Sospensione cautelare di legge regionale da parte della Corte costituzionale (Nota a Corte cost. 14 gennaio 2021 n. 4)
di Elisabetta Lamarque
Sommario: 1. Premessa - 2. I fatti - 3. La legge sospesa: c’è sempre una prima volta - 4. La “profilassi internazionale”: una materia sconfinata.
1. Premessa.
La pandemia da coronavirus sta mettendo alla prova ogni aspetto della vita istituzionale e sociale del nostro Paese, e porta allo scoperto, evidenziandoli, tutti gli snodi che già prima dell’emergenza si presentavano come più deboli o problematici.
Non sfugge a questo destino neanche il tema, storicamente sempre aperto, dei rapporti tra i livelli di governo[1]. Nella seconda fase dell’emergenza, anzi, le tensioni tra il governo centrale e quelli regionali sembrano essersi acuite, e tendono sempre più spesso a essere trasferite, da entrambe le parti, dalla sede istituzionale a quella giudiziaria, alla quale tra l’altro vengono sempre chieste risposte immediate, adottate in via cautelare, in quanto ragionevolmente ritenute le uniche idonee a tutelare in modo effettivo gli interessi relativi alla salute e all’economia che di volta in volta si ritengono lesi. Nel momento in cui si scrive, ad esempio, sembra avviata alla chiusura in sede politica la vicenda della erronea classificazione della Regione Lombardia in zona rossa, che tuttavia in prima battuta, come è noto, la Regione aveva voluto inspiegabilmente giurisdizionalizzare con un ricorso al Tar Lazio nei confronti del provvedimento ministeriale.
Il contenzioso tra lo Stato e le Regioni non è rimasto limitato alla giurisdizione amministrativa, ma è già arrivato alla giurisdizione costituzionale, nonostante i contrari auspici della migliore dottrina, che aveva fin dai primi tempi della pandemia auspicato un massiccio ricorso al principio della leale collaborazione proprio per evitare questo esito[2].
La Corte costituzionale, investita di un ricorso statale in via principale contro una legge regionale, ha voluto dare una risposta adeguata all’emergenza in cui ormai da molti mesi viviamo, e cioè tempestiva nei tempi e ferma nei contenuti.
Per raggiungere questo risultato la Corte, con l’ordinanza n. 4 del 2021, che qui si commenta, ha messo in campo contemporaneamente due potenti strategie.
Dal punto di vista processuale essa ha per la prima volta utilizzato un potere, quello di sospendere in via cautelare la legge impugnata, che le era stato conferito, dopo la riforma costituzionale del 2001, dalla cosiddetta Legge La Loggia del 2003[3]. Su questo profilo ci si soffermerà nel par. 3.
Dal punto di vista sostanziale, la Corte ha deciso il dubbio di costituzionalità in modo netto, utilizzando un titolo di competenza esclusiva dello Stato – la “profilassi internazionale” (art. 117, secondo comma, lett. q) – che ‘taglia la testa al toro’ non solo per la questione di legittimità costituzionale attualmente sottoposta al suo giudizio, ma anche per tutte le possibili future questioni di legittimità costituzionale di leggi regionali che volessero intervenire su aspetti del contenimento dell’emergenza sanitaria al di fuori dei limiti tracciati dalla legge statale. Questo secondo aspetto sarà brevemente trattato nel par. 4.
2. I fatti.
Nella prima fase dell’emergenza sanitaria la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste non si era segnalata per un particolare interventismo[4]. La crisi istituzionale che l’aveva travolta alla fine del 2019, con le dimissioni del Presidente della Giunta, di due assessori e di un consigliere, indagati per gravi reati[5], e con la conseguente successiva prorogatio della Giunta e del suo Presidente solo per l’ordinaria amministrazione, aveva certamente contribuito a far sì che le iniziative di questa Regione anche in relazione all’emergenza sanitaria rimanessero contenute almeno fino alle nuove elezioni, che si sono poi svolte il 20-21 settembre 2020.
Nel frattempo, la legislazione statale, dopo alcune oscillazioni, è pervenuta a una stabile definizione dei poteri delle Regioni nella gestione della pandemia. Ora le Regioni, “informando contestualmente il Ministro della salute” possono “introdurre misure derogatorie restrittive” rispetto a quelle disposte dai d.P.C.m. che via via si succedono nel tempo, ovvero “anche ampliative”, ma “nei soli casi e nel rispetto dei criteri previsti dai citati decreti e d’intesa con il Ministro della salute”[6].
