Responsabilità (contrattuale) della pubblica amministrazione e tutela del terzo (a proposito di CGARS 15 dicembre 2020 n. 1136)
di Giulia Mannucci
Sommario: 1. Premessa – 2. Il caso – 3. I passi in avanti della pronuncia… – 4. …e le battute d’arresto: il caso dei terzi. – 5. Terzi-parte e terzi-chiunque – 6. Conclusioni
1. Premessa.
La pronuncia del Consiglio di giustizia per la regione siciliana (15 dicembre 2020, n. 1136) si occupa di responsabilità dell’amministrazione: un tema classico, eppure, come dimostra la stessa rimessione all’Adunanza Plenaria, ancora foriero di dubbi interpretativi. Questo perché l’approccio al tema è condizionato dal modo di intendere l’interesse legittimo e, più in generale, il rapporto tra amministrazione e privati. Dunque, dipende da come si leggono i mutamenti che, a livello sostanziale e processuale, hanno riguardato il diritto amministrativo negli ultimi anni. L’interesse per la sentenza nasce così, prima ancora che dalla soluzione adottata, dai presupposti che la sorreggono e dagli argomenti che il giudice utilizza per supportarla, specificamente concernenti la natura dell’interesse legittimo e la fisionomia del rapporto giuridico amministrativo.
Osservata da questa angolatura, la pronuncia, che a una prima lettura sembra proporre una soluzione innovativa e condivisibile, rivela alcune criticità nell’impianto argomentativo: per quanto, infatti, presupponga l’idea che il diritto amministrativo oggi non serva più (soltanto) a controllare il potere pubblico, ma abbia anche (innanzitutto) a oggetto la tutela di posizioni individuali, sono visibili gli echi di impostazioni di segno diverso che, per un verso, minano la coerenza del disegno complessivo e, per l’altro, dimostrano capacità di resistenza anche di fronte al mutato assetto dei rapporti nel diritto pubblico.
Nel commento che segue, anziché analizzare nel dettaglio i quesiti proposti all’Adunanza plenaria e le conseguenze dell’adesione alla tesi della natura contrattuale della responsabilità[1], si vorrebbe riflettere su alcune di quelle contraddizioni. Dopo un rapido excursus sui fatti che stanno alla base della decisione, ci si soffermerà sul focus della pronuncia relativo al cd. rapporto pubblico, esaminato dalla prospettiva dei soggetti terzi, cui la stessa pronuncia, in un passaggio rapido ma carico di significati, fa riferimento. L’esistenza di ‘terzi’, come noto, è non di rado considerata fonte della vera specialità del diritto amministrativo, perché la loro tutela imporrebbe una torsione delle logiche sottese alla tutela soggettiva dei rapporti: secondo un’opinione diffusa, che sembra trovar riscontro anche nella sentenza, la (piena) ricostruzione delle relazioni amministrative in termini obbligatori rischierebbe “di privare di rilevanza la posizione dell’eventuale soggetto terzo”[2], finendo per riespandere l’area delle scelte sottratte a ogni sindacato. Il terzo continuerebbe così a rappresentare il baluardo della specificità del diritto amministrativo, fungendo da freno alla transizione del diritto (e del processo) amministrativo dall’atto al rapporto.
Ma è proprio così? La logica obbligatoria che oggi connota il rapporto con il destinatario è davvero incompatibile con la figura del terzo? Oppure è giunto il momento di mettere in discussione anche questo segmento del rapporto amministrativo?
2. Il caso.
Nel caso in esame, un’impresa aveva ottenuto il rilascio di una autorizzazione unica ambientale soltanto dopo che il giudice di primo grado aveva ordinato all’amministrazione di pronunciarsi sul silenzio illegittimamente serbato di fronte all’istanza privata. Lo stesso Tar aveva nondimeno dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento del danno, che viene riproposta davanti al Consiglio di giustizia siciliano, sia sotto forma di danno emergente, sia sotto forma di lucro cessante: nelle more del procedimento era infatti stata modificata la disciplina degli incentivi pubblici, rendendo così impossibile l’effettivo esercizio della attività, che avrebbe finito per svolgersi “in condizioni di costante perdita […] non potendo i ricavi remunerare gli elevati costi della tecnologia da impiantare”[3].
