“Piano voucher” del Governo, accesso a internet e tutela dei diritti costituzionali. (Nota a Tar Lazio sez. III ter, 23 novembre 2020, n. 7239)
di Piergiuseppe Otranto
Sommario: 1. Il “piano voucher” per le famiglie meno abbienti. Cenni. 2. L’ordinanza del Tar Lazio. 2.1. La finalità del contributo pubblico. 2.2. Voucher ed emergenza sanitaria. 2.3. L’insussistenza del periculum. 2.4. I riferimenti (impliciti) alla c.d. “neutralità tecnologica”. 3. La garanzia costituzionale del diritto d’accesso alla rete. 3.2. Accesso a internet e “garanzia del mezzo” per l’esercizio di diritti costituzionali. 3.3. Il diritto di accesso a internet negli altri ordinamenti nazionali e nell’ordinamento europeo. Cenni. 3.4. L’accesso alla rete e la “prudenza” della Consulta. 4. Considerazioni di sintesi.
1. Il “piano voucher” per le famiglie meno abbienti. Cenni
Con ordinanza del 23 novembre 2020, il Tar Lazio – sezione III ter si è espresso in sede cautelare sulla legittimità del “Piano voucher per le famiglie a basso reddito” adottato dal Ministro dello Sviluppo economico il 7 agosto 2020.
Si tratta di un intervento volto a sostenere la domanda di servizi di connessione a internet in banda ultralarga da parte delle famiglie con ISEE inferiore ai 20.000 euro (art. 1, comma 2, del decreto del Ministro dello Sviluppo economico, 7 agosto 2020).
La misura, finanziata con 200 milioni di euro, prevede che le famiglie a basso reddito che non dispongano già di una connessione a banda ultralarga possano godere di un contributo massimo di 500 euro quale sconto applicato al prezzo per la fornitura di un tablet o un personal computer e ai canoni per la connessione a internet in banda ultralarga (art. 3, comma 1).
L’attuazione dell’intervento è affidata ad Infratel Italia s.p.a. (art. 1), società in house del Ministero dello Sviluppo economico, già impegnata nell’attuazione dell’ambizioso piano per la infrastrutturazione del Paese con la banda ultralarga.
La peculiarità della misura consiste nell’obbligo di fornitura integrata del servizio di connettività in uno con un dispositivo elettronico (c.d. “bundle”).
Proprio in ragione del necessario abbinamento tra connessione e fornitura del dispositivo (art. 3, comma 6), si prevede che siano gli operatori di servizi di connettività a fornire al consumatore il voucher mediante uno sconto in fattura[1].
Gli operatori di telecomunicazione sono, quindi, “intermediari necessari” per l’erogazione del contributo e proprio su questo profilo si fondano le censure mosse dai ricorrenti.
2. L’ordinanza del Tar Lazio
La pronuncia in commento è stata adottata nell’ambito di un giudizio promosso dalla società titolare di una nota catena di punti vendita di prodotti di elettronica di consumo, nonché da alcune associazioni rappresentative degli interessi di imprese attive nel commercio al dettaglio, all’ingrosso e nel noleggio dei dispositivi informatici necessari per l’accesso a internet.
Le ricorrenti hanno lamentato l’illegittima lesione dei propri interessi in quanto – sebbene il voucher finanzi contemporaneamente e necessariamente non solo l’abbonamento per la connettività, ma anche l’acquisto di un dispositivo elettronico (pc o tablet) – gli atti impugnati prevedono che solo gli operatori di telecomunicazione (e non anche quanti commercializzano dispositivi elettronici) possano svolgere il ruolo di “intermediario necessario” per l’accesso al voucher da parte dei beneficiari.
Il Tar non ha concesso la misura cautelare invocata ritenendo non sussistenti né il fumus, né il periculum.
2.1. La finalità del contributo pubblico
In particolare, il Giudice ha osservato che “la finalità del contributo non è tanto quella di acquistare i dispositivi, ma quella di sostenere la domanda di connessione a internet per le famiglie meno abbienti (…) nel momento di emergenza sanitaria per l’accesso ai servizi educativi e al lavoro”, sicché “la fornitura del solo terminale non realizza l’interesse pubblico perseguito ed è per questo che è stata imposta l’erogazione del contributo tramite l’operatore di rete attraverso la necessaria sottoscrizione di un contratto di connessione a internet”.
Ed invero, nelle premesse del decreto ministeriale si istituisce espressamente il vincolo di “fornitura integrata” di connettività e dispositivo elettronico: “nel contesto di emergenza sanitaria, al fine di garantire l’accesso a internet in banda ultralarga alle famiglie meno abbienti è emersa l’esigenza di garantire loro, oltre ai servizi di connettività ad almeno 30 Mbit/s, anche i dispositivi necessari per fruire di tali servizi, quali tablet o personal computer”.
Emerge un interesse pubblico del tutto peculiare, il cui soddisfacimento sembra che possa essere assicurato solo attraverso una connessione veloce cui si accompagni, obbligatoriamente, la disponibilità di un terminale efficiente.
È evidente che il Ministero avrebbe ben potuto decidere di finanziare l’acquisto di soli dispositivi elettronici (senza occuparsi della connettività) o, al contrario, la sola stipula di contratti di connessione a internet veloce (senza sovvenzionare l’acquisto di pc o tablet).
Tuttavia, la scelta è ricaduta opportunamente su una misura di sostegno della domanda nella quale i due aspetti (connettività ed hardware) sono inscindibilmente collegati.
Si tratta, a ben vedere, di una decisione che appare ragionevole e proporzionata in relazione sia alla peculiare tipologia di destinatari della misura, sia al contesto emergenziale nel quale essa si inserisce.
2.2. Voucher ed emergenza sanitaria
Nel preambolo del decreto si afferma che “nel contesto dell’emergenza sanitaria determinata da COVID-19, i collegamenti internet a banda ultralarga costituiscono il presupposto per l’esercizio di diritti essenziali, costituzionalmente garantiti, quali il diritto allo studio, al lavoro, nonché di assicurare la stessa sopravvivenza delle imprese”.
È l’emergenza sanitaria – che ha determinato più ampie esigenze di connettività per le famiglie, ma anche gravi conseguenze economiche, i cui effetti saranno ancor più evidenti nei prossimi mesi – che contribuisce a fondare la legittimità dell’intervento “immediato” del Governo[2].
Tali profili sono stati posti in rilievo anche dall’AGCM, che ha espresso il proprio apprezzamento per la misura in quanto idonea a consentire, specie nel periodo di emergenza sanitaria, l’accesso alla rete quale strumento di inclusione sociale[3].
La Commissione europea, per altro verso, ha affermato la compatibilità del “piano voucher” con la normativa europea sugli aiuti di Stato ponendone in rilievo la rilevanza sociale in quanto indirizzata a famiglie a basso reddito[4].
In particolare, secondo la Commissione, la misura risponde all’interesse di assicurare che le famiglie con disponibilità economiche limitate abbiano accesso a servizi di connettività a banda ultralarga per continuare ad esercitare, tra gli altri, il diritto all’istruzione, al lavoro, alla propria vita privata in una dimensione di socialità. Si osserva che, in assenza dell’intervento pubblico, i destinatari della sovvenzione – in ragione delle difficoltà economiche aggravate anche dall’emergenza sanitaria in corso – potrebbero decidere di non affrontare i costi per l’acquisto dei beni (dispositivi elettronici) e dei servizi (connessione a banda ultralarga) indispensabili per l’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti[5].