In questo quadro, sopraggiunge – nell’imminenza delle festività natalizie ed evidentemente con il principale obiettivo di salvare la stagione sciistica – la legge regionale valdostana che sarà poi oggetto dell’ordinanza della Corte costituzionale che qui si commenta, la quale si configura come una sorta di legge generale sulla gestione degli aspetti sanitari, economici e sociali della pandemia nel territorio della Regione autonoma[7]. In essa, tra le altre cose, si elencano alcune attività che restano comunque permesse nel rispetto dei protocolli di sicurezza, altre che sono permesse salvo che il Presidente della Giunta regionale voglia sospenderle (ad esempio le attività commerciali al dettaglio, i servizi di ristorazione, le attività artistiche e culturali, le strutture ricettive e le attività turistiche, oltre che naturalmente gli impianti a fune ad uso sportivo o turistico-ricreativo[8]), e altre ancora che il Presidente della giunta può autorizzare (gli eventi e le manifestazioni pubbliche[9]); e si prevede inoltre che la Giunta possa modificare i protocolli di sicurezza vigenti in tutto il territorio nazionale[10].
L’11 dicembre 2020 la legge regionale è pubblicata sul Bollettino ufficiale, ed è impugnata dal Governo a strettissimo giro, con ricorso notificato e depositato il 21 dicembre. Il ricorso contiene anche una motivata istanza di sospensione.
Anche i tempi della ‘lavorazione’ del ricorso della trattazione dell’istanza di sospensione da parte della Corte costituzionale sono straordinariamente ristretti: il ricorso è pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 30 dicembre e la camera di consiglio con l’audizione degli avvocati delle parti viene fissata per il 13 gennaio 2021[11].
Il 14 gennaio il collegio assume la decisione e nella medesima giornata l’ordinanza viene depositata nella cancelleria della Corte costituzionale. La stessa ordinanza dà conto che l’udienza per la discussione sul merito del ricorso è fissata per il prossimo 23 febbraio. Tuttavia, il Ministro degli Affari regionali e le autonomie ha già dichiarato di volere proporre al Consiglio dei ministri la rinuncia al ricorso, allo scopo di incentivare una gestione condivisa e non conflittuale dell’emergenza sanitaria con tutte le Regioni[12].
3. La legge sospesa: c’è sempre una prima volta.
Come si è detto, la Corte costituzionale, con l’ordinanza in commento, sospende in via cautelare l’efficacia di una legge, facendo per la prima volta uso di uno strumento di cui è dotata ormai da molti anni. Lo strumento ora è disciplinato dall’art. 35 della stessa legge sul funzionamento della Corte costituzionale, dove la sospensione della legge (statale o regionale, non è specificato) impugnata in via principale risulta subordinata (soltanto) al ricorrere di almeno una delle seguenti condizioni: o “il rischio di un irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico o all’ordinamento giuridico della Repubblica”, ovvero “il rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini”[13]. La disposizione testualmente non richiede un’istanza di parte, e anzi sembra configurare il potere di sospensione come attivabile d’ufficio dalla Corte costituzionale; né impone la verifica dell’esistenza del fumus boni iuris, e cioè della valutazione sommaria della fondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale sollevati.
L’ordinanza in commento, tuttavia, si esprime comunque sulla sussistenza del fumus di violazione, da parte della legge valdostana, della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di “profilassi internazionale” (sul punto si tornerà infra nel par. 4) e, quanto al ricorrere degli altri presupposti previsti dalla legge, essa ritiene che sussistano, nel caso di specie, entrambi, argomentando come segue: innanzitutto essa rileva come “la legge regionale impugnata, sovrapponendosi alla normativa statale, dettata nell’esercizio della predetta competenza esclusiva, espone di per sé stessa al concreto e attuale rischio che il contagio possa accelerare di intensità, per il fatto di consentire misure che possono caratterizzarsi per minor rigore; il che prescinde dal contenuto delle ordinanze in concreto adottate”; di conseguenza, tutti i presupposti per l’esercizio del potere cautelare risultano soddisfatti, perché “le modalità di diffusione del virus Covid-19 rendono qualunque aggravamento del rischio, anche su base locale, idoneo a compromettere, in modo irreparabile, la salute delle persone e l’interesse pubblico ad una gestione unitaria a livello nazionale della pandemia, peraltro non preclusiva di diversificazioni regionali nel quadro di una leale collaborazione”.