Il giudice di secondo grado, a differenza del Tar, apre alla possibilità di una responsabilità dell’amministrazione e chiede all’Adunanza plenaria se la sopravvenienza occorsa debba effettivamente considerarsi interruttiva del nesso causale, così escludendosi la responsabilità dell’amministrazione, o se non sia invece applicabile la teoria dello scopo della norma violata. In base a esso, la causa dell’effetto lesivo è “un evento che costituisce concretizzazione dello specifico rischio che la norma incriminatrice mirava a prevenire”[4], con la conseguenza che il ritardo dell’amministrazione andrebbe considerato la causa del pregiudizio prodottosi in capo all’impresa, indipendentemente dalla sopravvenienza.
Ciò non dipenderebbe, secondo il giudice, soltanto dal fatto che, su un piano generale, “il passare del tempo” inevitabilmente aumenta “il rischio del fallimento dell’operazione programmata”, ma discenderebbe, prima ancora, dalla logica cui si ispira l’art. 2 della legge sul procedimento amministrativo. Siffatta norma, secondo il giudice, non rappresenta “un mero canone generale dell’attività amministrativa”, bensì è stata introdotta dal legislatore a tutela del “valore economico del tempo e dei rischi al medesimo connessi”[5] ed è dunque apprezzabile in termini di diritto alla certezza. Una conferma giungerebbe dalla connotazione “patologica” e “fortemente negativa” che il silenzio riveste nella triplice prospettiva “eurounitaria, costituzionale e sistematica”, nonché dalla parallela centralità progressivamente assunta nel nostro ordinamento dal principio di trasparenza[6].
Sulla base di questi presupposti il giudice compie una articolata (ancorché “largamente sovrabbondante”[7]) ricostruzione della responsabilità civile della amministrazione, riconducendola nell’alveo della responsabilità contrattuale[8], con effetti a cascata sulla configurazione del rapporto amministrativo. Proprio a questi due punti chiave (la responsabilità contrattuale e il rapporto amministrativo), in riferimento ai quali la sentenza si rivela particolarmente innovativa, è necessario volgere l’attenzione.
3. I passi in avanti della pronuncia…
Secondo il giudice siciliano, l’interesse legittimo è una posizione sostanziale, consistente nella chance di ottenere il bene finale cui il privato aspira[9]. Il rapporto tra privati e amministrazione è improntato, si aggiunge, al rispetto del principio di legalità-garanzia: del resto, è stata proprio “l’imposizione di limiti agli ambiti di intervento pubblico e di regole”[10] a consentire l’evoluzione dell’interesse legittimo da mera soggezione a posizione soggettiva. Così, se è vero che il “potere pubblico costituisce l’unica risorsa a disposizione del privato per ottenere soddisfazione piena e in forma specifica”[11], è altrettanto vero che l’interesse legittimo non ha per oggetto soltanto le prerogative procedimentali collegate all’esercizio di quello stesso potere. Le facoltà procedimentali sono, infatti, strutturalmente “inidonee a offrire soddisfazione all’esigenza del privato, che può, invece, trovare (non sempre ma potenzialmente) soddisfazione […] nell’agire pubblico”[12]. L’interesse legittimo non è dunque una posizione (soltanto) dinamica, visibile nel procedimento, ma è innanzitutto una posizione statica, che ha come oggetto la chance, appunto, di ottenere il bene della vita cui il privato aspira[13]. La titolarità dell’interesse legittimo non assicura il bene finale, proprio perché l’amministrazione ha il potere di scegliere, tra più opzioni tutte legittime, ma è tutelato “nei limiti delle regole di condotta dell’agire pubblico”[14].
Il riconoscimento all’interesse legittimo di una struttura creditoria ben si lega all’idea che la responsabilità dell’amministrazione debba inquadrarsi negli schemi della responsabilità contrattuale[15].
Nella logica del giudice siciliano, la responsabilità dell’amministrazione dovrebbe essere assimilata alla responsabilità da inadempimento di una obbligazione, con applicazione del relativo regime: ai sensi dell’art. 1173 del codice civile, sono “fonti delle obbligazioni […] non soltanto il contratto e il fatto illecito ma altresì il fatto idoneo a produrle secondo l’ordinamento giuridico”[16]. Fin dall’apertura del procedimento amministrativo, il privato assume la titolarità di una serie di diritti collegati ad altrettanti obblighi in capo all’amministrazione, espressione del necessario rispetto delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione[17], “delineandosi così una relazione che non si connota per la sua episodicità, essendo, essa, necessitata”. Un utilizzo scorretto del potere pubblico va letto esclusivamente all’interno della relazione amministrativa e dunque si riverbera “senza soluzione di continuità” sull’interesse legittimo del destinatario[18].
