Energia, ambiente e semplificazione amministrativa(nota a T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III-ter, 24 novembre 2020, n. 12464)
di Marco Calabrò
Sommario: 1. La vicenda. – 2. La disciplina degli incentivi in materia energetica. - 3. Analisi critica delle ragioni poste a fondamento della pronuncia del T.A.R. del Lazio n. 12464/2020: la non perentorietà del termine per il rilascio della concessione degli incentivi. – 3.1. (segue): la riconducibilità del profilo del riconoscimento degli incentivi energetici alla materia “ambiente”. – 3.2. (segue): la sussistenza di un obbligo comunitario di concludere il procedimento con una decisione espressa. – 4. Riflessioni conclusive.
1. La vicenda.
Con una recente pronuncia il T.A.R. Lazio, Roma ha affrontato il tema della applicabilità degli istituti di semplificazione – con specifico riferimento al silenzio assenso – ai procedimenti in materia energetica. La vicenda da cui origina il contenzioso si inquadra nell’ambito dell’eterogeneo sistema di incentivazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili, la cui disciplina ha conosciuto negli ultimi anni una notevole evoluzione, anche in ragione del necessario adeguamento alle disposizioni dell’UE che si sono avvicendate in materia. In particolare, nella fattispecie in esame, la società ricorrente aveva presentato al GSE (Gestore Servizi Energetici) una richiesta di concessione della tariffa incentivante riconosciuta, a determinate condizioni, ai produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili ai sensi del d.m. 5 maggio 2011 (c.d. Quarto Conto Energia). Dopo più di un anno, il GSE riscontrava la suddetta istanza invitando la società ad integrare la documentazione presentata, attraverso la produzione di una dichiarazione del Comune sede dell’attività di produzione energetica, attestante l’idoneità della d.i.a. alla esecuzione dei lavori per la realizzazione dell’impianto. A fronte della mancata presentazione della suddetta dichiarazione, il GSE concludeva il procedimento con l’emanazione di un atto di rigetto.
Il ricorso presentato dalla società di produzione di energia si fonda, essenzialmente, su due ordini di motivi. Con il primo, che non sarà oggetto di approfondimento in questa sede, parte ricorrente contesta la legittimità della richiesta istruttoria, diretta ad ottenere la produzione di un documento attestante l’idoneità del titolo edilizio. In tal modo, infatti, il GSE avrebbe trasceso le proprie competenze (non contemplanti profili di ordine edilizio), generando un indebito aggravio procedimentale, contrastante con l’istituto stesso della d.i.a., peraltro regolarmente prodotta dal ricorrente e mai oggetto di provvedimenti inibitori[1].
Il secondo motivo di ricorso, sul quale si concentreranno le riflessioni che seguono, si fonda sull’affermazione secondo cui – al di là dei profili di merito – il GSE non avrebbe potuto chiedere alcuna integrazione documentale, essendosi ormai formato il silenzio assenso sull’istanza presentata dal ricorrente. La disciplina procedimentale relativa al riconoscimento delle tariffe incentivanti di cui al d.m. 5 maggio 2011, infatti, prevede che entro quindici giorni dalla data di entrata in esercizio dell’impianto il soggetto responsabile faccia pervenire al GSE la richiesta di concessione della pertinente tariffa incentivante, e che il GSE, “verificato il rispetto delle disposizioni del presente decreto, determina e assicura al soggetto responsabile l’erogazione della tariffa spettante entro centoventi giorni dalla data di ricevimento della medesima richiesta”. Secondo parte ricorrente, pertanto – essendo decorso più di un anno dalla presentazione dell’istanza e trattandosi di un procedimento ad istanza di parte rispetto al quale nulla è espressamente previsto per le ipotesi di inerzia dell’amministrazione – troverebbe applicazione l’istituto generale del silenzio assenso di cui all’art. 20, l. n. 241/1990.
Il T.A.R. Lazio, tuttavia, nel rigettare il ricorso, conclude per la non formazione, nel caso di specie, degli effetti del silenzio assenso sull’istanza presentata dalla società di produzione energetica, e ciò sulla base delle seguenti motivazioni: a) il carattere non perentorio del termine procedimentale di 120 giorni riconosciuto al GSE per riscontrare la domanda di concessione degli incentivi; b) la non invocabilità del regime del silenzio assenso, dovendo trovare piuttosto applicazione la deroga di cui al co. 4 dell’art. 20, l.n. 241/1990 in quanto l’incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili rientrerebbe nella materia “ambiente”; c) la sussistenza di un obbligo di concludere il procedimento con l’emanazione di un provvedimento espresso, derivante dalla corretta attuazione della normativa europea di settore[2].
2. La disciplina degli incentivi in materia energetica.
Prima di procedere all’esame delle ragioni che hanno indotto il T.A.R. Lazio a ritenere non formatasi la fattispecie del silenzio assenso, appare opportuno inquadrare brevemente il tema della incentivazione energetica, anche al fine di individuarne la ratio. Come noto, le c.d. energie rinnovabili rappresentano quelle fonti di energia – non esauribili o, comunque, in grado di rigenerarsi velocemente – alternative alle tradizionali fonti fossili. Lo sviluppo di tali forme di produzione – strumentale ad incrementare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, a stimolare la competitività del sistema produttivo ed a ridurre le emissioni inquinanti in atmosfera[3] – ha imposto l’introduzione di strumenti di incentivazione, atteso il costo di produzione più elevato rispetto all’uso delle fonti energetiche tradizionali[4].
Le principali forme di incentivazione, introdotte negli anni dal legislatore statale (spesso su stimolo dell’UE) sono rappresentate non da semplici sussidi, bensì da strumenti di mercato volti ad incoraggiare gli investimenti green[5], quali i Certificati verdi[6], i Certificati bianchi[7], la Tariffa omnicomprensiva[8] ed il c.d. Conto energia. Quest’ultimo, in particolare – oggetto della pronuncia in commento e relativo ai soli impianti fotovoltaici – configura un modello incentivante feed in premium che – a differenza del modello di prezzo amministrato feed in tariffs[9] – si concretizza nell’erogazione di un incentivo aggiuntivo rispetto al prezzo di mercato[10]: permane, quindi, un margine di rischio in capo al produttore, nella misura in cui, a fronte della formazione di un prezzo di mercato molto basso, la parte incentivante potrebbe risultare insufficiente a rendere remunerativa l’operazione nel suo complesso[11].
Il sistema di incentivazione Conto energia nasce a seguito dell’emanazione della Direttiva 2001/77/CE, recepita con il d. lgs. n. 387/2003, il cui sistema di implementazione contemplava la successiva approvazione di decreti interministeriali (Ministero dello Sviluppo Economico e Ministero dell’Ambiente) che – definendo i criteri soggettivi ed oggettivi per poter beneficiare dell’incentivazione, nonché i relativi itinera procedimentali – hanno introdotto negli anni a seguire il I° Conto energia (d.m. 28/7/2005 e d.m. 6/2/2006), il II° Conto energia (d.m. 19/2/2007) ed il III° Conto energia (6/8/2010). Mediante tali strumenti, dal 2005 al 2011 si è registrato in Italia un notevole incremento della quota di elettricità prodotta da impianti alimentati mediante la conversione fotovoltaica della fonte solare, reso possibile proprio in ragione di adeguati investimenti pubblici, programmati e a lungo termine, presupposto indispensabile per garantire la necessaria convenienza economica agli operatori privati[12].
Nel 2009, il legislatore europeo è nuovamente intervenuto in materia di promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, con l’emanazione di una nuova direttiva europea (dir. 2009/28/CE), mediante la quale si è inteso integrare il quadro regolatorio sottolineando, tra l’altro, la rilevanza della previsione di procedure trasparenti, semplici e celeri. In attuazione di tale direttiva è stato, quindi, emanato il d.lgs. n. 28/2011, che – volto a promuovere “l’efficacia, l'efficienza, la semplificazione e la stabilità nel tempo dei sistemi di incentivazione” (art. 23) – ha rappresentato il quadro regolatorio di riferimento per il IV° Conto energia (d.m. 5/5/2011) e per il V° Conto energia (d.m. 5/7/2012)[13]. Quest’ultimo, infine – avendo condotto al raggiungimento del tetto massimo di incentivazione prevista per il settore (6,7 miliardi di euro) – ha segnato la conclusione dell’applicazione del modello incentivante rappresentato dal Conto energia[14].