La motivazione sembra ineccepibile. In effetti, l’“interesse pubblico a una gestione unitaria a livello nazionale” di una epidemia che ha dimensione planetaria e ha ripercussioni immediate sul diritto alla salute e sullo stesso diritto alla vita dei consociati sarebbe stato un ottimo caso di scuola per illustrare agli studenti di un corso di giustizia costituzionale una possibile applicazione dell’istituto della sospensione cautelare di una legge regionale. Ma la realtà, purtroppo per noi, ha superato ancora una volta la fantasia degli interpreti.
Finora casi così estremi non si erano presentati e dunque il procedimento per la sospensione cautelare della legge impugnata era stato attivato una volta sola, e giustamente con esito negativo[14]. L’istanza di sospensione, che pure spesso le parti hanno avanzato in passato, il più delle volte era stata dichiarata assorbita da una tempestiva decisione sul merito delle questioni sollevate. Così era accaduto, ad esempio, nella nota sentenza del 2018 sulla normativa statale in tema di obblighi vaccinali impugnata dalla Regione Veneto[15]. Si era così correttamente parlato di un istituto ormai caduto in una sorta di “desuetudine applicativa”[16].
In una situazione di emergenza sanitaria come quella attuale – che la stessa Corte costituzionale ha già definito come “assolutamente eccezionale”[17] – l’istituto è stato rispolverato e ha potuto dimostrare di essere utile e forse anche necessario.
In ragione di ciò possono ora anche dirsi definitivamente superati tutti i dubbi che in dottrina avevano accompagnato la previsione della possibilità di sospendere l’efficacia della legge all’interno dei giudizi di legittimità costituzionale in via principale o di azione.
Lo stesso iter legislativo che aveva poi dato vita alla legge La Loggia aveva sul punto visto diverse incertezze ed era stato estremamente faticoso[18]. I dubbi immediatamente sollevati dagli studiosi si ponevano su vari piani. Si era notato, innanzitutto, che la disposizione sembra tradire il carattere di ‘giudizio di parti’ del giudizio di legittimità costituzionale in via principale: e questo non solo perché la sospensione può prescindere dall’istanza del ricorrente, potendo essere disposta d’ufficio dalla Corte costituzionale[19], ma soprattutto perché i presupposti per il suo esercizio, non riguardando i criteri per la distribuzione delle competenze legislative fra Stato e Regione, possono non coincidere con i motivi del ricorso. La disposizione, anzi, attribuisce alla Corte un potere davvero singolare – sconosciuto nel giudizio incidentale[20] – autorizzandola a disporre la sospensione della legge impugnata ultra petita in ogni senso: sia, come si è detto, perché la sospensione potrebbe non essere stata sollecitata dal ricorrente, sia perché nel ricorso introduttivo potrebbe non esserci neanche alcun cenno al fatto che la legge impugnata arrechi pregiudizio all’interesse pubblico, all’ordinamento giuridico della Repubblica o ai diritti dei cittadini.
Il secondo motivo di perplessità derivava dalla constatazione che sarebbe stato difficile immaginare – allora! – che in un sistema di giustizia costituzionale come il nostro, in cui convivono accesso diretto e accesso incidentale, potesse mai verificarsi l’eventualità, prospettata dalla disposizione in commento, che il pregiudizio per i diritti dei cittadini arrecato da una disposizione di legge si riveli, oltre che grave, anche “irreparabile”. Per ogni violazione concreta di un diritto costituzionale, si diceva, resta infatti sempre aperta per l’individuo, pur nelle more del giudizio in via principale, la via del ricorso a un giudice comune il quale, prima di confermare l’applicazione della legge di dubbia costituzionalità, sarà tenuto a sospendere il giudizio in corso e a sollevare l’incidente di costituzionalità di fronte alla Corte. Un simile argomento, tuttavia, è oggi stato spazzato via dai fatti, se si pensa alla irreparabilità del pregiudizio arrecato al diritto alla salute dei consociati che una mala gestione dell’epidemia immediatamente, e irreparabilmente, produce.
