Imparzialità e ragionevolezza delle leggi-provvedimento. Il caso del Teatro Eliseo (nota a Cons. di Stato, sez. IV, ord. 21 dicembre 2020, n. 8191)
di Silia Gardini*
Sommario: 1. Inquadramento della vicenda processuale – 2. La disciplina dell’intervento pubblico nel settore teatrale ed il contributo extra-FUS al Teatro Eliseo – 3. La legge-provvedimento: legittimità e limiti nella giurisprudenza costituzionale – 3.1. I profili di incostituzionalità dell’art. 22, comma 8 del decreto legge n. 50 del 24 aprile 2017 – 4. Una considerazione conclusiva
1. Inquadramento della vicenda processuale
Con la pronuncia in commento, il Consiglio di Stato affronta la complessa vicenda innescata dalla erogazione di fondi statali straordinari in favore del Teatro Eliseo di Roma. Tale contributo straordinario è stato, infatti, istituito – al di fuori della disciplina e del procedimento ordinariamente previsti per l’intervento pubblico a sostegno dei soggetti operanti nel settore teatrale – direttamente dalla legge, con l’art. 22, comma 8 del decreto legge n. 50 del 24 aprile 2017 (convertito con modificazioni dalla l. n. 96 del 21 giugno 2017), al dichiarato fine di garantire la continuità delle attività del Teatro Eliseo in occasione del centenario della sua fondazione. Un successivo decreto del Ministero dell’economia e delle finanze ha, poi, autorizzato la spesa di 4 milioni di euro[1] per ciascuno degli anni 2017 e 2018, istituendo uno specifico capitolo di spesa nello stato di previsione del Ministero dei beni e delle attività culturali.
Avverso tale provvedimento, alcune società titolari della gestione di altri enti teatrali nella stessa città di Roma, hanno proposto ricorso dinnanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, lamentando che la concessione ad un solo teatro di un contributo di tal genere – evidentemente straordinario ed aggiuntivo rispetto a quelli già concessi in virtù della disciplina generale, compendiata nella legge n. 163 del 30 aprile 1985 e, ratione temporis, nel D.M. 1° luglio 2014 – avrebbe alterato la concorrenza e la parità di trattamento nella distribuzione delle risorse pubbliche disponibili. Dopo una pronuncia di inammissibilità da parte del Tribunale amministrativo regionale[2], in sede di appello il Consiglio di Stato ha invece ritenuto il ricorso ricevibile ed ammissibile e – segnalando la natura di legge-provvedimento della disposizione legislativa di cui all’art. 22, comma 8, del d.l. n. 50 del 2017 – con l’ordinanza annotata ne ha sollevato la possibile illegittimità costituzionale, in relazione alla violazione degli articoli 3, 9, 33, 41 e 97 della Costituzione: «[è] rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità dell’art. 22, comma 8, d.l. n. 50 del 24 aprile 2017, convertito con modificazioni in l. n. 96 del 21 giugno 2017, in relazione agli artt. 3, 9, 33, 41 e 97 Cost. nella parte in cui introduce un contributo straordinario in favore del teatro Eliseo al di fuori della disciplina e del procedimento ordinariamente previsti ai fini dell’intervento pubblico a sostegno dei soggetti operanti nel settore del teatro e dello spettacolo dal vivo».
La pronuncia appare particolarmente interessante poiché, dopo aver operato una ricostruzione della normativa in materia di intervento pubblico nel settore dello spettacolo dal vivo, si sofferma efficacemente sulla controversa categoria delle leggi-provvedimento, inquadrandone i caratteri principali e ripercorrendo i principali arresti della giurisprudenza costituzionale in materia.
2. La disciplina dell’intervento pubblico nel settore teatrale
La disciplina dell’intervento pubblico nel settore teatrale e dello spettacolo dal vivo si fonda essenzialmente sullo stanziamento di fondi pluriennali da parte dello Stato, cui i soggetti interessati possono accedere partecipando a specifiche procedure che si svolgono su base comparativa. Il fulcro del sistema è costituito dal Fondo unico per lo spettacolo (FUS), istituito dalla legge 30 aprile 1985, n. 163, “Nuova disciplina degli interventi a favore dello spettacolo”, con il duplice scopo di riordinare gli interventi finanziari a favore dell’intero settore dello spettacolo e di conferire agli stessi una disciplina unitaria. L’importo complessivo del FUS è allocato su differenti capitoli – sia di parte corrente che di conto capitale – dello stato di previsione del Ministero della Cultura.