Proprio la rilevanza sociale dell’intervento pubblico consente alla Commissione di affermarne la legittimità alla luce della disciplina in punto di aiuti di Stato[6] e nonostante esso sia ritenuto effettivamente idoneo a favorire gli operatori di telecomunicazione[7].
Lo stesso Tar Lazio evidenzia che l’interesse ad una celere attuazione dell’intervento governativo giustifica la scelta organizzativa di affidare il ruolo di “intermediario necessario” alle sole imprese di telecomunicazione, senza suddividere il valore del voucher in due distinti importi da spendere in parte per la connettività (in un contratto consumatore-operatore di tlc), in parte per l’acquisto del dispositivo (in un diverso contratto tra consumatore e rivenditore di elettronica). In proposito, il Giudice amministrativo afferma: “la mancata previsione di due passaggi distinti, uno presso il rivenditore di dispositivi elettronici e l’altro presso l’operatore di rete, non appare [recte “appare”] in linea con la natura emergenziale della misura, finalizzata ad assicurare, in modo celere, attraverso una procedura semplificata diritti costituzionalmente garantiti (allo studio e al lavoro) nella fase emergenziale”.
A ben vedere, la duplicazione degli adempimenti burocratici, in uno col necessario coordinamento nella stipula dei due contratti, avrebbe certamente determinato una maggiore complessità del procedimento, con un possibile grave pregiudizio per l’immediata attuazione della misura.
L’obiettivo di un’azione amministrativa effettiva e celere è stato così raggiunto attraverso un peculiare procedimento che – pur se astrattamente idoneo ad incidere sugli interessi dei ricorrenti – pare, secondo criteri di logicità e congruità, adeguato al perseguimento di un interesse generale, pregnante nel periodo di pandemia, posto a fondamento della misura agevolativa.
2.3. L’insussistenza del periculum
Il Giudice amministrativo, ancorché entro i limiti propri della fase cautelare, sembra peraltro non ravvisare in concreto alcun pregiudizio in capo ai ricorrenti laddove afferma che gli operatori di telecomunicazione hanno la possibilità di stipulare accordi commerciali con i rivenditori di elettronica per la fornitura dei dispositivi da abbinare alla “connettività”.
Invero, il c.d. “manuale operativo” pubblicato da Infratel Italia – e recante le regole di dettaglio per l’erogazione del voucher – opportunamente fa salva la facoltà dell’operatore di stipulare accordi con i distributori al dettaglio per la fornitura di pc e tablet.
In relazione al periculum, infine, secondo il Giudice amministrativo, il preteso pregiudizio economico lamentato dai ricorrenti “nell’attuale fase emergenziale (…) appare recessivo a fronte dell’interesse pubblico alla sollecita erogazione del contributo in favore delle fasce economicamente più deboli, in modo da consentire loro l’immediato accesso ai servizi digitali per l’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti”.
Nell’argomentare del Giudice non assume rilievo la ontologica “non irreparabilità” del pregiudizio patrimoniale dedotto, quanto piuttosto la prevalenza dell’interesse pubblico perseguito attraverso il provvedimento impugnato rispetto a quello fatto valere dai ricorrenti[8].
L’interesse pubblico in questo caso è correlato ad un valore superindividuale, esplicitamente richiamato dal Tar con il riferimento alla strumentalità dei servizi digitali per l’esercizio di diritti di sicura rilevanza costituzionale[9].
2.4. I riferimenti (impliciti) alla c.d. “neutralità tecnologica”
L’ordinanza, nella parte in cui esclude la sussistenza di una “limitazione della libertà del consumatore nella scelta del dispositivo per la fruizione del servizio di accesso a internet”, esclude la violazione del principio di “neutralità tecnologica” richiamato nel d.m. (art. 3, comma 2)[10].
Ai sensi dell’art. 4, comma, 3 lett. h) del Codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259), il principio di neutralità tecnologica è “inteso come non discriminazione tra particolari tecnologie, non imposizione dell’uso di una particolare tecnologia rispetto alle altre e possibilità di adottare provvedimenti ragionevoli al fine di promuovere taluni servizi indipendentemente dalla tecnologia utilizzata” [11].
Con particolare riguardo alle comunicazioni via internet, al principio di neutralità tecnologica si affianca quello di “neutralità della rete”, secondo il quale ogni comunicazione elettronica veicolata da un operatore dovrebbe essere trattata in modo eguale indipendentemente dalla qualità dei soggetti coinvolti, dal contenuto del servizio, dall’applicazione o dal dispositivo utilizzati[12].
Con il regolamento Ue 2015/2120 l’Unione europea ha introdotto norme comuni per garantire un trattamento equo e non discriminatorio della fornitura dei servizi di accesso a internet e per tutelare i relativi diritti degli utenti finali[13].
In particolare, si enuncia con chiarezza il diritto degli utenti di accedere alla rete per ricevere e diffondere informazioni e contenuti, nonché il diritto di utilizzare applicazioni e servizi mediante terminali di propria scelta[14], indipendentemente dalla sede dell’utente finale e del fornitore o dalla localizzazione, dall’origine o dalla destinazione delle informazioni, dei contenuti, delle applicazioni o del servizio[15].
Tuttavia, il principio di net neutrality nella parte in cui garantisce il diritto degli utenti di accedere alla rete “mediante terminali di propria scelta” si riferisce a quegli apparecchi che consentono ai dispositivi elettronici la connessione alla rete internet via cavo, fibra ottica o via elettromagnetica[16]. Come ha chiarito l’AGCom “i router dotati di modem utilizzati quali apparecchiature intermedie verso i device (dispositivi come ad es. computer, tablet, telefoni, etc.), ovvero utilizzati dagli utenti anche per realizzare una rete privata che si interconnette con la rete pubblica, rientrano nella definizione di apparecchiature terminali”[17].
Considerato che il decreto ministeriale sovvenziona l’acquisto non di modem, bensì di pc o tablet, appare pertinente il richiamo al principio di “neutralità tecnologica” (art. 3, comma 2) in luogo del principio di net neutrality.
Nel “piano voucher” il principio di neutralità tecnologica è declinato nelle regole attuative della misura che si limitano a prevedere le specifiche tecniche che devono avere i dispositivi (pc o tablet) offerti.
Sussiste, dunque, la piena libertà, per gli operatori di telecomunicazione, di strutturare la propria offerta commerciale proponendo qualunque dispositivo conforme a tali specifiche e, simmetricamente, la libertà dei consumatori di aderire alla proposta commerciale che contempli la fornitura del pc o tablet ritenuto più idoneo.
3. La garanzia costituzionale del diritto d’accesso alla rete
Nell’ordinanza in esame, per ben due volte si richiama la strumentalità dell’accesso alla rete internet rispetto all’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti. Tale rapporto, peraltro, è delineato con chiarezza nel decreto ministeriale impugnato.
Piuttosto che ricercare in Costituzione un fondamento diretto – per vero assai incerto, come si dirà nel prosieguo – del diritto di accesso a internet, l’autorità amministrativa ha richiamato diritti di sicura rilevanza costituzionale che trovano oggi nuove declinazioni attraverso la rete.
Invero, l’esperienza vissuta quotidianamente durante l’emergenza sanitaria ha mostrato come non solo la libertà d’informazione, la libertà di corrispondenza, la libertà d’iniziativa economica, la libertà d’associazione, ma anche il diritto alla tutela giurisdizionale, il diritto al lavoro, il diritto all’istruzione possano – o talvolta, necessariamente, “debbano” – essere esercitati on line.