L’ultima serie di dubbi – a parere di chi scrive i più seri[21] – riguardava la conformità a Costituzione della disposizione in commento, in quanto l’attribuzione al giudice costituzionale del potere di sospensione della legge avrebbe forse dovuto avvenire con legge costituzionale, ai sensi dell’art. 137, primo comma, Cost. Se infatti si interpreta il primo comma dell’art. 137 come non limitato ai profili dell’accesso alla Corte[22], si può sostenere che il sub-procedimento volto alla sospensione della legge è una delle “forme” dei giudizi di legittimità costituzionale che richiedono di essere previste e regolate dalla fonte superprimaria[23], e concludere così che la disposizione in commento viola la riserva di legge costituzionale[24]. Il tutto, ovviamente, se si ritiene che il potere di provocare la cessazione definitiva dell’efficacia della legge dichiarata incostituzionale attribuito alla Corte costituzionale dall’art. 136 Cost. non comprenda in sé il potere di sospenderne provvisoriamente l’efficacia[25].
4. La “profilassi internazionale”: una materia sconfinata.
L’ordinanza in commento compie una scelta forte, e probabilmente irreversibile, nel momento in cui afferma, in modo netto e sintetico, adeguato alla valutazione sommaria del merito del ricorso tipica di un giudizio cautelare, che “la pandemia in corso ha richiesto e richiede interventi rientranti nella materia della profilassi internazionale di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera q), Cost.”.
La Corte costituzionale, dunque, rifiuta di distinguere tra diverse materie, eventualmente appartenenti a diversi titoli di competenza, statale e regionale, gli interventi legislativi nei differenti settori materiali (commercio, turismo e salute, ad esempio) che trovano la loro causa nell’emergenza sanitaria; e, soprattutto, non fa alcun cenno al possibile, naturale, inquadramento finalistico di tali interventi legislativi nell’unica materia della “tutela della salute”, di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni.
La Corte sceglie invece di tagliare via di netto ogni possibile competenza regionale e di indicare come unico titolo di competenza legislativa, per qualsiasi intervento volto ad affrontare la pandemia, una materia di competenza esclusiva dello Stato.
Il risultato è triplice. Innanzitutto in questo modo la Corte fa chiarezza una volta per tutte, in un periodo storico dove l’incertezza è la cifra che caratterizza la vita istituzionale, oltre che sociale del Paese, riportando a livello unitario le scelte su come gestire l’emergenza sanitaria. In secondo luogo, essa evita di imporre all’azione statale di seguire i moduli della leale collaborazione, dato che viene esclusa la sussistenza di quell’intreccio di competenze che impone, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, l’attivazione degli strumenti di leale collaborazione tra Stato e Regioni nell’attuazione della legge[26]. In terzo luogo, e si tratta di un risultato non di poco conto, la Corte indirettamente giustifica l’impiego, nella gestione dell’emergenza, della normativa statale di rango secondario, dato che l’art. 117, sesto comma, Cost. assegna allo Stato la potestà regolamentare, a rigore, soltanto nelle materie di sua competenza esclusiva[27].
Il costo di questi impagabili pregi – un costo necessario, a parere di chi scrive – è, ovviamente, una forzatura del dato testuale, perché la voce dell’elenco delle competenze esclusive dello Stato a cui la Corte costituzionale fa riferimento difficilmente sembra potersi prestare, letteralmente, all’uso che la Corte ne fa nell’ordinanza in commento.
Secondo il glossario del più recente rapporto (dicembre 2020) dell’ufficio del Ministero della Salute, direzione generale della prevenzione sanitaria, Coordinamento tecnico degli Uffici di Sanità Marittima, Aerea e di Frontiera e dei
Servizi territoriali per l’Assistenza Sanitaria al personale Navigante, marittimo e dell’aviazione civile (USMAF-SASN), la “profilassi internazionale” è, propriamente, l’“attività di profilassi delle malattie infettive e diffusive, quarantenarie e non, che si svolge nei porti, negli aeroporti e nei punti di confine terrestri dislocati sul territorio”[28]. E questo è, del resto, il significato che l’espressione assume nel nostro ordinamento legislativo fin dagli Settanta del secolo scorso, quando nei primi decreti di trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni si faceva riferimento alla “profilassi internazionale” come attività mantenuta a livello centrale[29], e che si conserva costantemente nel tempo, passando nei secondi decreti di trasferimento[30], nella legge di istituzione del Servizio sanitario nazionale[31] e poi nella riforma Bassanini del 1998[32], per riversarsi quindi inalterata nella riforma costituzionale del 2001. Nell’art. 117, secondo comma, Cost., tra l’altro, questo significato è confermato dalla sedes materiae: la lett. q), infatti, elenca, prima della “profilassi internazionale”, le materie delle “dogane” e della “protezione dei confini nazionali”, facendo intendere che anche la “profilassi internazionale”, come inequivocabilmente le altre due materie, indichi un’attività che si svolge alla frontiera, ai bordi, del territorio nazionale, e che proprio per tale ragione non può non essere di competenza esclusiva dello Stato.
