesi di riproduzione di pronunce giudiziarie, come nel caso della diffusione di notizie su organi di stampa.
L’art. 52, comma 1 del d. lgs. 196 del 2003 s.m.i. autorizza l'interessato a chiedere - per motivi legittimi e prima della definizione del relativo grado di giudizio[6] - l'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento.
In altri termini, la norma disciplina le modalità operative attraverso le quali avviene l’anonimizzazione dei dati identificativi degli interessati nei provvedimenti giudiziari. In particolare, nel definire i casi nei quali è garantito il diritto all’anonimato delle parti in giudizio o dei soggetti interessati, distingue due ipotesi. In primo luogo, individua espressamente specifiche ipotesi nelle quali il bilanciamento tra gli opposti interessi – esigenze di riservatezza e pubblicità degli atti giudiziari – è compiuto a monte dal legislatore in considerazione della delicatezza di determinate categorie di dati (art. 52, co. 5 e art. 9 GDPR): l’oscuramento obbligatorio e d’ufficio riguarda le generalità e gli altri dati identificativi, ovvero altri dati anche relativi a terzi dai quali possa desumersi – direttamente o indirettamente – l'identità di minori o delle parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone. In secondo luogo, la medesima disposizione prevede il giudizio di bilanciamento a valle della verifica della sussistenza di “motivi legittimi” a fondamento della richiesta di oscuramento dei dati identificativi delle parti, onde consentire al giudice il vaglio sulla meritevolezza delle ragioni per le quali la decisione dovrebbe derogare al principio di pubblicità degli atti.
Del resto, lo stesso art. 52, co. 7, del d.lgs. 196/2003 prevede che al di fuori degli indicati casi “è ammessa la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali”.
3. L’esigenza di pubblicità dei dati degli atti giudiziari e i “motivi legittimi” di oscuramento dei dati personali.
L’elemento cruciale, pertanto, è costituito dalla individuazione dell’ubi consistam dei motivi legittimi di oscuramento dei dati personali.
Sul punto è stato dirimente l’intervento nomofilattico della Corte di Cassazione (Sez. VI, 15/2/2017, n. 11959), secondo la quale la corretta interpretazione dell’espressione “motivi legittimi” deve essere intesa come sinonimo di “motivi opportuni”, la cui valutazione impone un equilibrato bilanciamento tra esigenze di riservatezza del singolo e di pubblicità della sentenza. A guidare il suddetto bilanciamento, peraltro, vengono in rilievo le linee guida del Garante della privacy, pubblicate il 2 dicembre 2010, le quali pongono una duplice tipologia dei “motivi legittimi”: l’una relativa alla particolare natura dei dati contenuti nel provvedimento; l’altra alla delicatezza della vicenda oggetto del giudizio. Invero, mentre per la nozione di “particolare natura dei dati” non sono sorti dubbi, risultando pacifico il riferimento ai dati sensibili (espressamente indicati dalla normativa speciale), per il concetto di “delicatezza della vicenda” è stato necessaria un’ulteriore specificazione da parte della Suprema Corte, laddove ha precisato che “l’estrema latitudine del sostantivo abbia necessità di essere riempita di contenuti concreti, sintomatici della peculiarità del caso e della capacità, insita nella diffusione dei relativi dati, di riverberare (…) negative conseguenze su vari aspetti di vita sociale e di relazione dell’interessato (…), così andando ad incidere pesantemente sul diritto alla riservatezza del singolo (…)”. Una definizione, insomma, che affida all’imprescindibile ruolo del giudice il bilanciamento in concreto degli opposti interessi in gioco.
L’esito del bilanciamento tuttavia non appare scontato: nelle ipotesi in cui si versi in presenza di dati sensibili o sensibilissimi ovvero di particolari categorie di dati ritenuti prevalenti dal legislatore, l'oscuramento delle generalità degli interessati non pregiudica la finalità di informazione giuridica, risultando, anzi, necessaria per tutelare la sfera di riservatezza dei soggetti coinvolti (Cass. civile, Sez. I, 20/05/2016, n. 10510); diversamente, in tutte le altre ipotesi la liceità della pubblicazione integrale dei dati identificativi delle parti, anche di sentenze di condanna, è data dal pieno rispetto della normativa di cui all'art. 52 d. lgs. 196 del 2003 (Cass. penale, Sez. V, 11/12/2008, n. 4239). E ciò vale sia nei casi in cui si verifichi un “difetto” di oscuramento, sia (a maggior ragione) nei casi di “eccesso” di oscuramento, laddove con tale espressione si intende far riferimento al caso in cui oggetto della relativa richiesta siano non solo i dati identificativi delle persone fisiche, ma anche quelli delle pronunce giurisdizionali. In tali casi, l’oscuramento opererebbe in maniera del tutto arbitraria e in assenza di qualsivoglia fondamento normativo nella vigente disciplina della protezione dei dati personali, con il rischio evidente di pregiudicare la possibilità di avere piena contezza degli avvenimenti e di operare quello che è stato definito un “improvvido oscuramento”: “dati identificativi delle pronunce (autorità, data e numero) e dati identificativi delle persone fisiche (generalità e altri dati identificativi della persona) sono cose diverse e sarebbe completamente fuori luogo, ove ne sia stata mai questa la ragione, invocare la possibilità che ciò renderebbe possibile identificare indirettamente la persona fisica, poiché un simile livello di riservatezza è previsto dall’ordinamento solo per le pronunce rese nei confronti di persone offese da atti di violenza sessuale o di minori o in materia di diritto di famiglia e di stato delle persone (articoli 51 e 52 codice della privacy)[7].