Attualmente il sistema di incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili da parte del GSE prevede strumenti ulteriori, quali il sistema GRIN (Gestione Riconoscimento Incentivo) in sostituzione dei Certificati verdi, il c.d. Ritiro dedicato, lo Scambio sul posto[15]. La normativa di riferimento resta, tuttavia, il d.lgs. n. 28/2011, in attuazione del quale è stato di recente approvato il c.d. Decreto FER 1 (d.m. 4 luglio 2019), contenente la disciplina principale degli incentivi alle fonti rinnovabili per il triennio 2019-2021 e volto ad agevolare – in vista degli obiettivi di decarbonizzazione fissati al 2030[16] – la diffusione dei piccoli impianti fotovoltaici, eolici on-shore, idroelettrici e a gas di depurazione[17]. É bene sottolineare come proprio il d.lgs. n. 28/2011 – dal quale ha origine anche il IV° Conto Energia, oggetto della pronuncia in commento – abbia condotto ad un notevole contenzioso, essenzialmente dovuto alle incertezze applicative emerse fin da subito[18], il che ha spinto il legislatore ad intervenire in diverse occasioni in chiave semplificatrice e chiarificatrice[19]. Da ultimo, si segnala la recente riforma introdotta ad opera del d. l. n. 76/2020, convertito in l. n. 120/2020 (c.d. decreto Semplificazioni), con il quale – al fine di incrementare il livello di certezza delle posizioni acquisite da parte delle imprese in buona fede – è stato stabilito che la decadenza dei benefici ottenuti in termini di incentivi può essere comminata dal GSE solo in presenza dei presupposti di cui all’art. 21-noniesdella l. n. 241/1990[20].
3. Analisi critica delle ragioni poste a fondamento della pronuncia del T.A.R. del Lazio n. 12464/2020: la non perentorietà del termine per il rilascio della concessione degli incentivi
Come già precisato, la pronuncia in esame concerne l’applicazione del d.m. 5 maggio 2011 (IV° Conto energia), il cui art. 10 prevedeva che l’operatore economico avrebbe dovuto, entro 15 giorni dall’avvio dell’esercizio dell’impianto, comunicare l’inizio dell’attività al GSE, il quale entro i successivi 120 giorni avrebbe provveduto a “determinare e assicurare la tariffa”, ovvero a pronunciarsi sulla riconoscibilità dell’incentivo. Prima di affrontare l’esame dei diversi profili di interesse della decisione in commento occorre una premessa di merito: nelle pagine che seguono si cercherà di dimostrare come il Collegio abbia erroneamente ritenuto non applicabile alla fattispecie de qua il regime del silenzio assenso, ma questo non perché si ritenga che tale istituto rappresenti un modello decisionale particolarmente efficace e preferibile rispetto all’emanazione del provvedimento espresso, tutt’altro. Si è pienamente consapevoli delle criticità che connotano l’attuale regime del silenzio assenso, tuttavia – anticipando quanto meglio si chiarirà nelle conclusioni – ciò che occorre assolutamente rifuggire è l’incertezza della “regola del caso”, il che si verifica proprio quando (come nel caso di specie) il giudice amministrativo (seppur perseguendo intenti anche condivisibili) effettui una forzata interpretazione della norma estendendo illegittimamente l’ambito di operatività della deroga al modello generale del silenzio assenso, frustrando così le legittime aspettative del privato.
Ciò premesso, la prima delle ragioni poste a fondamento della decisione giudiziaria che si commenta – con la quale, si ricorda, si è ritenuto di non poter considerare operativo il meccanismo del silenzio assenso nella fattispecie de qua – consiste nella affermazione secondo la quale il suddetto termine di 120 giorni riconosciuto al GSE per riscontrare l’istanza non avrebbe avuto carattere perentorio.
Il percorso argomentativo seguito dal T.A.R. Lazio appare, invero, viziato dal punto di vista logico, prima ancora che giuridico, laddove pretende di giustificare la propria affermazione dando per presupposto proprio ciò che egli stesso si prefigge di dimostrare: nel ragionamento condotto dal Collegio, infatti, la premessa maggiore è che “il termine non è perentorio”, la premessa minore è che “nelle ipotesi di silenzio assenso il termine è perentorio”, mentre la conclusione è che “non si tratta di una fattispecie di silenzio assenso”. Ma la premessa maggiore, in questo caso, non è dimostrata e, come è noto, affinché un sillogismo categorico sia valido occorre che entrambe le premesse siano incontestabilmente vere[21]. In altre parole, il Collegio avrebbe prima dovuto dimostrare la non applicabilità del silenzio assenso e solo in seguito avrebbe potuto conseguentemente affermare la natura ordinatoria del termine procedimentale; è evidentemente errato, dal punto di vista logico, ritenere di poter escludere che ci si trovi di fronte ad un’ipotesi di silenzio assenso affermando (ma non dimostrando) che il termine procedimentale non sia perentorio.
Sul punto della asserita non perentorietà del termine, i giudici – preso atto che la disposizione nulla dice su tale profilo – si limitano a richiamare il principio generale in base al quale “la perentorietà del termine di conclusione del procedimento sussiste solo quando vi sia una norma che espressamente lo qualifichi come tale, ovvero sancisca che allo spirare del termine si producano effetti giuridici incompatibili con la possibilità per l’Amministrazione di provvedere”[22]. In realtà, se è vero che, salve specifiche deroghe previste dalla legge, il termine procedimentale ha carattere ordinatorio e la sua scadenza non incide sulla sussistenza del potere di provvedere[23], ciò che è almeno opinabile è la circostanza che nel caso di specie non ci si trovi proprio di fronte ad una delle suddette ipotesi derogatorie. Il fatto che il d.m. 5 maggio 2011 non chiarisca la natura del termine non esclude ex se la perentorietà dello stesso, nella misura in cui – ribaltando la (indimostrata) premessa di partenza del Collegio – è il combinato disposto di cui agli artt. 2 e 20 della l.n. 241/1990 che conduce a ritenere perentorio il termine per tutte le ipotesi in cui operi il regime del silenzio assenso.
Come noto, a seguito della recente riforma dell’art. 2 cit. ad opera della l.n. 120/2020 (c.d. decreto Semplificazioni), nelle fattispecie di silenzio assenso l’emanazione di un provvedimento oltre i termini procedimentali legislativamente prescritti per la sua adozione determina l’inefficacia del provvedimento stesso, il che impone evidentemente di affermare la natura per l’appunto perentoria del termine stesso[24]. In realtà, anche prima della suddetta riforma si sarebbe potuto/dovuto sostenere la natura perentoria del termine finale nelle ipotesi di silenzio significativo: solo ritenendo non più esercitabile il potere di amministrazione attiva, una volta decorso il termine per provvedere, rinviene una sua coerente giustificazione il formarsi “silenzioso” degli effetti provvedimentali ex lege[25].
In conclusione, sul punto, la mera affermazione assiomatica della natura ordinatoria del termine finale, non pare poter legittimamente fungere da supporto alla dimostrazione della non applicabilità del regime del silenzio assenso alla fattispecie procedimentale de qua. Tra l’altro considerare quel termine come non perentorio si rivela palesemente contraddittorio con quanto previsto nella direttiva di riferimento e nello stesso d.lgs. n. 28/2011, laddove si valorizza l’esigenza che la disciplina attuativa relativa allo sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili sia connotata da procedure semplici, celeri e certe[26].
3.1. (segue): la riconducibilità del profilo del riconoscimento degli incentivi energetici alla materia “ambiente”
Il secondo e principale argomento sul quale si fonda la decisione in commento è rappresentato dall’affermazione secondo la quale nella fattispecie de qua troverebbe applicazione la deroga all’istituto del silenzio assenso prevista al co. 4 dell’art. 20 della l.n. 241/1990 “per atti e procedimenti riguardanti l’ambiente, materia nella quale, come la giurisprudenza ha già avuto modo di precisare, rientra a pieno titolo la disciplina invocata riferibile al settore degli incentivi per il risparmio energetico e al rispetto degli impegni internazionali sui cambiamenti climatici”. Secondo il Collegio, in altri termini, i procedimenti concernenti lo sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili andrebbero inquadrati nella materia della tutela dell’ambiente e, di conseguenza, sarebbe esclusa nei loro confronti l’operatività del regime del silenzio significativo.
La pronuncia richiama, al riguardo, un orientamento del giudice amministrativo teso a leggere in chiave unitaria i due profili (ambiente ed energia) e, di conseguenza, (per quanto maggiormente rileva in questa sede) a sottrarre dall’applicazione del silenzio assenso di cui all’art. 20 cit. alcuni procedimenti in materia di energia. Invero, mentre le decisioni aventi ad oggetto procedimenti autorizzatori relativi alla realizzazione di un impianto FER giustificano l’esclusione dell’operatività del regime del silenzio assenso in ragione dell’impatto della realizzazione dei nuovi volumi “sull’ambiente, la salute ed il patrimonio paesaggistico”[27], con specifico riferimento ai procedimenti volti a riconoscere incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, le pronunce esaminate si limitano ad affermare che l’istituto delle tariffe incentivanti debba farsi rientrare nella materia “ambiente”, senza in alcun modo argomentare l’assunto[28].
La sola pronuncia che si sofferma su tale profilo[29], a ben vedere, chiarisce innanzitutto che il procedimento in questione non ha ad esclusivo oggetto la tutela dell’ambiente, il che “non rende il detto meccanismo di per sé incompatibile con l’utilizzo del silenzio assenso”; essa, quindi, conclude comunque per l’applicazione della deroga di cui all’art. 20, comma 4, della l. 241/1990 anche alle ipotesi di concessione di tariffe energetiche incentivanti, ma solo sulla base della (opinabile) considerazione secondo la quale dovrebbe “privilegiarsi un’esegesi che consenta di giungere all’adozione di un provvedimento esplicito”, in quanto il meccanismo del silenzio assenso “porterebbe a sacrificare in modo eccessivo quegli interessi sensibili di natura ambientale e derivazione europea che il procedimento intende perseguire”.