C’è da dire, tuttavia, che la giurisprudenza costituzionale aveva, negli anni, già provveduto ad allargare progressivamente la nozione, occupandosi in particolare della profilassi veterinaria. In alcune pronunce degli anni Novanta il significato è ancora quello originario dei decreti di trasferimento delle funzioni amministrative, perché la profilassi internazionale veterinaria, di competenza dello Stato, sembra coincidere con l’attività di controllo, da parte degli uffici veterinari di dogana interna, di porto e di aeroporto, degli animali che comunque provengono dall’esterno del territorio nazionale[33]. L’estensione della nozione si verifica dopo la riforma costituzionale del 2001, perché la “profilassi internazionale”, di cui all’art. 117, secondo comma, lett. q), sembra comprendere anche tutti quei controlli veterinari che, pur avvenendo sui capi di bestiame nati e cresciuti in Italia, sono imposti dall’esterno, e cioè da norme dell’Unione europea o internazionali[34]. Infine, nella già richiamata sentenza sulle vaccinazioni obbligatorie del 2018, la nozione esce dal campo veterinario, e abbraccia la profilassi per la prevenzione della diffusione delle malattie infettive dell’uomo, ma con l’identico significato già presente nella giurisprudenza costituzionale pregressa, di una profilassi qualificabile come internazionale solo in quanto imposta, o consigliata, in “programmi elaborati in sede internazionale e sovranazionale”[35].
L’ulteriore allargamento della nozione è presente in alcune recenti pronunce del giudice amministrativo rese in relazione proprio alla pandemia, nelle quali tuttavia vengono richiamati anche altri titoli di competenza statale esclusiva o concorrente[36], oltre che in qualche (saggio) suggerimento proveniente dalla dottrina[37]. Si può dire allora che l’ordinanza in commento rappresenta la punta estrema di questo processo, perché essa intende per “profilassi” non soltanto la previsione di controlli e precauzioni di tipo medico, ma ogni intervento legislativo volto a evitare in qualunque modo – anche attraverso il divieto di assembramenti, ad esempio – il contagio; e riferisce evidentemente l’aggettivo “internazionale” non alla dimensione della normativa che impone tale profilassi, bensì alla dimensione stessa dell’evento da fronteggiare (la pandemia, appunto).
L’operazione interpretativa compiuta ora dalla Corte, benché estrema, è a parere di chi scrive, come si diceva, giustificata non solo dalla colpevole assenza, nell’elenco dell’art. 117 Cost. delle competenze riservate in via esclusiva allo Stato, di una materia che invece il decreto Bassanini n. 112 del 1998 manteneva allo Stato con il nome “sorveglianza” e “controllo” “di epidemie e ed epizozie di dimensioni nazionali e internazionali”[38]; ma anche dallo stesso carattere estremo della situazione nazionale e internazionale in atto, che richiede di evitare il più possibile la conflittualità tra livelli di governo, ed esige quindi che sia affermato un chiaro e netto criterio di riparto delle competenze normative per fronteggiarla.
[1] Sul tema si vedano almeno, con varietà di accenti, G. Silvestri, Covid-19 e Costituzione, in www.unicost.eu; G. Falcon, Dall’emergenza COVID, pensando al futuro del sistema sanitario, in Le Regioni, 2020, pp. 453 ss.; F. Cortese, Stato e Regioni alla prova del coronavirus, in Le Regioni, 2020, pp. 3 ss.; C. Padula e G. Delledonne, Italy: The Impact of the Pandemic Crisis on the Relations Between the State and the Regions, in Coronavirus and the Law in Europe, a cura di E. Hondius – M. Santos Silva – C. Wendehorst – P. Coderch – A. Nicolussi – F. Zoll, Intersentia, 2020, all’indirizzo https://www.intersentiaonline.com/bundle/coronavirus-and-the; Id., Accentramento e differenziazione nella gestione dell’emergenza pandemica, in Le Regioni, 2020, pp. 753 ss.; A. Morelli, I rapporti tra i livelli di governo alla prova dell’emergenza sanitaria, in Quad. cost., 2020, pp. 747 ss.; B. Baldi e S. Profeti, Le fatiche della collaborazione. Il rapporto stato-regioni in Italia ai tempi del COVID-19, in Riv. it. pol. pubbl, 2020, pp. 277 ss.