La destinazione del FUS ai diversi settori che rientrano nella nozione di “spettacolo” (attività cinematografiche, musicali, di danza, teatrali, circensi e dello spettacolo viaggiante ed iniziative di carattere e rilevanza nazionali da svolgersi in Italia o all’estero) viene effettuata secondo una ripartizione percentuale, originariamente stabilita in quote minime dalla stessa legge n. 163/1985. Dopo la riforma del titolo V della Costituzione, che – com’è noto – ha attribuito alla competenza concorrente Stato-Regioni la promozione e l'organizzazione delle attività culturali (fra le quali è ricompreso lo spettacolo dal vivo[3]), l'art. 1 del D.l. 18 febbraio 2003, n. 24 (convertito in legge n. 82/2003), ha stabilito che i criteri e le modalità di erogazione dei contributi e le quote percentuali di ripartizione del FUS siano annualmente individuati con uno specifico decreto del Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo (oggi Ministro della Cultura) non avente natura regolamentare, adottato d’intesa con la Conferenza unificata[4].
I criteri e le modalità di erogazione dei contributi nell'ambito di ciascun settore sono stati, invece, più di recente ridefiniti dal D.l. 8 agosto 2013, n. 91 (convertito, con modificazioni dalla legge 7 aprile 2013, n. 112), recante «Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo». In particolare, per tutti i settori dello spettacolo dal vivo (diversi da quello relativo alle fondazioni lirico-sinfoniche, per le quali è prevista una specifica disciplina), l'art. 9, comma 1, del D.l. n. 91/2013 ha previsto che i criteri di assegnazione dei contributi devono tener conto dell'importanza culturale della produzione svolta, dei livelli quantitativi, degli indici di affluenza del pubblico, nonché della regolarità gestionale dei relativi organismi.
A seguito della riforma del 2013, è intervenuto il D.M. 1° luglio 2014 – oggi superato, ma vigente ratione temporiscon riferimento alla vicenda oggetto dell’ordinanza annotata[5] – che ha definito, per la prima volta, criteri generali comuni a tutti i settori, introducendo la programmazione triennale delle attività ammesse al finanziamento, ferma restando la corresponsione annuale del contributo[6]. L’art. 46, comma 2 del medesimo decreto, ha previsto inoltre che, su esclusiva iniziativa del Ministro e sentite le Commissioni consultive competenti per materia, potessero essere finanziati anche progetti speciali, a carattere tanto annuale, quanto triennale.
In ogni caso, ai fini della valutazione comparativa delle domande (presentate da teatri nazionali, teatri di rilevante interesse culturale, imprese di produzione teatrale e centri di produzione teatrale), il D.M. disponeva l’attribuzione ai relativi progetti e programmi di un punteggio numerico massimo di cento punti, sulla base di tre parametri: la qualità artistica, per un massimo di trenta punti, attribuiti dalla Commissione consultiva competente attraverso la valutazione discrezionale di alcuni parametri; la qualità indicizzata, per un massimo di trenta punti, attribuiti dall’Amministrazione su base oggettiva, attraverso la valorizzazione di indicatori per la misurazione di specifici fenomeni individuati dal Decreto; la dimensione quantitativa (input/output/risultati), per un massimo di quaranta punti, attribuiti in maniera automatica, secondo una formula di calcolo prevista dallo stesso Decreto.
Si tratta, dunque, di un sistema “misto”, in parte discrezionale ed in parte legato a valutazione tecniche e vincolate, alla luce del quale i fondi disponibili vengono ripartiti in misura proporzionale al punteggio ottenuto in centesimi (che non può, ai fini dell’inserimento in graduatoria, essere inferiore a trenta). All’Amministrazione è sempre riconosciuto un potere-dovere di controllo (art. 7 D.M. 1° luglio 2014), anche successivo, al fine di accertare la permanente regolarità degli atti riguardanti l’attività sovvenzionata e dei relativi requisiti ed a seguito del quale possono verificarsi ipotesi di decadenza o revoca del contributo erogato (art. 8).
Alla luce della normativa generale, qui richiamata, al teatro Eliseo erano stati corrisposti sia contributi “ordinari” quale teatro di rilevante interesse culturale (ai sensi dell’art. 11 del D.M. 1° luglio 2014), sia contributi per progetti speciali (ai sensi dell’art. 46, comma 2, dello stesso D.M.), pari – rispettivamente – ad € 481.151 per il 2015 e ad € 514.831 per il 2016, nonché un ulteriore somma di € 250.000 per la realizzazione del progetto speciale “Generazioni”, sempre nel 2016.