In realtà, secondo l’impostazione tradizionale, il rapporto tra le materie “energia” e “ambiente” non avrebbe una connotazione di tipo armonico, fondandosi piuttosto su una “dialettica conflittuale”[30]: da un lato, la sempre maggiore necessità di sfruttamento delle risorse energetiche rappresenta una costante minaccia per la tutela delle risorse naturali; dall’altro lato, l’energia, intesa come bene economico, trova nel sistema vincolistico delle politiche ambientali un forte limite al proprio sviluppo.
La netta separazione tra ambiente ed energia rinviene conferma nell’attuale versione dell’art. 117 Cost., ove – a seguito della riforma del Titolo V – la materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” non solo è indicata come autonoma rispetto alla materia “tutela dell’ambiente”, ma è anche posta in un elenco diverso, essendo inserita tra le materie per le quali è prevista la competenza concorrente tra Stato e regioni[31]. Il medesimo assetto è evincibile anche a livello Europeo, laddove l’energia configura una materia autonoma rispetto all’ambiente, con riguardo alla quale all’UE è riconosciuto una specifica sfera di intervento ai sensi dell’art. 194 TFUE[32].
Certo, nell’occuparsi del particolare settore della produzione di energia da fonti rinnovabili, la descritta relazione di sostanziale autonomia è destinata in parte a mutare, ma, a ben vedere, anche in tale contesto non mancano profili di sostanziale conflittualità, se solo si pensa, ad esempio, al noto contrasto tra istanze di tutela dell’ambiente/paesaggio e politiche di sviluppo dell’energia eolica e fotovoltaica[33]. In una significativa pronuncia del 2011, la Corte di Giustizia UE – chiamata a decidere sulla legittimità di una disciplina interna che vietava l’installazione di impianti eolici in zone protette dalla normativa europea in materia di conservazione degli habitat naturali – ha chiarito come non sussista affatto un rapporto di coessenzialità, né, talvolta, di compatibilità, tra esigenze di tutela dell’ambiente e istanze di sviluppo di “energia pulita”[34]. Come è stato osservato, il giudice europeo ha in quella occasione fatto emergere come l’interesse ambientale possa trovarsi in conflitto con quello energetico “non soltanto nell’ipotesi più tradizionale di energie esauribili vs. ambiente ma anche in un’ipotesi, in verità più complessa, quale energie rinnovabili vs. ambiente”[35].
A conferma della suddetta autonomia giuridico/concettuale, la Corte costituzionale ha in più occasioni sottolineato come la realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili – pur indubitabilmente interferendo con la materia della tutela dell’ambiente – appartenga in via primaria alla materia “energia”[36] e si innesti nel più ampio contesto di favor nei confronti delle FER, volto all’eliminazione della dipendenza dalle fonti fossili di energia. Da ciò ne consegue che “il bilanciamento tra le esigenze connesse alla produzione di energia e gli interessi ambientali impone una preventiva ponderazione concertata in ossequio al principio di leale cooperazione” tra Stato e Regioni[37].
In effetti, dall’analisi dei numerosi documenti dell’UE in materia, si evince chiaramente come l’incentivazione dell’utilizzo di fonti di energia rinnovabile risponda ad un fine primario diverso da quello della tutela dell’ambiente, consistente piuttosto nell’esigenza di limitare la dipendenza dell’Unione Europea dallo sfruttamento e dalle importazioni di combustibili fossili: l’incremento della popolazione mondiale ed il contestuale innalzamento della domanda di energia impongono il ricorso a forme di produzione alternative a quelle tradizionali, fondate su risorse esauribili. Lo sviluppo della produzione di energia “pulita” è volta, pertanto, in primo luogo, a rendere sostenibile nel suo complesso l’intero settore energetico, attraverso una maggiore sicurezza negli approvvigionamenti e una netta riduzione delle importazioni di fonti energetiche tradizionali[38].
Posti tali obiettivi primari, non si intende certo negare che il processo di valorizzazione della c.d. green energy comporta conseguenze anche in chiave di tutela dell’ambiente – in ragione della riduzione delle emissioni nocive generate dal consumo e dalla produzione di energia da fonti tradizionali – nonchè in termini di vantaggi economici, derivanti, da un lato, dal risparmio sul costo dell’acquisto di combustibili tradizionali e, dall’altro lato, dall’incremento delle esportazioni e dell’occupazione[39]. A ben vedere, tuttavia, pur essendo evidenti gli impatti che gli interventi in materia di energia pulita hanno sulle politiche di protezione ambientale, si intende rimarcare come ciò non esaurisca affatto il proprium di una politica di sviluppo (e incentivazione) di energie rinnovabili, ponendosi piuttosto come una delle conseguenze, insieme a quelle di carattere economico. Di qui l’erroneità dell’operazione ricostruttiva condotta dal T.A.R. del Lazio, tesa a prospettare l’esistenza di una automatica endiadi tra energia e ambiente.
E che il procedimento in esame non debba essere inquadrato all’interno della materia ambiente, lo si desume a contrario anche dall’analisi del d.lgs. n. 222/2016 (c.d. SCIA 2), la cui Tabella A, come noto, indica i regimi amministrativi dei procedimenti in diverse materie, tra le quali quella ambientale[40]. Ebbene, nella suddetta tabella, i procedimenti di incentivazione tariffaria non sono contemplati (trattandosi, evidentemente di materia “energia”) mentre i procedimenti volti al rilascio dei titoli autorizzatori necessari per la realizzazione e l’esercizio di impianti alimentati da fonti rinnovabili non sono elencati all’interno della sezione “Ambiente”, bensì nella sezione “Edilizia”.
Insomma, se è vero che è ormai pacifico che politiche ambientali efficaci debbano necessariamente fondarsi sul principio di integrazione, ovvero superare una prospettiva settoriale optando piuttosto per una logica sistemica che tenga conto, in un unico processo decisionale, dei diversi interessi emergenti[41] (tra i quali, evidentemente, le politiche energetiche nazionali), ciò non legittima affatto operazioni volte a rendere l’ambiente una “super-materia” nella quale far confluire interessi differenti e dotati di autonomia giuridica oltre che concettuale.
Tra l’altro, spostando l’attenzione dal profilo dell’inquadramento formale del procedimento de quo a quello della sua portata sostanziale, può osservarsi come nel caso di specie il GSE non sia chiamato a valutare l’impatto sull’ambiente dell’attività oggetto di concessione della tariffa incentivante, come invece accade nelle fattispecie decisorie aventi ad oggetto gli effetti della realizzazione fisica di un impianto alimentato da fonti rinnovabili. Il riconoscimento di incentivi alla produzione di energia “pulita” ha di per sé un effetto positivo sulle politiche di protezione ambientale: il GSE deve unicamente verificare la sussistenza o meno di presupposti per l’attribuzione di un beneficio implicitamente consonante con l’interesse alla tutela ambientale, il che conferma la piena compatibilità della fattispecie in esame con il regime del silenzio assenso.
In definitiva, in relazione ai procedimenti volti al riconoscimento di forme di incentivazione alla produzione di green energy manca (nella sostanza) l’esigenza di escludere l’applicazione del regime semplificato e (nella forma) la sussumibilità della materia energia nella materia ambiente: come si è dimostrato, infatti, queste ultime – seppur necessariamente correlate in numerose loro espressioni[42] – mantengono una sostanziale autonomia dal punto di vista regolativo, organizzativo e funzionale[43].
3.2. (segue): la sussistenza di un obbligo comunitario di concludere il procedimento con una decisione espressa
Quale terzo, ed ultimo, elemento posto dal Collegio a fondamento del proprio convincimento circa la non applicabilità del regime del silenzio assenso al procedimento de quo, viene indicata la presunta “necessità che il procedimento debba concludersi con un atto espresso in base al diritto europeo”.
Come noto, in diversi contesti il legislatore Europeo richiede che un procedimento si concluda necessariamente con l’emanazione di un provvedimento espresso al fine di assicurare l’effettività delle previsioni comunitarie[44]. Ciò avviene, in sostanza, ogniqualvolta, un’autorizzazione tacita non possa considerarsi compatibile con le prescrizioni di una direttiva, o perché non in grado di consentire la realizzazione di controlli successivi per i quali occorrono parametri di riferimento indicati nel titolo, ovvero in quanto l’attività oggetto di autorizzazione necessita di prescrizioni evincibili unicamente dal provvedimento espresso[45].