[2] M. Ruotolo nell’intervista di L. Milella in La Repubblica del 25 febbraio 2020.
[3] L. 5 giugno 2003, n. 131, recante “Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”.
[4] V. Cavanna, Risposte regionali alla pandemia da COVID-19: il caso della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, in Le Regioni, 2020, pp. 931 ss.
[5] G. Tarli Barbieri, La crisi politico-istituzionale valdostana nella crisi del regionalismo italiano, in Liber amicorum per Pasquale Costanzo - Tomo V – La democrazia italiana in equilibrio, Collana di studi di Consulta OnLine, 2020, pp. 10 ss.
[6] Art. 1, c. 16, del d.l. 16 maggio 2020, n. 33, recante “Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19”, convertito dalla l. 14 luglio 2020, n. 74, come modificato dall’art. 1, c. 2, lett. a), del d.l. 7 ottobre 2020, n. 125, convertito dalla l. 27 novembre 2020, n. 159: “Per garantire lo svolgimento in condizioni di sicurezza delle attività economiche, produttive e sociali, le regioni monitorano con cadenza giornaliera l’andamento della situazione epidemiologica nei propri territori e, in relazione a tale andamento, le condizioni di adeguatezza del sistema sanitario regionale. I dati del monitoraggio sono comunicati giornalmente dalle regioni al Ministero della salute, all’Istituto superiore di sanità e al comitato tecnico-scientifico di cui all’ordinanza del Capo del dipartimento della protezione civile del 3 febbraio 2020, n. 630, e successive modificazioni. In relazione all’andamento della situazione epidemiologica sul territorio, accertato secondo i criteri stabiliti con decreto del Ministro della salute 30 aprile 2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 112 del 2 maggio 2020, e sue eventuali modificazioni, nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020, la Regione, informando contestualmente il Ministro della salute, può introdurre misure derogatorie restrittive rispetto a quelle disposte ai sensi del medesimo articolo 2, ovvero, nei soli casi e nel rispetto dei criteri previsti dai citati decreti e d’intesa con il Ministro della salute, anche ampliative”.
[7] Si tratta della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 9 dicembre 2020, n. 11, recante “Misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2 nelle attività sociali ed economiche della Regione autonoma Valle d’Aosta in relazione allo stato d’emergenza”, che il Governo ha impugnato poi sia per intero sia in riferimento agli artt. 2, cc. 4, 6, 7, 9, da 11 a 15, 18 e da 20 a 25, e 3, c. 1, lett. a).
[8] Art. 2, rispettivamente cc. 11, 12, 14, 15,16 e 24.
[9] Art. 2, c. 9.
[10] In particolare art. 4.
[11] L’art. 21 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, rubricato “Istanza di sospensione”, prevede quanto segue: “Ove sia proposta istanza di sospensione ai sensi dell’art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il Presidente, sentito il relatore, convoca la Corte in camera di consiglio qualora ravvisi l’urgenza di provvedere. Con il medesimo provvedimento il Presidente può autorizzare l’audizione dei rappresentanti delle parti e lo svolgimento delle indagini ritenute opportune. La cancelleria comunica immediatamente alle parti l’avvenuta fissazione della camera di consiglio e l’eventuale autorizzazione all’audizione”.
[12] https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2021/01/19/covid-boccia-proporro-ritiro-impugnativa-legge-anti-dpcm-vda_ee4b8da9-5c20-4871-85d2-f2cd7c8e04e8.html
[13] L’art. 9 della legge, rubricato “Attuazione degli articoli 123, secondo comma, e 127 della Costituzione, in materia di ricorsi alla Corte costituzionale” dispone, al c. 1, la sostituzione dell’art. 35 della l. 11 marzo 1953, n. 87, recante “Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale”, con il testo che segue: “Art. 35. – 1. Quando è promossa una questione di legittimità costituzionale ai sensi degli articoli 31, 32 e 33, la Corte costituzionale fissa l’udienza di discussione del ricorso entro novanta giorni dal deposito dello stesso. Qualora la Corte ritenga che l’esecuzione dell’atto impugnato o di parti di esso possa comportare il rischio di un irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico o all’ordinamento giuridico della Repubblica, ovvero il rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini, trascorso il termine di cui all’articolo 25, d’ufficio può adottare i provvedimenti di cui all’articolo 40. In tal caso l’udienza di discussione è fissata entro i successivi trenta giorni e il dispositivo della sentenza è depositato entro quindici giorni dall’udienza di discussione”.