Ciò ha improvvisamente destato, anche nel dibattito pubblico, una rinnovata attenzione generale sul fondamento costituzionale del diritto di accesso a internet[18].
Secondo una prima impostazione, esisterebbe una libertà di accesso alla rete, intesa come diritto a che nulla osti, nel rapporto libertà-autorità[19], all’esercizio delle libertà d’informazione e comunicazione, se non eventuali difficoltà oggettive derivanti dalle caratteristiche del mezzo[20].
Secondo altri autori, l’accesso a internet sarebbe configurabile come diritto sociale, ossia una pretesa soggettiva a prestazioni pubbliche, al pari dell’istruzione, della sanità e della previdenza[21].
Altri studiosi ancora qualificano l’accesso come diritto fondamentale[22] di rango costituzionale o, addirittura, come diritto umano[23].
3.2. Accesso a internet e “garanzia del mezzo” per l’esercizio di diritti costituzionali
I tentativi di introdurre una norma costituzionale ad hoc non sono – almeno sin ora – andati a buon fine[24], sicché l’analisi va condotta alla luce della Costituzione vigente.
In tale prospettiva, ribadendo quanto si è già sostenuto in altri scritti[25], si deve concordare con quanti hanno recentemente osservato che “non esiste tanto un vero e proprio diritto a internet quanto invece un diritto a esercitare le libertà costituzionalmente tutelate anche attraverso internet”[26].
Si osserva, inoltre, che sebbene non sussista un obbligo in tal senso riveniente da norme costituzionali o ordinarie, l’ordinamento amministrativo sembra ormai stabilmente orientato verso un modello organizzativo nel quale l’esercizio di funzioni pubbliche e l’erogazione dei servizi di pubblico interesse dipendono – o potrebbero dipendere abitualmente – dall’interazione in rete fra cittadino ed Amministrazione.
Siamo, dunque, nel mezzo di una graduale transizione verso uno Stato che ammette esclusivamentela modalità telematica per l’esercizio di diritti e l’adempimento di doveri propri del rapporto di cittadinanza.
Quando il rapporto tra Amministrazione e cittadino diviene obbligatoriamente e per scelta del legislatore un rapporto di cittadinanza digitale che coinvolge l’esercizio di diritti e libertà di rilevanza costituzionale, la garanzia costituzionale di questi si estende all’accesso al mezzo.
Si pensi al diritto a godere di alcune provvidenze sociali (che possono essere richieste solo on line), al diritto di difesa nel processo telematico o, come ci ricorda l’ordinanza in commento, al diritto all’istruzione (con la didattica a distanza) ed al diritto al lavoro (con l’esperienza del c.d. “lavoro agile”).
In disparte la chiarissima scelta in atto nell’ordinamento amministrativo verso il “digital first” (art. 1, l. n. 124/2015), ormai è impensabile che anche solo tra privati, rapporti di tipo sociale, economico ed affettivo, possano svolgersi in una dimensione esclusivamente “analogica”.
Anche al di là dei rapporti tra cittadino e Amministrazione, può dirsi che oggi la completa realizzazione della persona e la piena partecipazione alla vita sociale, politica, culturale del Paese dipendono anche dalla possibilità di utilizzare la rete internet e le sue molteplici applicazioni.
Per tale ragione, può affermarsi che il diritto d’accesso a internet gode di una copertura, ancorché indiretta, costituzionale: la Repubblica, in attuazione del principio personalista e del principio di uguaglianza sostanziale, ha il compito di attuare interventi volti a garantire un accesso consapevole e tecnologicamente adeguato alla rete[27].
Nella società interconnessa, infatti, il divario digitale rappresenta oggettivamente un ostacolo di ordine economico e sociale, che, limita “di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini” [28].
L’accesso alla rete garantisce (recte dovrebbe garantire in maniera effettiva) il pieno esercizio di libertà e diritti di sicura rilevanza costituzionale sicché la Costituzione contiene già tutti gli elementi per tutelare l’accesso a internet quale “mezzo di libertà”[29] (o, se vogliamo, insieme di “reti di libertà”), senza la necessità di ricorrere ad alcuna riforma[30].
3.3. Il diritto di accesso a internet negli altri ordinamenti nazionali e nell’ordinamento europeo. Cenni
In una riflessione giuridica sulla configurabilità di un diritto d’accesso alla rete, infine, utili spunti possono cogliersi attraverso il richiamo alle esperienze costituzionali[31] ed ai precedenti giurisprudenziali delle Corti supreme di altri Paesi[32], agli atti approvati nell’ambito di organizzazioni internazionali cui il nostro Paese aderisce[33], ai numerosi bill of rights che sono stati adottati negli ultimi anni[34].
Anche dagli atti dell’Unione europea possono trarsi indicazioni in ordine alla sussistenza del diritto in parola.
Il diritto dell’utente finale di accedere a internet è stato garantito sin dal 2002, con l’inclusione di tale prestazione tra gli obblighi di servizio universale relativi alla connessione da postazione fissa ad una rete di comunicazione pubblica.
La direttiva 2002/22/CE (c.d. “servizio universale”), infatti, prevedeva, tra gli obblighi di servizio universale, la fornitura di un “accesso efficace a internet”, all’epoca inteso come accesso mediante connessione dial up, ossia attraverso la linea telefonica[35].
Nella direttiva “servizio universale” solo la desueta (e di fatto inutilizzata) connessione attraverso la linea telefonica dial up rientrava in tale catalogo, mentre la connessione veloce a internet poteva essere imposta dagli Stati membri agli operatori solo come “servizio obbligatorio supplementare”.
Tale assetto normativo non aveva impedito, tuttavia, alla Corte di giustizia di affermare che le tariffe speciali e il meccanismo di finanziamento previsti dalla direttiva n. 2002/22 si potessero applicare ai servizi di abbonamento a internet che richiedessero una connessione in postazione fissa a prescindere dall’ampiezza di banda, dalla linea trasmissiva (ad esempio doppino telefonico o fibra ottica) e dalla modalità di connessione[36].
Secondo tale impostazione, gli Stati membri avrebbero potuto includere negli obblighi di servizio universale anche la connessione alla rete internet da postazione fissa (che prescinda da quella telefonica), imponendo alle imprese limiti tariffari, meccanismi di perequazione geografica o tariffaria, senza che ciò comportasse violazioni del diritto dell’Unione.
E così, in sede europea, mentre il decisore politico tardava a riconoscere formalmente il diritto d’accesso ad “internet veloce” come oggetto di obblighi di servizio universale, in giurisprudenza si era affermata una posizione più avanzata di tutela effettiva del diritto[37].
Il quadro di riferimento è profondamente mutato con l’adozione della direttiva 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018 “che istituisce il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche” ed abroga la direttiva 2002/22 e le altre direttive del c.d. “pacchetto telecom” del 2002[38].
La direttiva, che dovrà essere recepita entro il 21 dicembre 2020, ha riconosciuto espressamente l’obbligo per gli Stati membri di adottare misure adeguate “affinché tutti i consumatori nei loro territori abbiano accesso a un prezzo abbordabile, tenuto conto delle specifiche circostanze nazionali, a un adeguato servizio di accesso a internet a banda larga e a servizi di comunicazione vocale” (art. 84, comma 1). Gli Stati, inoltre, sono chiamati a adottare misure per garantire ai consumatori con redditi modesti o con particolari esigenze sociali, l’accesso ad internet a banda larga “a prezzi abbordabili” (art. 85), prevendendo l’applicazione di misure di finanziamento a beneficio degli operatori designati sui quali ricada “un onere eccessivo” per la prestazione del servizio (art. 90).