A sostegno del proprio convincimento, il Collegio richiama alcuni precedenti giurisprudenziali. Il primo fra questi, tuttavia, non appare conferente, avendo ad oggetto un procedimento diverso, ovvero la realizzazione di un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili e non il riconoscimento di incentivi tariffari alla produzione[46]. Come già osservato, le due fattispecie non sono affatto assimilabili: mentre la realizzazione di nuovi volumi a destinazione industriale può ovviamente avere un impatto sulle risorse ambientali, la semplice acquisizione di un beneficio avente carattere meramente economico è, rispetto a quelle risorse, del tutto indifferente. La pronuncia in commento richiama, poi, un secondo precedente, nel quale, in effetti, si afferma che tanto la direttiva di riferimento quanto la disciplina nazionale di attuazione imporrebbero l’adozione di un provvedimento espresso in materia di concessione degli incentivi “in quanto l’unico coerente con le finalità programmatorie e finalistiche in ambito nazionale […], con le garanzie di origine dell’elettricità prodotta […], nonché in grado di soddisfare le necessità di coordinamento della produzione dell’energia con le esigenze e le necessità dei gestori delle reti”[47].
A ben vedere, la stessa giurisprudenza richiamata non afferma affatto (né avrebbe potuto) che la normativa eurounitaria preveda espressamente l’obbligo di concludere il procedimento de quo con un provvedimento formale, bensì si limita a sostenere che tale conclusione sarebbe l’unica “coerente” con l’assetto regolativo generale. I giudici, in altri termini, effettuano una non condivisibile operazione deduttiva laddove ritengono di poter trarre da una interpretazione di tipo sistematico ciò che la normativa eurounitaria non dice; il tutto a fronte del chiaro tenore dell’art. 20 cit., il cui co. 4 consente di derogare alla regola generale dell’applicazione del regime del silenzio assenso unicamente nei casi “in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali”. Il che, nel caso di specie, non è.
La direttiva n. 2009/28/CE, infatti, nel disciplinare le procedure amministrative relative alle misure di sostegno alla produzione di energia da fonti rinnovabili, si limita a disporre che gli Stati membri assicurino l’adozione di procedure proporzionate e necessarie, semplificate ed accelerate (cfr. art. 13). In altri termini, il legislatore europeo non solo non impone affatto l’adozione di un provvedimento formale, ma – nell’individuare i principi di riferimento ai quali gli Stati membri sono tenuti ad adeguarsi nel definire l’iter funzionale alla concessione di incentivi per impianti da fonte rinnovabile – sembra indicare una netta preferenza per la previsione di procedimenti idonei a giungere ad una conclusione in forma semplificata, certa e celere, il che, evidentemente, appare compatibile con l’applicazione del regime del silenzio significativo, molto meno con la presunta imposizione di una decisione espressa da adottare anche oltre il termine procedimentale[48].
Come noto, tra l’altro, il d.lgs. n. 59/2010, attuativo della Direttiva Bolkestein, nell’ambito di un più ampio intervento di liberalizzazione[49], dispone all’art. 17 che ai procedimenti autorizzatori o concessori concernenti l'esercizio delle attività di servizi economici “si segue, ove non diversamente previsto, il procedimento di cui all'articolo 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241”, chiarendo, altresì che solo “qualora sussista un motivo imperativo di interesse generale, può essere imposto che il procedimento si concluda con l'adozione di un provvedimento espresso”[50]. Nel caso di specie, pertanto, in assenza di una disposizione eurounitaria che chiarisca il motivo imperativo di interesse generale che imporrebbe la decisione espressa, non può che trovare applicazione l’istituto acceleratorio del silenzio assenso.
Del resto, a ben vedere, anche la normativa italiana attuativa della direttiva del 2009 contempla un regime procedimentale semplificato, senza affatto prevedere l’obbligo di concludere il procedimento con l’emanazione di un provvedimento formale. In particolare, l’art. 4 del d.lgs. n. 28/2011 dispone, in via generale, che “la costruzione e l'esercizio di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili sono disciplinati secondo speciali procedure amministrative semplificate, accelerate, proporzionate e adeguate”[51]. Come è stato osservato, dunque, contrariamente a quanto avviene per gli “istituti del diritto ambientale, in cui tradizionalmente l’applicazione degli istituti di semplificazione risulta recessiva rispetto alla esigenza di garantire un completo sviluppo dell’iter procedimentale, nella materia in esame sembra prevalere il principio di non aggravamento procedurale al fine di assicurare l’efficacia dell’azione amministrativa”[52].
Con specifico riferimento ai procedimenti relativi al riconoscimento di misure di incentivazione, l’art. 28 dello stesso d.lgs. n. 28/2011 rinvia a successivi decreti interministeriali per l’individuazione delle modalità con le quali il GSE provvede ad erogare gli incentivi. Come già osservato, il d.m. 5 maggio 2011 – contenente la disciplina del regime incentivante oggetto della pronuncia in commento – dispone che gli impianti accedono direttamente (o previa iscrizione ad un registro) alla tariffa incentivante, fatto salvo l’onere di comunicazione al GSE dell’avvenuta entrata in esercizio entro 15 giorni dalla stessa (art. 6) e che il GSE, verificato il rispetto delle disposizioni del decreto, “determina e assicura l’erogazione della tariffa” (art. 10), riconosciuta a decorrere dalla data di entrata in esercizio dell’impianto (art. 12). Il soggetto che ne ha diritto, quindi, ottiene l’incentivo alla sola condizione che comunichi per tempo l’avvio della produzione di energia da fonte rinnovabile, e l’attività che il GSE è chiamato a porre in essere (determinazione e assicurazione dell’erogazione della tariffa) non richiede affatto l’emanazione di un provvedimento formale, consistendo nella mera applicazione di criteri predeterminati. Il GSE, in altri termini, è chiamato semplicemente ad effettuare una attività di controllo (circa la sussistenza dei requisiti necessari) e di definizione tariffaria, il tutto senza spendere alcun potere a carattere discrezionale, tanto da far legittimamente ritenere che l’unico ostacolo alla liberalizzazione della fattispecie sia rappresentato dalla previsione di un “contingente complessivo” massimo incentivabile, atto ad escludere l’applicazione del regime della s.c.i.a.
La natura vincolata della funzione esercitata dal GSE è stata più volte ribadita dalla giurisprudenza amministrativa, ove – nel ricostruire il regime degli incentivi concernenti la produzione di energia da fonti rinnovabili – ha affermato che esso si fonda sulle dichiarazioni che il soggetto titolare dell’impianto, sotto la propria responsabilità, fa pervenire al GSE e in base alle quali quest’ultimo determina la sussistenza, o meno della possibilità di accedere o di mantenere gli incentivi (salvi i controlli ex post)[53]. Il GSE, pertanto, “eserciterebbe un immanente potere di accertamento e controllo che, essendo volto essenzialmente a verificare quanto dichiarato dal beneficiario dell’incentivo, sarebbe privo di spazi di discrezionalità, avendo anzi, natura doverosa ad esito vincolato”[54]. Tale ricostruzione trova ulteriore conferma sia nella affermata applicabilità al procedimento de quo dell’art. 21-octies, comma 2, l. n. 241/1990, atteso il “carattere vincolato della valutazione operata dal GSE”[55], sia nella qualificazione dei poteri di controllo ad esito negativo esercitati dallo stesso GSE non in termini di attività sanzionatoria o di autotutela, bensì di mera “decadenza, intesa quale vicenda pubblicistica estintiva […] per il carattere vincolato del potere”[56].
Ebbene, il carattere vincolato dell’attività esercitata dal GSE avvalora ulteriormente la possibile fine “silenziosa” del procedimento. È nota la tesi avanzata da una parte della dottrina e della giurisprudenza secondo la quale – al di fuori delle deroghe espresse di cui al co. 4 dell’art. 20 cit. – il regime del silenzio assenso non troverebbe comunque applicazione in relazione a fattispecie connotate da un ampio grado di discrezionalità, per le quali si ritengono imprescindibili le garanzie derivanti dalla cristallizzazione della decisione in un provvedimento formale[57]. Pur volendo aderire a tale (discutibile) indirizzo, il carattere sostanzialmente vincolato del procedimento volto al riconoscimento della tariffa energetica incentivante ne attesterebbe la piena compatibilità con il regime del silenzio assenso, non venendo in essere alcun elemento di criticità in merito all’eventuale mancata adeguata ponderazione degli interessi[58].
Un ulteriore elemento che collide con la prospettata inammissibilità di una conclusione “silenziosa” del procedimento volto al riconoscimento degli incentivi energetici tariffari è rappresentato dalla circostanza che l’eventuale decisione espressa del GSE non avrebbe, in ogni caso, alcun contenuto conformativo, limitandosi a concedere la tariffa incentivante alla luce dei controlli effettuati. Come noto, una delle principali ragioni che non consentono l’applicazione del regime del silenzio assenso alle autorizzazioni in materia ambientale è che queste ultime sono connotate da un contenuto complesso, in quanto non si limitano a permettere l’esercizio di un’attività, ma contengono anche una serie di prescrizioni relative a come tale attività debba essere svolta, ai limiti da rispettare, agli accorgimenti da predisporre, ecc. Si tratta del c.d. carattere conformativo dell’atto, che discende dall’esigenza di “controllare” il privato non solo al principio (verifica dei requisiti), ma nel corso dell’intera durata dell’attività, obbligandolo a rispettare standard e modalità di esercizio necessari per garantire la sostenibilità ambientale dell’iniziativa[59]. Ebbene, nella fattispecie in esame tale esigenza non sussiste: l’atto con il quale si riconosce la tariffa incentivante si limita – una volta verificata la sussistenza dei presupposti richiesti – ad attestare che quella determinata impresa ha diritto a ricevere il sostegno economico per il quale ha presentato istanza, senza contenere alcuna specifica prescrizione pro futuro, il che conferma la piena compatibilità del regime del silenzio assenso.