[14] Corte cost., ord. n. 107 del 2010.
[15] Corte cost., sent. n. 5 del 2018 (che richiama, nel medesimo senso, Corte cost., sentt. nn. 141, 145 e 155 del 2016).
[16] C. Caruso, La garanzia dell’unità della Repubblica. Studio sul giudizio di legittimità costituzionale in via principale, Bologna, 2020, p. 159.
[17] Corte cost., sent. n. 174 del 2020.
[18] Nel disegno di legge deliberato dal Consiglio dei ministri nella seduta del 19 aprile 2002, e poi modificato prima della sua presentazione in Senato, infatti, si prevedeva che l’efficacia della legge impugnata restasse automaticamente sospesa fino alla decisione della Corte (e la previsione era stata criticata da M. D’Amico, Corte costituzionale e riforma costituzionale del Titolo V: adeguamenti ragionevoli e disposizioni problematiche, in Federalismi.it, pp. 52-53 e A. Ruggeri, Ancora sul disegno di legge La Loggia (postilla di aggiornamento in tema di fonti e di controlli), ivi, p. 31). Il disegno di legge presentato al Senato il 26 giugno (AS 1545) non conteneva alcun accenno alla sospensione della legge, né automatica né su ordine della Corte costituzionale; mentre solo in sede di commissione referente alla Camera dei deputati (AC 3590) è stato introdotto il potere della Corte di sospendere d’ufficio l’esecuzione della legge impugnata, e solo in seguito è stato completato l’attuale elenco dei presupposti che legittimano l’esercizio del potere. Sui lavori preparatori e sulle critiche dottrinarie all’istituto si rinvia alla completa trattazione di C. Caruso, La garanzia dell’unità della Repubblica. Studio sul giudizio di legittimità costituzionale in via principale, cit., pp. 157 ss.
[19] F. Drago, I ricorsi in via principale nel quadro del novellato Titolo V, in Federalismi.it, pp. 26-27.
[20] Ma nel giudizio in via incidentale le esigenze di tutela cautelare immediata del diritto costituzionale possono essere fatte valere davanti al giudice comune il quale, nelle more dell’incidente di costituzionalità da lui stesso sollevato, può temporaneamente disapplicare la legge della cui costituzionalità egli dubita e assicurare così una tutela effettiva del diritto costituzionale fatto valere in giudizio (sul punto sia consentito il rinvio a E. Lamarque, Direct Constitutional Complaint and Italian Style do not Match. Why Is That?, in Dialogues on Italian Constitutional Justice. A Comparative Perspective, a cura di V. Barsotti, P. G. Carozza, M. Cartabia e A. Simoncini, London-New York-Torino 2020, pp. 152-153).
[21] E. Lamarque, Articolo 9, in L’attuazione del nuovo Titolo V, Parte seconda, della Costituzione. Commento alla legge ‘La Loggia’ (l. 5 giugno 2003, n. 131), a cura di P. Cavaleri ed E. Lamarque, Torino, 2004, p. 253.
[22] Sulle due possibili interpretazioni dell’art. 137, primo comma, Cost. si veda, per tutti, D. Nocilla, Aspetti del problema relativo ai rapporti fra le fonti che disciplinano la Corte costituzionale, in Giur. cost., 1968, pp. 2003 ss.
[23] A. Predieri, Appunti sui provvedimenti cautelari nella giustizia costituzionale, in La giustizia costituzionale, a cura di G. Maranini, Firenze, 1966, pp. 201 ss.
[24] Lo rilevava, benché in termini dubitativi, P. Caretti, Il contenzioso costituzionale. Commento all’art. 9, in Stato, Regioni ed enti locali nella legge 5 giugno 2003, n. 131, a cura di G. Falcon, Bologna, 2003, pp. 193-194.