4. La decisione.
La decisione adottata dal Tar Lazio con l’ordinanza in commento merita di essere segnalata in quanto, in linea con l’orientamento maggioritario della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, esclude l’accoglimento dell’istanza di oscuramento al di fuori delle ipotesi eccezionali tipizzate dal legislatore (art. 52, co. 5, d.lgs. 196/2003) ed in assenza di motivi legittimi.
In particolare, il Tar Lazio fonda la propria decisione sulla base di un iter logico che pone l’esigenza di pubblicità e quella di anonimizzazione in termini di regola-eccezione. Invero, i giudici amministrativi affermano il principio di pubblicità ed accessibilità delle sentenze e delle altre decisioni della autorità giudiziaria come regola generale dell’ordinamento desunta, oltre che dal richiamato art. 51 d. lgs. n. 196 del 2003, anche dalla circostanza che l’indicazione delle parti costituisce elemento essenziale del provvedimento giurisdizionale[8] e che l’obbligo di pubblicazione rappresenta “un necessario corollario del principio costituzionale dell’amministrazione della giustizia in nome del popolo”[9]. Conseguentemente, essi individuano nell’oscuramento dei dati personali l’eccezione alla regola, necessitante – in quanto tale – di opportuna motivazione, l’unica in grado di consentire all’organo giudicante di effettuare quel “giusto ed equilibrato” bilanciamento tra gli opposti interessi e di verificare l’effettiva prevalenza dell’interesse privato all’anonimato rispetto all’interesse pubblico a garantire accessibilità degli atti giurisdizionali. Sicché, in presenza di una istanza immotivata e del tutto generica, come quella presentata dalla parte ricorrente nel caso di specie, l’esigenza di anonimizzazione diventa recessiva rispetto a quella di pubblicità degli atti giurisdizionali. Nel caso in esame, considerata l’afferenza ad una procedura concorsuale, i dati personali della ricorrente - considerati elementi costitutivi dell’atto indispensabili anche ai fini della integrazione del contraddittorio - sono stati ritenuti “indispensabili ai fini di una eventuale integrazione del contraddittorio per pubblici proclami, nei confronti di molteplici controinteressati ravvisabili negli altri candidati inseriti nella graduatoria”[10].
– 5. Considerazioni conclusive.
Il tema dell’oscuramento dei dati personali acquista sempre maggiore attualità in una società caratterizzata dalla costante evoluzione tecnologica e da una rapida diffusione delle informazioni attraverso la rete, coinvolgendo il diritto alla privacy, posto a presidio della riservatezza, dell’identità e dignità della persona, e l’esigenza di accessibilità della funzione giurisdizionale, posta a presidio dell’interesse pubblico alla pubblicità e trasparenza di relativi atti[11].
In un campo così variegato, il bilanciamento tra gli opposti interessi non può risolversi semplicisticamente in termini di prevalenza/soccombenza di un interesse rispetto all’altro, laddove l’interesse pubblico, in realtà, contiene in sé anche il perseguimento di quelle finalità poste a presidio di esigenze di tipo “privato”[12]. In altri termini, è lo stesso principio di buon andamento ad imporre che l’interesse pubblico garantisca l’osservanza di quelle disposizioni poste a presidio della tutela dei dati personali e che tale tutela costituisca l’esito di un equilibrato bilanciamento tra esigenze diverse[13].
Ovviamente per fare ciò è necessario principiare da una corretta interpretazione della disciplina in materia di protezione dei dati personali, scongiurando il rischio che arbitrarie generalizzazioni estendano inopportunamente il regime di tutela prevista ex lege per i dati sensibili e sensibilissimi a tutti gli altri dati rendendo automatico l'oscuramento non solo dei dati identificativi delle persone fisiche, ma addirittura dei dati del provvedimento e dell’organo giudicante. Ciò significa, in pratica, che il problema del bilanciamento può porsi - di regola - solo per l’indicazione “diretta” delle generalità delle persone fisiche e che l’oscuramento delle generalità e dei dati che anche indirettamente possono consentire l’identificazione della persona fisica interessata è possibile e doveroso solo in presenza di dati “sensibili”[14].