Non secondaria, infine, la considerazione secondo cui sarebbe davvero paradossale sostenere che mentre per la realizzazione di un impianto FER (attività indubbiamente impattante sull’ambiente) è in alcuni casi contemplato un regime liberalizzato, assimilabile s.c.i.a., denominato Procedura abilitativa semplificata (PAS)[60], per accedere al sistema di incentivo tariffario (profilo puramente economico, privo di alcun impatto diretto) sarebbe inapplicabile il regime del silenzio assenso e sempre necessario il rilascio del provvedimento espresso.
4. Riflessioni conclusive
La conclusione cui perviene la pronuncia in commento, laddove esclude che al procedimento volto al riconoscimento di una tariffa incentivante in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili possa applicarsi il regime del silenzio assenso, non convince sotto molteplici profili. Come si è cercato di dimostrare, nel caso di specie ci si trova innanzi ad un procedimento ad istanza di parte, avente ad oggetto una materia (l’energia) non rientrante tra quelle per le quali opera la deroga di cui all’art. 20, co. 4 cit., e rispetto alla quale la normativa eurounitaria non impone espressamente l’emanazione di una decisione formale. Di talchè, decorso il termine di 120 giorni, la corretta applicazione della disciplina generale di cui all’art. 20 cit. avrebbe dovuto far concludere per l’avvenuta formazione “silenziosa” degli effetti del provvedimento ad esito positivo, con la conseguenza che il GSE avrebbe potuto al massimo intervenire in sede di riesame[61].
Non può tacersi, tuttavia, come il non condivisibile assetto di interessi determinato dal T.A.R. del Lazio sia il frutto di un contesto di grave incertezza regolativa[62] – derivante dalla assenza di un elenco tassativo dei procedimenti per i quali non opera il regime generale del silenzio assenso[63] – incertezza la cui rilevanza è evidente in un settore, quale quello degli incentivi energetici, per il quale la prevedibilità delle decisioni pubbliche assume un ruolo determinante in termini di stabilità e tutela delle legittime aspettative degli investitori privati[64]. Nella vicenda in esame, operandosi nella materia energia, l’impresa aveva in perfetta buona fede (e correttamente) escluso dovesse trovare applicazione la deroga di cui all’art. 20, co. 4 cit. e giammai avrebbe potuto immaginare che il giudice amministrativo avrebbe frustrato il suo legittimo affidamento[65] ritenendo legittimo un provvedimento del GSE emanato oltre un anno dallo spirare del termine procedimentale, senza, tra l’altro, configurare alcun tipo di responsabilità per il tardivo esercizio della funzione[66].
Tra l’altro, appare ancora più paradossale la scelta del giudice di interpretare estensivamente la deroga di cui all’art. 20, co. 4 cit., a fronte della recente evoluzione che è possibile registrare nel bilanciamento tra semplificazione e tutela dell’ambiente[67]: tralasciando ogni ordine di valutazione di merito, è noto come sia ormai caduto il dogma della iper-tutela procedimentale degli interessi c.d. sensibili, se solo si pensa all’estensione del regime del silenzio assenso nei rapporti tra amministrazioni (c.d. silenzio assenso orizzontale) anche alle decisioni in materia ambientale[68], il che ha indotto la dottrina a parlare significativamente di “desacralizzazione” dell’ambiente[69].
In conclusione, l’analisi della pronuncia in commento conferma ulteriormente il sostanziale fallimento della scelta legislativa di rendere l’art. 20 cit. norma a carattere generale[70] e ciò non solo in ragione della conseguente dequotazione dell’esercizio della funzione pubblica[71], ma anche a causa dei molteplici profili di incertezza ai quali l’applicazione di tale istituto conduce[72]. Se da un lato, quindi, appare comprensibile una tendenza di tipo restrittivo da parte di una certa giurisprudenza, preoccupata dalle derive di una semplificazione “a tutti i costi”, dall’altro lato, non è ammissibile che le criticità evidenziate vengano risolte dal giudice amministrativo attraverso una perimetrazione dell’ambito di applicazione del silenzio assenso compiuta mediante un’interpretazione a dir poco forzata della norma, pena, come si è cercato di dimostrare, l’ulteriore aggravarsi del livello di incertezza regolativa cui deve far fronte il cittadino.
Urge, piuttosto, un “ritorno al passato”, in termini di abbandono del modello della generalizzazione del silenzio assenso – introdotto nel 2005 e confermato nel 2010 con l’inserimento del silenzio assenso nel novero dei livelli essenziali delle prestazioni – restituendo a tale istituto il suo carattere derogatorio rispetto al generale dovere di concludere il procedimento con un provvedimento espresso di cui all’art. 2, l. n. 241/1990. In tale ottica, del resto, sembra essersi già mosso il legislatore statale. Come è noto, l’art. 5 della l. n. 124/2015 (c.d. Legge Madia) ha delegato il Governo, tra l’altro, ad adottare uno o più decreti legislativi per la precisa individuazione dei procedimenti oggetto di silenzio assenso ai sensi dell’art. 20, l. n. 241/1990, in tal modo (almeno in apparenza) preludendo ad un ritorno alla tipizzazione delle fattispecie incluse nell’ambito di applicazione dell’istituto in esame[73]. La delega è stata in parte attuata con il d.lgs. n. 222/2016 (c.d. SCIA 2), cui è allegata una Tabella A dove sono indicate le diverse attività private assoggettate ad autorizzazione espressa, a silenzio assenso, a s.c.i.a. o a semplice comunicazione nei settori delle Attività commerciali, dell’Edilizia e dell’Ambiente[74].
E’ auspicabile che tale processo di tipizzazione delle fattispecie assoggettate al regime del silenzio assenso interessi quanto prima anche la materia dell’Energia, tenendo anche conto del ruolo centrale dello sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili all’interno del più ampio processo di transizione energetica previsto nel recente Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC)[75], nonché nel Piano per la ripresa dell’Europa (c.d. Recovery Fund)[76]. L’obiettivo è quello di scongiurare che – nonostante negli ultimi anni si siano avvicendati (sia a livello internazionale che nazionale) atti di regolazione, atti di programmazione, linee guida, tutti convergenti verso la centralità della promozione della green energy – il tutto finisca per essere frustrato da decisioni amministrative (e giudiziarie) poco in linea con la programmata transizione ecologica[77].
[1] Sul tema si rinvia a G. Giordano, Il sindacato sui titoli autorizzativi: il potere del g.s.e. S.p.A. tra controllo formale e sostanziale, in Giustamm, 2019.
[2] In senso analogo anche due successive pronunce dello stesso T.A.R. del Lazio, Sez. Terza Stralcio, 14 dicembre 2020, n. 13460 e 14 dicembre 2020, n. 13462.
[3] Cfr. il Libro Verde UE: Una Strategia Europea per Energia Sostenibile, Competitiva e Sicura, COM (2006) 105 dell’8 marzo 2006 e la Comunicazione della Commissione 2010/639 del 10.11.2010 (Energia 2020: strategia per un’energia competitiva, sostenibile e sicura).
[4] “Innegabile che la transizione del mercato energetico verso un sistema a basso tasso di CO2 richieda un intervento economico pubblico per promuovere gli investimenti nella produzione di energia e per la sicurezza delle forniture”, L. Ammannati, La transizione energetica nell’Unione Europea. Il nuovo modello di governance, in G. De Maio (a cura di), Introduzione allo studio del diritto dell’energia. Questioni e prospettive, Napoli, 2019, 11. Sul tema v. anche G. Landi, C. Scarpa, Il livello ottimale degli incentivi verso la grid parity, in G. Napolitano, A. Zoppini (a cura di), Annuario di diritto dell’energia. Regole e mercato delle energie rinnovabili, Bologna, 2013, 80 ss.
[5] M. Clarich, La tutela dell’ambiente attraverso il mercato, in Dir. pubbl, 1/2007, 219 ss.; L. Ammanati, Le politiche di efficienza energetica nel quadro del pacchetto europeo clima-energia, in Amministrazione in cammino, 2013, 1 ss.; F. Fracchia, Introduzione allo studio del diritto dell’ambiente. Principi, concetti, istituti, Napoli, 2013, 75 ss.