Anche nel Codice europeo, infine, si individua con chiarezza il nesso tra disponibilità di una connessione a banda larga a prezzi accessibili e piena partecipazione dei cittadini alla vita sociale ed economica[39] e si ammette l’erogazione di contributi economici a sostegno della domanda di connettività per particolari categorie di utenti[40].
Si tratta di interventi che si collocano nel solco tracciato con l’“Agenda digitale europea”[41] che mira a stabilire il ruolo chiave delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per raggiungere entro il 2020 gli obiettivi prefissati.
Tra le azioni da intraprendere per sviluppare un mercato unico digitale che conduca l’Europa verso una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, due paiono di particolare interesse ai nostri fini: la promozione di un accesso a internet veloce e superveloce per tutti e il miglioramento di alfabetizzazione, competenze ed inclusione nel mondo digitale.
In piena coerenza con gli obiettivi della “Agenda digitale” europea, nel 2015 l’Italia si è dotata di una propria “strategia per la banda ultralarga” nell’ambito della quale è stato varato un piano di investimenti che, tra le altre misure, prevede l’erogazione di voucher agli utenti finali[42].
3.4. L’accesso alla rete e la “prudenza” della Consulta
Il tema del diritto di accesso alla rete e della sua eventuale rilevanza costituzionale è stato oggetto anche di vicende giurisdizionali che hanno interessato la nostra Corte costituzionale.
Nella sentenza 21 ottobre 2004, n. 307[43], la Corte era stata chiamata a pronunziarsi sulla pretesa violazione degli artt. 117, commi 4 e 6, 118 e 119 Cost. dedotta dalla Regione Emilia-Romagna in relazione a disposizioni attraverso le quali il Governo intendeva incentivare l’acquisto e l’uso di strumenti informatici da parte degli infrasedicenni e delle famiglie meno abbienti[44]. Ad avviso della ricorrente, lo Stato, nel disciplinare un ambito non rientrante in alcuna delle materie di cui all’art. 117, commi 2 e 3 Cost., avrebbe leso la potestà legislativa e amministrativa delle Regioni.
In giudizio, la difesa erariale, per quanto rileva in questa sede, aveva qualificato l’accesso ai mezzi informativi come “diritto sociale” ed aveva invocato, come parametro di legittimità costituzionale, la riserva di legge dello Stato in relazione alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, comma 2, lett. m, Cost.)
La Corte, tuttavia, nel dichiarare infondate le questioni di legittimità proposte, seguì un iter logico-argomentativo eccentrico rispetto al tema del riparto di competenze, così evitando di pronunziarsi anche sulla natura giuridica del diritto all’accesso alla rete[45].
In un’altra occasione, la Provincia autonoma di Trento aveva dubitato della legittimità costituzionale della legge 9 gennaio 2004, n. 4 “disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici” – nota come “legge Stanca” dal nome dell’allora Ministro per l’innovazione e le tecnologie – in quanto lesiva delle proprie competenze statutarie[46]. La difesa erariale aveva argomentato la propria tesi osservando: “le disposizioni impugnate, perseguendo la finalità di garantire e rendere effettivo anche per i disabili il diritto di accesso ai servizi informatici e telematici della pubblica amministrazione ed a quelli di pubblica utilità (…) che sono ormai strumenti fondamentali di partecipazione dei cittadini all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, garantirne la fruibilità ai disabili rientrerebbe nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”. In quel caso, la Corte accolse il ricorso con argomenti relativi al riparto di competenze tra Stato e Province autonome, decidendo però espressamente di non valutare la fondatezza della tesi del Governo.
4. Considerazioni di sintesi
L’ordinanza in commento riflette pienamente lo spirito dei tempi, ormai maturi per il riconoscimento di un vero e proprio diritto di accesso alla rete.
Sebbene la decisione – comprensibilmente, considerata la sede cautelare – non affronti il tema del fondamento costituzionale del diritto di accesso a internet, il richiamo a diritti costituzionalmente garantiti, esercitati attraverso il mezzo, rappresenta un sicuro progresso della giurisprudenza ed offre un contributo al dibattito, per lo più dottrinale, sulla crescente incidenza della rete sull’assetto dei rapporti e degli interessi.
L’emergenza sanitaria costituisce, nel decreto impugnato (e forse anche nell’ordinanza), quasi un pretesto per affermare – con maggior forza, in considerazione della straordinarietà della situazione – la sussistenza di un diritto alla rete ormai riconosciuto dall’Unione europea e da rendere effettivo attraverso l’intervento dello Stato che corregga eventuali storture del mercato.
A ben vedere, la transizione verso il mondo digitale è un portato della storia che, ovviamente, finisce per prescindere dalla stessa volontà del legislatore, dell’Amministrazione, della giurisprudenza, chiamati a prenderne atto ed a delineare regole idonee a governare il cambiamento nella cornice di riferimenti costituzionali che paiono già adeguati a garantire diritti e libertà ineludibili.
Potrà, per tal via, scongiurarsi il rischio che vasti settori della popolazione siano ancora costretti ad assistere all’avvento della società dell’informazione passivamente, “al di fuori dei cancelli elettronici” e che “il futuro [recte, il presente] possa essere una terra di meravigliose opportunità solo per l’esigua minoranza dei ricchi, dinamici ed istruiti (…) e nello stesso tempo diventi un oscuro Medioevo digitale per la maggioranza degli uomini: i poveri, i non istruiti, i cosiddetti non necessari”[47].
* * *
[1] L’intervento è strutturato attraverso un rapporto trilaterale tra Infratel Italia s.p.a. (soggetto attuatore), operatori di telecomunicazione e consumatori: gli operatori accreditati stipulano il contratto con il consumatore e ne comunicano gli estremi ad Infratel; questa eroga l’importo del relativo voucher agli operatori che lo “trasferiscono”, infine, ai consumatori sotto forma di sconto in fattura.
[2] A tal proposito, nel preambolo del decreto si richiamano le deliberazioni adottate dal Comitato banda ultralarga (CoBUL) il 5 maggio ed il 24 giugno 2020. Il Comitato è un organo politico istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ed è preposto all’attuazione della “Strategia Italiana per la banda ultralarga” approvata dal Consiglio dei ministri in data 3 marzo 2015. Esso, a partire dal d.P.C.M. 15 novembre 2019, è presieduto dal Ministro per l’Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione ed è costituito dal Ministro dello Sviluppo economico, dal Ministro per la pubblica Amministrazione, dal Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, dal Ministro per le Politiche agricole, alimentari e forestali, dal Ministro per il Sud e la Coesione territoriale, dal Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.
Nella riunione del 5 maggio 2020, e quindi in piena emergenza sanitaria, il CoBUL ha approvato il “piano voucher” definito quale “intervento finalizzato a favorire la disponibilità di connessione a internet da parte di famiglie e imprese per supportare, immediatamente, le esigenze di teledidattica (studenti e docenti) e di lavoro agile (lavoratori e imprese)”.