Ciò implica che quando viola “le regole dell’azione amministrativa e del provvedimento amministrativo, la parte pubblica ignora norme ben più precise e circostanziate del generico dovere di neminem laedere”, cosicché “il rapporto che si instaura fra Amministrazione e privato si rivela distante dalla modalità tipica della responsabilità del passante, emblema del contatto casuale e occasionale, e quindi della responsabilità ex art. 2043 c.c.”.
Benché questo assunto strida con la prevalente giurisprudenza amministrativa, tutt’oggi ancorata al modello della responsabilità aquiliana, esso, come lo stesso Consiglio di giustizia afferma, appare coerente con la graduale emersione di un tipo di responsabilità speciale. In alcuni ambiti, si riconosce infatti che la responsabilità dell’amministrazione non sorga in assenza di un rapporto, ma si fondi su una relazione tra soggetti “che nasce prima e a prescindere dal danno”[19], dando vita a una ibridazione tra le due forme di responsabilità (contrattuale ed extracontrattuale)[20].
Così, la piena dignità all’interesse legittimo nel panorama delle posizioni soggettive, il riconoscimento di una relazione giuridica tra amministrazione e privati e la riconduzione della responsabilità dell’amministrazione allo schema contrattuale sono i punti chiave del ragionamento del giudice siciliano. Un ragionamento che evoca un cambio di paradigma nel diritto amministrativo[21]: da diritto sugli atti a diritto dei rapporti, da insieme di regole sul potere a regole relazionali che collocano al centro l’individuo.
4. …e le battute d’arresto: il caso dei terzi
Il cerchio però non sembra chiudersi. Resta infatti aperto il nodo dei soggetti altri, diversi dal destinatario, i cd. terzi. La sentenza dedica loro un passaggio tanto breve quanto significativo, dal quale si coglie una (ultima?) difficoltà nel trarre pienamente e coerentemente le conseguenze da quel cambio di paradigma cui la pronuncia aspira.
Secondo il giudice siciliano, il diritto pubblico non conosce, a differenza del diritto privato, “la nozione di terzo”[22], dal momento che “l’Amministrazione è tenuta a considerare tutti gli interessi coinvolti dalla sua azione nell’ambito del procedimento amministrativo”, vista anche “l’attitudine di quest’ultimo a coinvolgere tutti gli interessi possibili”. Ciò emergerebbe chiaramente quando, come nel caso in esame, “l’istanza del privato sia volta alla soddisfazione di un interesse pretensivo, con la conseguenza che l’aspetto autoritativo del provvedimento finale si apprezza in particolar modo nei confronti dei non destinatari”. D’altra parte, chiosa la sentenza, proprio l’indeterminatezza degli interessi che l’amministrazione può compromettere con la propria azione relegherebbero la stessa autorità in una “posizione difficile”, esponendola “a un rischio elevato di violare situazioni giuridiche soggettive”[23], così giustificandosi una limitazione della sua responsabilità per danni.
Il quadro che emerge è il seguente. Per un verso, l’interesse legittimo del destinatario del provvedimento, a lungo ridotto a una dimensione meramente processuale, ha progressivamente assunto contenuti sostanziali, fino a conseguire una tendenziale equiparazione al diritto soggettivo, almeno in termini di effettività della tutela, consentendo al destinatario di essere riconosciuto come polo “attivo” di un rapporto con l’amministrazione. Per altro verso, però, la posizione dei terzi (dei titolari cioè di interessi altri) continua a vivere in un limbo giuridico, a connotarsi per i contorni incerti[24], a non essere inquadrabile in una relazione obbligatoria e, così, a rappresentare un elemento di insopprimibile differenza tra il diritto amministrativo e il diritto civile[25].
La posizione del terzo è evidentemente rimasta imprigionata nelle più risalenti concezioni dell’interesse legittimo, che il singolo “non ha alcun modo di soddisfare se non facendo valere una pretesa che si collega all’interesse generale o collettivo, a garanzia del quale è posta la norma che disciplina l’esercizio dell’attività amministrativa”[26] e che deve la sua rilevanza all’esistenza del potere pubblico e all’esigenza di controllo che a quello si collega (la cd. dimensione autoritativa dell’attività pubblica richiamata dalla sentenza) [27]: in breve, un interesse che è l’“essenza stessa del potere”, attribuito per garantire situazioni “che eccedono le sfere giuridiche del soggetto dell’atto [...] e del suo destinatario”[28] .