[6] Mediante i certificati verdi il legislatore ha imposto ai produttori di energia l’obbligo di immissione di una certa quota di “energia verde”, obbligo ottemperabile sia riorientando parte della propria produzione verso le fonti di energia rinnovabile, sia acquistando certificati da un produttore terzo che ha prodotto energia rinnovabile in eccedenza rispetto a quanto impostogli. V. Colcelli, La natura giuridica dei certificati verdi, in Riv. giur. ambiente, 2/2012, 179 ss.
[7] I certificati bianchi sono titoli di efficienza energetica che certificano il conseguimento di risparmi energetici e che i distributori di energia elettrica e di gas naturale sono obbligati ad acquisire, o promuovendo progetti di efficienza energetica, o acquistando i titoli dagli altri soggetti ammessi al meccanismo. E. Tedeschi, La regolazione dell’efficienza energetica, in Riv. amm. Rep. It., 2015, 261 ss.
[8] Si tratta di una remunerazione ulteriore, calcolata sulla base della quota di energia elettrica prodotta da fonte rinnovabile immessa in rete, destinata agli impianti qualificati come Impianti alimentati a fonti rinnovabili (IAFR) dal GSE. E. Manassero, Il passaggio dai certificati verdi alla tariffa onnicomprensiva, in Ambiente e sviluppo, 7/2013, 657 ss.
[9] Tariffe incentivanti con cui il Gestore garantisce il ritiro dell’energia rinnovabile prodotta ad un prezzo prefissato che tenga conto della componente dell’incentivo e, pertanto, più elevato di quello di mercato. E’ stato osservato che “benché tale sistema garantisca certezza circa il ritorno dell’investimento, questo meccanismo presenta tuttavia il profilo critico per cui la fissazione di un prezzo predefinito in via amministrativa sottrae la sua formazione al mercato” (M. Cocconi, Gli incentivi alle fonti rinnovabili e i principi di proporzionalità e di tutela del legittimo affidamento, in Munus, 1/2014, 53).
[10] Sulla applicabilità del regime degli aiuti di Stato alle diverse tipologie di incentivi alla produzione di energia da fonte rinnovabile v.Corte Giust UE, 13 Settembre 2017, C-329/15, nonchè la comunicazione (2014/C 200/01) della Commissione europea recante “Disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell’ambiente e dell’energia 2014-2020”. Sul tema si rinvia anche a F.M. Salerno, F. Macchi, Recenti sviluppi della giurisprudenza europea su meccanismi di supporto della produzione di energia da fonti rinnovabili e disciplina europea degli aiuti di Stato, in Rivista della Regolazione dei mercati, 1/2018, 160 ss.
[11] A. Marzanti, Semplificazione delle procedure e incentivi pubblici per le energie rinnovabili, in Riv. giur. ambiente, 5/2012, 499 ss.
[12] M. D’Auria, La finanza pubblica e le energie rinnovabili, in Riv. giur. ambiente, 6/2009, 879 ss.
[13] M. Ragazzo, Il d.lgs. n. 28/2011: promozione delle fonti energetiche rinnovabili o…moratoria de facto?, in Urb. e app., 2011, 638 ss.
[14] Cfr. Pagina web istituzionale del GSE, nella parte dedicata al Conto Energia, disponibile al link: https://www.gse.it/servizi-per-te/fotovoltaico/conto-energia.
[15] Una analitica descrizione di tali modelli di incentivazione energetica è presente in https://www.gse.it/chi-siamo/attivit%C3%A0/gse-per-le-energie-rinnovabili#Meccanismi.
[16] Cfr. il Clean energy for all Europeans package (Commissione Europea, 2016), https://ec.europa.eu/energy/topics/energy-strategy/clean-energy-all-europeans_en, in attuazione del quale l’Italia ha adottato il Piano Nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC), ove sono individuati gli obiettivi da raggiungere per il 2030, tra i quali la copertura del 32% dei consumi energetici finali lordi da energia da fonti rinnovabili. Per un’ampia analisi del documento Europeo e delle successive azioni poste in essere dall’UE si rinvia a M. De Focatiis, Il Clean Energy for all Europeans, in in G. De Maio (a cura di), Introduzione allo studio del diritto dell’energia. Questioni e prospettive, Napoli, 2019, 39 ss.
[17] Non risulta ancora approvato, invece, il cd. Decreto FER 2, destinato a definire regole e incentivi relativamente alla produzione di energia attraverso fonti rinnovabili innovative, quali il biogas, il solare termodinamico e la geotermia.
[18] Per un’analisi delle criticità applicative di cui al IV° Conto energia v. G.F. Cartei, Ambiente e mercato nella disciplina delle energie rinnovabili, in Il diritto dell’economia, 3/2013, 614-615.
[19] Sottolinea come nel settore dell’incentivazione tariffaria degli impianti fotovoltaici, le modalità procedurali introdotte dai diversi decreti interministeriali si siano spesso rivelate in contrasto con i principi generali della normativa europea e nazionale di riferimento, ispirate ai principi della semplificazione e della celerità, M.A. Sandulli, La s.c.i.a. e le nuove regole sulle tariffe incentivanti per gli impianti di energia rinnovabile: due esempi di “non sincerità” legislativa. Spunti per un forum, in Federalismi.it, 6/2011, 18-19.
[20] G. La Rosa, La rideterminazione dei poteri del GSE nel d.l. semplificazioni e la (apparente) stabilità degli incentivi per l’energia da fonte rinnovabile, in Ambientediritto.it, 1/2021, 1 ss.
[21] N. Abbagnano, G. Fornero, La ricerca del pensiero, Milano, 2012, 330 ss.
[22] In termini v. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 1 luglio 2019, n. 3575, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 2 aprile 2019, n. 4308, ivi; Cons. Stato, Sez. V, 1 ottobre, 2015, n. 4599, ivi.
[23] G. Corso, Manuale di diritto amministrativo, 2013, 236. Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 26 gennaio 2015, n. 313, in www.giustizia-amministrativa.it.
[24] Sul punto e, più in generale, sugli effetti della recente introduzione del regime dell’inefficacia del provvedimento tardivo ai sensi del nuovo co. 8-bis dell’art. 2, l.n. 241/1990, sia consentito rinviare a M. Calabrò, ll silenzio assenso nella disciplina del permesso di costruire. L’inefficacia della decisione tardiva nel d.l. n. 76/2020 (c.d. decreto semplificazioni), in www.giustiziainsieme.it, 2020.
[25] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 13 agosto 2020, n. 5034, in www.giustizia-amministrativa.it.; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 28 maggio 2018, n. 3493, in www.giustizia-amministrativa.it.
[26] G.F. Cartei, Ambiente e mercato nella disciplina delle energie rinnovabili, cit., 606.
[27] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 13 ottobre 2015, n. 4712, in www.giustizia-amministrativa.it, e T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 1 settembre 2015, n. 10980, ivi.
[28] Cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 5 giugno 2019, n. 7222; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III-ter, 7 giugno 2019, n. 7460; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III-ter, 18 febbraio 2019, n. 2169, tutte in www.giustizia-amministrativa.it.
[29] Cons. Stato, Sez. IV, 14 maggio 2018, n. 2859 in www.giustizia-amministrativa.it.
[30] G.D. Comporti, Energia e ambiente, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, Torino, 2015, 283.
[31] Su tale aspetto, invero, occorre ricordare come – al fine di evitare che in un settore strategico quale quello dell’energia, allo Stato fosse affidata unicamente la fissazione dei principi fondamentali – la Corte costituzionale abbia in diverse pronunce fatto ricorso all’istituto della chiamata in sussidiarietà per legittimare interventi statali maggiormente invasivi (cfr. Corte Cost., 13 gennaio 2004, n. 6, in Riv. corte conti, 3/2004, 283; Corte Cost., 14 ottobre 2005, n. 383, in Giur. cost., 2005, 5). Sul tema, si rinvia a A. Colavecchio, La materia “energia” tra “nuovo” e “nuovissimo” Titolo V della Costituzione, in Studi in onore di Francesco Gabriele, Bari, 2016, 358 ss.; F. De Leonardis, La Consulta tra interesse nazionale e energia elettrica, in Giur. cost., 2004, 146 ss.
[32] Ai sensi dell’art. 194 TFUE, la politica dell’UE nel settore dell’energia è finalizzata a: a)garantire il funzionamento del mercato dell'energia; b) garantire la sicurezza dell'approvvigionamento energetico nell'Unione; c) promuovere il risparmio energetico, l'efficienza energetica e lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili; d) promuovere l'interconnessione delle reti energetiche. Per un’analisi della previsione di una autonoma base giuridica europea in materia energetica e sulle conseguenze circa il diritto di ciascuno Stato membro di determinare una propria politica energetica nazionale, v. G. De Maio, Cambiamento climatico ed energia rinnovabile decentrata: il ruolo delle politiche pubbliche in un’economia circolare, in G. De Maio (a cura di), Introduzione allo studio del diritto dell’energia. Questioni e prospettive, Napoli, 2019, 156-165.