In tale contesto si colloca l’art. 22, comma 8 del decreto legge n. 50 del 24 aprile 2017 (convertito, con modificazioni, dalla l. n. 96 del 21 giugno 2017) che – come sopra anticipato – ha istituito un ulteriore contributo straordinario in favore del Teatro Eliseo, «per spese ordinarie e straordinarie, al fine di garantire la continuità della sua attività in occasione del centenario della sua fondazione». Tale disposizione ha, evidentemente, natura di legge-provvedimento, poiché riguarda un solo destinatario, specificamente individuato e qualificato e presenta un contenuto particolare e concreto, rappresentato dall’erogazione di un contributo economico preventivamente quantificato e collocato nei capitoli di spesa nello stato di previsione del Ministero della Cultura, già responsabile dei finanziamenti ordinari.
Prima di analizzare più nello specifico i profili di illegittimità costituzionale che, a secondo la ricostruzione dell’ordinanza annotata, emergerebbero dalla disposizione in questione, è opportuno soffermarsi sulla figura generale della legge provvedimento, inquadrandone i tratti distintivi elaborati dalla dottrina e ripercorrendo le coordinate ermeneutiche nel tempo fornite dalla giurisprudenza costituzionale e richiamate dai giudici di Palazzo Spada.
3. La legge-provvedimento: legittimità e limiti nella giurisprudenza costituzionale
Com’è noto, la caratteristica principale della legge-provvedimento è rappresentata dalla capacità del dettato legislativo di incidere in via diretta sulle situazioni giuridiche soggettive dei suoi destinatari, con effetti concreti e puntuali, intervenendo su un campo ordinariamente assegnato all’autorità amministrativa[7]. Della legge essa mantiene, dunque, esclusivamente la dimensione “formale”, ovvero il procedimento genetico e l’aspetto esteriore, mentre la peculiare configurazione degli effetti prodotti, equivalenti a quelli provvedimentali, la riconduce – sul piano pratico – alle misure propriamente amministrative. Come ampiamente rilevato in dottrina[8], nella legge-provvedimento emerge una sorta di anomalia genetica che, unificando una qualificazione relativa all’efficacia della decisione pubblica (la legge) ed una che si riferisce al contenuto (provvedimento) «vale ad alterare il sistema delle fonti normative»[9].
La legittimità di tali atti legislativi è stata più volte scrutinata dalla Corte Costituzionale, che ne ha però escluso l’astratta incostituzionalità rispetto all’assetto dei poteri stabilito dalla Costituzione[10]. L’assenza in Costituzione di una esplicita “riserva di amministrazione” opponibile al legislatore, non consentirebbe, infatti, di considerare preclusa la possibilità che la legge ordinaria attragga nella propria sfera di disciplina oggetti o materie normalmente affidati all’azione amministrativa[11].
L’ordinanza in commento si sofferma ampiamente sulla giurisprudenza costituzionale in materia, evidenziando come – secondo la Consulta – il sistema di garanzia dei diritti individuali, “colpito” dalla legge-provvedimento, sarebbe comunque assicurato dalla “sostituzione” della giurisdizione costituzionale a quella amministrativa[12]. D’altro canto, la Corte prevede l’attuazione di uno scrutinio particolarmente stringente sulla ragionevolezza della disposizione, con un riferimento “rafforzato” alle regole ed ai principi – di uguaglianza, parità di trattamento, imparzialità e buon andamento – che ordinariamente presiedono all’attività amministrativa[13].
Corollario di tale ricostruzione concettuale è, dunque, la valorizzazione della pregnanza del sindacato costituzionale di ragionevolezza della legge, sino al punto da renderlo (o, almeno, di tentare di renderlo) incisivo al pari a di quello giurisdizionale sull’eccesso di potere. In tal modo, la Corte intende riconoscere al privato – seppure nella forma indiretta della rimessione della questione alla Consulta da parte del Giudice amministrativo – una forma di protezione ed un’occasione di difesa pari a quella offerta dal sindacato giurisdizionale degli atti amministrativi[14]. Il riconoscimento in capo al legislatore di un ambito di azione che si spinga sino a ricomprendere misure puntuali e concrete viene, dunque, bilanciato attraverso la piena sottoposizione del relativo potere di apprezzamento al vaglio di costituzionalità, sotto il profilo della non arbitrarietà e della ragionevolezza delle scelte compiute: sindacato tanto più rigoroso quanto più marcata appaia la natura provvedimentale dell’atto sottoposto a controllo. Resta, tuttavia, il fatto che lo strict scrutiny compiuto dalla Corte in tali circostanze, pur implicando in astratto l’estensione delle valutazioni del Giudice costituzionale, non può in nessun caso essere parificato al sindacato – ben più pregnante – del Giudice amministrativo[15]. Solo in rari casi, peraltro, la Consulta ha operato un controllo realmente penetrante sulle ragioni che hanno giustificato la deroga ai normali rapporti tra disporre e provvedere, tali da legittimare l’esistenza di una legge in luogo di un provvedimento. Secondo condivisibile dottrina, l’impressione che si ricava è che «la Corte non si inoltri nella ricerca dell’elemento teleologico che sorregge la sostituzione della legge al provvedimento ma si limiti a procedere all’ordinaria verifica della ragionevolezza della disciplina con riguardo al caso concreto»[16].