Con specifico riguardo alle decisioni del giudice amministrativo, si deve ancora ricordare l’art. 56, comma 2, del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (codice dell’amministrazione digitale), il quale dispone che “Le sentenze e le altre decisioni del giudice amministrativo e contabile, rese pubbliche mediante deposito in segreteria, sono contestualmente inserite nel sistema informativo interno e sul sito istituzionale, osservando le cautele previste dalla normativa in materia di tutela dei dati personali”. Anche in questo caso viene prescritta la pubblicazione delle sentenze e delle altre decisioni del giudice amministrativo nel sistema informativo (sito istituzionale), seppure con dei temperamenti rappresentati dalla necessità di osservare delle cautele previste dalla disciplina in materia di tutela dei dati personali cui viene fatto generico rinvio. La disposizione pecca di genericità, non chiarendo esattamente quali siano le “cautele previste”, ed esponendosi conseguentemente a letture interpretative di difforme tenore che possono ampliare o restringere l’ambito entro cui è consentito (o imposto) l’oscuramento dei dati personali[15]. La regola tuttavia non può che rimanere quella che impone il trattamento dei dati giudiziari in presenza di una richiesta di oscuramento immotivata e che trova fondamento nel principio di liceità del trattamento di cui all’art. 6 del GDPR, secondo il quale “il trattamento è necessario per l’esecuzione di un compito d’interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento”, e nel principio di minimizzazione di cui all’art. 5 del medesimo Regolamento (UE) 2016/679, il quale precisa che i trattamenti devono in ogni caso risultare “adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati”. Rimanendo altresì fermo che l’oscuramento dei dati che consentirebbero l’identificazione indiretta sarebbe possibile solo per tutelare interessi sensibili.
Alla luce di tali considerazioni, acquistano rilievo, quanto mai significativo, l’affermazione della Corte costituzionale, secondo la quale è necessario adottare una “nozione dinamica di riservatezza e affidare il bilanciamento ai tradizionali canoni di proporzionalità e pertinenza”[16] e la soluzione adottata dalla Corte di Giustizia europea, la quale ha optato per l’anonimizzazione delle persone fisiche tramite l’uso delle sole inziali all’espresso fine di assicurare la protezione dei dati delle persone fisiche coinvolte nelle cause pregiudiziali, garantendo nel contempo l’informazione dei cittadini e la pubblicità della giustizia.
Tale soluzione, infatti, realizza un equo bilanciamento fra gli opposti valori della pubblicità del processo (di cui agli artt. 6 CEDU, 47 Carta dei diritti fondamentali dell’UE, e 101 Cost.) e della tutela della riservatezza dei soggetti interessati (di cui al medesimo art. 6 CEDU nonché agli artt. 7 e 8 della Carta UE e 2 Cost.)[17].
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[1] Il diritto alla riservatezza e alla tutela dei dati personali è stato, tuttavia, ricondotto agli artt. 15 e 21 della Costituzione, i quali disciplinano, rispettivamente, la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, la cui “limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria”; e la libertà di stampa che “non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Cfr. P. PATATINI e F. TRONCONE (a cura di) L’oscuramento dei dati personali nei provvedimenti della Corte costituzionale, in www.cortecostituzionale.it.
[2] Essendo direttamente applicabile in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, a partire dal 25 maggio 2018, il legislatore italiano ha operato una rivisitazione sistematica della disciplina, mediante l’abrogazione delle disposizioni previgenti incompatibili con il Regolamento (UE) 2016/679, l’inserimento di nuove disposizioni o la modifica di quelle precedentemente vigenti. Sul punto, cfr. A. CENTONZE, Il diritto alla riservatezza e la tutela dei dati personali nei provvedimenti giurisdizionali della Corte di cassazione, in questa rivista www.giustiziainsieme.it
[3] A. CENTONZE, op loc. cit.
[4] Si intendono per ragioni di giustizia: i trattamenti di dati personali correlati alla trattazione giudiziaria di affari e di controversie, i trattamenti effettuati in materia di trattamento giuridico ed economico del personale di magistratura, nonché i trattamenti svolti nell’ambito delle attività ispettive su uffici giudiziari.
[5] Modifica operata dall’art. 3, comma 2, lettera c) del d.lgs. 10/8/2018 n. 101.