Il risultato è una posizione dei terzi sospesa tra rilevanza e irrilevanza giuridica: rilevante, se toccata dall’attività amministrativa e utile ad attivare il sindacato del giudice sulla legittimità di quell’attività; irrilevante, invece, nella sua dimensione individuale, perché l’eventuale titolarità di un diritto non conta, essendo ritenuta sufficiente l’imputazione al terzo di una frazione dell’interesse pubblico. Poiché, a differenza del destinatario, non ha una pretesa sufficientemente definita da contrapporre all’obbligo della amministrazione, il terzo si vede attribuire una posizione collegata all’interesse pubblico e in quello riflessa, che gli offre una centralità sconosciuta nel diritto comune, sorreggendola nondimeno su un’idea dell’interesse legittimo ormai difficilmente sostenibile.
5. Terzi-parte e terzi-chiunque
Mentre le relazioni pubbliche sono sempre più spesso caratterizzate da schemi multipolari (basti pensare alle fattispecie regolatorie), il superamento della dialettica bipolare autorità-libertà non ha portato con sé un adeguamento del modello teorico necessario per spiegare la più ricca trama di relazioni nella quale il diritto amministrativo tende a muoversi, così determinandosi una empasse nella teoria delle situazioni soggettive, ben visibile dal versante dei terzi.
Per superare simile empasse, è necessario tenere distinti due casi: quello in cui il terzo è titolare di una posizione giuridica qualificata e differenziata, e che perciò diventa la terza parte di un rapporto multipolare insieme all’amministrazione e al destinatario (diretto) dell’atto[29]; e quello in cui invece quella posizione soggettiva manca e il terzo può considerarsi titolare (al più) di una mera aspettativa al rispetto della legalità da parte della amministrazione, indistinguibile da quella del chiunque[30].
L’emancipazione dell’interesse legittimo del terzo non può così che prendere le mosse da una indagine rigorosa sui requisiti della qualificazione e della differenziazione della sua posizione sostanziale. Possono essere considerati terzi meritevoli di tutela soltanto i titolari di una posizione qualificata (ossia, protetta da una norma) e singolarmente considerata, (ossia, differenziata, sempre da parte di una norma, dalla posizione della generalità dei consociati). Soltanto operando questa distinzione si può, ad avviso di chi scrive, tentare di fare chiarezza nella crescente propensione del diritto amministrativo a produrre schemi multipolari, senza ricorrere a concezioni dell’interesse legittimo ormai obsolete, che la stessa sentenza in commento tenta, per il resto, di accantonare.
Accedendosi a questa prospettiva, tutte le volte in cui una disciplina non preveda una norma “investitiva”[31], cioè una disposizione che qualifichi e differenzi la posizione del terzo, tale posizione resta equiparata a quella del ‘chiunque’, cioè di colui che, anche se più intensamente toccato, sul piano fattuale, dall’azione (o inazione) amministrativa, non è titolare di un interesse meritevole di tutela.
D’altra parte, ciò non esclude che quella posizione, ancorché giuridicamente irrilevante (non protetta), non possa trovare spazio nella ponderazione degli interessi e quindi non possa far ingresso nel procedimento amministrativo. Vanno infatti tenuti distinti, a differenza di quanto sembra fare la pronuncia, i piani del procedimento e del processo: mentre il procedimento può e deve essere aperto all’acquisizione di un’ampia gamma di interessi, proprio nell’ottica della accurata ponderazione e massimizzazione dell’interesse pubblico, il processo, per contro, per la funzione che gli è propria, non può che avere a oggetto (soltanto) posizioni soggettive, ossia situazioni giuridicamente qualificate e differenziate.
La distinzione proposta, tra terzi-parte di un rapporto (titolari di posizioni qualificate e differenziate) e terzi-chiunque (confinati nell’irrilevante giuridico), ha un evidente impatto sul sistema delle posizioni soggettive. Liberata la posizione dei terzi (dopo quella del destinatario) dal fardello ‘oggettivante’ dell’interesse pubblico, la transizione dal modello (della tutela) della legalità al modello (della tutela) dei diritti può giungere a compimento: alla logica provvedimentale si sostituisce quella relazionale, rendendosi possibile il pieno e corretto esplicarsi della tutela soggettiva emergente dalla Costituzione[32].