Per quel che più interessa il caso oggetto della pronuncia, l’art. 22, comma 8 del decreto legge n. 50 del 24 aprile 2017 viene correttamente ricondotto dal Giudice amministrativo nella categoria delle leggi-provvedimento c.d. “innovative”. Si tratta di disposizioni normative caratterizzate da personalità ed eccezionalità che, con riferimento a singoli soggetti e a specifici rapporti, derogano al diritto comune ed incidono in via diretta sul principio di eguaglianza[17]. Il contributo concesso al Teatro Eliseo ha imposto, infatti, all’amministrazione un obbligo di esecuzione ben definito in tutti i suoi elementi costitutivi, privando quest’ultima di qualsivoglia discrezionalità nell’applicazione della norma. In questi casi, come pure il Consiglio di Stato puntualmente rileva, l’unica possibilità di tutela per il cittadino è quella di impugnare gli atti applicativi della legge-provvedimento, seppure di contenuto vincolato, deducendone l’incostituzionalità[18].
3.1. I profili di incostituzionalità dell’art. 22, comma 8 del decreto legge n. 50 del 24 aprile 2017
Alla luce delle coordinate ermeneutiche della Corte costituzionale, i Giudici di Palazzo Spada rilevano – innanzitutto – il possibile contrasto dell’art. 22, comma 8 del decreto legge n. 50 del 24 aprile 2017 con l’art. 3 della Costituzione.
La finalità enunciata dalla norma, come sopra ricordato, è quella di contribuire alle spese affrontate dal Teatro Eliseo in occasione del suo centenario di attività, attraverso l’erogazione di uno stanziamento straordinario che si discosta dalle regole generali di assegnazione dei fondi statali agli enti teatrali. Sul punto, il Consiglio di Stato, con l’ordinanza annotata, rileva che tale previsione determinerebbe una ingiustificata discriminazione nei confronti degli altri teatri operanti nella medesima area geografica e con riferimento al medesimo bacino di utenti, in quanto soggetti titolari di un equivalente interesse al sostegno pubblico. Secondo il consolidato orientamento della Corte costituzionale, infatti, «[i]l principio di uguaglianza è violato anche quando la legge, senza un ragionevole motivo, faccia un trattamento diverso ai cittadini che si trovino in eguali situazioni»[19], poiché «l’art. 3 Cost. vieta disparità di trattamento di situazioni simili e discriminazioni irragionevoli»[20]. Di conseguenza, «quando situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso»[21], si verifica una palese violazione del principio costituzionale di uguaglianza.
Orbene, nel caso di specie – ad avviso del Giudice amministrativo – non emergerebbero né un particolare interesse pubblico alla elargizione del contributo straordinario al solo Teatro Eliseo[22], né tantomeno specifiche ragioni atte a giustificare una differenziazione del teatro beneficiario rispetto alle situazioni giuridiche soggettive dei teatri appellanti. Specularmente, la particolare importanza storico-artistica del teatro beneficiario, pure sostenuta dalle amministrazioni appellate, non troverebbe riscontro in dati concreti ed intellegibili e neppure se ne rinverrebbe traccia nei lavori preparatori alla legge.
Dall’alterazione degli equilibri nella distribuzione delle risorse pubbliche (garantiti dal sistema comparativo previsto dalla normativa ordinaria e derogati dalla legge-provvedimento), il Consiglio di Stato fa discende anche la possibile violazione degli artt. 9 e 33 della Carta costituzionale, posti a tutela dello sviluppo della cultura e della libertà dell’espressione artistica, valori rispetto ai quali risulta centrale la parità di accesso ai benefici disponibili.