[3] Ai sensi dell’art. 21, l. 10 ottobre 1990, n. 287, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha inviato ai presidenti delle Camere, al Governo, all’AGCom ed all’ANCI la segnalazione n. S3904 del 1° luglio 2020 “relativa allo sviluppo delle infrastrutture di telecomunicazione fissa e mobile a banda ultralarga in un’ottica di promozione degli investimenti e tutela di un necessario gioco concorrenziale”. Secondo l’AGCM “gli strumenti di sostegno alla domanda – tramite l’erogazione di voucher e dispositivi elettronici – per le famiglie poco abbienti che si dotano di connettività a banda ultralarga (intervento di coesione o c.d. fase I), sono apprezzabili nella misura in cui permettono una rapida diffusione delle reti di telecomunicazione, promuovendo al contempo l’inclusione sociale ed evitando che, soprattutto nel periodo di emergenza, tali soggetti vengano esclusi dalla vita sociale ed economica, potendo ricorrere all’insegnamento e al lavoro a distanza. Tale strumento fornisce un aiuto concreto e immediato ai soggetti che risultano maggiormente esclusi dalla vita sociale ed economica non potendo accedere ai servizi di connettività a banda ultralarga” (corsivi aggiunti). La segnalazione è richiamata nel preambolo del d.m. impugnato.
[4] Si tratta della decisione n. C(2020)5269 final, “Broadband vouchers for certain categories of families”, del 4 agosto 2020, richiamata nel preambolo del decreto ministeriale impugnato.
[5] C(2020)5269 final, § 49: “The measure has a social character as it is reserved for low-income families whose financial situation justifies the payment of aid for social reasons. The measure responds to a social necessity to ensure that low-income families have access to suitable broadband services to continue learning, socialising, working and purchasing goods and services. Italy has clarified that as an effect of the economic consequences triggered by the COVID-19 outbreak, it is likely that without the measure the eligible families may face difficulties to bear the costs of acquiring the eligible services which consequently may prevent them from continuing to learn, socialise, work and purchase goods and services. To the extent that the scheme aims at ensuring that low-income families can access services which allow them to exercise essential, constitutionally guaranteed rights, such as the possibility of learning and working, it reflects both short-term and long-term social concerns”.
[6] Come è noto, ai sensi dell’art. 107 § 2, lett. a) del TFUE “sono compatibili con il mercato interno: gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall’origine dei prodotti”. La Commissione, nel caso di specie, ha osservato che: “the aid to the participating eligible telecommunications providers can be deemed compatible with the internal market pursuant to Article 107(2)(a) TFEU” (C(2020)5269 final, § 52).
[7] C(2020)5269 final, § 45: “Commission considers that as the measure is imputable to the State, involves State resources, provides a selective advantage to certain beneficiaries engaged in an economic activity, distorts or threatens to distort competition in the internal market and affects trade between Member States, the notified measure constitutes State aid within the meaning of Article 107(1) of the TFEU”.
[8] Sulla valutazione cautelare dell’interesse pubblico e dell’apprezzamento “bilaterale” del periculum, cfr. M. Lipari, La nuovatutela cautelare degli interessi legittimi: il “rito appalti” e le esigenze imperative di interesse generale, Federalismi.it, n. 5/2017, 13-18.
[9] Come ricorda M.A. Sandulli, La fase cautelare, in Dir. proc. amm., 2010, 1135 “La sospensione di un provvedimento amministrativo può essere infatti strumentale anche all’interesse pubblico generale (quello tutelato dalle norme violate), che non sempre coincide con quello specifico della P.A. che ha emanato l’atto e che magari ha ingiustamente preposto il pubblico interesse particolare di cui essa è affidataria a quello generale (…). La decisione cautelare, come quella di merito, diventa pertanto un delicato problema di bilanciamento dei diversi interessi, legato alla proporzionalità della misura adottata non soltanto tra l’interesse del ricorrente e quello dei suoi legittimi contraddittori, ma anche tra i diversi interessi pubblici coinvolti”.
[10] Cfr. M.T.P. Caputi Jambrenghi, La funzione amministrativa neutrale, Bari, 2017, 314, la quale osserva: “come una corretta regolazione del principio della neutralità tecnologica nel nostro ordinamento giuridico imponga che la norma di legge non possa ‘restare indietro’ rispetto all’evoluzione in continuo divenire del web, sicché alla legge è affidata la funzione di enucleare ed esporre i princìpi che regolano il settore e non anche quella di intervenire con norme tecniche o disposizioni ad oggetto tecnologico; è alla regolazione (anche espressa in decreti ministeriali o presidenziali non aventi contenuto di regolamento governativo) (…) che viene affidata l’acquisizione di nova tecnologici”.
[11] Secondo l’art. 13, comma 2, d.lgs. n. 259/2003 “il Ministero e l’Autorità nell’esercizio delle funzioni e dei poteri indicati nel Codice perseguono, ove possibile, il principio di neutralità tecnologica, nel rispetto dei principi di garanzia della concorrenza e non discriminazione tra imprese”. L’osservanza del principio di neutralità tecnologica è stata recentemente ribadita dalla direttiva 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018 “che istituisce il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche” (art. 3, comma 4, lett.c).
[12] La prima legge esplicitamente dedicata alla neutralità di internet è stata adottata in Cile (Ley n. 20.453 del 26 agosto 2010, “Consagra el principio de neutralidad en la red para los consumidores y usuarios de internet”). Per una definizione di net neutrality nel nostro ordinamento, cfr. AGCom, delibera 3 febbraio 2011, n. 39/11/CONS, Allegato B, § 171. Sulla neutralità della rete, anche per i riferimenti bibliografici, sia consentito il rinvio a P. Otranto, Net neutrality e poteri amministrativi, in Federalismi.it, n. 3/2019.
Come è stato efficacemente osservato da M.T.P. Caputi Jambrenghi, La funzione amministrativa neutrale, cit., 315, “la neutralità della rete impone l’assenza di restrizioni o interferenze, poggiando sulla premessa maggiore -data per presupposta- per la quale tutti hanno diritto ad accedere alla rete per ricevere o trasmettere dati, informazioni, nozioni e idee e per instaurare rapporti lavorativi, economici e sociali”.
[13] Regolamento (Ue) 2015/2120 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015 “che stabilisce misure riguardanti l’accesso a un’internet aperta e che modifica la direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica e il regolamento (Ue) 531/2012 relativo al roaming sulle reti pubbliche di comunicazioni mobili all’interno dell’Unione”. Nella dottrina italiana, v. M. Orofino, La declinazione della net-neutrality nel Regolamento europeo 2015/2120. Un primo passo per garantire un’Internet aperta?, in Federalismi.it ‒ Focus Comunicazione, Media e Nuove Tecnologie, n. 2/2016, 12 ss.; F. Donati, Net neutrality e zero rating nel nuovo assetto delle comunicazioni elettroniche, in T.E. Frosini – O. Pollicino – E. Apa – M. Bassini (a cura di), Diritti e libertà in Internet, Milano, 2017, 189- 192; M. Interlandi, Neutralità della rete, diritti fondamentali e beni comuni digitali, in Giustamm.it, n. 2/2018.
[14] Art. 3, § 1, e considerando 5.
[15] Si veda anche AGCom, Delibera n. 348/18/CONS del 18 luglio 2018, recante “Misure attuative per la corretta applicazione dell’articolo 3, commi 1, 2, 3, del Regolamento (UE) n. 2015/2120 che stabilisce misure riguardanti l’accesso a un’internet aperta, con specifico riferimento alla libertà di scelta delle apparecchiature terminali”.
[16] Art. 1, comma 1, lett. a) della direttiva 2008/63/Ce della Commissione del 20 giugno 2008 “relativa alla concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni”.