L’impostazione suggerita, oltre a essere dettata da esigenze di coerenza teorica, consentirebbe il superamento di non secondarie problematiche applicative.
Si pensi al regime della notificazione del ricorso e a quello, speculare, della legittimazione. Di fronte alla indeterminatezza della categoria dei terzi, la notificazione continua a essere affidata in via principale alle indicazioni provenienti dal provvedimento impugnato, secondo una prospettiva rigidamente formalista. La presenza in processo non dipende così dall’effettivo coinvolgimento in una vicenda giuridica, ma dalla completezza dell’istruttoria procedimentale[33]: pur di non rendere troppo gravoso il compito del ricorrente e, poi, del giudice, si ammette così un ‘contraddittorio amputato’. Per converso, ma per ragioni coincidenti, il regime della legittimazione a ricorrere è caratterizzato, come noto, da un approccio particolarmente estensivo della giurisprudenza, che slabbra le maglie dell’accesso al processo sul presupposto che garantire una legittimazione ampia consenta un ampliamento di tutela. L’effetto, però, è per un verso contraddittorio e per l’altro paradossale.
E’ contraddittorio perché uno stesso soggetto potrebbe essere considerato legittimato a ricorrere eppure non essere destinatario della notificazione del ricorso in un processo iniziato da altri[34]: i vicini di casa, per esempio, pur legittimati a ricorrere, non sono normalmente considerati controinteressati in senso tecnico, non essendo indicati nel provvedimento impugnato; avrebbero così una posizione soggettiva quando sono dal lato attivo, ma non anche quando si trovano dal lato passivo (poiché non sono annoverati tra i litisconsorti necessari e se vogliono partecipare al processo devono intervenire autonomamente).
L’effetto è altresì paradossale perché all’ampliamento della legittimazione non corrisponde un rafforzamento della tutela, visto che ciò che viene garantito non assurge a ‘vera’ posizione soggettiva e finisce per coincidere con la legalità obiettiva. La legittimazione, di conseguenza, da strumento per la tutela di un interesse individuale, è piegata a un disegno giudiziale di espansione del proprio controllo sull’amministrazione.
6. Conclusioni
E’ vero che dietro l’opportunità di un complessivo cambio di paradigma vi è una resistenza di fondo, che connota la posizione di chi, come il giudice siciliano, ha saputo cogliere le più recenti evoluzioni del diritto amministrativo, pur senza riuscire a tirare tutti i fili che compongono la trama: come è possibile coniugare l’esigenza di garanzia soggettiva emergente dal dato costituzionale con la naturale tendenza del potere pubblico a produrre effetti su una platea spesso indefinita di soggetti? Può il diritto (e il processo) amministrativo servire ‘soltanto’ a offrire tutela alle posizioni individuali oppure vi sono delle esigenze di garanzia dell’interesse pubblico che non possono essere dimenticate?
Non v’è dubbio che mantenere elastica la categoria dei terzi consenta di ampliare le occasioni di controllo di potere e che rinunciare al modello pubblicistico dei rapporti (anche) sul versante dei terzi comporterebbe un ripensamento della funzione del processo e dello stesso giudice amministrativo. E ciò soprattutto in un contesto caratterizzato, da un lato, da un potere che si ritrae per effetto delle misure di semplificazione e liberalizzazione e che perciò accresce il bisogno di controllo sulla legalità e, dall’altro, dalla scarsa pregnanza che ancora oggi hanno, nel nostro ordinamento, i rimedi interni quali i controlli o la responsabilità dirigenziale.
Epperò, viene al contempo da chiedersi se queste ragioni siano sufficienti a perpetuare una certa concezione del diritto amministrativo, che tiene in vita attraverso i terzi l’idea dell’interesse occasionalmente protetto, e se sia ancora accettabile una caratterizzazione oggettiva del nostro processo.
[1] Si tratta di profili esaustivamente esaminati da M. Trimarchi, Natura e regime della responsabilità civile della pubblica amministrazione al vaglio dell’adunanza plenaria, in Questa Rivista, 2021.
[2] F. Merloni, Funzioni amministrative e sindacato giurisdizionale. Una rilettura della Costituzione, in Dir. pubb., 2011, 497.
[3] Consiglio di giustizia amministrativa, sez. giur., 15 dicembre 2020, n. 1136, punto 13.3.
[4] Punto 17.4 della sentenza in commento.
[5] Punto 17.4 della sentenza in commento.