Particolarmente interessante appare, poi, l’argomentazione relativa alla violazione dell’art. 97 Cost., in relazione ai principi di buon andamento ed imparzialità. Osserva, sul punto, il Consiglio di Stato – richiamando una recente pronuncia della stessa Corte costituzionale[23] – che in materia di leggi-provvedimento il procedimento amministrativo rappresenta il luogo elettivo di composizione degli interessi, in quanto è «nella sede procedimentale (…) che può e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l’interesse del soggetto privato operatore economico, sia ancora (e non da ultimo) con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunità, e che trovano nei princìpi costituzionali la loro previsione e tutela». In altre parole, se la legge-provvedimento, per la stessa conformazione che il legislatore ha inteso darle, presenta i tratti e gli effetti di un atto provvedimentale, ne consegue la necessaria applicazione delle garanzie tipiche del procedimento amministrativo, unico luogo che rende possibile l’emersione e la ponderazione degli interessi meritevoli di tutela, nonché la trasparenza dei processi decisionali, l’imparzialità delle scelte ed il perseguimento, nel modo più adeguato ed efficace, del pubblico interesse.
Per tali ragioni, la previsione generale contenuta nell’art. 12 della l. n. 241/1990 deve essere considerata, in tali casi, quale norma interposta rispetto all’attuazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, “proiettando” sull’iter formativo della legge-provvedimento il necessario rispetto dei principi vigenti in materia di distribuzione delle risorse pubbliche, secondo i quali – com’è noto – è sempre necessario che i criteri e le modalità per l’attribuzione di vantaggi economici siano predeterminati, al fine di evitare ingiustificate discriminazioni e garantire la trasparenza dell’azione amministrativa[24].
Evidenzia, dunque, il Consiglio di Stato che l’erogazione straordinaria in favore del Teatro Eliseo, operata in assenza di qualsiasi progettualità o valutazione comparativa, si concretizzerebbe in un contributo privilegiato volto a far prevalere l’interesse di uno rispetto a quelli, parimenti meritevoli di tutela, degli altri soggetti esclusi ed «a discapito, quindi, dell’interesse generale».
L’ultimo profilo di incostituzionalità, rilevato dall’ordinanza in commento, riguarda l’art. 41 della Costituzione e s’incardina, dunque, sull’alterazione del meccanismo concorrenziale nel settore teatrale. L’erogazione in denaro conferirebbe, infatti, all’impresa che ne beneficia la possibilità di coprire costi ulteriori e di adottare, dunque, prezzi di mercato più competitivi, a discapito degli altri operatori concorrenti. Non emergerebbe, d’altro canto, alcun elemento idoneo a connotare l’infungibilità o la peculiarità dei servizi offerti dal teatro beneficiario, né tantomeno verrebbero in rilievo altre ragioni che – in un’ottica di bilanciamento – «potrebbero giustificare la deroga al valore costituzionalmente rilevante della libertà di concorrenza».
4. Una considerazione conclusiva
Nell’ultimo ventennio quote crescenti della messa in opera delle politiche pubbliche sono progressivamente passate nelle mani di attori diversi dall’amministrazione. La legislazione prevalente si è mossa, infatti, principalmente in due direzioni: o prevedendo norme dettagliate ed autoapplicative (come nel caso delle leggi-provvedimento), ovvero operando una sorta di “banalizzazione” della pubblica amministrazione, riducendone al minimo il potere decisionale ed accrescendo parallelamente gli oneri formali. Una regolamentazione assorbita soltanto nella forma perde la sua connotazione assiologica, poiché vengono meno i processi di verifica procedimentale con il corpo sociale e con gli interessi che esso esprime. Si delinea, in sostanza, un vero e proprio paradosso, che la dottrina ha sintetizzato come «l’illusione di amministrare senza amministrazione»[25].
In conclusione, l’effetto della legificazione sul terreno amministrativo, seppur astrattamente compatibile con il sistema costituzionale, finisce per avere conseguenze pratiche spesso controverse: la discrezionalità amministrativa non esercitata apre un vuoto enorme nell’amministrazione della cosa pubblica e determina il trasferimento di valutazioni e controlli in sedi atipiche, con il risultato «di giudizi sommari, (…) di confuse sovrapposizioni e serie disfunzioni»[26].
* Ricercatore di Diritto Amministrativo, Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro.