[17] AGCom, Delibera n. 348/18/CONS del 18 luglio 2018, cit. Nella giurisprudenza nazionale, cfr. Tar Lazio – sez. III, sentenza 28 gennaio 2020, n. 1200 che ha affermato, ancorché a livello di obiter dictum, la legittimità della suddetta delibera in quanto espressione dei principi enunciati nel regolamento n. 2015/2120. Sempre in materia di net neutrality, si segnala la recente pronuncia con la quale la Corte di giustizia ha affermato l’illegittimità delle pratiche tariffarie c.d. di “zero rating” per violazione del regolamento n. 2015/2120 (Corte di giustizia, grande sezione, 15 settembre 2020 in cause riunite C‑807/18 e C‑39/19). Le tariffe “zero rating” consentono ai consumatori di beneficiare di alcuni servizi internet a costo zero, mentre assoggettano altre applicazioni ed altri servizi a misure di blocco o rallentamento. Nel caso di specie, ad esempio, sono stati considerati contrari ai principi di net neutrality i pacchetti, offerti dall’operatore ungherese Telenor, denominati “my chat” e “my music”. Il primo prevedeva che l’utilizzo di sei applicazioni specifiche di comunicazione online (Facebook, Facebook Messenger, Instagram, Twitter, Viber e Whatsapp) non comportasse alcun consumo del volume di dati acquistato ed inoltre che, una volta esaurito il suddetto volume di dati, i clienti potessero continuare ad utilizzare senza restrizioni tali applicazioni specifiche, mentre altre applicazioni e servizi venivano assoggettati a misure di rallentamento del traffico. Analoga previsione conteneva l’offerta “my music” con riferimento all’uso di applicazioni per la trasmissione di musica (Apple Music, Deezer, Spotify e Tidal).
[18] Si vedano, ad esempio, le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, prof. Giuseppe Conte, il quale in una conferenza stampa del 6 aprile 2020, ha affermato che “la possibilità di collegarsi ad internet dovrebbe essere costituzionalmente tutelata”. Il 14 settembre il Capo dello Stato, evitando ogni riferimento al fondamento costituzionale del relativo diritto, ha sottolineato “l’urgenza e la necessità assoluta di disporre della banda larga ovunque nel nostro Paese”.
[19] L’inversione di prospettiva nell’analisi del rapporto tra autorità e libertà si deve anche alle riflessioni di V. Caputi Jambrenghi, Uffici ed impiegati pubblici dallo Statuto albertino alla Costituzione nei centocinquant’anni di Unità d’Italia (veduta di scorcio), in Giustamm.it, 2011.
Come è stato puntualmente osservato da A. Angiuli - V. Caputi Jambrenghi, A proposito di gradualismo e superamento delle dicotomie: una metafora e un binomio da invertire, in Il diritto dell’economia, n. 3/2019, 22-23, “se ad una dicotomia è necessario ricorrere, quella più conforme all’ordinamento derivato di diritto amministrativo è libertà-autorità; laddove il primo termine riecheggia l’origine del potere amministrativo, l’origine dell’autorità che non può che individuarsi nella volontà profonda – come sottolineano Giuseppe Capograssi e Renato Dell’Andro, autorevoli filosofi del diritto – del vasto gruppo sociale che in democrazia esercita sovranità mediante leggi e regolamenti applicativi aventi ad oggetto la costruzione dommatica e pratica di un’autorità-arbitro, un’autorità economica e per il mercato, un’autorità di garanzia, ecc., tutte destinatarie di poteri commisurati alle necessità di assolvere ai compiti di benessere ed agli obblighi nei confronti di situazioni di diritto soggettivo (…) È, in realtà, soltanto da un fatto di esercizio di libertà che può sorgere ed essere successivamente accolto il provvedimento dell’autorità, il suo intervento nettamente orientato e rivolto verso una realizzazione conforme al principio di libertà (…). Non c’è spazio adeguato, dunque, per l’autorità senza la premessa di un fatto di libertà – produzione del nomos – fin quando, cioè, la libertà abbia compiutamente affermato la sua supremazia di primogenitura”.
[20] In tale prospettiva, allo Stato spetterebbe il compito di non frapporre ostacoli all’accesso e di assicurare il funzionamento della rete mediante il recepimento delle regole tecniche elaborate a livello internazionale dalle organizzazioni preposte a tale fine, valutandone l’adeguatezza e legittimità in relazione ai principi costituzionali, nonché di garantire solo il massimo pluralismo sul piano politico e sociale e la più vasta concorrenza su quello economico. Si veda, ad esempio, P. Costanzo, Miti e realtà dell’accesso ad internet (una prospettiva costituzionalistica), in P. Caretti (a cura di), L’informazione. Il percorso di una libertà, Firenze, 2012, 9 ss. Secondo l’A. “occorre ribadire come l’idea di accesso, costituzionalmente tutelato, a internet, di per se stesso e in se stesso considerato, abbia fragili appigli nel tessuto normativo della carta fondamentale, potendo, al più, valere come «metafora felice» di una serie di situazioni eterogenee e strumentali, queste sì, di valore costituzionale e irrefragabilmente idonee a significare la prosperità del connubio tra Costituzione e internet”.
Per una recente ricostruzione del dibattito dottrinale, cfr. M. Bassini, Internet e libertà d’espressione. Prospettive costituzionali e sovranazionali¸ Roma, 2019, 279 ss.
[21] L. Cuocolo, La qualificazione giuridica dell’accesso a Internet, tra retoriche globali e dimensione sociale, in Pol. dir., 2012, 263 ss., spec. 284; G. De Minico, Uguaglianza e accesso a Internet, in www.forumcostituzionale.it (6 marzo 2013); T.E. Frosini, L’accesso a Internet come diritto fondamentale, in O. Pollicino - E. Bertolini - V. Lubello (a cura di), Internet: regole e tutela dei diritti fondamentali, Roma, 2013, 69 ss. Il diritto sociale di accesso a internet, dunque, si sostanzierebbe nella pretesa dell’utente di vedere garantita, mediante interventi dei pubblici poteri in grado di ridurre i fattori culturali e tecnologici che determinano il digital divide, la possibilità di utilizzare in modo efficace le molteplici applicazioni della rete. Un articolato percorso ricostruttivo volto a radicare nelle norme costituzionali un “nuovo diritto sociale” di accesso a internet, o meglio, di accesso alla conoscenza “tramite internet”, è operato da M.T.P. Caputi Jambrenghi, La funzione amministrativa neutrale, cit., 292-296. Secondo l’A. “il diritto all’informazione mediante la rete delle reti è un nuovo diritto, che, pur essendo innegabilmente connesso all’art. 3, comma 2, Cost., per la sua strumentalità rispetto alla rimozione di ostacoli ad una partecipazione attiva alla vita politica e sociale, può dirsi, tuttavia, connotato dal carattere universalistico” (ivi, 297).
[22] S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, 2012, 112, qualificava l’accesso come “diritto fondamentale della persona”.
[23] F. Borgia, Riflessioni sull’accesso ad Internet come diritto umano, in Comun. intern., 2010, 395 ss. Per un’analisi critica di tale impostazione, cfr. L. Cuocolo, La qualificazione giuridica dell’accesso a Internet, cit., 281.