[25] G. Falzone, L’inibitoria giudiziale dell’operatività degli atti giuridici, Milano, 1967, pp. 12 ss.
[26] Sul punto si veda, ad esempio e per tutte, la sentenza n. 72 del 2019: “Versandosi perciò in un caso in cui la legge statale interviene in un ambito caratterizzato da inscindibile sovrapposizione o intreccio di competenze («nodo inestricabile», secondo l’espressione utilizzata dalla sentenza n. 21 del 2016), è ineludibile, in applicazione del principio di leale collaborazione, la predisposizione, da parte della legge statale – pur pienamente legittimata a intervenire – di un’adeguata modalità di coinvolgimento delle Regioni, con l’obiettivo di contemperare le ragioni dell’esercizio unitario delle competenze in questione con la garanzia delle funzioni costituzionalmente attribuite alle autonomie”.
[27] C. Padula e G. Delledonne, Accentramento e differenziazione nella gestione dell’emergenza pandemica, cit., p. 763, notano che sul punto in realtà la giurisprudenza costituzionale registra qualche oscillazione, ma ricordano che se non si ritrova un titolo di competenza esclusiva dello Stato, e qualora si volessero qualificare i noti d.P.C.m. di gestione ordinaria dell’emergenza sanitaria come atti normativi, sorgerebbe il problema del rispetto dell’art. 117, sesto comma, Cost. Con la soluzione offerta dall’ord. n. 4 del 2021, invece, questo problema non si pone, qualunque sia la natura dei d.P.C.m.
[28] Relazione sui dati di attività degli Uffici di Sanità Marittima, Aerea e di Frontiera (USMAF) e Servizi per l’Assistenza Sanitaria al personale Navigante, marittimo e dell’aviazione civile (SASN), dicembre 2020.
[29] Art. 6, n. 1), del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4.
[30] Art. 30, lett. a), del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
[31] Art. 6, lett. a), della l. 23 dicembre 1978, n. 833.
[32] Art. 126 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, in attuazione del preciso disposto della legge delega (art. 1, c. 3, lett. i, della l. 15 marzo 1997, n. 59).
[33] Corte cost., sentt. nn. 382 e 458 del 1993 e n. 351 del 1999.
[34] Corte cost., sentt. n. 12 del 2004, n. 72 del 2013, n. 173 del 2014, n. 270 del 2016.
[35] Corte cost., sent. n. 5 del 2018, par. 7.2.3. Si veda poi, in senso analogo, Corte cost., sent. n. 186 del 2019.
[36] Tar Calabria-Catanzaro, sent. 9 maggio 2020, n. 841 (par. 18.2.); Tar Sicilia-Palermo, sent. 25 settembre 2020, n. 1952; Tar Calabria-Catanzaro, sent. 18 dicembre 2020, n. 2077 (par. 9), oltre che Cons. St, sez. I, parere 7 aprile 2020, n. 735 (par. 7.3.). Fanno cenno a questa posizione dei giudici amministrativi anche G. Scaccia e C. D’Orazi, Laconcorrenza fra Stato e autonomie territoriali nella gestione della crisi sanitaria fra uniformità e differenziazione, in Emergenza Covid-19 e ordinamento costituzionale, a cura di F.S. Marini e G. Scaccia, Torino, 2020, p. 115.
[37] R. Balduzzi, Ci voleva l’emergenza Covid-19 per scoprire che cos’è il Servizio sanitario nazionale? (con un approfondimento su un ente poco conosciuto, l’INMP), in Corti supr. e sal., n. 1/2020, p. 70 e l’intervista a C. Mirabelli, Gestione dell’emergenza. Il giurista Mirabelli: “Tra Stato e Regioni c’è un problema di competenze”, in www.agensir.it, 16 aprile 2020. Anche tra gli studiosi, tuttavia, nessuno si era spinto a ipotizzare la soluzione radicale fatta propria dall’ordinanza in commento, che individua nella “profilassi internazionale” l’unica materia coinvolta negli interventi di gestione della pandemia, salvo forse L. Dell’Atti e G. Naglieri, Le fonti della crisi. Fra esigenze unitarie e garanzie costituzionali nel governo dell’emergenza da Covid-19, in BioLaw Journal, 2/2020, par. 3.
[38] Art. 112, c. 3, lett. g), del d.lgs. n. 112 del 1998, cit.