[1] L’entità del contributo, inizialmente ridotta dall’articolo 4, comma 3, della legge 22 novembre 2017, n. 175, – (che, nel disporre un finanziamento di 4 milioni di euro in favore di “attività culturali nei territori delle regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, interessati dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016”, aveva rintracciato la relativa copertura finanziaria proprio nella corrispondente riduzione, per l’anno 2018, dell’autorizzazione di spesa in favore del Teatro Eliseo) – era stata poi raddoppiata per l’anno 2018 dalla Legge di Bilancio.
[2] Cfr., T.A.R. Lazio, sez. II, 6 marzo 2019, n. 3028, in www.giustizia-amministrativa.it, che dichiara inammissibile il ricorso in quanto diretto contro un atto – il decreto ministeriale del 3 agosto 2017 – non idoneo a concretizzare la portata lesiva della legge.
[3] Cfr., Corte Cost., sent. n. 255/2004.
[4] Lo ha stabilito la l. n. 239/2005, a norma della quale i decreti possono, però, essere comunque adottati qualora l'intesa non sia stata raggiunta entro 60 giorni dalla trasmissione del testo alla Conferenza unificata. Con la già citata sentenza n. 255/2004, la Corte costituzionale aveva evidenziato la ineludibile necessità di una riforma profonda della disciplina del finanziamento allo spettacolo dal vivo, che smorzasse l’eccessivo accentramento statale nella procedura di ripartizione del FUS, coerentemente con la mutata disciplina costituzionale discendente dal nuovo titolo V della Costituzione. La Corte aveva sottolineato, in particolare, che «per i profili per i quali occorra necessariamente una considerazione complessiva a livello nazionale dei fenomeni e delle iniziative (…) dovranno essere elaborate procedure che continuino a svilupparsi a livello nazionale, con l'attribuzione sostanziale di poteri deliberativi alle Regioni od eventualmente riservandole allo stesso Stato, seppur attraverso modalità caratterizzate dalla leale collaborazione con le Regioni».
[5] Attualmente i criteri di ripartizione del FUS sono disciplinati dal D.M. n. 332 del 27 luglio 2017, che ha abrogato, a partire dal 1° gennaio 2018, il Decreto del 2014 e le sue modifiche e integrazioni, fatte salve le disposizioni relative alla presentazione della documentazione consuntiva relativa all’erogazione dei contributi assegnati nel triennio 2015-2017 e comunque fino alla chiusura dei relativi procedimenti amministrativi. La nuova disciplina non si discosta significativamente da quella prevista dal Decreto del 2014. Di recente, a seguito della sospensione delle attività di spettacolo resasi necessaria per far fronte all'emergenza sanitaria da Covid-19, il D.l. n. 34/2020 ha individuato criteri specifici per l'attribuzione delle risorse del FUS nel periodo 2020-2022, in deroga alla disciplina generale.
[6] Il D.M. 1° luglio 2014 era stato, invero, dichiarato illegittimo dal TAR Lazio, con sentenza n. 7479 del 28 giugno 2016. Secondo il Giudice amministrativo, l’Amministrazione aveva, infatti, posto in essere una vera e propria riforma del sistema del finanziamento dello spettacolo, ponendo in essere un vero e proprio regolamento ed eludendo le disposizioni di cui all’art. 17 della l. n. 400/1988. Successivamente alla sentenza, l’art. 24, comma 3-sexies, del d.l. n. 113/2016, ha ribadito la natura non regolamentare del decreto ministeriale previsto dall’art. 9del d.l. n. 91/2013 (in virtù del quale era stato emanato il D.M. 1° luglio 2014), chiarendo che le regole tecniche di riparto ivi previste sono basate sull’esame comparativo di appositi programmi di attività pluriennale presentati dagli enti dello spettacolo e possono definire apposite categorie tipologiche dei soggetti ammessi alla presentazione della domanda per ciascuno dei settori di attività. Con sentenza n. 5035 del 30 novembre 2016, il Consiglio di Stato ha poi riformato la sentenza del T.A.R. del Lazio, confermando la natura non regolamentare del DM 1° luglio 2014 e ritenendo l'art. 24, co. 3-sexies, del D.L. 113/2016 norma di interpretazione autentica non innovativa.
[7] Secondo la giurisprudenza costituzionale, sono leggi provvedimento quelle che: «contengono disposizioni dirette a destinatari determinati» (sentenze n. 154/2013, n. 137/2009 e n. 2/1997) ovvero «incidono su un numero determinato e limitato di destinatari» (sentenza n. 94/2009), che hanno «contenuto particolare e concreto» (sentenze n. 20/2012, n. 270/2010, n. 137/2009, n. 241 2008, n. 267/2007 e n. 2/1997) «anche in quanto ispirate da particolari esigenze» (sentenze n. 270/2010 e n. 429/2009) e che comportano l’attrazione alla sfera legislativa «della disciplina di oggetti o materie normalmente affidati all’autorità amministrativa» (sentenze n. 94/2009 e n. 241/2008).