[24] La proposta formulata durante la XVI legislatura, atto Senato n. 2485 (sen. Di Giovan Paolo e altri) prevedeva l’introduzione di un articolo 21 bis Cost. del seguente tenore: “Tutti hanno eguale diritto di accedere alla rete internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale”. Cfr. anche, nella XVII legislatura, due disegni di legge costituzionale: il primo (atto Senato n. 1317 - Sen. Lucidi e altri) proponeva una modifica dell’art. 21 Cost. aggiungendo, dopo il primo comma, un nuovo secondo comma, così formulato: “Tutti hanno il diritto di accedere liberamente alla rete internet. La Repubblica rimuove gli ostacoli di ordine economico e sociale al fine di rendere effettivo questo diritto. La legge promuove e favorisce le condizioni per lo sviluppo della tecnologia informatica”; il secondo (atto Senato n. 1561 - Sen. Campanella) suggeriva, invece, l’introduzione di un nuovo art. 34-bis a mente del quale: “Tutti hanno eguale diritto di accedere alla rete internet, in modo neutrale, in condizione di parità e con modalità tecnologicamente adeguate. La Repubblica promuove le condizioni che rendono effettivo l’accesso alla rete internet come luogo ove si svolge la personalità umana, si esercitano i diritti e si adempiono i doveri di solidarietà politica, economica e sociale”.
Nella legislatura in corso (XVIII)è stato proposto un disegno di legge costituzionale avente ad oggetto l’ “introduzione dell'articolo 34-bis della Costituzione, in materia di riconoscimento del diritto sociale di accesso alla rete internet” (atto Camera n. 1136 - deputati D’Ippolito e Liuzzi). Il nuovo articolo 34-bis Cost. dovrebbe essere così formulato: “Tutti hanno eguale diritto di accedere alla rete internet in condizioni di parità e con modalità tecnologicamente adeguate. La Repubblica promuove le condizioni che rendono effettivo l’accesso alla rete internet come luogo dove si svolge la personalità umana, si esercitano i diritti e si adempiono i doveri di solidarietà politica, economica e sociale. La limitazione di tale diritto può avvenire, con le garanzie stabilite dalla legge, solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria. È riconosciuta la neutralità della rete internet. La legge determina le condizioni affinché i dati trasmessi e ricevuti mediante la rete internet non subiscano trattamenti differenziati se non per fini di utilità sociale e riconosce la possibilità di utilizzare e di fornire apparecchiature, applicativi e servizi di propria scelta”.
Un’ulteriore recentissima proposta, il cui testo non risulta ancora pubblicato, prevede l’introduzione della seguente disposizione all’art. 21 Cost., dopo il comma 6: “Tutti hanno eguale diritto di accedere alla rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate tali da favorire la rimozione di ogni ostacolo di ordine economico e sociale” (XVIII legislatura, atto Camera n. 2769 - deputati Madia e Orlando, “Modifica all’articolo 21 della Costituzione in materia di riconoscimento del diritto d’accesso alla rete internet”).
[25] P. Otranto, Internet nell’organizzazione amministrativa. Reti di libertà, Bari, 2015, passim.
[26] Così M. Bassini, Internet e libertà d’espressione, cit., 92, il quale soggiunge: “Non, dunque, la tutela del mezzo in sé ma la tutela della libertà di ricorrere al mezzo per l’esercizio di diritti sembra la prospettiva più corretta per reagire alla diffusione delle nuove tecnologie e al loro impatto sui diritti fondamentali. Questa osservazione può guadagnare in chiarezza guardando alla molteplicità di campi nei quali Internet può avere impiego: non solo per l’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, ma anche per godere della libertà di comunicazione; per il diritto alla ricerca e all’istruzione, così come anche per esercitare la libertà di associazione”.
[27] In questa prospettiva, si vedano le condivisibili riflessioni di P. Passaglia, Internet nella Costituzione italiana: considerazioni introduttive, in M. Nisticò – P. Passaglia (a cura di), Internet e Costituzione. Atti del Convegno (Pisa 21-22 novembre 2013), Torino, 2014, 1 ss.; Id., Ancora sul fondamento costituzionale di internet. Con un ripensamento, in Liber amicorum per Pasquale Costanzo, in giurcost.it, 26 giugno 2019. Cfr. anche M. Bassini, Internet e libertà di espressione, cit., 289, secondo il quale il “principio di eguaglianza in senso sostanziale può essere utilizzato efficacemente come strumento che impone ai pubblici poteri l’eliminazione di quelle situazioni di discriminazione dovute a ostacoli di natura economica e sociale. Anzi, proprio la sua neutralità rispetto ai fini rappresenta una caratteristica che lo rende particolarmente adatto a fungere da parametro al quale fare affidamento nell’ottica di una garanzia di Internet che sia funzionale all’esercizio dei diritti di cittadinanza. Internet, dunque, in quanto ‘mezzo’ di libertà (non di una, ma di plurime) è senz’altro l’oggetto di un diritto fondamentale, lo è già allo stato, senza alcun bisogno di una costituzionalizzazione esplicita”.
[28] Il divario digitale riguarda sia le infrastrutture, sia le competenze necessarie per un uso consapevole della rete. Come emerge dal Digital Economy and Society Index – che misura i risultati in ambito digitale conseguiti dagli Stati membri dell’Ue – l’Italia è quart’ultima in Europa per le performance digitali e diciassettesima su 28 Paesi europei con riferimento alla connettività. Sul punto, cfr. https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/desi. Il superamento del divario digitale, peraltro, costituisce un obiettivo anche alla luce degli obblighi derivanti dall’adesione all’Unione europea, ad esempio individuati dalla comunicazione della Commissione del 14 settembre 2016 sulla “Connettività per un mercato unico digitale competitivo: verso una società dei Gigabit europea” richiamata nel decreto impugnato.
[29] M. Bassini, Internet e libertà di espressione, cit., 289.
[30] M. Ainis, Il diritto a Internet che c’è già, sul quotidiano La Repubblica, del 27 novembre 2020, in ordine al rinnovato dibattito sulla necessità di una disposizione della Carta fondamentale che espressamente preveda la tutela dell’accesso a internet, richiama l’art. 21 Cost. come fondamento costituzionale adeguato e soggiunge, efficacemente, “nel blocco di marmo c’è già, in nuce, la figura che verrà scolpita. C’è anche in un angolo della Costituzione, com’è il caso del diritto a Internet. Ma in generale, per vedere l’essenziale occorre distogliere lo sguardo dal superfluo”.
[31] A partire dagli anni Novanta, il diritto di accesso alla rete è stato oggetto di riconoscimento costituzionale in quanto strumentale all’esercizio del diritto di accesso ai dati personali e alle informazioni pubbliche. La Costituzione del Paraguay del 1992 ha introdotto una riserva di legge al fine di assicurare, in condizioni di parità, l’accesso a “los instrumentos electrónicos de acumulación y procesamiento de información pública, sin más límites que los impuestos por las regulaciones internacionales y las normas técnicas” (art. 30, comma 2). La Costituzione venezuelana del 1999 ha affidato allo Stato il compito di garantire l’organizzazione di servizi informatici in rete al fine di consentire l’accesso universale all’informazione (art. 108). Nelle Costituzioni più recenti l’accesso alla rete assume una sua autonoma consistenza. Così la Costituzione greca (riformata nel 2001) prevede il diritto della persona di partecipare alla “società dell’informazione” e il correlato obbligo dello Stato di promuovere l’accesso alle informazioni elettroniche così come la produzione, lo scambio e la diffusione delle stesse (art. 5A, comma 2); la Carta fondamentale dell’Ecuador del 2008 riconosce un diritto universale di accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (art. 16, comma 2).