[33] L. Ammanati, L’incertezza del diritto. A proposito della politica per le energie rinnovabili, in Riv. quad. dir. amb., 2011, 26 ss.; V. Molaschi, Paesaggio versus ambiente: osservazioni alla luce della giurisprudenza in materia di realizzazione di impianti eolici, in Riv. giur. ed., 5-6/2009, 171 ss.; S. Amorosino, Impianti di energia rinnovabile e tutela dell’ambiente e del paesaggio, in Riv. giur. ambiente, 6/2011, 753 ss., chiarisce come ambiente, energia e paesaggio – pur nella loro indiscutibile affinità – configurino comunque concetti dotati di piena autonomia. L’Autore parla, in particolare, di “tre prismi, cioè concetti polisensi e complessi”, che si intrecciano talvolta correlandosi, tal altra opponendosi.
[34] Corte Giust. UE, 21 luglio 2011, causa C-2/10, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 5/2011, 1264, con nota di G. Ligugnana, Corte di Giustizia, interessi ambientali e principio di proporzionalità. Considerazioni a margine della sent. 21 luglio 2011, C-2/10.
[35] M. Marletta, Il quadro giuridico europeo sulle energie rinnovabili, in Dir. dell’Unione Europea, 3/2014, 488.
[36] Corte Cost., 15 aprile 2019, n. 86, in Le Regioni, 3/2019, 837, con nota di C. Pellegrino, Ambiente ed Energia: la Corte costituzionale conferma i suoi orientamenti e il suo ruolo di supplenza ermeneutica. In termini cfr. Corte Cost., 6 dicembre 2012, n. 275, in Foro it., 2013, 1070; Corte Cost., 29 maggio 2009, n. 166, in Foro it., 2009, 2296; Corte Cost., 9 novembre 2006, n. 364, in Riv. giur. ambiente, 2007, 304.
[37] Corte Cost., 15 giugno 2011, n. 192, in Riv. giur. edilizia, 2011, 1140; Corte Cost., 3 marzo 2011, n. 67, in Giur. cost., 2011, 1025.
[38] Cfr. le Comunicazioni della Commissione europea 1997/599 del 26 novembre 1997 (Energia per il futuro: le fonti energetiche rinnovabili), 2001/69 del 16 febbraio 2001 (Attuazione della strategia e del piano di azione della Comunità sulle fonti energetiche rinnovabili), 2007/1 del 10 gennaio 2007 (Una politica energetica per l’Europa) nonché, più recentemente, le direttive 2009/28/CE e 2018/2001/UE.
[39] S. Quadri, L’evoluzione della politica energetica comunitaria con particolare riferimento al settore dell’energia rinnovabile, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 3-4/2011, 839 ss.
[40] L. Farronato, Il d.gs. 222/2016 c.d. “SCIA-2”, in Disciplina del commercio e dei servizi, 1/2017, 13 ss.; E. Boscolo, La Scia dopo la legge Madia e i decreti attuativi, in Giur. it., 12/2016, 2799 ss.
[41] Cfr. art. 11 TFUE “Le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle politiche e azioni dell'Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile”. Sul principio di integrazione v. B. Caravita, L. Cassetti, A. Morrone, Diritto dell’ambiente, Bologna, 2016, 89-90;.E. Frediani, Decisione condizionale e tutela integrata di interessi sensibili, in Dir. amm., 2017, 447 ss.
[42] P. Dell’Anno, Funzioni e competenze nella vicenda energetico-ambientale e loro coordinamento, in Rass. giur. en. el., 1987, 955 ss.
[43] F. De Leonardis, Il ruolo delle energie rinnovabili nella programmazione energetica nazionale, in G. Napolitano, A. Zoppini (a cura di), Annuario di diritto dell'energia 2013. Regole e mercato delle energie rinnovabili, Bologna, 2013, 131 ss.
[44] M. Lottini, Il mercato europeo: profili pubblicistici, Napoli, 2010, 306.
[45] Cfr. Corte Giust. UE, 19 settembre 2000, C-287/98; Corte Giust UE, 28 febbraio 1991, C-360/87; Cons. Stato, Sez. IV, 3 ottobre 2014, n. 4967, in Foro amm., 2014, 2530.
[46] Si tratta di Cons. Stato, Sez. IV, 13 ottobre 2015, n. 4712, in www.giustizia-amministrativa.it.
[47] T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 2 aprile 2013, n. 3249, in www.giustizia-amministrativa.it.
[48] A conferma di tale opzione ermeneutica è possibile richiamare quelle pronunce della Corte Costituzionale con le quali è stata dichiarata l’illegittimità di disposizioni normative regionali che avevano introdotto ingiustificati aggravi per la realizzazione e l’esercizio di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, in ragione del “principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabile, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell’Unione Europea”, Corte Cost., 15 aprile 2019, n. 86, in Le Regioni, 3/2019, 837, con nota di C. Pellegrino, Ambiente ed Energia: la Corte costituzionale conferma i suoi orientamenti e il suo ruolo di supplenza ermeneutica. In termini v. anche Corte Cost., 30 gennaio 2014, n. 13, in Foro amm., 2014, 372; Corte Cost., 11 febbraio 2011, n. 44, in Giur. cost., 2001, 612.
[49] N. Longobardi, Attività economiche e semplificazione amministrativa. La «direttiva Bolkestein» modello di semplificazione, in www.amministrazioneincammino.it, 2009.
[50] V. Parisio, Direttiva «Bolkestein», silenzio-assenso, d.i.a., liberalizzazioni temperate, dopo la sentenza del Consiglio di Stato A.P. 29 luglio 2011 n. 15, in Foro amm.-TAR, 2011, 2978 ss.
[51] In generale, sul difficile bilanciamento, in materia energetica, tra tutela ambientale e iniziativa economica privata nell’ottica della semplificazione v. A. Moliterni, La regolazione delle fonti energetiche rinnovabili tra tutela dell’ambiente e libertà dell’iniziativa economica privata: la difficile semplificazione ammministrativa, in Federalismi, 18/2017.
[52] G.F. Cartei, Ambiente e mercato nella disciplina delle energie rinnovabili, cit., 606.
[53] T.A.R. Lazio, Sez. III-ter, 26 novembre 2020, n. 12631, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 11 agosto 2020, n. 9158 in www.giustizia-amministrativa.it.
[54] G. La Rosa, La rideterminazione dei poteri del GSE nel d.l. semplificazioni e la (apparente) stabilità degli incentivi per l’energia da fonte rinnovabile, cit., 8.
[55] T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 9 aprile 2020, n.3856, in www.giustizia-amministrativa.it.
[56] Cons. Stato, Ad. Plen. 11 settembre 2020, n. 18, in www.giustizia-amministrativa.it. In termini anche T.A.R. Lazio, Roma, Lazio, sez. III, 23 marzo 2020, n.3569 in www.giustizia-amministrativa.it, ove si afferma che “La potestà esercitata dal GSE S.p.A., a seguito della verifica della non corrispondenza tra la situazione reale e quella dichiarata al momento della domanda di incentivazione (quale potere immanente di verifica della spettanza dei benefici previsti per la produzione di energia elettrica), non ha connotazioni sanzionatorie, trattandosi piuttosto di un atto vincolato di decadenza accertativa assunto in ragione della mancanza ab origine dei requisiti oggettivi per l’ammissione all’incentivo pubblico”. Per una ricostruzione del dibattito sulla natura dei poteri esercitati di controllo e revisione esercitati dal GSE v. G. La Rosa, La rideterminazione dei poteri del GSE nel d.l. semplificazioni e la (apparente) stabilità degli incentivi per l’energia da fonte rinnovabile, cit., 6-9.
[57] M. Andreis, La conclusione inespressa del procedimento, Milano, 2006, 61 ss.; P. Lazzara, I procedimenti amministrativi ad istanza di parte, Napoli, 2008, 326. In giurisprudenza v. Cons. Stato, Sez. V, 5 novembre 2019, n. 7557, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. V, 9 maggio 2017, n. 2109, ivi. Contra V. Parisio, Silenzio della pubblica amministrazione, in S. Cassese (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, 5556; T.A.R. Veneto, Sez. III, 18 giugno 2008, n. 1799, in www.giustizia-amministrativa.it. Da ultimo, su tale profilo, v. G. Strazza, L’ambito di operatività del silenzio-assenso e le esigenze di certezza, in Riv. giur. edilizia, 4/2020, 864 ss.
[58] Al riguardo si osserva, per inciso, come il regime del silenzio assenso si configuri in ogni caso pienamente compatibile con l’esercizio di un potere discrezionale, nella misura in cui la previsione di una ipotesi di silenzio significativo non comporta affatto il riconoscimento in capo all’amministrazione della libertà di non porre in essere l’attività istruttoria necessaria e di non farsi carico di valutare gli interessi concorrenti a quello affidato all’autorità procedente. Su tale aspetto sia consentito rinviare a M. Calabrò, Silenzio assenso e dovere di provvedere: le perduranti incertezze di una (apparente) semplificazione, in Federalismi, 10/2020, 40-43.