[8] Per un inquadramento generale del tema in dottrina, si rinvia a: F. Cammeo, Della manifestazione di volontà dello Stato nel campo del diritto amministrativo, in Primo trattato completo di diritto amministrativo, a cura di V.E. Orlando, Milano, 1907, III, 94; C. Mortati, Le leggi provvedimento, Milano, 1969; R. Dickman, La legge in luogo di provvedimento, in Riv. trim. dir. pubbl., 1999, 915 ss.; G.U. Rescigno, Leggi-provvedimento costituzionalmente ammesse e leggi-provvedimento costituzionalmente illegittime, in Dir. Pub., 3/2007, 319 ss. Più di recente: A. Sarandrea, Legge-provvedimento, in Dizionario di diritto pubblico, a cura di S. Cassese, Milano, 2006, 3430 ss.; S. Spuntarelli, L’amministrazione per legge, Milano, 2007, passim, che affronta ampiamente il problema della “amministrativizzazione” della legge formale come risposta alle nuove esigenze dello Stato sociale.
[9] In tal senso, L. R. Perfetti, Legge-provvedimento, emergenza e giurisdizione, in Dir. Proc. Amm., 3/2019, 1021 ss.
[10] L’art. 70 della Costituzione esprime una concezione di legge intesa in senso formale: la legge è tale non perché generale ed astratta, ma in quanto adottata all’esito del procedimento legislativo previsto dalla Costituzione. In tal senso: A. M. Sandulli, voce Legge (diritto costituzionale), in Noviss. Dig. It., IX, Torino, 1963, 630 ss.
[11] Tale orientamento si è consolidato a partire dalle decisioni n. 50 e 60 del 1957 ed è stato poi confermato dalla sentenza 21 luglio 1995, n. 347, in Giur. cost., 1995, 2608; Id., 16 febbraio 1993, n. 62, in Giur. cost., 1993, 446; Id., 21 marzo 1989, n. 143 in Giur it., 1989, I, 1, c. 1601. Tra le pronunce più recenti, si segnalano: Corte cost., n. 275/2013, n. 64/2014, n. 231/2014 e, da ultimo, le pronunce n. 181/2019 e n. 116/2020. Per un’analisi storica delle linee evolutive di questa giurisprudenza, nonché per un approfondimento sul concetto di “riserva di amministrazione”, si rinvia a D. Vaiano, La riserva di funzione amministrativa, Giuffrè, Milano, 1996, in part. 56 ss. Certo è che sull’argomento la Corte mantiene da tempo un atteggiamento non pienamente definito. Con sempre maggior frequenza, infatti, la Consulta annulla leggi-provvedimento mediante argomentazioni che sottintendono l’esistenza di una riserva di amministrazione, senza mai però esplicitare la costituzionalità di un tale principio. Esempio ne è la sentenza n. 258 del 2019 che, nel dichiarare illegittima la legge-provvedimento regionale che disciplinava un ambito di materia riservato dalla legge statale ad un provvedimento amministrativo, la Corte costituzionale ha sostenuto a chiare lettere l’esistenza di una «implicita riserva di amministrazione». Cfr., P. Scarlatti, Aggiornamenti in tema di limiti alle leggi-provvedimento regionali: luci e ombre della sentenza n. 28 del 2019 della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1, 2019, 360 ss.
[12] Sul punto, si veda in particolare: Corte cost., 10 ottobre 2014, n. 231.
[13] Sul tema, si veda anche il recente commento di S. Spuntarelli, L’illegittimità costituzionale della legge-provvedimento e la “riserva” di procedimento amministrativo (Nota a Corte Costituzionale n.116/2020), in questa Rivista, 2020.
[14] Cfr., Consiglio di Stato, Sez. IV, 19 ottobre 2004, n. 6727, in www.giustizia-amministrativa.it.
[15] Cfr., R. Manfrellotti, Qualche ombra sull’effettività della tutela giurisdizionale avverso le leggi provvedimento, in Giur. cost., 5, 2019, 3740 ss.