[32] Cfr., ad esempio, U.S. Supreme Court, 521 U.S. 844 (1997), Reno v. American Civil Liberties Union et. al., del 26 giugno 1997, n. 96-511. La sentenza compare, tradotta in italiano, a cura di V. Zeno-Zencovich in Dir. inf., 1996, 604, con nota di V. Zeno-Zencovich, Manifestazione del pensiero, libertà di comunicazione e la sentenza sul caso “Internet”, ivi, 640 ss. Si veda, altresì, Conseil constitutionnel, sentenza n. 2009-580, 10 giugno 2009, pubblicata in una traduzione italiana in Dir. inf. 2009, 524; Sala constitucional de la Corte suprema de justicia della Costa Rica, sentenza 30 luglio 2010, n. 12790.
[33] Si veda, ad esempio, il documento The promotion, protection and enjoyment of human rights on the Internet, approvato il 27 giugno 2016 dal Consiglio per i diritti umani dell’ONU (A/HRC/32/L.20), nel quale, in particolare si invitano gli Stati ad adottare politiche pubbliche relative a internet volte a garantire l’accesso universale alla rete ed il godimento dei diritti umani on line.
[34] Come è noto, in distinte esperienze nazionali e sovranazionali, esistono numerose iniziative per l’elaborazione di Carte dei diritti e doveri in internet. Per un’aggiornata analisi critica ed ampi riferimenti dottrinali, cfr. M. Bassini, Internet e libertà di espressione, cit., 97 ss. Nell’esperienza italiana si veda la “Dichiarazione dei diritti in internet” del 2015, redatta dalla “Commissione per i diritti e doveri relativi ad internet” istituita su iniziativa della Presidenza della Camera dei deputati e composta da parlamentari e studiosi attivi nel settore di riferimento. Sul punto si vedano i saggi raccolti in M. Bassini - O. Pollicino (a cura di), Verso un Internet bill of rights, Roma, 2015, spec. M. Bellezza, Carta dei diritti di Internet. La complessità del presente e le opportunità del futuro, ivi, 31 ss.
[35] In forza dell’art. 4, § 2, della direttiva 2002/22/CE, la connessione da postazione fissa ad una rete di comunicazione pubblica, oggetto di obblighi di servizio universale, doveva essere “in grado di supportare le comunicazioni vocali, facsimile e dati, a velocità di trasmissione tali da consentire un accesso efficace a internet, tenendo conto delle tecnologie prevalenti usate dalla maggioranza degli abbonati e della fattibilità tecnologica”.
[36] Corte di Giustizia, sentenza Base Company e NV Mobistar NV / Ministerraad, 11 giugno 2015, in causa C-1/14, avente ad oggetto la conformità alla direttiva 2002/22/CE “servizio universale” della legge belga sulle comunicazioni elettroniche, adottata nel 2005 e modificata nel 2012.
[37] Deve segnalarsi che, all’esito di una consultazione pubblica durata un anno, la AGCom con delibera 253/17/CONS del 27 giugno 2017 ‒ esercitando la propria funzione consultiva nei confronti del Ministero dello Sviluppo economico in riferimento alla revisione periodica del contenuto del servizio universale (art. 65 d.lgs. n. 259/2003) ‒ aveva ritenuto che la connessione a internet da postazione fissa a banda larga dovesse rientrare tra gli obblighi di servizio universale. Nell’atto l’Autorità aveva preannunziato di voler esercitare la propria funzione in chiave propositiva, adombrando la possibilità di esser essa stessa promotrice di una segnalazione al Ministero per la modifica del contenuto degli obblighi di servizio universale.
[38] Rientrano nel “pacchetto telecom” 2002 la direttiva 2002/19/CE del Parlamento europeo e del Consiglio “relativa all’accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all’interconnessione delle medesime” (direttiva accesso); la direttiva 2002/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio “relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica” (direttiva autorizzazioni); la direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio “che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica” (direttiva quadro); la direttiva 2002/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio “relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica” (direttiva servizio universale).
[39] Considerando 212, 213.
[40] Secondo il considerando 219, “se gli Stati membri stabiliscono che i prezzi al dettaglio per i servizi di accesso adeguato a internet a banda larga e di comunicazione vocale non sono economicamente accessibili ai consumatori a basso reddito o con esigenze sociali particolari, tra cui gli anziani, gli utenti finali con disabilità e i consumatori che vivono in zone rurali o geograficamente isolate, essi dovrebbero adottare misure appropriate. A tal fine, gli Stati membri potrebbero offrire a tali consumatori un sostegno diretto a fini di comunicazione, che potrebbe rientrare nelle indennità sociali o buoni o pagamenti diretti destinati a tali consumatori. Ciò può rappresentare un’alternativa appropriata che tiene conto dell’esigenza di limitare al minimo le distorsioni del mercato. In alternativa o in aggiunta, gli Stati membri potrebbero imporre ai fornitori di tali servizi di offrire opzioni o formule tariffarie di base a tali consumatori”.
[41] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni del 19 maggio 2010, intitolata Un’agenda digitale europea, COM (2010) 245 def.
[42] Delibera CIPE n. 65 del 6 agosto 2015, recante “Fondo sviluppo e coesione 2014-2020: piano di investimenti per la diffusione della banda ultra larga” e richiamata nel preambolo del d.m. impugnato. All’art. 1 della delibera, il voucher è definito quale “contributo finalizzato all’accensione di servizi su reti a banda larga ultraveloci”.
Tra gli atti adottati dall’Ue, cfr. anche il regolamento (UE) 2017/1953 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2017 recante la “modifica dei regolamenti (UE) 1316/2013 e (UE) 283/2014 sulla promozione della connettività internet nelle comunità locali”; nonché la già ricordata Comunicazione del 14 settembre 2016, “Connettività per un mercato unico digitale competitivo: verso una società dei Gigabit europea”, della Commissione.
[43] In Foro it., 2004, I, 3260, nonché in Giur. cost., 2004, 3214 con commento critico di A. Pace, I progetti “PC ai giovani” e “PC alle famiglie”: esercizio di potestà legislativa esclusiva statale o violazione della potestà regionale residuale?, ivi, 3221 ss. Si veda anche F.G. Pizzetti, Il progetto “PC ai giovani” nel quadro della promozione dell’eguaglianza digitale da parte dello Stato e delle Regioni, in Federalismi.it, n. 12/2008. Per un’analisi della giurisprudenza della Corte costituzionale sul tema, cfr. P. Passaglia, Corte costituzionale e diritto dell’internet: un rapporto difficile (ed un appuntamento da non mancare), in Giur. cost., 2014, 4837 ss.
[44] Si tratta degli artt. 27, legge 27 dicembre 2002, n. 298 (legge finanziaria 2003) e 4, commi 9 e 10, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria 2004) che prevedevano dotazioni finanziarie per i progetti “PC ai giovani” e “PC alle famiglie”.
[45] Il Giudice delle leggi, infatti, ha individuato la finalità delle disposizioni impugnate nella “diffusione, tra i giovani e nelle famiglie, della cultura informatica (…) che corrisponde a finalità di interesse generale, quale è lo sviluppo della cultura, nella specie attraverso l’uso dello strumento informatico, il cui perseguimento fa capo alla Repubblica in tutte le sue articolazioni (art. 9 della Costituzione), anche al di là del riparto di competenze per materia fra Stato e Regioni di cui all’art. 117 della Costituzione”.
[46] Il riferimento è a Corte cost., 12 aprile 2005, n. 145 in Foro it., 2005, I, 2620 nonché in Dir. internet, 2005, n. 3, 247 con nota di P. Costanzo, L’accesso a internet in cerca d’autore.
[47] J. Rifkin, L’era dell’accesso. La rivoluzione della new economy, Milano, 2000, 305-306.