[6] Sotto il profilo temporale, le Linee Guida del Garante per la protezione dei dati personali del 2 dicembre 2010 rilevano che un’istanza proposta dopo la definizione del giudizio resterebbe priva di effetto, salvo che si tratti di oscuramento obbligatorio. In quest’ultimo caso, infatti, l’obbligo di oscuramento si riconnette direttamente al divieto di diffusione di dati sensibili attraverso la pubblicazione di decisioni giudiziarie nelle banche dati presenti nei siti internet e continua a essere vigente anche dopo la conclusione del giudizio.
[7] In termini, F. FRANCARIO, Una giusta revocazione “oscurata” dalla privacy. A proposito dei rapporti tra giudicato penale e amministrativo (nota a CGARS 1 10 2020 n. 866), in www.giustiziainsieme.it, il quale espressamente rimanda l’improvvido oscuramento (in quel caso non attribuibile all’Autorità giudicante) all’oscuramento non solo dei dati identificativi delle persone fisiche interessate dalla decisione, ma anche “inspiegabilmente” dei dati identificativi delle pronunce di primo e secondo grado oggetto del giudizio di revocazione, “fatto che rischia di render incomprensibile la pronuncia e che comunque di certo non ne agevola la comprensione”. Infatti, secondo l’A. “Allo stato l’oscuramento dei dati identificativi delle pronunce giudiziarie non solo mina l’intellegibilità intrinseca della pronuncia, ma pregiudica la stessa possibilità di controllo democratico delle decisioni giurisdizionali da parte degli operatori del diritto e di ogni singolo cittadino interessato. E’ un problema che va segnalato e sul quale sarà necessario tornare perché sotto questo profilo la pronuncia non è un caso isolato ma espressione di una crescente tendenza ad oscurare i dati identificativi delle pronunce giurisdizionali nonché, come spesso avviene in altri casi, i dati di enti e persone giuridiche che sono notoriamente sottratti alla disciplina della protezione dei dati personali (cfr. art 1 DPGR 2016/679: il Regolamento “stabilisce le norme relative alla protezione dei persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali” e “protegge i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche in particolare il diritto alla protezione dei dati personali”).
[8] Cfr. art. 132 c.p.c.
[9] Cfr. Cass. penale, Sez. II, 28/1/2019, n. 4145, in www.cortedicassazione.it.
[10] A tal riguardo, si segnala una recentissima pronuncia del T.A.R. Campania, Sez. II, 16 marzo 2021, n. 1757, che ha disposto l’oscuramento dei dati idonei a identificare il ricorrente e il controinteressato (nell’ambito di un giudizio relativo ad una procedura comparativa per la selezione di un ricercatore a tempo determinato), “ritenendo sussistenti i presupposti dell’art. 52, commi 1 e 2, del d. lgs. 196/2003 e dell’art. 9, paragrafo 1, del Regolamento UE 2016/679”. In questo caso, pertanto, la sentenza non fornisce alcuna indicazione dei motivi legittimi che sarebbero alla base della istanza di parte e, soprattutto, pone a fondamento della decisone (anche) l’art. 9, paragrafo 1 del GDPR che si occupa di “categorie particolari di dati”, che non sembrerebbero ricorrere nella fattispecie analizzata. Consultabile sul sito www.giustizia-amministrativa.it.
[11] Espressione dei principi generali sanciti dagli artt. 1 e 97 Cost.
[12] Sul rapporto tra interesse pubblico e interesse privato, talora ricompreso o coincidente con il primo, cfr. M.R. Spasiano, Interessi pubblici e soggettività emergenti, Napoli, 1996, 18 ss.; G. C. di San Luca, La tutela delle situazioni soggettive, Napoli, 2011, passim.
[13] Sul tema buon andamento, da ultimo, M.R. Spasiano, Il principio di buon andamento, in M.A. Sandulli (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, Milano, 2020, 63 ss.
[14] Tale qualificazione riguarda le categorie di soggetti individuate ex lege, ossia minori o persone offese da atti di violenza sessuale, oppure si tratti di rapporti di famiglia e di stato delle persone o concernenti l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, l’appartenenza sindacale, dati biometrici o relativi alla salute o alla vita sessuale di una persona.
[15] F. D’ALESSANDRI, La privacy delle decisioni giudiziarie pubblicate sul sito internet istituzionale della Giustizia Amministrativa (Relazione al convegno di Convegno Capri sull’informatica giuridica del 12/10/2019), in www.giustizia-amministrativa.it.
[16] Corte Cost. 21/2/2019, n. 20, in www.corteconti.it.
[17] Cfr. F. D’ALESSANDRI, La privacy delle decisioni giudiziarie pubblicate sul sito internet istituzionale della Giustizia Amministrativa (Relazione al convegno di Convegno Capri sull’informatica giuridica del 12/10/2019), op. loc. cit.