[16] Cfr., A. Cardone, Nuovi sviluppi (rectius, ritorni al passato) sulle aree regionali protette in tema di riparto di giurisdizione tra corte costituzionale e giudice ammnistrativo, in Le Regioni, 2008; Id., Le leggi-provvedimento e le leggi autoapplicative, in L’accesso alla giustizia costituzionale: caratteri, limiti, prospettive di un modello, a cura di R. Romboli, Napoli, 2006, spec. 385.
[17] Sul pericolo di violazione del principio di uguaglianza insito in queste previsioni di natura derogatoria, si veda Corte cost., 9 maggio 2013, n. 85, relativa alle norme concernenti la bonifica della ex Italsider di Bagnoli e dell'ILVA di Taranto. Diverso è il caso delle leggi-provvedimento rivolte a dare applicazione concreta ad altre disposizioni normative, che incidono, invece, sulla separazione dei poteri, sottraendo alla cognizione del giudice l’applicazione della legge. Per un approfondimento sulla distinzione, si rinvia a G.U. Rescigno, Leggi-provvedimento costituzionalmente ammesse e leggi-provvedimento costituzionalmente illegittime, cit.
[18] Sul punto, si segnala anche la recente pronuncia della Quarta Sezione del Consiglio di Stato che, rimarcando la consolidata giurisprudenza amministrativa in materia, ha escluso l’impugnabilità diretta della legge-provvedimento dinanzi al giudice amministrativo, «dovendo il giudizio di costituzionalità conservare il proprio carattere incidentale, e quindi muovere pur sempre dall’impugnazione di un atto amministrativo (sulla cui qualificazione in termini di lesività e impugnabilità, a sua volta la giurisprudenza amministrativa adotta un approccio peculiare rispetto ai comuni principi proprio in quanto trattasi di atti direttamente applicativi di una legge- provvedimento, v. Cons. Stato, sez. VI, 8 ottobre 2008, n. 4933)». È, dunque, inammissibile, per difetto assoluto di giurisdizione, il ricorso con il quale si impugni in via diretta dinanzi al giudice amministrativo un atto avente forza di legge, chiedendone l’annullamento previa rimessione alla Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale, sul presupposto che nella specie si tratti di una legge-provvedimento. Cfr., Cons. di Stato, Sez. IV, 22 marzo 2021, n. 2409, in www.giustizia-amministrativa.it.
[19] Corte cost., sent. n. 15/1960.
[20] Corte cost., sent. n. 96/1980.
[21] Corte cost., sent. n. 340/2004.
[22] Ricorda, a tal proposito, il Collegio che in ogni operazione di finanziamento «non è intelligibile solo un interesse del beneficiario, ma anche quello dell’organismo che l’elargisce, il quale, a sua volta, altro non è se non il portatore degli interessi, dei fini e degli obiettivi che si intendono soddisfare con l’erogazione del contributo» (Cons. Stato, sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2555).
[23] Corte cost., sent. 5 aprile 2018, n. 69.
[24] Sul punto, la giurisprudenza amministrativa è salda nell’affermare che, per effetto del corollario desunto dal combinato disposto degli articoli 3 (obbligo di motivazione dell'atto amministrativo) e 12 (provvedimenti attributivi di vantaggi economici) della legge 241/1990, è illegittima la concessione di contributi pubblici qualora l’assegnazione ai relativi beneficiari sia priva di motivazione, ossia non indichi i criteri seguiti per formarla, né faccia rinvio ad altro documento esplicativo con riguardo alla procedura di valutazione eseguita. Sull’argomento, si veda, tra le pronunce più recenti T.A.R. Lazio, n. 2483/2020, in www.giustizia-amministrativa.it.
È interessante evidenziare che anche il Giudice contabile si è spesso soffermato sulla centralità dell’art. 12 della l. 241/1990 in materia di erogazione di contributi economici ai soggetti privati. In particolare, la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo della Lombardia (deliberazione Lombardia, 19 gennaio 2017, n. 4/2017/PRSE) ha stabilito che l’Amministrazione che conceda concesso economici in favore di soggetti privati senza “predeterminare” i criteri e le modalità per la loro attribuzione, viola le regole di sana gestione finanziaria: «la condotta tenuta dall’ente non è conforme ai principi di sana gestione finanziaria in quanto, alla luce dei richiamati principi che governano la materia, l’ente non può compiere una valutazione “implicita” ma deve esplicitare le ragioni per le quali un determinato soggetto è individuato quale beneficiario del vantaggio economico riconducibile all’art. 12 della Legge n. 241/90».
[25] In tali termini, M. Cammelli, Amministrazione e mondo nuovo: medici, cure, riforme, Dir. Amm., 1-2/2016, 9.
[26] Ibidem.