[6] Punto 17.4 della sentenza in commento.
[7] M. Trimarchi, Natura e regime della responsabilità civile, cit.
[8] Si tratta della seconda questione posta all’Adunanza plenaria. Di conseguenza il giudice chiede se la sopravvenienza normativa, escluso che possa determinare una rottura del nesso di causalità, debba essere inquadrata nel modello dell’art. 1223 c.c. (ossia ai fini della quantificazione del danno) ovvero del 1225 c.c. (ossia ai fini della prevedibilità).
[9] Punto 29 della sentenza in commento.
[10] Punto 29, lett. d) della sentenza in commento.
[11] Punto 29, lett. f) della sentenza in commento.
[12] Punto 29, lett. g) della sentenza in commento.
[13] L. Ferrara, Statica e dinamica nell’interesse legittimo: appunti, in Aa.Vv., Colloquio sull’interesse legittimo. Atti del convegno in memoria di Umberto Pototschnig. Milano 19 aprile 2013, Napoli, 2014, 105 ss.
[14] Punto 29 lett. q) della sentenza in commento
[15] L. Ferrara, Dal giudizio di ottemperanza al processo di esecuzione. La dissoluzione del concetto di interesse legittimo nel nuovo assetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 2003; ma anche Id. L’interesse legittimo alla riprova della responsabilità patrimoniale, in Dir. pubbl., 2010, 650.
[16] Punto 26 della sentenza in commento.
[17] Punto 33 della sentenza.
[18] Punto 34 della sentenza.
[19] Punto 25 della sentenza.
[20] Soprattutto in ordine al regime probatorio, al termine della prescrizione, all’elemento soggettivo, al danno risarcibile: punto 30 della sentenza.
[21] A. Pajno, Il codice del processo amministrativo tra “cambio di paradigma” e paura della tutela, in Giorn. dir. amm., 2010, 885 ss.
[22] Punto 29, lettera m) della sentenza.
[23] Punto 37 della sentenza in commento.
[24] Sulla assenza di una “autonoma nozione di terzo nel diritto amministrativo” v. L. De Lucia, Provvedimento amministrativo e diritti dei terzi. Saggio sul diritto amministrativo multipolare, Torino, 2005, 3.
[25] P. Carpentieri, La razionalità complessa dell’azione amministrativa come ragione della sua irriducibilità al diritto privato, in Foro amm./Tar, 2005, p. 2673; sulla nozione di terzo nel diritto amministrativo e sulle differenze col diritto privato v. pure: B.G. Mattarella, Il provvedimento, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Parte generale, I, Milano, 823 s.
[26] S. Piraino, L’interesse diffuso nella tematica degli interessi giuridicamente protetti, in Riv. dir. proc., 1979, 209.
[27] Per M. Ramajoli, La s.c.i.a. e la tutela del terzo, in Dir. proc. amm., 2012, 352 “il terzo può avvantaggiarsi del rispetto della disciplina sostanziale che si compone di norme pubblicistiche, visto che tali norme non hanno un destinatario unico, ma prendono in considerazione tutti gli interessi coinvolti”.
[28] G. Corso, L’efficacia del provvedimento amministrativo, Milano, 1969, 362 s.
[29] Secondo S. Civitarese Matteucci, La forma presa sul serio. Formalismo pratico, azione amministrativa ed illegalità utile, Torino, 2006, 475, quando un terzo diventa titolare di pretese in un determinato rapporto, questi “non è più terzo”, ma diventa parte.
[30] Si tratta di una prospettiva sviluppata in un lavoro più ampio: sia consentito il rinvio a G. Mannucci, La tutela dei terzi nel diritto amministrativo. Dalla legalità ai diritti, Sant’Arcangelo di Romagna, Maggioli, 2016.
[31] N. Maccormick, Children’s Rights: A Test-Case for Theories of Rights, ora in Id.., Legal Right and Social Democracy. Essays in Legal and Political Philosophy, Oxford, Clarendon Press, 1984, pp. 154 ss.
[32] A. Orsi Battaglini, Alla ricerca dello stato di diritto. Per una giustizia non amministrativa (Sonntagsgedanken), Milano, Giuffrè, 2005, 46.
[33] Si veda, per es., Cons. Stato, Sez. IV, 15 dicembre 2011, n. 6066.
[34] A. Corpaci, La comunicazione dell’avvio del procedimento alla luce dei primi riscontri giurisprudenziali, in Le Regioni, 1994, 307.