[59] Sulle diverse ragioni che giustificano il carattere conformativo delle autorizzazioni ambientali e sulla portata nodale dei contenuti prescrittivi in un’ottica di maggiore efficacia delle politiche di tutela dei beni ambientali, si rinvia alle riflessioni di E. Frediani, La clausola condizionale nei provvedimenti ambientali, Bologna, 2019, 121 ss.
[60] Ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 28/2011, per la costruzione e l’esercizio degli impianti da fonti rinnovabili è previsto il rilascio di un’autorizzazione unica di competenza regionale. Il successivo art. 6 specifica, tuttavia, che tale disciplina generale non trova applicazione in relazione agli impianti con una capacità di generazione inferiore individuati nei paragrafi 11 e 12 delle linee guida adottate ai sensi dell'articolo 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, per i quali è prevista l’applicazione della procedura abilitativa semplificata (PAS). Sul tema si rinvia a M.T. Rizzo, Le fonti rinnovabili e l’autorizzazione unica, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 5/2014, 1136 ss. Per un’analisi della giurisprudenza della Corte Costituzionale, tesa a dichiara l’illegittimità costituzionale di disposizioni regionali volte ad estendere l’ambito di applicabilità dei regimi semplificati, v. A. Colavecchio, Il “punto” sulla giurisprudenza costituzionale in tema di impianti da fonti rinnovabili, in Riv. quad. dir. amb., 1/2011, 106 ss.
[61] Di recente la Corte costituzionale è intervenuta nel settore degli incentivi energetici proprio per ribadire la necessità che gli interventi decadenziali ex post del GSE rispondano maggiormente ai canoni di adeguatezza e proporzionalità (cfr. Corte Cost., 13 novembre 2020, n. 237, in www.cortecostituzionale.it.
[62] F. Manganaro, Cenni sulla (in)certezza del diritto, in Dir. e proc. amm., 2/2019, 297 ss.; AA.VV., Annuario 2014. L’incertezza delle regole. Atti del convegno annuale, Napoli, 2015.
[63] Sul punto si segnala, invero, come il recente Regolamento operativo per l’accesso agli incentivi in materia energetica pubblicato dal GSE il 30 settembre 2020 chiarisca che – per quanto concerne i procedimenti di cui all’attuale sistema di incentivazione – è previsto il rilascio obbligatorio di un provvedimento formale, con espressa esclusione dell’operatività del regime del silenzio assenso (https://www.gse.it/documenti_site/Documenti%20GSE/Servizi%20per%20te/FER%20ELETTRICHE/NORMATIVE/DM%20FER%202019%20Regolamento%20Operativo%20per%20l%20Accesso%20agli%20incentivi%20con%20Allegati.pdf).
[64] “La necessità di tutelare l’affidamento del cittadino sulla certezza delle statuizioni giuridiche assume com’è noto, in relazione al fenomeno dell’incentivazione economica, ossia dell’azione pubblica con una funzione promozionale verso l’ottenimento di determinate finalità «sociali», profili assai delicati perché incide sull’esplicazione della libertà d’iniziativa economica privata alla luce dell’art. 41 Cost”, M. Cocconi,Gli incentivi alle fonti rinnovabili e i principi di proporzionalità e di tutela del legittimo affidamento, cit., 58, la quale si sofferma ampiamente sui diversi profili di incertezza nell’an e nel quantum che hanno caratterizzato i diversi Conti energia succedutisi negli anni. Sul tema del ruolo centrale rappresentato dalla certezza regolatoria in un’ottica di sviluppo del Paese si veda, da ultimo, M. Clarich, Riforme amministrative e sviluppo economico, in Riv. trim. dir. pubbl., 1/2020, 159 ss.
[65] F. Scalia, Incentivi alle fonti rinnovabili e tutela dell’affidamento, in Dir. econ., 1/2019, 229 ss. Sul rapporto tra perseguimento dell’interesse pubblico e affidamento del privato in materia di incentivi energetici si sofferma anche A. Travi, il quale, nel suo I poteri di revisione del g.s.e., in P. Biandino, M. De Focatiis (a cura di), Efficienza energetica ed efficienza del sistema dell’energia: un nuovo modello?, Torino, 2017, 119 ss., osserva che “la previsione di una incentivazione, che ha come obiettivo istituzionale quello di determinare condotte specifiche dell’operatore, introduce in modo più forte la necessità di una garanzia concreta dell’affidamento”, 135.
[66] Sulla possibilità di configurare profili di responsabilità in capo all’amministrazione che, a causa del ritardo con il quale ha rilasciato l’autorizzazione all’installazione di impianti di energia da fonti rinnovabili, abbia negato di fatto all’impresa la possibilità di accedere ai regimi di sostegno economico, v. Cons. giust. amm., sez. giur., 15 dicembre 2020, n. 1136, annotata in questa Rivista da M. Trimarchi, Natura e regime della responsabilità civile della pubblica amministrazione al vaglio dell’adunanza plenaria.
[67] In generale, per una riflessione sui margini di compatibilità esistenti tra politiche di semplificazione amministrativa e adeguata tutela degli interessi ambientali si rinvia a F. Liguori, Tutela dell’ambiente e misure di semplificazione, in Riv. giur. ed., 1/2020, 3 ss.; M. Renna, Le semplificazioni amministrative (nel d. lgs. n. 152 del 2006), in Riv. giur. ambiente, 2009, 649 ss.; F. De Leonardis, Semplificazioni e ambiente, in AA.VV., Rapporto Italiadecide 2015, Bologna, 2015, 431 ss.; M. Renna, Semplificazione e ambiente, in Riv. giur. edilizia, 2008, 37 ss.
[68] Per una ampia analisi delle conseguenze derivanti dalla recente estensione – ai sensi della nuova formulazione dell’art. 14-bis e del nuovo art. 17-bis, l.n. 241/1990 – del c.d. silenzio assenso orizzontale anche alla materia ambientale si rinvia al lavoro monografico di R. Leonardi, La tutela dell’interesse ambientale, tra procedimenti, dissensi e silenzi, Torino, 2020, spec. 155 ss. e 185 ss. Sul tema del rapporto tra decisione silenziosa e interessi sensibili v. anche M. Brocca, Interessi ambientali e decisioni amministrative, Torino, 2018, 108 ss.; G. Mari, Primarietà degli interessi sensibili e relativa garanzia del silenzio assenso tra PP.AA. e nella conferenza di servizi, in Riv. giur. ed., 5/2017, 306 ss.; A. Moliterni, Semplificazione amministrativa e tutela degli interessi sensibili: alla ricerca di un equilibrio, in Dir. amm., 4/2017, 699 ss.; E. Zampetti, Note critiche in tema di silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni, in S. Tuccillo (a cura di), Semplificare e liberalizzare. Amministrazione e cittadini dopo la legge 124 del 2005, Napoli, 2016, 199 ss.
[69] E. Scotti, Semplificazioni ambientali tra politica e caos: la via e i procedimenti unificati, in Riv. giur. edilizia, 5/2018, 366, la quale dimostra come a tale “superamento dello statuto privilegiato dell’interesse ambientale” si accompagni la “dequotazione della tutela” dello stesso.
[70] S. Tuccillo, Contributo allo studio della funzione amministrativa come dovere, Napoli, 2016, 102 ss.; M.A. Sandulli, L’istituto del silenzio assenso tra semplificazione e incertezza, in Nuove autonomie, 2012, 453 ss.; M.R. Spasiano, Riflessioni sparse in tema di semplificazione amministrativa, in Nuove autonomie, 2009, 75 ss.
[71] M. R. Spasiano, Funzione amministrativa e legalità di risultato, Torino, 2003, 61 ss.
[72] Su tale aspetto sia consentito rinviare a M. Calabrò, Silenzio assenso e dovere di provvedere:
le perduranti incertezze di una (apparente) semplificazione, in Federalismi, 10/2020.
[73] G. Tropea, La discrezionalità amministrativa tra semplificazioni e liberalizzazioni, anche alla luce della legge n. 124/2015, in Dir. amm., 2016, 144; A. Scognamiglio, Rito speciale per l’accertamento del silenzio e possibili contenuti della sentenza di condanna, Dir. proc. amm., 2/2017, 452.
[74] Per una prima analisi della effettiva portata chiarificatrice di tale intervento normativo si rinvia a M. A. Sandulli, Controlli sull’attività edilizia, sanzioni e poteri di autotutela, in Federalismi.it, 2019, 13-15.
[75] L. Pergolizzi, Il d.l. n. 76/2020 nel processo di attuazione del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, in Ambientediritto, 3/2020.
[76] https://ec.europa.eu/info/strategy/recovery-plan-europe_it.
[77] Da ultimo, sottolinea come si possa ancora oggi registrare un grave atteggiamento ostativo da parte del decisore pubblico nei confronti dello sviluppo di produzione energetica da fonti rinnovabili, in aperta contraddizione con il processo di valorizzazione della green energy in atto sia a livello internazionale che europeo S. Amorosino, «Nobiltà» (dei proclami politici) e «miseria» (dell’amministrazione ostativa) in materia di impianti di energia da fonti rinnovabili, in Analisi giuridica dell’economia, 1/2020, 255 ss.